Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.

domenica 18 dicembre 2022

La morte verrà, e avrà il volto e la voce di Paolo Conte

 

Quando mi capita di pensare alla mia morte, figurativamente la immagino con il volto vissuto, metà gangster e metà poeta, di Paolo Conte, impeccabile nel suo smoking nero, che entra nella stanza e, porgendomi una rosa rossa, sussurra, con quella sua voce ruvida e suadente, le strofe di "Vieni Via".


Via via
Vieni via con me
Entra in questo amore buio
Pieno di uomini
Via
Entra e fatti un bagno caldo
C'è un accappatoio azzurro
Fuori piove, è un mondo freddo

Ah, it's wonderful
It's wonderful
It's wonderful
Good luck my baby
It's wonderful
It's wonderful
It's wonderful
I dream of you

Cips, cips
Doo doo doo doo doo (ci boom, ci boom, boom)
Doo doo doo doo doo (ci boom, ci boom, boom)
Doo doo doo doo doo


Immagino che accadrà in un pomeriggio invernale di pioggia e di vento, con la visione fuggente, nell'angolo della finestra, di un ombrello rosso strappato via da una mano debole o distratta ( scontata metafora della vita che d'improvviso ci viene portata via, ma, concedetemelo, di sicuro effetto scenico e, per quel che mi riguarda, affatto secondario, dal momento che nella mia vita il ricorso alle scenografie è stato determinante per la mia sopravvivenza, quindi, a maggior ragione, lo sarà per la mia morte)

Ah, it's wonderful
It's wonderful
It's wonderful
Good luck my baby
It's wonderful
It's wonderful
It's wonderful
I dream of you

Cips, cips
Doo doo doo doo doo (ci boom, ci boom, boom)
Doo doo doo doo doo (ci boom, ci boom, boom)
Doo doo doo doo doo


M'irretisce, con le note della sua canzone, Paolo Conte, con quella sua fisionomia metà gangster e metà poeta, sorridendomi, affascinante e persuasivo, prospettandomi quell'oltre, caldo e sicuro, che nessuna religione ha mai saputo darmi, perché le dottrine, per noi atei, mancano dell'attrattiva della fantasia e della poesia, del coinvolgimento emotivo e, a mio parere, anche sessuale, ritenuto, a torto, da tutti i culti, elemento volgare e peccaminoso, ma che invece, l'arte e gli artisti, hanno ricollocato nella sfera più alta dei sentimenti.
Nessuna religione ti promette nel suo paradiso un bagno caldo e un accappatoio azzurro, riparo dalle intemperie di un mondo freddo e piovoso. E la prospettiva intrigante di un amore buio.


Via via
Vieni via di qui
Niente più ti lega a questi luoghi
Neanche questi fiori azzurri
Via via
Neanche questo tempo grigio
Pieno di musiche
E di uomini che ti son piaciuti

It's wonderful
It's wonderful
It's wonderful
Good luck my baby
It's wonderful
It's wonderful
It's wonderful
I dream of you

Dissolvenza

domenica 20 novembre 2022

Un universo sentimentale, dove anche gli oggetti hanno un'anima


Guardo fuori la finestra, le foglie azzurre si disegnano nitide sullo sfondo turchino di questa notte invernale, mite come una primavera, innocente come una serenata, rassicurante come una carezza.
Notte di bianche farfalle che volteggiano lievi come tiepidi fiocchi di neve, mentre i lupi dormono rintanati negli incavi della montagna, e un gufo illumina il buio con le lune gemelle dei suoi occhi aranciati.

Poesia e prosa si compenetrano nella notte metafisica degli insonni, dei poeti e dei vagabondi.
E degli innamorati respinti, che raccontano il loro amore impossibile con liriche appassionate, scritte sui vetri appannati di un balcone.
Versi ammalianti.
Sensuali e agri.
Coercitivi, come un incantesimo d'amore.

