Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.

domenica 9 dicembre 2018

Fleur (cap 13)


CAPRICCI DA STAR
Ad attenderlo all'aeroporto Ferrer aveva trovato Blanca Gil, che nel lungo periodo della sua assenza pure s'era data un gran da fare per pervenire alla verità sull'accaduto, senza però alcun risultato, che Serrano, prima di partire, prudentemente aveva attivato un'impenetrabile rete protettiva a salvaguardia dell'intera vicenda, allo scopo d'impedire di pregiudicare, con una pubblicità negativa, il film di cui Ferrer sarebbe stato protagonista.
Salvaguardare l'onorabilità dell'attore equivaleva a proteggere anche i suoi stessi interessi, seppure questo gli era costato una cifra considerevole e dovuto contrarre qualche debito di riconoscenza.
Ed era stata questa richiesta di favori la cosa più odiosa a cui Serrano s'era dovuto sottomettere e che il suo carattere, schivo ed orgoglioso, profondamente aborriva, motivo per cui s'era trovato a covare un fondo di risentimento nei confronti dell'amico. Irritazione che però non gli aveva impedito di espletare in modo impeccabile il compito che s'era prefisso: rendere Ferrer irraggiungibile da Blanca Gil e nel contempo tenerlo all'oscuro di ciò che a Santo Domingo andava accadendo. Mentirgli, se il caso lo richiedeva, seppure l'ambiguità e le menzogne non rientravano nel suo modo d'agire, in questo caso particolare vi si sarebbe adeguato, che la faccenda era così delicata che sarebbe bastata una semplice svista per precipitare nello scandalo. D'altro canto, nelle condizioni psicologiche in cui Ferrer versava, i ragionamenti logici s'erano dimostrati fallimentari. Nessuna collaborazione da parte sua ma piuttosto un crescendo d'ostilità sfogata talvolta in maniera adolescenziale, capricciosa e irrazionale, cattiva ed ingiuriosa. La troupe, abituata ai capricci delle star, e completamente ignorando le motivazioni vere da cui scaturivano i comportamenti dell'attore, aveva vissuto queste sue insensatezze come fatto normale, divertendosi perfino e parteggiando, secondo le simpatie, per Ferrer o per la Turner. L'attore, per la sua arguzia e le sue sottili crudeltà, riscuoteva un successo personale che molti dello staff, pur trovando odiosi i suoi cinici sberleffi nei confronti della partner di scena, erano preferiti di gran lunga alle scene drammatiche di lei, che assolutamente priva di fantasia ripeteva lo stesso copione, quello delle invettive, delle lacrime e delle porte sbattute. Ma qualcuno dello staff, pur trovando noiose queste sue performance, s'era provato a consolarla, trovando nel pretesto di un abbraccio, la possibilità di saggiare, con un contatto fisico più diretto, quella sua sensuale burrosità. Gesti contenuti che però avevano scatenato la gelosia del regista, e dopo il licenziamento in tronco di un cameramen e poi di un elettricista, nessuno s'era più azzardato nell'impresa. Scene madri, quelle della Turner, che lasciavano invece indifferenti, o stizzite, tutte le altre donne della troupe, dalle altre attrici alle addette ai lavori, che pur trovando sgradevole il comportamento di Ferrer nei suoi riguardi, non le avevano mai manifestato solidarietà. Né amicizia. La sua totale mancanza di talento artistico, contrapposto a quella sua bellezza mozzafiato, esplicitava in modo palese le ragioni per cui le era stato affidato il ruolo di protagonista. E la gelosia ossessiva del regista lo attestava, tanto che sembrava quasi essere grato a Ferrer della sua ripugnanza nei confronti di lei, unico uomo a respingerla, a non esserne attratto, quando tutti gli altri, invece, se la sarebbero voluta portare a letto. Motivo per cui, il regista, non aveva mai chiesto a Serrano di sostituire Ferrer.


BLANCA 
Blanca Gil lo attendeva con una rosa rossa in mano e una bottiglia di champagne nell'altra.

- Cosa dobbiamo festeggiare, Blanca? -
Le aveva domandato lui in tono sarcastico.

- Il tuo ritorno, Francisco. -
Aveva risposto lei baciandolo lievemente sulla bocca. Ma lui s'era scansato infastidito.

- Non c'è nulla da festeggiare. E anche se ci fosse non sarei dell'umore giusto. -
Aveva ribadito con avversione.

- Un motivo per bere champagne si trova sempre. E dopo, magari, migliora anche l'umore -
Blanca non era tipo da demordere e così lo aveva preso sottobraccio e condotto verso il taxi in attesa.

- Andiamo a casa mia. Si sta più tranquilli. -
Proposta a cui lui non aveva mosso obiezioni, perché ritrovarsi da solo nel suo appartamento, col fantasma irato di Santa Martha Dominadora, lo atterriva.

Dopo aver consumato una cena leggera, Ferrer s'era fatto una doccia e poi nudo aveva raggiunto Blanca nel letto matrimoniale. Sul comodino di lei campeggiava, su un vassoio d'argento, la bottiglia di champagne e due flute di cristallo.

- Stai mettendo su peso. -
Aveva detto Blanca soppesandolo con occhi critici. Lui le si era sdraiato accanto e lei lo aveva accolto carezzandogli il petto, ma Ferrer, con malagrazia l'aveva scansata via.

La giornalista, niente affatto risentita di quella sua irritazione, s'era fatta di lato per studiarlo più attentamente, riflettendo a voce alta.

- Si, Francisco, non solo stai ingrassando ma hai un colorito opaco e borse sotto gli occhi: un aspetto pessimo. Se è una conseguenza del fallimento del film, ricorda che un flop è quantomeno doveroso nella carriera di un attore di successo. Una cattiva recitazione non pregiudicherà i tuoi successi futuri. Ma la devastazione fisica, si. E tu ci sei dentro, amico mio. Ed è una pena constatarlo. Ma non credo che siano stati i mancati incassi di botteghino a produrre questa tua brutta trasformazione, quanto piuttosto una donna. Forse la piccola, glaciale, Celeste Petit? Ci scommetto che è opera sua. Una splendida femmina alfa, quella. Ci avrei perso la testa anch'io e volentieri mi sarei fatta fottere da lei, e non solo in senso letterale. Non ho mai creduto alla storia messa in giro dal tuo amico Serrano, ad uso e consumo della stampa, del tuo ritorno di fiamma per Josette. A proposito dovrò aggiornarti su di lui e le più recenti vicende di nostri comuni conoscenti. Ovviamente le mie informazioni vanno oltre le verità di facciata, ed hanno un prezzo. Mi sono data molto da fare per te quando eri ad Hollywood, e con gran fatica, che Serrano è stato magistrale nel sigillare qualunque accesso potesse condurre a te, rendendoti irraggiungibile. Ed invisibile. E' un uomo diabolico! -
L'ultima frase, intenzionalmente, l'aveva pronunciata in tono ammirato. Poi s'era accesa una sigaretta e aveva aggiunto sibillina: posso aiutarti a fare i tuoi interessi, a riprenderti ciò che era tuo, o che speravi lo fosse, e che con l'inganno ti è stato sottratto. Ma per tutto questo c'è un prezzo da pagare.

Ferrer, a quelle sue parole che sapevano più di minaccia che di promessa, s'era riscosso dal suo torpore e con inaspettata violenza l'aveva afferrata per le braccia strappandole un gemito di dolore.

- Cosa intendi dire? Se sai qualcosa parla! Non sono in vena di risolvere enigmi. -
D'improvviso era diventato ferino. Minaccioso. Dominato da una brutalità istintiva, dirompente, alimentata dalle notti insonni e da quelle etiliche. Stringeva le braccia della donna con forza selvaggia, cosicché lei, sopraffatta, lo aveva implorato di allentare la presa. La sua voce vibrava di paura e di odio. Ma la paura aveva un'intensità maggiore.

Ferrer, stupito da quell'implorazione s'era ritratto, rintanandosi nel suo angolo di letto. Blanca, sconvolta da quell'umiliazione che s'era auto inferta, quando l'aveva liberata lo aveva schiaffeggiato, insultandolo. Lui non aveva reagito: s'era girato di fianco e aveva chiuso gli occhi.
Ma lei, di nuovo padrona del campo, non mollava la presa, verbalmente mortificandolo e psicologicamente assalendolo in un crescendo d'improperi, e indotta poi al silenzio dai singhiozzi proveniente dal lato del letto di Ferrer.
Era la prima volta che lo vedeva piangere. Sconvolta da quella sua vulnerabilità così impudicamente esibita, e sfinita dalla sua stessa furia, Blanca s'era finalmente chetata, scivolando nel buio profondo di se stessa e poi in quello di Ferrer. Era sgusciata verso di lui e lo aveva abbracciato di spalle.

PHILIPPE E CORALIE
Erano diverse notti che Coralie vegliava al capezzale di Philippe, non fidandosi di lasciarlo in custodia a nessun altro, neppure agli infermieri che il consolato aveva messo a sua disposizione, e che avrebbero dovuto alternarsi in turni a coprire l'arco delle ventiquattro ore. Era esausta, ma pure continuava ad affaccendarsi intorno a quel letto dove Philippe giaceva in stato di coma, misericordiosamente deprivato da ogni sensibilità fisica. L'infermiere di turno dormiva su un divano in fondo alla stanza mentre lei andava rimboccando le coperte al figlio, seppure non ce ne fosse bisogno che da giorni giaceva immobile nella stessa posizione. Si era chinata poi con la delicatezza estrema di una farfalla per auscultargli i battiti del cuore talmente lievi, quasi impercettibili, che per riuscirci aveva costretto tutti gli altri suoi sensi ad ammutolire a favore dell'udito. Nella stanza buia si muoveva con la sicurezza percettiva di un cieco, anche se nello spazio circoscritto nel perimetro del letto non c'erano mobili e nessun altro oggetto a far da barriera,  ma solo la piccola poltrona su cui lei, quando era troppo esausta, riposava per brevi momenti, e che di proposito l'aveva voluta scomoda, così da non indugiarvi a lungo e cedere alle lusinghe del sonno. Aveva poi sfiorato la fronte di Philippe che le era parsa più fredda del solito. Anche le labbra nella trasparenza del volto, sotto le ciglia di brina, risaltavano di un blu più intenso, quasi violetto. Con gli occhi asciutti Coralie era scivolata nel letto accanto al figlio, non per rianimarlo, come era accaduto altre volte, col calore del suo corpo ma per assorbire il gelo da quello di lui.

sabato 1 dicembre 2018

Fleur (cap 12)


LA CADUTA DEGLI DEI
- La verità, Arturo, è che hai manipolato la vicenda per salvaguardare i tuoi interessi e non hai neppure per un attimo pensato al danno d'immagine che mi stavi arrecando. La verità è...-

- La verità è che tu miravi a portarti a letto una ragazzina di quindi anni! -
La voce di Serrano s'era alzata di tono. Una dura accusa che non ammetteva repliche.
- E perdio non credi che sarebbe stata proprio la verità a causarti quel danno d'immagine? Il pubblico non la capirebbe questa tua infatuazione. E neppure i produttori del tuo prossimo film. Perfino Josette ha respinto l'idea immaginando che tu fossi preso da Celeste e non dalla sorella quindicenne. Celeste alla verità, però, c'era già arrivata da sola. Quello che cercava da Josette era un'ulteriore conferma, che però lei, essendo all'oscuro delle tue mire, non gli ha dato. Per questo tu non farai nulla per nuocerle. Celeste sapeva benissimo che non era per lei che ti stavi dando da fare con tutte quelle attenzioni alla madre e al fratello malato, e i preparativi per quella festa di compleanno. Il tutto per poter essere accreditato come amico di famiglia e poter più liberamente interagire con la sorvegliatissima Fleur. A parer mio dovresti esserle grato per averti evitato lo scandalo, la prigione e la fine della carriera. Anche se non l'ha fatto per te ma per la sorella. Che ti piaccia o meno, Francisco, sarà la mia versione, quella ufficiale. Ti diffido anche dal confidarti con Blanca Gil, che la piccola iena ha già subodorato odore di cadavere e s'aggira nei pressi fiutando il vento e leccandosi le labbra. E ho l'impressione che quel cadavere sia il tuo. Ho dato così disposizione di non far entrare nessuno, oltre me, in questa stanza, e appena sarai dimesso partiremo per Hollywood -

A questa valanga di parole, profferite in tono imperativo, Ferrer aveva risposto con un gemito doloroso. S'era voltato sul lato sinistro e aveva chiuso gli occhi.


