Se fossi nata dal ventre di un ghiacciaio non avrei patito così tanto freddo come è stato, invece, essere partorita da mia madre.
Il freddo della mia infanzia è un gelo perenne che d'allora non mi ha più lasciato, me lo sono portata dentro per tutta la vita come una realtà biologica, una tara ereditaria, una devastazione invisibile, tutta interna.
Spesso ho rischiato di distaccarmi dal mondo, a volte, invece, ho lottato anche contro me stessa per riuscire ad avere accesso ai sentimenti.
Perché è questo che comporta il freddo dell'infanzia: l'estraneità ai sentimenti.
Quando è nato mio figlio non riuscivo a pronunciare la parola mamma, mi sembrava una bestemmia sulle mie labbra. I primi tempi della sua nascita non riuscivo, soprattutto in presenza di altri, a stringermelo al petto e soffocarlo con tutta l'irruenza di quell'amore infinito e nuovo, che sentivo eruttare dentro con la violenza di un vulcano in attività. Poi, quando eravamo soli, lo sommergevo con la lava calda e benefica di quel vulcano: spariva inghiottito tra le mie braccia, coperto da tutti quei baci che io forse non ho avuto, e sapevo che per lui non aveva nessuna importanza se io non riuscivo a pronunciare la parola mamma, perchè, ne ero sicura, sentiva il mio calore e il mio odore.
Mamma, è un luogo in cui avere la certezza di trovare rifugio.
Ogni volta che la vado a trovare porto sempre con me un pò di quella cenere bollente di vulcano per scaldare l'antro, buio e freddo, del suo alzheimer, e la cullo tra le braccia per farle sentire il mio calore e il mio odore.
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