Una notte, questa, dove pace e disperazione si compenetrano come la luce con l'acqua, il fuoco con la terra, il respiro con l'argilla.
Una notte ibrida.
Una notte eretica.
Una notte trascendentale.

Di una notte così non ne serbo il ricordo nel tempo, sia pur limitato, della mia memoria, e in quello delle mie quotidiane, solitarie veglie, trascorse a scrivere immaginifiche trame al computer, con la diligenza di una scolaretta e l'arroganza di un romanziere, per scoprirmi, stanotte, analfabeta e muta davanti alla realtà di questo universo mentale, capovolto e paradossale: lo spazio metafisico di Escher.
La rivelazione di un mondo che non ruota su un unico sistema binario ma si perde negli aggrovigliamenti di linea, nei sottoboschi delle alternanze multiple e complesse, nelle rientranze intersecanti, nelle protuberanze circolari.
Un universo fantastico che prescinde dalla natura, dal tempo e dalle stagioni, dalle leggi fisiche e dai teoremi fino ad oggi propugnati.
Un universo sentimentale, dove anche gli oggetti hanno un'anima.

mercoledì 2 novembre 2022

Elucubrazioni di un'anima in fiamme.

 


Fuoco cammina con me 
(David Linch)

Le cose nuove mi attraggono, desidero possederle, ma anche mi spaventano. Poco rassicuranti ed estranee. Ho difficoltà a toccarle. Farle mie. Personalizzarle.
Le cose nuove hanno un'anima di cellophane, fragile e crepitante, inganno trasparente ed impermeabile alle emozioni.  E troppo spesso bugiardo. Le cose nuove, scartate dal loro involucro, potrebbero rivelarsi deludenti, fallaci. Imperfette. Un buchino nascosto, un orlo sgranato, una trama disomogenea. E non hanno odore. Il mio odore. Così mantengo con esse le distanze. Le ammiro. Le desidero. Le spio. Le sorveglio. Le adagio in un cassetto socchiuso, consentendo il passaggio di una presa d'aria, quel soffio vitale necessario fino a quando sarò pronta a fare un primo passo a sfiorarle.
Semmai quel mio primo passo ci sarà.

Ma, in realtà, ho cassetti pieni di cose nuove che non sono mai diventate mie. Che pure avendole non ho mai posseduto. Giacciono nella loro bara di cellophane, virtuose ed intatte. Condannate all'eternità nelle loro urne odorose di gelsomino e di lavanda. Anche se non sarà l'eternità il loro ultimo destino, poiché ogni cosa in natura deve avere un termine. La morte. E la purificazione del fuoco. Nel giorno dei morti, in una pira funebre, nel giardino di casa mia.
Un modo per liberare le loro innocenti anime prigioniere dei miei fasulli desideri.
E liberare me stessa dai miei spergiuri esistenziali.

mercoledì 5 ottobre 2022

Pigiama Party non autorizzato. I colpevoli colti sulla scena del crimine


 E' questo, documentato dalle foto, che ho trovato al mio risveglio: bustine sparse a terra, il sacco dei croccantini aperto, e i due fetenti intenti a pasteggiare alle mie spalle.

Il colpevole principale è sempre lui, Cagliostro, che sa aprire porte, ante e cassetti, per cui devo ricordarmi sempre di serrare tutto, ma da oggi, comunque, dovrò ricorrere anche ai lucchetti.
Mai abbassare la guardia con Cagliostro. che prima o poi la sua zampata arriva.
Così, ha aperto lo sportellino della credenza dove conservo le vettovaglie feline (ci sono anche scatolette, ma quelle ha pensato bene di lasciarle dov'erano, che da solo non sarebbe stato in grado di aprirle...almeno per ora!) e con Drugo, compagno di malefatte e, in questo caso, anche di merende, ha dato avvio a questa specie di pigiama party di prima mattina, e non autorizzato.
La cosa doveva essere iniziata già da un po', come testimonia la bustina sventrata sotto il mobile: un antipasto prima di passare alla portata principale.
Ed io che cosa ho fatto? Invece di sgridarli li ho fotografati!
Ora dovrò trasferire le bustine e i croccantini in un posto più sicuro: il caveau di una banca sarebbe l'ideale!
Marilena

venerdì 15 luglio 2022

Il Faro di Zion (cap. 7)