BLANCA E ARTURO
-  Perché mi è vietato di vedere Francisco? E' dunque tuo ostaggio? -

Blanca Gil, sul piede di guerra, aveva affrontato Arturo Serrano all'uscita dell'ospedale.

- La caduta gli ha procurato un trauma cranico, ha bisogno di riposo e tranquillità. Che non debba ricevere visite lo hanno stabilito i medici -
Aveva replicato lui, con calma e senza scomporsi

- E credi davvero che io mi beva questa storiella? Così come neppure credo a quella, ci scommetto sempre da te imbastita ad uso e consumo della stampa, sul ritorno di fiamma di Francisco per quella puttanella di Josette. Lo conosco da una vita, molto prima di te, probabilmente era salito da lei con intenti omicidi, e posso persino immaginarne il motivo. Ovviamente ho bisogno di conferme, ma stanne certo che le troverò -

- Davvero non ti riesce di capire quando è il momento di mollare? Attenta, Blanca, che stavolta potresti essere tu quella a farsi male -

- Mi stai minacciando? -
La voce di lei aveva un tono sprezzante.

- Nessuna minaccia, piuttosto un amichevole avvertimento -
Le aveva risposto voltandole le spalle ed incamminandosi per la sua strada.

DON JUAN E ANITA
Giunto a casa di Ferrer, Serrano aveva spalancato le finestre per far rigenerare l'aria satura del profumo di gelsomino di cui era pregna la candela che ancora ardeva davanti all'immagine della Loa. In camera da letto aveva stipato, in una capace sacca da viaggio, qualche effetto personale dell'amico. Prima di andarsene, con un calcio rabbioso, aveva distrutto il piccolo altare collocato sul pavimento.

Due giorni dopo, Serrano e Ferrer, erano ad Hollywood.


"Don Juan", il film di cui Ferrer era il protagonista si rivelò un fiasco. Il primo della sua carriera.
A contribuire all'insuccesso era stata la sceneggiatura puerile che aveva trasformato quella che doveva essere una storia d'azione in un noioso, sdolcinato minuetto fra "Don Juan" e la sua coorte di donne, mentre invece le sciabolate vere avvenivano a telecamera spenta tra Ferrer e la sua coprotagonista (un'attricetta alle prime armi, amante del regista, bellissima ma priva di qualsiasi talento recitativo) che i due si detestavano senza alcuna cordialità e senza il minimo imbarazzo a manifestarlo. Da cosa fosse generata questa loro ostilità nessuno in realtà lo aveva capito, ma che fosse stato Ferrer a dare fuoco alle polveri non v'erano dubbi. Fin dall'inizio aveva fatto rimostranze sull'aspetto fisico di lei non trovandola consona al personaggio di Anita, essendo la storia ambientata in Messico, si presupponeva che la protagonista dovesse essere bruna di pelle e di capelli, e non certo una pin up rossa e lattiginosa, di chiare origine irlandesi.

- Sono americana. Del Texas - Aveva puntualizzato piccata Dorothy Turner
- Sarete anche americana ma non siete adatta alla parte di Anita. -  L'ostilità di Ferrer era tangibile.
- Neppure voi per quella di "Don Juan" siete troppo vecchio e davvero poco in forma. -
- Forse intendevate dire troppo giovane, visto che Don Juan è un uomo di mezza età. Non solo siete inadatta ma neppure avete studiato il copione. -
- Io posso tingermi i capelli o indossare una parrucca bruna, mentre per camuffare la vostra mollezza non esiste alcun espediente. E ad ogni modo non spetta a voi decidere il cast -
- No di certo... quando è affare di famiglia -
- Ma come osate! - Aveva sibilato inferocita  Dorothy con uno spiccato accento texano e con le unghie snudate pronta a saltargli in viso, trattenuta a stento da Serrano che, attratto dalle voci concitate, s'era fatto sulla porta a sedare la discussione.

- E per di più avete una dizione è tremenda: il vostro accento è orribile - Aveva concluso Ferrer, con sprezzante sarcasmo
E, a quell'ultima ingiuria, Dorothy Turner era scoppiata a piangere tra le braccia di Serrano.


Durante i lunghi mesi delle riprese non c'era stato giorno senza che una qualche incomprensione  accendesse tra i due la miccia.
Vero che Dorothy era assolutamente priva di un qualsiasi talento al di fuori di quella sua strepitosa, ingombrante bellezza, con quella fisicità che s'imponeva come unica attrattiva in un film mortalmente noioso e dalla trama prevedibile, dove anche tutti gli altri attori, fuorviati dalle continue dispute tra Ferrer e la Turner, recitavano svogliati, insensibili alla esigenze del copione e alle urla del regista.
Molto più imprevedibile, invece, la storia parallela che andava in scena, tra una ripresa e l'altra, tra i due attori principali che quando non s'ignoravano s'insultavano. E, in questo campo, Ferrer s'era rivelato estrosamente imbattibile, che mentre lei palesava il suo disprezzo nei suoi riguardi in maniera convenzionale, ricorrendo, secondo il caso, al pianto o all'isteria, lui lo faceva in maniera sottile e ferocemente subdola, come quando dovendo girare la scena di un bacio, per dimostrare il suo disgusto, platealmente s'era umettato le labbra con un tovagliolo intriso di whisky, scatenando le ire di lei.
 Dopo quella volta Dorothy s'era rifiutata di girare con lui sequenze così intime e così s'era fatto ricorso alla controfigura di Ferrer, un atletico spadaccino ingaggiato per le scene di duello, quelle più spericolate, per non compromettere la guarigione del braccio fratturato dell'attore che, nel lungo periodo della terapia, aveva preso chili che non riusciva, o meglio, non gli importava di smaltire. Quella mollezza che Dorothy aveva rilevato al loro primo incontro/scontro, e che andava inesorabilmente cancellando dai suoi lineamenti l'immagine, sensuale e fiera, di un dio azteco. 


Inutilmente Serrano aveva cercato di convincere il regista, (un giovane  di origini polacche dal cognome impronunciabile, che s'era fatto nomea di "visionario" e "sperimentatore" grazie a due film di basso costo, due piccoli capolavori colmi di future promesse) a licenziare l'attrice con un'ingente buonuscita da lui stesso elargita, ma senza riuscirci perché lei mirava alla gloria più che alla ricchezza, che quella, grazie alla sua portentosa avvenenza, se la sarebbe potuta facilmente procurare.

- Se mandate via Dorothy vado via anch'io. Un punto, questo, che non si discute - Aveva puntualizzato con voce ferma il giovane regista pronto a rinunciare alla gloria per l'onore della sua  Musa.

- Non sa recitare, è evidente. Ed è incompatibile con Ferrer, il cui nome dà lustro al cartellone -

- Dorothy è adattissima alla parte... se solo Ferrer non le fosse così ostile. E' lui che dovreste decidervi a licenziare. Spesso arriva sul set abbrutito, ubriaco o in stato di sonnambulismo. Tutta la troupe lo può testimoniare. Dovreste parlargli. Magari a voi darà ascolto perché a me non ne dà. Di certo il suo malanimo verso Dorothy non facilita le riprese. -

E così Serrano aveva convocato Francisco nel suo ufficio e lo aveva messo alle strette.

- Modifica i tuoi intollerabili comportamenti, Francisco, o sarò costretto a sostituirti. Esigo che tu giunga sul set sobrio e nello stato migliore. E cerca di dimagrire. Risparmia al pubblico, se non a te stesso, lo spettacolo della tua trasandatezza. Ho investito in questo film un bel pò di quattrini e si sta rivelando, invece, un disastro. Cerchiamo di salvare quello che si può. -

- Vuoi sostituirmi? Fallo pure! Io sono arcistufo di quell'oca che non sa profferire una battuta e sculetta come fosse su una passerella di un qualsiasi concorso di Miss. Ma sono stufo anche di te, Arturo, dei tuoi opprimenti sermoni e della tua pretesa di dirigere la mia vita. -
Ferrer, furioso, fronteggiava l'amico  sfidandolo

- Vuoi sostituirmi? Accomodati! -

Ferrer non era stato sostituito.
Il film s'era confermato un fiasco.
Il produttore e l'attore avevano fatto rientro a Santo Domingo su due voli diversi.

sabato 17 novembre 2018

E basta!

La solita storia di sempre: un uomo che parla di sesso è un conoscitore, una donna, invece, una puttana.



mercoledì 14 novembre 2018

La notte

...e poi la notte s'accende di stelle e di desideri: l'ora più buia è la più luminosa.



lunedì 5 novembre 2018

Fleur (cap. 11)


LA CASA DEL VAMPIRO
- Avete la fortuna di poter liberamente andar via da questa casa, eppure decidete di rimanere. Meglio ancora: rimanere, è il vostro unico desiderio. Fate attenzione, però, che una volta in cui vi verrà accordato il permesso di asilo, e credo che la mamma ve lo abbia già concesso fin dal primo istante, anche per voi, dopo, sarà poi difficile, se non impossibile, fuggire. Siete già il suo eletto, l'angelo custode di Philippe il Vampiro. Non importa che sia stato solo un fortuito caso il vostro miracolo della resurrezione, lei vorrà illudersi che sia frutto della vostra volontà. Quale sarà la vostra prossima mossa per non deluderla e continuare ad avere accesso alla casa del vampiro, alla stregua di tutti gli altri imbonitori che la frequentano? Ma voi, però, sedete al nostro tavolo mentre loro stazionano nei corridoi e nelle stanze di servizio; non hanno avuto la vostra stessa fortuna nella riuscita della loro messinscena. Vi confido un segreto, Francisco, papà ha una valigia nascosta sotto il letto, pronta all'evenienza qualora gli si presentasse un' occasione di fuga. Quella fuga l'ha tentata in passato, ma la nonna lo ha dissuaso, gli ha tolto il coraggio. Lo ha inchiodato ai suoi doveri. Povero papà! La valigia, però, non l'ha mai disfatta, è nascosta sotto il suo letto e immagino che la notte, prima di coricarsi, ci getti un'occhiata. Il fatto che sia lì pronta, lo rassicura e lo illude con la sua improbabile ipotesi di una fuga solo rimandata -
Celeste parlava in tono tranquillo, senza alcuna ostilità, fissandolo negli occhi.
La sua non era una sfida né una provocazione, ma l'onesto racconto di una realtà freddamente sviscerata senza  alcun'enfasi melodrammatica.
E per questo, forse, ancora più tragica.

Ferrer, che pure aveva rilevato nel tono tranquillo di Celeste la drammaticità del racconto, e ne era rimasto sconvolto, non aveva saputo obiettare altro che un neutrale, perché?

- Perché vi sto raccontando delle miserie della mia famiglia? Per darvi un motivo onorevole per uscire da questa casa, senza nessuna implicazione per voi e per noi. Soprattutto nessuna compromissione per Fleur. Statele lontano. Badate che non vi sto implorando, ve lo sto imponendo -
Il tono della sua voce era, ancora una volta, pacato, ma nello sguardo rilucevano aspre scintille.

- Mi state accusando di qualcosa che io non ho commesso. -

- Non ancora. Ma pure è nelle vostre intenzioni. Onestamente, potete smentirmi? -

- Voglio essere onesto quanto voi lo siete con me, e quindi non vi smentirò. Io amo Fleur, di puro e sincero amore, come mai ho amato nessun'altra. L'amo senza pretendere nulla da lei, mi basta vederla e respirare la sua stessa aria. Non desidero altro. Ma immagino che neppure questa confessione basterà a farvi ricredere e far cadere il vostro pregiudizio su di me-

- No, non mi basta e il mio pregiudizio rimane intatto. La vostra storia parla per voi ed io, a differenza della mamma, non credo ai miracoli. Non vi permetterò di mettere le mani su mia sorella e guastarla. Non entrerà prematura nel novero delle vostre amanti. Il mondo è pieno di donne disposte a farsi amare da voi, una specialità in cui a quanto pare eccellete. Fleur ha solo quindici anni. E' ancora una bambina. Se davvero l'amate, come dite, statele lontano. E, ad ogni modo, non avete altra scelta -

- Vorrei fosse Fleur a dirmi di andar via -

- Vi odia. Non l'avete sentita? Cos'altro c'è d' aggiungere?-

LA RESA DEI CONTI
Ferrer aveva vagato fino a notte fonda nei sobborghi e fatto tappa in tutti i locali incontrati lungo il cammino, poi ubriaco fradicio (aveva rischiato due volte d'essere investito) s'era diretto a casa di Josette. Era arrivata l'ora di chiudere la loro storia una volta per tutte. Già da sotto le finestre aveva preso ad appellarla con nomi inverecondi e poi, sul pianerottolo, a tempestare la porta con pugni e calci con una furia inaudita. Josette, impaurita da quella veemenza inedita nel suo ex amante, aveva finto l'assenza, ma poi sotto quel diluvio di calci inferti alla porta e di male parole inferte al suo orgoglio, aveva iniziato a rispondergli per le rime, surclassandolo nella scelta degli epiteti e delle metafore.
Aveva però avuto cura di rinforzare dall'interno la porta schermandola con un pesante settimino, e poi aveva chiamato la polizia. Ferrer, dai rumori di spostamenti di mobili  e dalla più tenace resistenza della porta, aveva intuito che lei stava barricandosi e allora anche lui aveva cambiato strategia: avrebbe tentato la scalata dalla finestra del primo piano. Talmente ubriaco, però, da fallire più volte l'approccio con l'esile tronco dell'alberello ibrido sottostante la finestra del salotto di Josette. Pure, in qualche modo, era riuscito ad inerpicarsi sulla cima per poi aggrapparsi al ramo più vicino alla finestra accingendosi, con una gran pedata, a romperne i vetri. Ma, offuscato dalla sbronza e dall'ira, agiva più d'istinto che con cognizione di causa, maldestro e incoerente non aveva saputo valutare la resistenza del ramo che avrebbe dovuto sostenerlo e che invece, sotto il suo peso, aveva ceduto, schiantandolo malamente a terra.


MISTIFICAZIONI E VERITA' CONVERGENTI IN UN'UNICA STORIA
Quando Ferrer aveva aperto gli occhi, nel suo letto d'ospedale, Arturo Serrano era al suo capezzale.

- Compadre, te lo dico chiaro e tondo, alla tua prossima stronzata ti mollo. Hai rischiato vita e carriera per vendicarti di una puttanella di serie B come Josette. Mi è costato un bel pò di soldi il convincerla a ritirare le denunce di aggressione e tentato omicidio -

- Ma se non l'ho neppure toccata. Non sono riuscito a mettere le mani addosso a quella puttana che altrimenti ora, in questo letto, ci sarebbe lei. L'ha scampata bella, sai? Ma gliela farò pagare in altro modo. Giuro che non lavorerà più.  E in quanto ai soldi te li restituirò appena sarò in grado di firmare un assegno -
Aveva obiettato, rabbioso ed amaro, mostrando all'amico la pesante ingessatura che dipartiva dal braccio destro fasciando, in un unico blocco, anche la  mano.

-  Puoi sempre firmare con la sinistra -
Serrano aveva ribadito ridendo per sdrammatizzare. Poi facendosi serio aveva aggiunto
- Sai che non ne faccio questione di soldi, seppure la cifra è stata davvero molto alta, motivo per cui tu non farai nulla di quanto minacciato. Alla stampa è stata data una versione diversa dei fatti: sei caduto dall'albero nel romantico tentativo di giungere alla sua finestra per tentare una riconciliazione. Una rivisitazione di Giulietta e Romeo. C'è materiale per un tuo nuovo romanzo, e al pubblico piacerà -

- Non puoi avermi fatto, questo. Non tu, Arturo. Quella puttana passerà alla storia come la donna per la quale avrei perso la testa. No, per me è impossibile d'accettare. Parlerò con Blanca e le racconterò la versione originale. Lei saprà come trattare l'argomento -
Ferrer era fuori di sé, sopraffatto da una collera interna che non poteva scaricare se non con le parole.

Parole cattive. Improperi irripetibili, lanciati come sassi contro Serrano che pure non aveva reagito, lasciando che lui esaurisse la sua micidiale valanga di pietre e scaricare la dose di veleno che ancora intossicava le sue vene. D'altronde benissimo capiva quella sua reazione, che anche lui, al suo posto, non l'avrebbe presa bene la mistificazione programmata dei fatti, dove la malefica puttana sarebbe stata incoronata regina. E, nello specifico, regina di cuori. Josette non gli era mai piaciuta, ma non era peggiore di tutte le altre ex amanti di Ferrer. Ci aveva parlato per convincerla a ritrattare la denuncia, offrendole una cifra astronomica, e poi lei, spontaneamente, gli aveva raccontato del suo rapporto con Celeste Petit.
Era stata quest'ultima a contattarla e a chiederle un appuntamento. Quello stesso a cui Ferrer casualmente aveva assistito. Celeste, senza troppo girarci intorno, le aveva chiesto informazioni su Ferrer, non sul loro rapporto ma sull'uomo, e lei, Josette, l'aveva esaudita descrivendolo con un'unica battuta: un egocentrico che non esce mai dal personaggio di se stesso. E aveva mimato il gesto di sventolarsi con un ipotetico ventaglio. E siccome Celeste le era piaciuta per i suoi modi, diretti e franchi, ma soprattutto per essersi rivolta a lei per quella particolarissima consulenza, ritenendola, senza alcun pregiudizio, fonte sincera ed affidabile, l'aveva alla fine amichevolmente redarguita: Francisco s'annoia facilmente, tutto per lui declina in un batter di ciglia. E' sempre a caccia di novità. Ed ora la novità siete voi. Fate attenzione, non è pericoloso ma nocivo. Sono certa che voi saprete, in questo, rilevare la differenza.
Quindi, non era stata Josette, come tutti avevano immaginato, a contattare Celeste per metterla in guardia dalle mire di Ferrer sulla giovanissima Fleur, ma il contrario. Oltretutto l'attrice era convinta che l'oggetto del desiderio del suo ex amante fosse proprio lei, Celeste, e non Fleur.

sabato 3 novembre 2018

Una notte senza stelle

Se l'animo umano non fosse così suscettibile al proibito, all'irraggiungibile, ma teso sempre e solo all'onesto, al giusto e al prevedibile, di cosa racconterebbero i poeti?
Perché nessun arcobaleno può vantare una gamma così infinita di colori quanto quello di una notte senza stelle.



venerdì 2 novembre 2018

Fleur (cap.10)


CREATURE SUPERIORI
Dopo la conversazione con Blanca riguardo la strana amicizia tra Josette e Celeste, le inquietudini di Ferrer s'erano dilatate a dismisura, e non riuscendo a dare nessuna spiegazione convincente, ecco che s'erano tramutati in cattivi presagi. La cosa più ovvia sarebbe stata andare direttamente alla fonte, parlare con Celeste per capire cosa stava accadendo e metterla in guardia dal cattivo genio di Josette.
Ma non trovava il coraggio di farlo perché la ialina inaccessibilità di lei aveva creato, fin dall'inizio, una distanza: la barriera insormontabile di un carattere superiore.
Avrebbe dunque dovuto rassegnarsi ad un'attesa passiva attendendo che gli eventi maturassero per poi travolgerlo?
Mai, come in quel momento, Francisco Ferrer s'era sentito smarrito. E solo.
Ma pure qualcuno c'era a cui rivolgersi per un aiuto certo, solidale e disinteressato: Santa Martha Dominadora, la potente Loa che lo aveva protetto nei momenti più difficili e nella quale ciecamente confidava. Santa Martha, la dominatrice dei serpenti e delle volontà, l'unica in grado di piegare l'inflessibile Celeste, garantendogli così il controllo della situazione.
In un angolo del pavimento della sua stanza aveva predisposto un piccolo altare apparecchiato di verde su cui troneggiava un candelabro con una candela verde (verde e viola erano i colori della Loa) unta con olio di gelsomino, e sotto l'immagine della Santa. Non disponendo di una foto di Celeste, aveva sopperito scrivendo il nome di lei su un pezzetto di carta marrone. Aveva poi posto un uovo in cima ad un monticello di polvere di caffè mescolato a miele, e caffè nero amaro. Era questa l'offerta più gradita a Santa Martha. In aggiunta di un bicchierino di rum e gin. E di un sigaro.
Poi, dopo aver acceso la candela, aveva recitato la sua orazione.
Mai aveva chiesto l'intervento della Loa per le sue faccende con le donne. Neppure per Fleur, che benissimo avrebbe potuto farla innamorare con una fattura d'amore, se non che aveva sempre ritenuto poco virile ricorrere ad aiuti di tal genere per conquistare una donna. Fosse anche la più inaccessibile. Non era mera questione d'orgoglio, che nessuno mai l'avrebbe saputo se una donna l'aveva conquistata col suo fascino o con un incantesimo, ma perché in questo campo era terribilmente sicuro delle sue capacità, e così più la sfida era ardua e più era la sua determinazione al gioco e alla vittoria.
In questo frangente, però, aveva contravvenuto alla regola perché non si trattava di piegare il cuore di Celeste ma la sua volontà.
E neppure in questo caso avrebbe disturbato Santa Martha, convinto che i miracoli vanno chiesti solo nei casi davvero disperati, se non fosse stato per il poco tempo restante per tentare, alla distanza e in modo riguardoso, una qualche personale strategia per carpire il motivo di quella strana amicizia.
Riflettendo, con una qualche ironia, che s'era dimostrata più accessibile la Santa che la donna terrena.
Ad ogni modo, entrambe, creature superiori.


IL RISVEGLIO DEL VAMPIRO
E mentre Ferrer si predisponeva alla paziente attesa di un segnale divino, Hermelina Hortega inconsapevolmente, ne era latrice, giungendo trafelata, e con notevole ritardo, all'appuntamento per definire gli ultimi dettagli di quella festa di compleanno che sempre più aveva assunto le dimensioni di evento hollywoodiano.

- La nostra festa salta. Philippe stanotte ha avuto una nuova crisi. E' gravissimo. Coralie è disperata, ha chiesto di voi. Benedetto ragazzo non poteva trovare momento peggiore...la mia Delicia è in lacrime, non si riesce a calmarla, ci teneva ad avere la sua festa di compleanno eppoi tutti i nostri sforzi... -

Ma lui aveva smesso d'ascoltarla e s'era precipitato in strada alla ricerca di un taxi.
Una volta giunto lo aveva accolto Coralie, stravolta dalla veglia e dal pianto, lo aveva preso per mano e senza parlare lo aveva condotto nella stanza di Philippe.

- Resuscitatelo. -
Nella stanza buia la voce sfinita di lei risuonava più come una preghiera che un ordine.

- Coralie, basta, ti stai facendo solo del male -
Armand Petit, invisibile nel buio, implorava la moglie alla rassegnazione, pur consapevole che non avrebbe ottenuto alcun risultato

- Taci! Non hai alcun diritto di parlare, tu che non hai mai fatto niente per lui. Non dovresti neppure essere in questa stanza.Vattene! -
Alla diffida, rabbiosa e cattiva della moglie, Armand aveva risposto con un singhiozzo represso.

- Vi prego, Francisco, non fatelo morire -
Fiduciosa come una bambina gli stringeva la mano,ai piedi del letto del figlio morente.
Il buio completo aveva graziato Ferrer dall'orrendo spettacolo dell'agonia ma non dall'adempimento di quella richiesta irrealizzabile, e per quanto egli fosse avvezzo all'improvvisazione non gli veniva in mente alcun escamotage per far fronte a quella situazione paradossale Avrebbe dovuto almeno sfiorare il moribondo con una carezza pietosa, ma solo l'idea di quel contatto con la pelle fredda e disidratata di Philippe, lo terrorizzava. E così per sfuggire a quell'approccio d'istinto aveva nascosto le mani nelle tasche dove, in quella di destra, aveva trovato il vetro sottile della bottiglina dell'olio di gelsomino usata per il suo rito a Santa Marha. Doveva essersela messa in tasca, senza neppure rendersene conto, dopo aver oliato la candela.
Forse una preveggenza della Santa.
Così aveva  stappato la bottiglina e il profumo stellato del gelsomino, esaltato dal buio notturno della stanza, era propagato intenso e penetrante, a stordire la morte. Poi l'aveva posta sotto il naso di Philippe per fargli inalare quell'aroma acuto e struggente, e rianimarlo.
La messinscena di un miracolo che lo stesso Ferrer, però, aveva iniziato a credere reale poiché il giovane aveva aperto gli occhi e perfino sorriso.
O almeno così era sembrato dalla leggera contrazione della bocca.