 DUE ANNI DOPO
Ai funerali di padre Casadio aveva partecipato l’intera città di Iperbole. Sul marciapiede de “La Casa Dei Ragazzi” dove era stata allestita la camera ardente, la gente attendeva, ordinata e silenziosa, il momento di potergli rendere l’ultimo saluto. Dalle finestre spalancate irrompevano le canzoni dei Nomadi, mentre Marisol, all’ottavo mese di gravidanza, insieme al marito, l’avvocato Michele Morandi, accoglieva i visitatori venuti a rendere l’ultimo omaggio a padre Casadio: mani da stringere, voci sommesse, occhi rossi.

Una lunga giornata che ancora non volgeva al termine, e il mattino dopo ci sarebbero state le esequie, ma quelle si sarebbero svolte in forma privata, così come era nel volere del defunto: solo Marisol e suo marito. Mentalmente si preparava a dover discutere con Michele, che di certo si sarebbe opposto per via dello stato avanzato della sua gravidanza, alla sua richiesta di seguire il feretro a bordo del vecchio motorino del prete, ma sapeva anche che l’avrebbe spuntata perché Michele a lei non riusciva mai a dire di no. Magari avrebbero potuto fare il tratto di strada più lungo in macchina e poi, a bordo dello scooter, completare il percorso fino al cimitero. Questo le era sembrato un ottimo compromesso.

«È stata una lunga, faticosa giornata, amore, e tu sarai terribilmente stanca. Vai a casa a riposare, qui resto io» le aveva amorevolmente imposto Michele, baciandola sulla fronte.


CHI DECIDE COSA E’ REALE E COSA NON LO E’?
Marisol s’era destata in un mondo bianco: bianca la luce che filtrava dai candidi tendaggi così come bianche erano le pareti e gli arredi nella stanza. Si sentiva gelare in tutto quel bianco. E neppure poteva muoversi. Cosa diavolo le era capitato? Dov’era suo marito? Quella mattina ci sarebbero state le esequie di padre Casadio e aveva una montagna di cose da sbrigare. Il bambino… perché non lo sentiva scalciare? Con fatica era riuscita, in quello spazio angusto, a toccarsi il ventre, piatto come quello di un’adolescente.
Un ventre che non conteneva nessun bambino.
E poi erano entrati Dj e Joe Licantropo.
Quando erano tornati? Perché nessuno l’aveva avvertita?
Li percepiva da una distanza infinita e liquida, dove lo sciabordio dell’acqua smorzava le loro voci.
Terrorizzata, Marisol, aveva realizzato di esser prigioniera dentro lo specchio, sigillata come in una bara di vetro che loro due, disperatamente e a mani nude, cercavano di scardinare per liberarla.
Nella stanza era entrato anche Cornelius con un vassoio colmo di pastiglie azzurre che aveva offerto a Dj e Joe. Loro ne avevano inghiottito una manciata, e dimenticandosi all’istante di lei s’erano seduti a giocare a “three player chess,” con Heracles, che però era solo un gigantesco uccello impagliato.
«Allacciati la cintura, Alice, che adesso di meraviglie ne vedrai un bel po’» l’aveva minacciata Cornelius con un sorriso maligno, azionando la porta geodetica e scaraventandola nel vuoto.


«Tutto bene, Marisol?» le chiese Michele apprensivo «sei così pallida! Forse sarebbe opportuno che tu non venissi alle esequie di padre Casadio. Manca poco al parto e tutto questo strapazzo di certo non giova né a te né al bambino».