Ma forse a resuscitarlo era stata la forsennata speranza di Coralie  più che l'intensità della fede di Ferrer, a dar vita a quel miracolo, solo temporaneo, però, aveva specificato il dottore, che quel risveglio imprevisto doveva essere attribuito unicamente al profumo invasivo del gelsomino che in qualche modo lo aveva rianimato.
In realtà quella era l'unica spiegazione scientifica, per quanto abborracciata, con la quale il medico poteva giustificare l'inaspettato risveglio di Philippe.
Risveglio temporaneo, aveva ribadito con convinzione il dottore ad Armand, a voce bassa, però, per non defraudare Coralie di quel suo momento di gioia.


- Perché lo avete risvegliato? -
C'era delusione e rabbia nella voce di Fleur.
Era la prima volta che lei si mostrava irritata con lui e Ferrer ne era rimasto sconvolto.

- Fleur, non crederete davvero che io sia in grado di esercitar miracoli? Vostro fratello non era in realtà morto ma versava in uno stato agonico, l'essenza di gelsomino lo ha rianimato. Questa la logica spiegazione del dottore. Quello che è effettivamente accaduto. Ma non desiderate dunque che Philippe viva? -
Le aveva chiesto accorato.

- Nessuno di noi lo desidera. Solo la mamma. Finché lui vive noi tutti siamo suoi prigionieri. Prigionieri del vampiro. Oh, Francisco, cosa avete fatto! Vi odio -
Fleur era corsa via piangendo e lui non aveva potuto trattenerla perché s'era accorto della silenziosa presenza di Celeste.

martedì 9 ottobre 2018

Anatomia di un racconto: I libri dei defunti



Canone a due voci
Lo stile di questo racconto, didattico e leggermente pedante, non è casuale ma una scelta precisa per configurare, fisicamente e caratterialmente, i profili del padrone di casa e della giovane donna interessata all'appartamento.
I due protagonisti si esprimono in un  linguaggio classico e i dialoghi denotano affinità, interessi comuni e la stessa visione del mondo. Immaginiamo anche l'appartenenza alla stessa classe sociale.

Lui, il padrone di casa, potrebbe essere un professore (un avvocato o un dottore) a fine carriera, forse già in pensione. Un uomo colto, che coltiva l'etica e le buone maniere. Un gentiluomo.
 Un uomo forse non dotato di una fantasia eccessiva ma capace di cogliere nelle sfumature il nucleo  originale del colore. Un lettore dalla cultura umanistica per il quale i libri non sono semplici oggetti ma soggetti, sentinelle della cultura e custodi della memoria. E su questo fondamento quella stravagante collezione acquisisce un valore universale, perché ogni libro contiene la sua storia originale e le infinite altre che da questa sono derivate, e tutte le altre, non ancora scritte, che ne conseguiranno: una genesi letteraria. La stanza, completamente tappezzata di libri, è il fecondissimo utero da cui tutto genera, per poi espandersi, modificarsi, contaminarsi, mai però morire. La morte, intesa come stato definitivo, non esiste se si mantiene in vita la memoria. Ma pure su quella stanza, in ultimo, ne incombe la minaccia perché la figlia del padrone di casa non è interessata a rilevare quell'eredità. Nè a perseguire la missione.

Lei, la ragazza, la immaginiamo vestita in maniera sobria, tinte chiare, tono su tono, i capelli legati a coda di cavallo o raccolti in uno chignon. Dettagli che descrivono una giovane dinamica, sicura di sé, che non necessita di fronzoli aggiuntivi per sentirsi a posto.
Forse una studentessa in procinto di dare la tesi, che noi immaginiamo conseguirà col brillante risultato di centodieci e lode. Una ragazza matura, fornita di un solido bagaglio culturale, comprensivo di principi etici e morali ed indirizzo politico. Consapevole delle sue scelte, si muove in un mondo che non la contrasta. E nella sicurezza delle sue certezze. Affascinata dalla scoperta di quella stanza, sinceramente coinvolta dal racconto delle storie dei defunti, stabilisce da subito un feeling col padrone di casa. La ragazza è un'ascoltatrice davvero interessata, non interrompe mai il racconto dell'uomo con domande o riflessioni che potrebbero spezzarne il filo. O deviarne il corso.
Si lascia guidare da lui all'interno della stanza così come all'interno delle storie. Indirettamente, e con discrezione, si propone come sostituta della figlia a rilevare il testimone e continuare lei la  missione. A riprova che non è la consanguineità a renderci affini ma, piuttosto, l'identica visione della vita.
In ultimo, sarà ancora lei a proporre la soluzione più idonea attraverso cui usufruire del lascito testamentario rispettando le rigide norme che ne sanciscono l'uso: in viva voce e senza l'ausilio di supporti  meccanici, per stabilire un rapporto intimo tra chi racconta e chi ascolta.
You Tube, è la soluzione al problema, di cui il padrone di casa, uomo di altri tempi, ne ignora l'esistenza.
You Tube è il nuovo che non fagocita il vecchio, anzi ne diventa prezioso supporto e strumento di sopravvivenza: l'umanesimo applicato alla tecnologia, perché senza la filosofia umanistica i software, così come gli algoritmi, sono solo stupide macchine, perfino pericolose.

Canone Inverso
Mafalda Ferrante (Sorrento1775 - 1817) e Attilio  Rossetti( Blevio 1901 - Menaggio 1944) nati in epoche diverse, separati da uno spazio temporale di 126 anni, di fatto non si sarebbero mai potuti incontrare se non in quella stanza e su quello scaffale, opportunamente predisposto a mò di panchina, dal vecchio e romantico collezionista di libri (il padre di quel cortese padrone di casa di cui abbiamo fatto la conoscenza nella prima parte di questa storia).

 Immaginiamo ora seduta su quella panchina, sullo sfondo di una mattinata estiva, una giovane donna molto graziosa che indossa un abito leggero color rosa tea, ed è immersa nella lettura del libro di Jane Austen, "Orgoglio e Pregiudizio", al passo dove lizabeth Bennet con convinzione afferma che

solo il vero amore può condurmi al matrimonio, ragion per cui...morirò zitella *
ed alzando lo sguardo scorge, a pochi passi da lei, un uomo alto, vestito di scuro e col fucile in spalla, che la sta osservando.

poi

* Si trovarono a una ventina di passi uno dall'altra, e il suo apparire era così improvviso, ch'era ormai impossibile evitare il suo sguardo. Subito i loro occhi s'incontrarono e a ciascuno il viso avvampò del più intenso rossore *

 Attilio non riesce a staccare lo sguardo da quella donna scaturita da un'epoca remota a fargli dono della voce e del sorriso,, e ad interrompere per un momento il suo solitario cammino.
Avvedendosi del suo turbamento lei gli sorride invitandolo, con un gesto cortese, a sedersi sulla panchina.
- Non passa mai nessuno di qui che è un miracolo poter parlare con qualcuno. Per fortuna che esistono i libri. Senza di loro l'eternità risulterebbe intollerabile.-
Sospira, facendogli posto.
Lui la ringrazia con un buffo inchino.
- Siete gentile quanto bella - mormora lievemente impacciato, sedendole accanto.

 * Le donne credono sempre che l'ammirazione significhi qualcosa di più di quello che è in realtà *
Puntualizza, ridendo, Mafalda.

* L'immaginazione di una donna è molto veloce, salta dall'ammirazione all'amore e dall'amore al matrimonio in un momento *
 Attilio ribatte, divertito da quella schermaglia.

 * Lui se ne sentiva attratto più di quanto gli facesse piacere *

 Lui che non aveva avuto troppo tempo da dedicare alle donne e all'amore, e di quel poco accaduto nel suo passato ne ha perfino dimenticato il calore, ma che ora seduto accanto a Mafalda, estasiato, riscopre esistere.
 La morte solo apparentemente cancella il ricordo delle dolcezze della vita che, invece, ad onta di ogni più radicale pessimismo, viaggiano con noi, magari clandestine, ma pronte a riemergere alla prima sosta propizia, per recarci conforto e speranza.
 Attilio non ha avuto modo, fino a quel momento, di far quella sosta, e così ora, a questa fermata imprevista, tutte le dolcezze del mondo riemergono intatte col profumo della rosa tea che miracolosamente cancella l'odore del sangue, e il fumo degli spari.
Seduto accanto a lei, Attilio intuisce d'esser giunto alla meta, che quel suo lungo viaggio notturno termina su quella panchina calda di sole.
Mai più dovrà uccidere.
Mai più dovrà morire.
E' finalmente libero.

Libero di lasciarsi permeare dall'intensità delle emozioni. Dal calore dell'estate. Dal profumo della rosa tea.
Si è seduto e ha deposto il fucile ai suoi piedi, un simbolico atto di resa alla donna e alla pace, coinvolto nel gioco di quella scaramuccia verbale che li ha resi complici.

 * E' una verità universalmente riconosciuta che uno scapolo facoltoso senta il bisogno di prendere moglie. Per questo, appena un tale uomo appare all'orizzonte, tutte le famiglie del vicinato lo considerano proprietà legittima delle loro figlie in età da marito *
Sentenzia ora lui in tono scherzoso.

- Suppongo, allora, che voi siate scapolo ma...non direi facoltoso, almeno a giudicare dai vostri abiti.-
-  E voi siete una di quelle figlie in età da marito? -
- L'età l'ho superata ormai da un pezzo. La verità è che nutro una seria allergia al matrimonio, ragion per cui, come s'afferma in questo libro, morirò zitella -
- Il matrimonio non è indispensabile all'amore. L'amore vive d'altro, di momenti come questo, di questa panchina, del vostro profumo, del libro che state leggendo e di cui io non conosco la storia, ma che spero vorrete un giorno raccontarmi, se non avete fretta d'andare e se non c'è un altro che v'aspetta. -

Una composizione contrappuntistica
Nella musica classica, un canone è una composizione contrappuntistica che unisce ad una melodia una o più imitazioni che le si sovrappongono progressivamente. Entrano inoltre in gioco la distanza temporale tra ciascuna voce e il fatto che gli intervalli della seconda voce coincidano con quelli della prima, o vengano modificati in base alle esigenze della scala diatonica.
Un canone inverso fa muovere la voce conseguente in moto contrario alla voce antecedente. Ad esempio, se quest'ultima sale di una quinta, la conseguente scende di una quinta, e viceversa.

Così, su uno spartito immaginario, in questa seconda parte, ho intrecciato dialoghi scritti da me a brani, evidenziati dall'asterisco, tratti dal libro di Jane Austen "Orgoglio e Pregiudizio"
Mi piaceva l'idea di questa composizione contrappuntistica dove le storie si narrano a vicenda: da una lontananza remota la voce appassionata di Elizabeth diventa quella scanzonata di Mafalda, allo stesso modo il tono fiducioso di Attilio fa da contrappunto a quello più pessimistico di Darcy.

Storie che raccontano di altre storie, che s'intersecano e interagiscono, ipotesi che prendono forma, trame che s'evolvono in altro, alternativo o contrastante, dove nulla termina con l'ultimo capitolo e la frase finale può benissimo rappresentare l'inizio di un nuovo racconto.

E' anche un tributo, questo mio Canone Inverso, a Jane Austen, scrittrice che immensamente amo.

Particolarità
- Mafalda Ferrante, la prima delle protagoniste del mio racconto "I libri dei defunti" è nata nella stessa epoca e ha la stessa età anagrafica di Jane Austen (Sorrento 1775- 1817), e come lei muore a causa del morbo di Addison, senza essersi mai sposata.

"Un incontro, a raccontarla vera, non facile, che all'inizio pur c'era stata tra di loro una qualche incompatibilità determinata da entrambi da un certo ORGOGLIO e anche da un certo PREGIUDIZIO"
In questo inciso vi è il riferimento al romanzo della Austen "Orgoglio e Pregiudizio" da cui sono anche tratti i brevi dialoghi contrassegnati dall'asterisco.