«Dove sono?» chiese lei, guardandosi intorno smarrita.

«Nella nostra casa. Dove altro dovresti essere?». Commosso dal suo turbamento, la prese tra le braccia «Mi stai facendo preoccupare». Disse baciandola sulla fronte.

«Ho fatto un sogno spaventoso, così reale da sembrare vero». I suoi occhi fissavano il vuoto: «E se da quel sogno non mi fossi più svegliata, sarebbe diventata quella la realtà? Chi decide cosa è reale e cosa non lo è?».

C’era un fondo di accorata disperazione in quella sua domanda. Michele lo aveva colto e per farla sentire al sicuro l’attirò a sé e la strinse contro il suo petto: «Ci si risveglia sempre dai sogni così come dagli incubi, anche se talvolta capita di ritrovarsi calati in una realtà ben peggiore».

Lei rise debolmente: «Dalla padella alla brace! Non è consolante» Anche Michele si unì alla risata: «… e non ti ho ancora parlato della teoria che i sogni sono i moltiplicatori delle possibilità della nostra vita!».
«Sei un uomo crudele!». Marisol lo baciò con passione «Vado a prepararmi. Sarò pronta tra un minuto» disse, sgusciando fuori dal letto.

«Aspetta, Marisol… quasi dimenticavo». Michele aveva preso qualcosa dal suo comodino. «Ieri, quando tu sei andata via, un tipo strano mi ha dato questo, pregandomi di fartelo avere. Ha detto che tu avresti capito». Nel palmo della sua mano brillava il quadrante, azzurrino e molle, di un orologio privo di cinturino, come quelli dipinti da Salvator Dalì.


"Chi controlla il passato controlla il futuro.
Chi controlla il presente controlla il passato".

George Orwell

REWIND.
Riavvolgiamo il nastro e raccontiamo i fatti come, invece, si sono svolti nella realtà da noi conosciuta in quella porzione del Multiverso chiamata Iperbole.

Dalla finestra spalancata penetrava la luce ardente del primo pomeriggio, mentre dallo stereo di una macchina prorompevano, a pieno volume, le canzoni dei Nomadi. Marisol, accecata dal biancore del risveglio violentemente sovrapposto al buio tepore del sonno, per un lungo istante s’era sentita smarrita, immemore del tempo e del luogo e di chi lei fosse. Aveva dubitato di sé stessa e della realtà della stanza, ma poi la materialità degli oggetti l’aveva rassicurata. Si vestì senza guardarsi allo specchio. Prima delle cinque, ora dell’appuntamento con Dj e Licantropo al Lido “Primo Sole” per sperimentare l’orologio Dalì, doveva sistemare un bel po’ di cose e tutte d’una certa rilevanza, e fra queste una telefonata a padre Casadio per sincerarsi che stesse bene. Sentire la sua voce l’aveva rasserenata.
«Ho una bella notizia, ma ora non ho tempo di parlarne. Rimandiamo a stasera» le aveva detto allegro.
Subito dopo era uscita a cercare Magnum. Doveva impedire a tutti i costi a Dj di giungere alle cinque allo stabilimento “Primo Sole” e sperimentare l’orologio Dalì. Aveva dovuto cercare un bel po’ prima di trovarlo, e il tempo correva veloce, così quando lo aveva visto lo aveva abbordato e senza nessun preambolo gli aveva fatto la sua proposta: «Vorrei che tu impartissi a Dj una lezioncina in cambio di un documento compromettente che lo riguarda».

Lui per un attimo era rimasto interdetto, poi era scoppiato a ridere: «Non ti credo!».

«Ok, non starò a pregarti, mi rivolgerò a qualcun altro. Di balordi il mondo è pieno» disse lei, facendo mostra di andar via.

«Cosa ha combinato per farti arrabbiare in questo modo?» la trattenne Magnum, incuriosito.

«E perché dovresti saperlo dal momento che la mia offerta non t’interessa?».

«Se la motivazione è convincente potrei anche decidere di prenderla in considerazione».

«Sono incinta e il vigliacco prima ha promesso che mi sposava poi si è rimangiato tutto. Ha messo perfino in dubbio che il bambino sia suo».

Magnum la guardò incredulo, poi scoppiò di nuovo a ridere.

Marisol era furiosa: «La ritieni una motivazione valida? Non farmi perdere tempo che per questi lavoretti, e per poche lire, di questi tempi c’è la fila».

«Vediamo se ho capito: Dj ti ha compromessa ed ora tu vuoi compromettere lui». Compiaciuto del proprio gioco di parole proseguì sulla stessa riga: «Potrei anche decidere di crederti, ma prima voglio vedere “quel documento compromettente”».

«Il compenso si riscuote a lavoro fatto. Ci stai girando troppo intorno, Magnum». Provocatoriamente lo aveva chiamato con quel soprannome che lui detestava. «Ti sto offrendo la possibilità di far cadere Dj in disgrazia agli occhi di tuo padre, così da subentrare tu al suo posto. Non è quello che più desideri?».

«E quando dovrebbe essere impartita questa lezioncina?».

«Oggi stesso. Prima delle cinque.»

«Sei davvero matta!» disse lui, scuotendo la testa.

«No, non sono “davvero matta”, come dici tu, ma “davvero arrabbiata”, come mi sento io».

«Questo qualcosa di compromettente cos’è? Un documento?».

«Si, è un documento. Ma non farti venire l’idea di frugare in casa mia perché non lo troveresti. Non sono così stupida».

«Cosa dovrei fare?».

«Fargli prendere un bello spavento, lievi contusioni e non fratture da prognosi riservata. Nessuno spargimento di sangue o l’accordo salta. Non voglio averlo sulla coscienza quel vigliacco».

«Non vuoi fargli troppo male perché speri che ci ripensi e ti sposi?».

«Pessima battuta!» rispose sdegnata Marisol.

Magnum, deluso che non avesse apprezzato l’ironia, la guardò con aria superiore: «Quando mi farai avere la prova che incastra Dj?».

«Domattina alle 10.00 al “Trinity” se avrai portato a termine l’incarico nelle modalità concordate» specificò lei, andando via.

«Ehy, Sorella Luna» la richiamò lui «mi piace il tuo lato oscuro.»

Marisol, senza voltarsi, gli mostrò il medio.


«Niente ossa fracassate e neppure deve scorrere il sangue… quindi andateci piano» s’era raccomandato Magnum consegnando ai due balordi vestiti di nero la busta contenente il denaro «e metti via quella pistola che non ti serve» aveva sibilato, vedendo sporgere dalla tasca del giubbotto di uno dei due il calcio di una rivoltella.


Marisol, spingendo la porta scassinata dell’appartamento di Dj era entrata e lo aveva trovato a terra privo di sensi, con un occhio nero, una guancia gonfia, qualche livido, ma tutto sommato in buone condizioni. Lo aveva frugato nelle tasche alla ricerca dell’orologio Dalì che aveva fatto sparire nel fondo del suo zainetto. Avrebbe pensato poi a disfarsene definitivamente. Subito dopo era arrivato anche Licantropo, preoccupato per il ritardo dell’amico che neppure rispondeva al telefono. Insieme gli avevano prestato le prime cure. Dj non ricordava molto, solo che qualcuno lo aveva aggredito alle spalle e malmenato. Era caduto a terra e aveva perso conoscenza. «L’orologio Dalì! Lo hanno rubato!» aveva esclamato quando cercandolo in tasca non lo aveva trovato.

«Rubare l’orologio, è stato quello il motivo del pestaggio. Ma chi sapeva, oltre noi, della sua esistenza?» chiese stupita Marisol, recitando fino in fondo la sua parte.

«E così non potremo mai più conoscere il suo segreto». C’era delusione e rammarico nella voce di Dj.