- La data e i luoghi di nascita e di morte di Attilio Rossetti (Blevio 1901 - Menaggio 1944) sono quelli di un  partigiano realmente esistito e di cui ho incautamente smarrito l'identità.

I libri dei defunti


Entrai.
Era una stanza più lunga che larga, completamente tappezzata di libri che poggiavano su assi grezze  attaccate alle pareti.
Le assi partivano appena sopra il livello del pavimento, salendo verso il soffitto.
Gli unici varchi liberi erano la finestra e la porta.
Niente altro che libri posti in orizzontale e in verticale, in obliquo, pressati ed accatastati in bizzarre geometrie di volumi e accostamenti di colore.
Esaurito lo spazio verso l'alto, alcuni grossi tomi giacevano sul pavimento, sotto le assi più basse, quelle a livello di suolo.
- Nelle condizioni d'affitto troverà la clausola che questa stanza non può essere modificata. Liberamente può, invece, disporre del resto della casa -
- E' una collezione fantastica -
- Lieto che la pensi così. Abbiamo difficoltà ad affittare l'appartamento proprio a causa di questa collezione. Per la maggior parte delle persone è uno spreco di spazio e un ricettacolo di polvere, anche se questa camera rimane piuttosto appartata -
- A chi appartengono tutti questi libri?-
- A mio padre. Era un collezionista, non troppo esigente e alquanto fuori dagli schemi. Qui può trovare edizioni molto vecchie e altre molto dozzinali, ma tutte senza valore di mercato. Non ci sono rarità. Tutti questi libri hanno la particolarità di essere appartenuti a persone decedute. Mio padre leggeva i necrologi e si offriva di acquistare i libri del defunto qualora sussisteva la necessità di disfarsene. La loro particolarità è nell'essere appartenuti a persone morte -
- Perché solo di persone morte? -
- Gliel'ho detto che era un collezionista fuori degli schemi. Ogni libro è stato da lui personalmente visionato e medicato, ed infine, collocato fra gli innumerevoli altri. Qui tutto può apparire disposto secondo la casualità, ma in realtà vige una sua personalissima metodica di collocazione. Dei defunti, a mio padre, non gli interessavano solo i libri ma anche le loro vite: interessi, passioni, idiosincrasie. Tutto questo per creare poi sugli scaffali una giusta armonia finalizzata a favorire rapporti di buon vicinato. Questa stanza per lui, convintamente ateo, era un luogo sacro. Qui si entrava in silenzio e vi si sostava con rispetto. Ci passavamo interi pomeriggi. Era davvero coinvolgente il racconto di quelle vite reali che s'intrecciavano con storie assolutamente fantastiche da lui inventate per spiegarci la metodica del suo ordine.
Come quella del partigiano Attilio Rossetti e della signorina Mafalda Ferrante.

MAFALDA E ATTILIO
"Il rosso" (questo il nome di battaglia di Attilio Rossetti) era a capo di una brigata partigiana, quando una notte i fascisti fecero irruzione nell'accampamento e li ammazzarono tutti. Un tradimento di sicuro. Nessuno di loro aveva avuto il tempo di difendersi. Nessuno di loro l'aveva scampata.  "Il rosso" era morto  a 43 anni senza aver realizzato nessuno dei suoi sogni: quello della liberazione dal nazi fascismo e quello di visitare l'Africa. L'Africa di Hemingway, però, quella de "Le nevi del Kilimangiaro". Ci teneva a precisarlo, restringendo ulteriormente il campo all'incipit che lo aveva stregato:
"vicino alla vetta occidentale c'è la carcassa rinsecchita e congelata di un leopardo. Nessuno ha saputo spiegare cosa cercasse il leopardo a quell'altitudine"
Lui avrebbe scalato il Kilimangiaro e dato risposta a quell'interrogativo. Appena finita la guerra sarebbe partito. Quella sarebbe stata la sua missione di pace.
Mafalda Ferrante era morta a 41 anni colpita dal morbo di Addison, una malattia rara per la quale nel 1817, anno della sua morte, non esisteva diagnosi né cura. Mafalda coltivava velleità di scrittrice e sogni d'indipendenza in un'epoca in cui le donne erano, in tutti i settori societari, subordinate agli uomini. Non s'era mai voluta sposare, anche se le era capitato d'innamorarsi. però mai così follemente da rischiare la sua libertà. Cosi aveva fatto sua la frase del poeta tedesco Friedrich  Holderlin "ti amo, ma la cosa non ti riguarda" e su questa aveva basato la sua filosofia esistenziale e la trama dei suoi racconti, dove le protagoniste erano giovani donne intellettualmente emancipate che anelavano
all'affermazione personale da realizzarsi senza la fede nuziale e senza la protezione di un uomo.
Poter vivere della propria penna: era a questo a cui Mafalda aspirava. Un sogno difficilissimo da realizzare per le donne della sua epoca, ancor di più per quelle come lei nate nel sud del mondo.
I suoi racconti, una raccolta di quaderni dalla copertina rosa tea e mai pubblicati, avevano infine trovato in mio padre, lettore attento e sensibile, una platea simbolica e corrispondente.
Attilio e Mafalda, anime ribelli e di gran temperamento, vissuti a distanza di un secolo mai si sarebbero incontrati, neppure in quello stesso Paradiso, straordinariamente vasto e sovraffollato, dove ad entrambi era stato concesso diritto d'asilo.
Ma quell'incontro s'era alla fine realizzato sullo spazio ristretto di quello scaffale. Un incontro, a raccontarla vera, non facile, che all'inizio pur c'era stata tra di loro una qualche incompatibilità determinata da un eccesso di orgoglio da parte di lei e da un certo pregiudizio da parte di lui.
Non era stato il classico colpo di fulmine a farli innamorare ma quella gragnuola di scaramucce che pure aveva messo in evidenza le loro affinità prima ancora che le loro diversità. Avversari leali e poi amanti appassionati.
Ma per loro, concludeva mio padre, niente matrimonio!

Storie tristi, divertenti, bizzarre. Incredibili, ma tutte profondamente umane. Da mio padre, amorevolmente interconnesse tra loro. Che se in vita si è costretti alla guerra nella morte si riscopra finalmente la pace, amava ripetermi. E come non dargli ragione? La sua missione era quella di favorire tra i defunti rapporti di buon vicinato. Rasserenare la loro memoria e quietare i loro ricordi per  ristabilire l'equilibrio emotivo, che non è solo faccenda dei vivi il cercare la pace. Come era stato per Edvige Levantini e Franco Serra. Mi aveva detto indicandomi uno scaffale dove diversi spartiti musicali poggiavano su due grossi tomi di medicina chirurgica e una copia, piuttosto vissuta, di "Viaggio al termine della notte" di Celine ". 

EDVIGE E FRANCO
Edvige, nata nel 1919, era una giovane, promettente soprano. Bellissima, colta e raffinata, aveva sposato, contro il volere della famiglia, un oscuro violinista, quello che oggi potremmo definire un musicista di strada, di quelli che suonano all'angolo di una via o all'ingresso della metropolitana. Violinista scadente ma convincente affabulatore. L'aveva prima stregata e poi manipolata. Lei perdutamente innamorata anelava per lui un successo più grande del suo, che stentava ad arrivare. S'era allora prodigata per fargli avere un contratto nell'orchestra del teatro dove si sarebbe dovuta esibire, ottenendo solo gentili ma decisi rifiuti, dovuti all'inesistente talento di lui, che pure mal digeriva la popolarità crescente della moglie, che perfino il cinema la richiedeva.
Lei aveva cercato di farlo partecipe del suo successo, offrendogli il ruolo di manager, che lui sdegnosamente aveva però rifiutato. Proposta generosa ma ingenua, quella di Edvige, che un egocentrico, per di più esasperato e al contempo umiliato dal successo prorompente della moglie, mai avrebbe accettato l'oltraggio del dietro le quinte. Così, per stupida ripicca, s'era industriato a renderle la vita difficile, ostacolarla con miseri espedienti o in maniera plateale. Fino a quando lei stremata  aveva minacciato di lasciarlo. Lui allora l'aveva uccisa tagliandole la gola. Edvige aveva solo 32 quando aveva smesso per sempre di cantare.
Franco, invece, nato nel 1976, era stato medico chirurgo di un piccolo ospedale di provincia e cooperante di Emergency, e proprio durante una missione umanitaria a Kabul aveva perso la vita a 39 anni, scivolando su una mina anti uomo. Aveva amato la vita con la stessa intensità con cui aveva odiato la morte, con un'ostinazione quasi eroica nel contrastarla che rasentava il fanatismo.
Era questa sua peculiarità che s'imponeva, come una virtù distorta, su tutti gli altri suoi pregi, cosicché di lui si ricavava l'impressione malevola di un fondamentalista,o quella appena un pò più benigna di un sognatore depresso. Opinione stabilita dall'umore, dalla cultura e dall'ideologia di chi lo stava giudicando. Ma lui se ne era sempre disinteressato di come il mondo affrettatamente lo aveva  etichettato, pur essendo consapevole che questo giudizio di primo impatto creava una distanza. Distanza che Franco quasi mai si curava di colmare, non per indifferenza ma per la necessità di preservare le proprie energie per confronti ben più ardui, come quello quotidiano con la  morte.  Questo suo atteggiamento era preso come scostante, tipico di chi si sente superiore al resto del mondo. Un comportamento, questo, non conforme con la sua missione. Ma questa distanza spariva negli ospedali da campo dove si operava con mezzi di fortuna, tra il fumo degli spari e quello delle macerie. Là ci si aggrappava gli uni agli altri, quelli col bisturi in mano e quelli stesi sulla lettiga. Ci si ritrovava. Ci si riconosceva. Non c'erano fraintendimenti.

Edvige e Franco, al margine di quello scaffale, s'erano trovati e riconosciuti. Lei con la sua cicatrice evidente sulla gola e quella più profonda nascosta nel cuore. Lui naufrago in un deserto di fumo e di detriti, e con addosso l'odore della morte. Lo stesso che pure emanava da lei, solo più dolce, più mansueto. Un odore addomesticato, che anche la morte è permeabile alla bellezza e in qualche modo la preserva. S'erano riconosciuti all'odore prima ancora che alla vista. E poi al tatto, che quando la cicatrice profonda di Edvige aveva cominciato a sanguinare le dita sensibili di Franco l'avevano tamponata e poi sanata. Lei aveva ritrovato la sua voce e lui la ragione delle sue scelte.
S'erano innamorati in silenzio, senza mai pronunciare la parole amore.

Eppoi c'è Maya, l'ultima arrivata, quella alla quale mio padre era più devoto. Mi aveva detto guidandomi verso l'unica finestra sul cui ripiano poggiava un diario scolastico dalla copertina dai colori fluorescenti che rifrangevano la luce in spicchi d'arcobaleno. Accanto, in un allegro disordine,  tutta la serie  de "I racconti del Vampiro", un grande numero di romanzi dark, "Cime tempestose" della Bronte" e "Grandi speranze"di Dickens.

MAYA
 Letteratura classica e contemporanea e un diario di scuola, questa la brevissima biografia di Maya, il cui cuore inspiegabilmente aveva smesso di battere a soli 17 anni. Sindrome di Brugada, che con la morte, pure quando dispone di un nome mai ci si famigliarizza, anche se riconosco che questo suo è un tentativo che merita rispetto, aveva detto la mamma di Maya la prima volta che aveva visto la stanza e disposto sul davanzale della finestra il fagottino dei libri appartenuti a sua figlia. Qui c'è una bella luce, adatta per leggere, aveva poi aggiunto. E prima di andar via aveva chiesto, cosa racconterà di Maya? Diciassette anni non bastano neppure alla stesura di un racconto breve. Non è la lunghezza del capitolo a stabilire l'importanza del racconto, le aveva risposto mio padre. E così lei era tornata a raccontare di Maya, attraverso i caratteri minuscoli dell'infanzia e quelli macro dell'adolescenza. Allungava il racconto con dovizia di particolari e sfumature, per ritardare lo spazio bianco dell'ultimo capitolo. Non erano inopportune confidenze quelle intime rivelazioni sulla vita di Maya che lei andava facendo a mio padre, ma le raccomandazioni di una madre in procinto di affidare la propria figlia a qualcun altro, con l'elenco dettagliato delle cose che a lei piacciono, quelle di cui ha assolutamente bisogno, ed anche quelle sui cui è sacrosanto non dargliela vinta. E' tornata ancora qualche altra volta per completare il racconto con quelle minuzie che andava via via ricordando, ma che per lei erano straordinariamente importanti perché riguardavano Maya, e se avesse potuto ricordare avrebbe raccontato ogni minuto di quei suoi diciassette anni, e mio padre ne avrebbe religiosamente preso nota. E lei lo aveva capito. Sapeva che di lui poteva fidarsi, che l'avrebbe amata e protetta. Sapeva che Maya in quella stanza era al sicuro. L'ultima volta che è venuta è rimasta tutto il tempo in silenzio. Prima di andar via ha stretto la mano a mio padre e lo ha ringraziato.
 Non è più tornata.