Al pronto soccorso era stato medicato e dimesso perché nessuna frattura era stata evidenziata dalle radiografie. Poi al commissariato aveva denunciato l’aggressione subita.


«Se tu avessi denunciato da subito forse ti saresti evitato il pestaggio» lo redarguì severamente padre Casadio, dando inizio alla disamina dei fatti. «L’orologio deve essere scivolato dalla tasca da chi si è introdotto la prima volta nel tuo appartamento. Forse era un oggetto di valore, una peculiarità, questa, che non abbiamo preso in considerazione, esaminando solo il lato fantastico, onirico, che l’orologio ispirava».

«Ma un oggetto di valore non lo tieni sbadatamente in una tasca senza alcun accorgimento, e nella fattispecie una catenella sarebbe stata almeno una precauzione elementare». La riflessione di Dj riscosse l’approvazione di tutti.

«Ma il valore non è solo quello pecuniario, c’è anche quello affettivo, quello sacro della fede e quello scaramantico dei portafortuna» obiettò Marisol.

«Portafortuna come questo». Licantropo mostrò un ciondolo con l’effige stilizzata di un coniglio. «White Rabbit, il mio spirito guida, un potente talismano che tengo sempre con me».

Marisol impallidì visibilmente e dovette appoggiarsi al tavolo per restare in piedi.

«Tutto bene, Marisol?» domandò Dj preoccupato.

«Si, solo un po’ stanca. È stata una giornata faticosa» lo rassicurò lei.

«Da chiudere, almeno, con una bella notizia». Sul volto di padre Casadio s’era disegnato un grande sorriso. «Vi ho raccontato del Vecchio a cui per ben quattro volte ho dato l’estrema unzione? Non era affatto un malato terminale ma piuttosto la vittima di una diagnosi errata, e i farmaci sbagliati lo stavano uccidendo. Ora ci stiamo allenando a giocare a briscola perché abbiamo deciso di partecipare al prossimo torneo regionale».

«Padre Guevara, per l’occasione ti presterò White Rabbit: sono sicuro che con quello vincerete».


Il suono del cellulare l’aveva svegliata di buon mattino. «Marisol, torno a casa» annunciò Luna, e dopo un attimo di silenzio: «Aspetto un bambino e… e così mi toccherà, una volta per tutte, di mettere la testa a posto». L’aveva detto ridendo, contenta.

Marisol accolse la notizia con un grido di gioia: «È meraviglioso, Luna. E il padre del bambino chi è? Cosa intende fare?».

«Si chiama Michele, è un avvocato impegnato nel campo dei diritti umani, del tutto estraneo al mondo che io frequentavo prima di conoscerlo. Ci sposiamo!» esclamò felice.

Una meravigliosa notizia a riequilibrare l’incertezza dei prossimi eventi. Forse l’ultima bella notizia della sua vita perché Magnum di sicuro non gli avrebbe perdonato il “paccotto” che s’accingeva quel mattino a rifilargli. Non a caso aveva scelto un luogo come il “Trinity”, l’immenso, super affollato, centro commerciale alle porte di Iperbole, per sperare in qualche improbabile chance di sopravvivenza, sia pure temporanea.

«Perché proprio qui?» le aveva chiesto Magnum sospettoso «c’è troppa folla. Non pensi che potrebbero vederci?».

«Al contrario, tutta questa gente ci aiuterà a diventare invisibili» lo aveva rassicurato Marisol.

«Facciamola breve: dammi il documento. E poi ognuno per la sua strada» ribadì lui, niente affatto convinto.

«I debiti vanno saldati» Marisol gli porse una busta, arretrando di qualche passo. Ma lui l’aveva trattenuta per un braccio.

«Prima controllo, e solo dopo puoi andartene». La sua voce chioccia era diventata stridula. «Aprila tu la busta e mostrami il documento» intimò, aumentando la pressione sul braccio di lei.