- Racconti affascinanti. Storie incredibili. Meravigliose. Suo padre avrebbe dovuto scrivere un libro perché il mondo dovrebbe sapere dell'esistenza di questa stanza.  Ed ora è lei a curare la collezione?-
- Io, anche se presumo che con la mia morte tutto questo finirà in un macero. Ho provato a coinvolgere mia figlia, ma non è interessata. Colpa mia, forse non sono un buon narratore -
- E se raccontasse a me le storie dei defunti?  Potremmo registrarle. -
- Niente meccanica, diceva mio padre, le storie vanno tramandate oralmente, meglio ancora vis a vis, perché i morti per tornare a vivere hanno necessità di uno sguardo e di una voce. Un nastro di registrazione li renderebbe anonimi, irrevocabilmente morti -
- Un modo c'è per non disperdere questo prezioso patrimonio e farlo conoscere al mondo rimanendo fedeli alle regole stabilite da suo padre: ha mai sentito parlare di YouTube?

giovedì 4 ottobre 2018

Delia


(Pubblicato nell'antologia "Ti racconto la donna" da "Writer Monkey.it" Dicembre 2018)


LA DISTRAZIONE DI UNA VIRGOLA

La storia di Delia nasce per un fortuito caso dalla distrazione di una virgola che avrebbe dovuto, invece, all'interno di una corretta punteggiatura, esser punto.
O meglio, quella virgola, in origine, era un punto nato con un sottile sbafo che fuoriusciva dal rigo, ingannevole alla vista, così da esser scambiato per una virgola, segno ortografico che anziché chiudere un discorso lo prosegue.
Senza quello sbafo sarebbe potuta essere, questa di Delia, una storia da raccontarsi in un unico paragrafo, senza alcun unto a capo né asterischi di richiamo.
Una biografia davvero breve, quella sua, col nastro rosa a certificarne la nascita e un serto di lillà ad annunciarne la morte prematura. E incastonata fra i due eventi una storia di rose e di spine, così come ce ne sono, appunto, altre migliaia.
... se non ci fosse stato, a modificarla, quel punto col codino.

Delia era nata graziosa, armoniosa e minuta, ma potente sognatrice.

I suoi sogni li ricamava all'uncinetto, preziosi capolavori amanuensi di pazienza e dedizione, che un giorno andarono ad adornare l'altare maggiore dell'antica Basilica della piccola città dove viveva.
Il suo dono a Sant'Anna Madre della Vergine Maria, ringraziamento per averla salvata, ancora adolescente, da una meningite fulminante.
Ed è proprio nell'estremità ricurva di questo suo uncinetto che materialmente si può constatare la trasformazione del punto in una virgola, che altrimenti la storia si sarebbe subito chiusa con null'altro da raccontare.
Ma il miracolo aveva invece permesso il prosieguo della storia trasformando la fine in un inizio. E poi la realizzazione di una candida tovaglia impreziosita da balze multiple di finissimo merletto. Un capolavoro da maestro orafo quella filigrana sottilissima, tappeto per i piedini scalzi della Santa.

Il candore fosforescente del prezioso merletto, esaltato dalla luce solenne dei lampadari e dal bagliore tremulo delle decine di candele accese, non era passato inosservato agli occhi dell'aristocratica sposa genuflessa ai piedi dell'altare, incantata dalla trama di quel complicato, perfettissimo arabesco, al paragone del quale il lussuoso pizzo del suo velo appariva modesto. Dozzinale.
Quali mani, se non quella di una fata o di un angelo, avevano potuto realizzare un simile capolavoro?

UN PUNTO INTERROGATIVO CAPOVOLTO
Un punto interrogativo, che se lo immaginiamo capovolto ci possiamo di nuovo ravvedere l'estremità ricurva dell'uncinetto a ricamare nuovi capitoli alla storia di Delia che nel frattempo, grata a Sant'Anna, andava valutando l'ipotesi di farsi monaca, nonostante il parere contrario dei genitori che  disapprovavano la sua decisione di seppellirsi viva in un convento dopo essere scampata alla morte per meningite.

S'erano perfino raccomandati alla Santa, affinché inducesse la loro figlia ad un ripensamento.
Una ingratitudine bella e buona questa loro verso la Madre della Madonna, autrice del miracolo.
 Ma questa loro consapevolezza non impediva la richiesta di un miracolo aggiuntivo, a discapito della Santa.

Per Delia, invece, la scelta del convento non rappresentava affatto la rinuncia alla vita, ma piuttosto il suo perfezionamento. La clausura non le avrebbe tolto nulla di ciò di cui abbisognava, tanto meno gli affetti, che quelli sarebbero comunque perdurati in qualunque luogo e in qualunque circostanza. Che l'amore non è un mero fatto di posti o di abitudini, ma di sentimenti.
E non avrebbe dovuto rinunciare neppure alla sua passione per l'uncinetto, quella sua artistica propensione a confezionare delicate ragnatele in cui incastonare petali di fiori, tralci di foglie, ali di farfalla. Promesse di sole. Quella natura che così tanto la incantava e della quale, attraverso i suoi fili di seta sapientemente intrecciati, ne raccontava la poesia. Il ringraziamento per la sua resurrezione.

Ma pure capiva il punto di vista dei suoi genitori, quelle loro obiezioni alla sua scelta, che per loro era come se lei fosse nata due volte, ed ora temevano di perderla di nuovo, e per sempre, inghiottita dalla penombra di una cella di clausura. Allora quel suo desiderio le pareva unicamente dettato dall'egoismo, perché la sua felicità basava sulla loro infelicità, e quindi il perseguirla non era poi così giusto. Prendeva tempo, Delia, che non era certo una decisione facile la sua, combattuta tra l'amore per i suoi e la sua vocazione. Seppure era certa che tra le due cose non ci fosse nessun conflitto. Fiduciosa confidava in un segno del cielo che la indirizzasse verso la strada più giusta. Ed era assolutamente certa che quel segno sarebbe arrivato, anche se al momento quella strada attraversava una miriade di puntini sospensivi.

 UNA MIRIADE DI PUNTINI SOSPENSIVI
Puntini sospensivi che quel giorno l'avevano condotta verso l'altare maggiore, ad onorare con un mazzolino di fiori di campo, la sua protettrice. E così aveva visto che la sua tovaglia di merletto era stata sostituita da un'altra molto bella. Ma non come quella sua.
Quella sostituzione l'aveva profondamente addolorata. Ed anche umiliata.
In quel piccolo capolavoro all'uncinetto Delia aveva profuso tutta la devozione della sua anima, giovane ed incorrotta, in gloria della Santa Madre che l'aveva strappata alla morte, intessendo per lei, con fili di seta, i suoi sogni ancora intatti. Prati di margherite e voli di farfalle. Le immagini della sua resurrezione, dopo che il cielo s'era oscurato e poi le era  piombato addosso a seppellirla in quel suo minuscolo campo di margherite.
Per un anno intero s'era prodigata a tessere all'uncinetto quella splendida tovaglia, un capolavoro liberty di minuti arabeschi e ghirigori floreali. Un lavoro certosino, da esperto gioielliere anziché d'apprendista merlettaia. Ci si era consumata gli occhi su quella trama così complessa, particolare, che pure aveva riscosso grande apprezzamento, tanto da esser giudicata all'unanimità, la più degna dell'altare maggiore. Ma poi, dopo pochi giorni, sostituita. Comprensibile quindi la sua delusione.

Attenta, Delia, che stai peccando di superbia. E di vanagloria.
Ripeteva a se stessa per ridimensionare la delusione e renderla meno amara. Ma pure non ci si rassegnava, che una spiegazione ci doveva essere così da mettersi il cuore in pace, e magari trarne perfino motivo di gioia. Così rasserenata, Delia, aveva chiesto spiegazioni al prete, ma quest'ultimo, s'era mostrato fuggente. Evasivo. Niente affatto contento di quelle sue domande.
Domande poste con voce garbata e un sorriso timido. Di scusa.
«Un dono, una volta dato, non ci appartiene più. E di quel che se ne fa non ci riguarda.» Aveva borbottato il prete, senza neppure guardarla in faccia.
«Ma io non lo rivoglio indietro. Vorrei solo sapere perché non è più al suo posto.» Delia aveva rispettosamente obiettato, stupita di quei suoi modi
«Il suo posto...il suo posto. Chi lo ha deciso che quello fosse il suo posto. Tu? Pecchi di superbia a pensarla in questo modo, e oltraggi Sant'Anna che pure ti ha miracolata. Per quanto bello quel tuo lino è sempre e solo un oggetto a cui tu, stoltamente, stai attribuendo un valore sproporzionato. Di sacralità. Una bestemmia!» La risposta del prete, secca e definitiva, non ammetteva repliche.
La spiegazione è quella. La si accetti o meno. Ma quella è. E basta.

Delia, umiliata e volutamente fraintesa (di questo era certa, perché lui si era dimostrato fin dall'inizio ostile) aveva desistito dall'esigere quelle spiegazioni che non avrebbe avuto.
Delusa s'accingeva a lasciare la Basilica, quando una donna, una sconosciuta col capo velato, materializzandosi dall'ombra, le si era affiancata, e con voce bassa, ma chiarissima, le aveva detto: «Io so come sono andate le cose!»

LA RIVELAZIONE DI UN PUNTO ESCLAMATIVO
Nella dolcezza della voce quel punto esclamativo era emerso imperativo. L'affermazione di una incontrovertibile verità

«Il tuo bellissimo merletto è stato venduto a una giovane e facoltosa signora, che proprio il giorno delle sue nozze  adornava l'altare maggiore. Se ne è innamorata, e senza stare a contrattare sul prezzo lo ha comprato. Una cifra davvero molto grande. La storia è questa. Trai tu le conclusioni, Delia»

A sentir pronunciare il suo nome, Delia aveva alzato gli occhi a penetrare il cono d'ombra che nascondeva il volto della donna. Ma gli unici particolari che era riuscita a vedere erano due occhi chiari e una fronte candida.

«Mi conosci? » Aveva chiesto stupita.
«Ti conosco, e so quanto grande e puro è il tuo cuore. Per questo ho voluto rivelarti la verità, e in base a questa indurti a valutare le tue scelte per il futuro. Le tue mani sanno tessere la bellezza, e questo è un dono di cui dovrebbe goderne il mondo intero e non essere appannaggio esclusivo di qualcuno. Neppure di una Santa. Le cose belle devono appartenere a tutti e non solo a chi ha potere e denaro. E quello che è accaduto lo dimostra. Il tuo prezioso lino dalla penombra della Basilica s'è involato in quella di una stanza privata, forse ad adornare un tavolo di pregio o un'antica testiera. Per impedire che questo accada di nuovo, Delia, deve propagare la tua arte come un fertile seme, ai quattro angoli del mondo, affinché prolifichi anche nei terreni più aridi, laddove c'è troppo o niente sole. Semina a piene mani, che della bellezza il mondo necessita. Fanne soprattutto dono agli emarginati, ai disperati. Ai naufraghi. Sono loro che hanno più bisogno della tua arte per acquisire la possibilità di una speranza. Di una resurrezione. Sarai viaggiatrice instancabile, nomade se occorre, cittadina del mondo. Avanguardia degli invisibili. E' nell'aria aperta che prolificano i pollini e non nel chiuso di una cella. Entrambe abbiamo un compito d'assolvere: il mio è resuscitare i morti, il tuo, invece, i vivi. E questo tuo è senz'altro il più difficile.»

PUNTO FINALE
Punto finale a sancire la conclusione della storia, dopo questo inaspettato, e alquanto rivoluzionario suggerimento, impartito a viva voce da Sant'Anna, che scopriamo esser donna emancipata, pragmatica. Anticonformista. E quel consiglio, la giovane Delia, lo avrebbe fatto suo. Nelle limpide parole della sua protettrice non c'era solo il conforto a volerla risarcire dall'odiosa grettezza del prete, che aveva fatto mercimonio di un bene che non gli apparteneva, trasformando la Basilica in un bazar (ma di episodi simili abbondano le cronache della Chiesa. Nel passato come nel presente), ma soprattutto le aveva indicato la strada per realizzare la sua missione.
 «Come sovente capita che ai guai causati da un uomo, in terra come in cielo, sia sempre una donna a dovervi porre rimedio. E magari trarne anche un positivo vantaggio per molti.» Aveva concluso ironica Sant'Anna, con un sospiro di rassegnazione e un sorriso.

INCISO A PIE' PAGINA
Nelle limpide parole della Santa, Delia aveva trovato la rivelazione sulla strada da intraprendere. Sul modo più giusto di conciliare arte e vocazione: la sua missione
Aveva così seguito il cammino indicatole della sua protettrice. S'era fatta nomade e aveva vestito il mondo coi suoi merletti. Ambiti capolavori in seta, erano andati ad adornare chiese e musei. Dimore reali e palazzi statali. Avevano vestito regine e rock star. First lady e Madonne. Per le sue creazioni lei chiedeva sempre il pagamento in mattoni, (più impalpabile era la trama più pesante era il mattone) così da poter costruire case per gli orfani, ospizi per i vecchi, rifugi per gli emarginati. Ripari per i naufraghi. Per tutti quelli a cui era stata negata la bellezza della vita. E la speranza di poterla un giorno conquistare.
Delia, attraverso la sua arte, offriva loro questa speranza. La possibilità di un riscatto.
E di una resurrezione.

sabato 29 settembre 2018

Fleur (cap. 9)


JOSETTE E CELESTE
Per Ferrer era diventata ormai un'abitudine bighellonare nei luoghi frequentati da Fleur avendo cura, però, di farlo in maniera discretissima. In realtà, avendo ora la possibilità di frequentarne casa Petit, veniva a mancare la motivazione dell'incontro casuale, ma pure continuava a percorrere quegli itinerari per godere di un benessere aggiuntivo.
Che quelle sue passeggiate solitarie avevano la sacralità di un pellegrinaggio: respirare la stessa aria che Fleur aveva respirato, camminare sul medesimo tratto di marciapiede da lei percorso,  attendere lo scatto dell'unico semaforo sotto cui anche lei aveva, forse solo pochi minuti prima, sostato, entrare nella pasticceria dove l'aveva incontrata con Celeste e sedersi a quello stesso tavolo.
E proprio a quel tavolo l'aveva intravista, e già s'apprestava alla recita dell'incontro fortuito, ma per fermarsi sorpreso sulla soglia, che sedute c'erano, invece, Celeste e Josette.
Quando s'erano conosciute?
Da quanto si frequentavano?
Da quanto erano in confidenza?
Perché?
Nessuna delle due poteva essere per l'altra  il prototipo dell'amica del cuore, della confidente, anche se l'atteggiamento di Josette, proteso ed attento, poteva farlo pensare, (ma Josette era un'attrice se non talentuosa comunque scaltra). Celeste, invece, recitava se stessa: l'unico ruolo che potesse interpretare. 

Ferrer era riuscito, con molta fatica, a reprimere l'istinto di mostrarsi (le conosceva entrambe, non ci sarebbe stato nulla di strano che si fosse avvicinato per un saluto, ma temeva l'imprevedibilità emotiva di Josette, per cui aveva deciso di non rischiare una sicura, e per lui dannosa esibizione pubblica, della sua ex amante) ma le avrebbe pedinate. Magari sarebbe venuto a capo di qualcosa.

Le aveva così seguite.
Camminavano affiancate ma non sottobraccio, come si usa tra amiche, quel contatto stabilito dall'affetto e dalla complicità. Soprattutto dalla condivisione. Camminare sottobraccio significa calibrare i passi sulla medesima lunghezza, letteralmente andare insieme. Sostenersi, anche. E la possibilità, a così stretto contatto, di scambiarsi confidenze senza essere da altri udite.
Sulla base di questo indizio Ferrer aveva concluso che Josette e Celeste non erano amiche, ma questa constatazione che in un primo momento lo aveva confortarlo, lo aveva poi scaraventato in una nuova inquietudine, sollecitando altri interrogativi. E dubbi.
Di cosa stavano parlando?
Troppo preso ad inseguire Fleur s'era quasi dimenticato di Josette, facilmente rimossa dalla sua testa che nel suo cuore mai c'era stata, e aveva forse troppo di fretta abbassato la guardia.
Ed ora lei gli si riproponeva, oscura ed intrigante. Sicuramente vendicativa.
Non c'erano, conoscendo Josette, altre motivazioni possibili ad averla indotta a stabilire un approccio con Celeste Petit, anni luce lontana da lei e della quale mai si sarebbe interessata se non per perseguire uno scopo. Una vendetta. Come lui presagiva.
Dopo un breve tratto di strada s'erano separate, salutandosi con una semplice stretta di mano e avviandosi in direzioni opposte.

CONFIDENZE.  CONSIGLI. E VERITA' NASCOSTE.
- Ma davvero, Francisco, hai sperato che Josette si sarebbe silenziosamente fatta da parte? E' una piccola vipera molto velenosa. Fai attenzione. Piuttosto anticiperei la nostra partenza per Hollywood. La tua uscita di scena forse la indurrà alla calma. -
Questo l'amichevole, saggio consiglio di Arturo Serrano.
Consiglio che Ferrer, però, non aveva alcuna intenzione di seguire, che mai nessuna donna lo avrebbe costretto alla fuga. Tanto meno una come Josette.
Arturo s'era limitato allora a scuotere il capo, e ad un'affettuosa pacca sulla schiena.
Da quello che gli era dato di conoscere del suo amico sapeva che nessun ragionamento lo avrebbe indotto a cambiare idea.

Blanca Gil, invece, alla quale Ferrer non aveva fatto alcuna confidenza né chiesto alcun consiglio, lo aveva approcciato lei, di sua iniziativa, e nel suo solito modo crudo e diretto gli aveva chiesto: cosa sta accadendo tra la tua ex amante e quella che invece vorresti lo diventasse? Le ho viste insieme.

- Non so di cosa tu stia parlando, Blanca -
Aveva replicato Ferrer, attento a non far trapelare nel tono della voce, l'inquietudine
- Allora ti sto dando un'informazione di prima mano.Un favore che dovrai restituirmi a tempo debito -
Blanca aveva tenuto a sottolineare.
- Sicuro. Come sempre. Raccontami cosa hai visto -
- Le ho viste alla pasticceria Bocados, parlavano fitto, o meglio, Josette, che l'altra pareva solo ascoltare. Sono rimasta lì finché ho potuto, sperando di capirci qualcosa. Poi sono dovuta venir via -

Era stato quindi un puro caso che loro due, Francisco e Blanca, non si fossero visti, intenti a spiare la medesima scena. Questione di attimi: lei andava e lui arrivava. Un simbolico cambio della guardia.
E il fatto che anche Blanca fosse a conoscenza di questa inedita combine tra Josette e Celeste, accresceva la sua inquietudine. Avrebbe dovuto giocare su due fronti: smascherare la sua ex amante e nel contempo fuorviare Blanca. Una partita estremamente difficile, ma che pure lui non rifiutava di condurre perché, come aveva ribadito ad Arturo Serrano, nessuna donna mai lo avrebbe costretto alla fuga.
E se la motivazione in altri tempi era stata quella dell'orgoglio del maschio, dell'attore, del sex simbol, ora c'era quella preponderante del suo amore per Fleur che in qualche modo ristabiliva gli equilibri ponendolo dalla parte del giusto, anche se per questo avrebbe dovuto mentire, manomettere, mistificare, stravolgere.
Nulla sarebbe potuto essere considerato illecito, o doloso. per salvaguardare un bene così grande.

DONNE
Ma più che le nevrosi di Josette, Ferrer temeva l'ingerenza arbitraria di Blanca, già sperimentata in passato seppure a suo vantaggio, per cui ora, a ragione, ne paventava l'ipotetico ribaltamento nei suoi stessi confronti, qualora si fosse sentita estromessa da quella faccenda. Un'abiura a quel loro rapporto dove lei, che mai era stata sua amante, era da sempre l'unica donna stabile della sua vita.

Josette e Blanca, due donne da cui guardarsi e delle quali prevenire le mosse. Un compito arduo, perfino per lui, abilmente avvezzo a districarsi in queste faccende, senza troppo badare al modo, che il suo status di stella del cinema pure glieli concedeva questi strappi al galateo amoroso, perché erano proprio gli strappi più ruvidi, più scandalosi, quelli di cui si cibava la platea dei fans e dei media. Clamore che andava ad alimentare la sua leggenda.
Uno dei motivi per cui era stato scelto per interpretare il film "Don Juan" erano state proprio le sue vicende amorose, recitate in diretta, senza alcun filtro e, soprattutto, nessuna compassione.
Qualunque fosse, però, il tenore delle sue vicende, Ferrer non cadeva mai nel volgare.
La sua immagine così non ne usciva mai del tutto compromessa, che pure era capace di gesti eclatanti e generosi, controcorrente, strettamente privati, come quando una sua ex amante (un'attricetta molto bionda, molto giovane e molta bella) era caduta in disgrazia dopo che era stata resa pubblica la sua relazione con un ministro del partito conservatore, noto per il suo moralismo estremo e le sue idee ottocentesche, che in virtù di quella relazione aveva però mandato alle ortiche, svelando prima a se stesso, e poi ai suoi elettori, un lato inedito del suo essere, in netta contrapposizione a quella sua dottrina fino ad allora predicata.
Lo scandalo aveva travolto entrambi e con conseguenze disastrose: il ministro s'era prima dimesso dal suo partito e subito dopo dalla vita, con un colpo di pistola alla tempia. Non prima, però, di aver scritto una lunga, dolorosa, commovente lettera, in cui chiedeva perdono alla famiglia, al suo partito, e al mondo intero, per quel suo unico tradimento di cui avrebbe fatto ammenda col proprio sangue e l'esilio dal Paradiso (che i suicidi non ne hanno accesso)
E di questo suicidio, alla giovane attrice, era stata attribuita tutta la responsabilità etica.
Era stata lei a fuorviare quell'uomo retto, marito e padre esemplare, politico incorrotto, trascinandolo al degrado morale e poi alla rovina. Così aveva deciso l'opinione pubblica confrontando le loro due biografie: scarna e irrilevante quella di lui, un uomo comune, anonimo, se non fosse stata per quella  sua esasperata identità politica che violentemente lo aveva posto sotto la luce dei riflettori per l'oltranzismo delle sue posizioni, cosicché quella di lei risaltava, in uno stridente contrasto, tentatrice ed ambiziosa. Una piccola arrivista. Una rovina famiglie. Di questo verdetto ne aveva preso atto anche lo star sistem, che notoriamente, invece, si serve ai suoi fini dei personaggi controversi e discussi, gli eroi maledetti, le cui storie diventano racconto cinematografico.
Ma in quello specifico c'era stato il morto. Una vedova e degli orfani.
E quella lunga e dolorosa lettera di espiazione, con la rinuncia al Paradiso.
Così lei s'era trovata emarginata, senza lavoro e senza più amici. Perfino quelli che avevano mirato a portarsela a letto ora mostravano riprovazione nei suoi confronti.
Ferrer, che di norma non prestava attenzione ai protagonismi altrui, s'era interessato alla faccenda solo perché lei era stata un tempo la sua amante. Timida, docile, premurosa, niente affatto corrispondente al ritratto dell'ambiziosa arrivista che le era stato incollato addosso (fosse stato pure vero lui non avrebbe cambiato opinione perché era questo che ricordava di lei).
Così era andato a cercarla nella solitudine dell'espiazione in cui era stata confinata, con un sostanzioso assegno e un biglietto aereo per l'Australia.

- Lì non faranno caso a te: la condizione giusta per poter ricominciare -
 S'era trattenuto solo il tempo necessario per la consegna. Niente altro.

venerdì 28 settembre 2018

In my life


Sono molto di più di quello scrivo.
Sono tutto quello che cancello.
(Aurora Nasso)

Dopo mesi riprendo a scrivere, e con molta difficoltà, una pagina di diario.
Un lungo black out, questo mio, dove ho cercato di oscurare me stessa, le mie inquietudini, la mia rabbia. La mia rassegnazione. Sono accadute cose, nel frattempo, per me rilevanti.
Per me sola. Come sempre.

Lunghi periodi d'insonnia.
Nevrosi. Apatia.
Stanchezza fisica.
Sfinimento mentale.
Imprigionata in una ragnatela, vedevo solo lo sfondo del muro e la mia ombra dondolante nella culla di bava.

Ho iniziato così ad ignorarmi. Ad ignorare la mosca prigioniera nella tela del ragno.
Ho cercato di dimenticarmi in tutti i modi.
Ho smesso di guardarmi allo specchio.
Ho raccontato, soprattutto nei miei primi post, la mia idiosincrasia verso gli specchi.
E gli obiettivi fotografici.
L'immagine che ne scaturisce non mi rappresenta.
Non sono io. O, almeno, vorrei non lo fossi.

Poi un amico mi ha scattato una foto.
Una foto che da subito mi ha inquietato.
Non riuscivo a capire il perché.
L'ho guardata da ogni angolatura, facendo uno sforzo, che quella mia immagine profondamente m'inquietava.
Non riuscendo a scoprirne il motivo l'ho cancellata.
Me ne sono liberata con un sospiro di sollievo
...eppoi una mia amica mi ha detto: Marilena, stai perdendo i capelli.

Ho dovuto così affrontare lo specchio e quella realtà che la foto pur mi mostrava, ma che io non ho visto. O, meglio, non sono stata capace di vedere.

Ovviamente questo mi ha gettato ancora di più nella disperazione.
Nuovo stress che si è andato ad aggiungere al vecchio.

Chissà da quanto tempo i capelli mi stavano cadendo e io neppure me ne sono resa conto, così presa ad ignorare gli specchi. E le mie fotografie.
Ad ignorare me stessa.

Da Maggio, periodo in cui ho preso atto di ciò che mi stava accadendo, ho iniziato la mia battaglia contro l'alopecia.
I capelli, fragili come fili di ragnatela, in alcune aree stanno timidamente ricrescendo ma in compenso se ne sguarniscono altre.

Il dottore che mi ha in cura mi ha detto che devo fare uno sforzo e cercare di superare lo stress, ma non è certo facile quando il passato e il presente, in una perversa sinergia, hanno di nuovo scosso, fin nelle fondamenta, il fragile mondo in cui vivo, rimettendo in discussione tutto e ponendomi di fronte ad altre difficili prove esistenziali.

I capelli ricresceranno. Mi ha rassicurato il dottore dopo aver rinforzato, con cortisone aggiuntivo, la sua cura.
Ma io intanto lotto con la mia immagine allo specchio, da cui non mi è più possibile prendere le distanze.
Discostarmene.
Rinnegarla.


Non ho più scritto il mio diario proprio perché la realtà, questa realtà, è per me difficile raccontare.
D'affrontare. Come la mia immagine allo specchio.
Così, in tutto questo tempo, mi son limitata a correggere o scrivere qualche mio racconto.
Mi sono affidata alla fantasia perché la realtà, quella delle parole e dello specchio, risultava  davvero insopportabile.
Ma stamani ho fatto questo tentativo di scrittura del mio diario, incerta fino all'ultimo se tenerla questa pagina rimarrà o, come è accaduto per altre, strapparla via.
Una prova di coraggio che può sembrare stupida ma che a me, invece, costa un doloroso sforzo.

Ma bisognerà pure che io inizi di nuovo a specchiarmi.

Marilena

domenica 16 settembre 2018

Il viaggio di Vincent



VINCENT, IL RAGAZZO CHE SEGUIVA I FUNERALI
All'inizio era nato come un racconto dark questo di  Vincent "il ragazzo che seguiva i funerali": un adolescente che ama la fotografia e la musica di Kurt Cobain, con la peculiarità di essere un frequentatore di cimiteri e un imbucato ai funerali di gente sconosciuta.
Questa sua passione, che non sottende alcuna ossessione, (dei cimiteri ama la scenografia, l'atmosfera di quiete che vi permea e che lo calma da quelle sue inquietudini adolescenziali che coincidono con la visione esistenziale di Kurt Cobain, il suo idolo, mentre i cortei funebri costituiscono per lui un modo di conoscere l'animo umano, che la sofferenza maggiormente predispone all'empatia, alla condivisione) viene però intercettata dal gruppo dei bulli della scuola e Vincent, da questi soprannominato "Il barone del cimitero"diventa oggetto di dileggio. Un dileggio che propaga quando questa sua inclinazione, diventata pubblica, all'inizio suscita  la curiosità delle persone e dei media,  (molti sono quelli che partecipano ai cortei funebri solo per vedere lui "il ragazzo che segue i funerali) e trasformando il tutto in un fenomeno di moda, e lui un animale da baraccone. Ma quando Vincent rifiuta questa trasposizione s'avvia un processo mediatico che coinvolge anche la sua famiglia che pure ha difficoltà a capire, ad accettare Vincent in quella sua innocua peculiarità da cui, con minacce e lusinghe, lo si vuole costringere a guarire.
Quasi quella sua inclinazione fosse una malattia. Una perversione.
Vincent è davvero solo, ha tutti contro: i media, la famiglia, la scuola, dove neppure i professori prendono apertamente le sue parti, lasciandolo in balia del gruppo dei bulli. E' cosciente di non potercela fare in questa immane sfida in cui rischia di smarrire perfino se stesso, di trasformarsi ai suoi stessi occhi in quello che la società ha deciso lui debba essere: un'anomalia.
Da qui matura l'idea del viaggio, prefiggendosi come meta "l'ultima frontiera", che lui la prefigura non come luogo fisico ma piuttosto come un'emozione. Una rivelazione. Un fotogramma anomalo proiettato in un contesto ordinario. Un bagliore da cogliere al volo.
Un viaggio verso cui s'avvia con le cuffiette e la musica di Cobain a fargli da colonna sonora, e la macchina fotografica, per catturare il riflesso di quel bagliore.

Un viaggio esistenziale, questo di Vincent, un'esplorazione del mondo e una verifica di se stesso, espletata dalla conoscenza diretta, non manipolata e né deformata dai media e dalla società.
Un viaggio rivelatore delle contraddizioni e delle mistificazioni attuate dall'uomo a perseguire i suoi scopi, ma anche la scoperta dei sentimenti più alti quali l'amore (Emily) l'amicizia (Adonais) e l'accoglienza (i guardiani dei cimiteri che attrezzano con brande le cappelle e permettono ai profughi di tendere un filo, tra le croci e gli alberi, per stendere il bucato).

Un viaggio verso quell'ultima frontiera che Emily afferma non esistere, o almeno non aver trovato Del viaggio di Emily non sappiamo nulla: lei non racconta e Vincent non domanda. Ma lei vive in una realtà liberal, dove le diverse visioni s'incontrano e non si scontrano. Un confronto democratico, dove vige l'accettazione della diversità e della pluralità (riguardo la morte, ad esempio, i componenti della famiglia di Emily hanno visioni diverse, ma che nessuno tenta d'imporre come le uniche vere, ma legittimandole nel confronto, diventano materia di dibattito, di riflessione. Di scambio di esperienza. Immaginiamo quindi che il viaggio di Emily sia un viaggio interiore, e che lei, vivendo in un mondo ideale improntato sul rispetto, il riconoscimento e l'accettazione delle pluralità
Il nonno di Emily ospita nelle cappelle adibite a dormitori un gruppo di profughi. Non li nasconde. Li rende visibili al vicinato permettendo loro di sciorinare i panni al sole su un filo teso tra le croci, e suonare musica la sera. La pratica dell'accoglienza, e il riconoscimento al diritto d'asilo da parte del nonno di Emily, favorisce l'accettazione e l'integrazione. Una comunità aperta, e in espansione. Si fa musica, si balla, e nascono nuovi amori.

Anche del viaggio di Adonis, il profugo siriano che Vincent incontra nel suo ultimo tratto di strada, sappiamo solo l'essenziale. Lui la sua ultima frontiera l'ha invece trovata in una camera di tortura e da sopravvissuto porterà inciso nel corpo e nell'anima gli orrori che solo la crudeltà umana è in grado di elaborare: una stimmata che mai rimarginerà, mai smetterà di sanguinare, e che permette a Vincent di fotografare in un simbolico passaggio di testimone. In una camera di tortura s'invoca la morte e si maledice la vita. S'implora la pietà della morte e non quella dell'aguzzino. Quella morte che annulla il dolore, lo strazio, il sanguinamento. La morte come via di salvezza: un varco da cui fuggire dalla camera di tortura. Per Adonis, è la tortura e non la morte l'ultima frontiera. Ma è la sua ultima frontiera, sua e di nessun altro. E lo ribadisce più volte affinché Vincent ne penetri il significato. Quell'ultima frontiera che non si prospetta uguale per tutti. E neppure l'imbattervi è nel destino di ognuno. Nella sintesi di Adonis si ripropone la frase iniziale di Cobain, l'incipit di questo racconto:
"Nella nostra vita nulla è programmato al contrario di quello che speriamo, ogni evento può essere portato al suo estremo opposto in una piccola frazione di secondo, cosa condiziona ciò? Il nostro umore, quindi è assolutamente evidente che la nostra vita dipende dalle persone"

Simbolismi e premonizioni nell'ultima notte di Vincent trascorsa con Adonis all'addiaccio in un cimitero violato, tra croci divelte e tombe profanate, quando nel silenzio innaturale percepisce l'odore di urina e di confetti della morte. E quello della solitudine. Il giorno dopo il profugo siriano s'imbarcherà verso la Francia e lui tornerà a casa, facendo sosta da Emily.
Il suo viaggio lo ha comunque compiuto e seppur non ha trovato l'ultima frontiera ha ritrovato se stesso. E forse la sua ultima frontiera è lo smarrimento la sua identità. L'annullamento di Vincent.
 Quel viaggio allora è stato il suo varco verso la salvezza.

... l'ultima frontiera non si prospetta uguale per tutti. E neppure l'imbattervi è nel destino di ognuno. Così smetto di cercare. Torno a casa.
p.s -  Io e Cobain ritardiamo di un giorno la partenza perché siamo capitati in un luogo magnifico dove pare vada in scena il tramonto più bello del mondo. Imperdibile, a quanto mi è stato raccontato. Sarà la nostra ultima sosta"
Questo scrive Vincent nella sua ultima lettera ad Emily.

Quel tramonto imperdibile, il più bello del mondo, rappresenta per lui la bellezza, la poesia, la speranza, e non l'evento non programmato, portato all'estremo opposto in una piccola fazione di secondo a condizionare il suo destino
Ma è quello che accade
Dissolvenza

UNA CASUALITA' MERAVIGLIOSA
ADONIS
Per la figura di Adonis, l'intellettuale rifugiato siriano, compagno nell'ultimo tratto di strada di Vincent, ho fatto riferimento al poeta arabo siriano, Ali Ahmad Sa'id ad Al Qassabin, il cui pseudonimo è Adonis. Esiste davvero. Un incontro fortuito questo mio, che mentre facevo ricerche sul nome mi è apparso lui. A dirla tutta, causa il poco tempo e la necessità di terminare il racconto, non mi ero soffermata sulla sua biografia. Non ho approfondito come di solito faccio. M'interessava il nome e niente altro. Mai però avrei immaginato d'imbattermi in un intellettuale dissidente di nome Adonis, un rivoluzionario che come il mio personaggio trova rifugio in Francia (ma questo l'ho scoperto solo dopo) e che mi ha permesso di creare un collegamento con l'Adonais di Shelley.
E invece è accaduto
Una casualità meravigliosa.
La quadratura del cerchio.
Un bagliore catturato al volo.

TRIBUTO A KURT COBAIN
Questo racconto è anche il mio tributo a Kurt Cobain, leader dei Nirvana e compagno di viaggio di Vincent.
Il suo idolo.
Il suo punto di riferimento.
Lo è stato anche per me, per un lunghissimo tempo.
Ancora oggi amo la sua musica. La sua poesia.
E quella sua voce che graffia a sangue il silenzio.