Marisol ubbidì, e dalla busta trasse una foto di Dj giovanissimo in un campo di nudisti intento a fumare hashish. «Rubata per te dal suo album segreto» disse, cercando di dare alla sua voce un tono disinvolto.

«E cosa cazzo me ne faccio di questa? Pensi di prendermi per il culo?» urlò Magnum, strattonandola violentemente. La scena richiamò l’attenzione dei passanti.

«Toglile le mani di dosso o te la dovrai vedere con me!» gli intimò uno della sua stessa stazza, supportato dai presenti.

«E tu chi cazzo sei? Non sono affari tuoi!» sibilò Magnum senza allentare la presa sul braccio di Marisol.

«Per tua sfortuna sono un agente in borghese» affermò quello mostrando il tesserino. «E adesso, senza opporre resistenza, mi segui al posto di polizia. Anche lei, signorina, così potrà fare denuncia».

Marisol ebbe un sussulto.

«Grazie per il suo intervento, agente, ma non intendo denunciare il mio gelosissimo fidanzato sempre a caccia di ombre, perché vede in tutti gli altri uomini dei rivali. Ecco, mi dica se questa può essere considerata la prova di un tradimento» e mostrò all’agente, e ai presenti, la foto di Dj. «Ma ora si calma. Dopo le sue sfuriate si calma sempre. Le assicuro che di natura è tenero come un agnellino».

«Contenta lei» disse l’agente scuotendo il capo in segno di disapprovazione. Prima di andarsene tuttavia non perse l’occasione di ammonire duramente Magnum: «In quanto a te cerca di filar dritto che io ho un’ottima memoria e non dimentico mai la faccia di uno stronzo!».

Rimasti soli, Marisol prese in mano la situazione: «Cosa vuoi fare Magnum, denunciarmi come mandante dell’aggressione a Dj? Accomodati! ma dovrai comunque spiegare le ragioni per cui tu hai accettato, e d’altra parte non c’è nessuna prova del nostro accordo mentre invece è nota la tua animosità nei suoi riguardi. Piuttosto, dopo questa tua esibizione di forza nei miei confronti, andata in scena sotto gli occhi di diversi testimoni e di un agente di polizia, ti conviene fare in modo che non mi accada nulla di spiacevole o saresti il primo ad essere incolpato».

«Non c’è mai stato nessun bambino e nessuna proposta di matrimonio, giusto? Mi hai raccontato solo un mucchio di balle». La verità si stava facendo strada nella sua mente.

Lei assentì in silenzio.

«Ma perché, allora, tendere quell’agguato a Dj?» chiese sconcertato.
«Perché ha la cattiva abitudine di non mancare mai ad un appuntamento» gli rispose enigmatica, dirigendosi all’uscita.

mercoledì 13 luglio 2022

Il Faro di Zion (cap. 6)


 DUE GIORNI DOPO
A seguire il carro funebre c’era solo padre Casadio a bordo del suo motorino, ma quando aveva visto Marisol ferma al semaforo, al capo opposto della strada, con una spericolata inversione di marcia la raggiunse e la fece salire. «Dove diavolo siete finiti tutti! Sono due giorni che vi cerco. Dove sono Dj e Joe?». Era arrabbiato e non si curava di nasconderlo.

«Staranno via per un tempo imprecisato. È una storia incredibile, zio Ernesto, impossibile da immaginare vera».

«Se devo credere ai miracoli potrei anche credere alla tua storia» le rispose Padre Casadio ironico, ingranando la marcia e sorpassando il carro funebre.

«Diserti il funerale?».

«No, precedo il carro al cimitero, così abbiamo modo di parlare».

«Sono le esequie del Vecchio che beffeggiava la morte?».

«Si, anche quella è una storia davvero incredibile, non trovi?».

«E dove sono i suoi parenti?».

«Non è venuto nessuno. Prima di morire ha cambiato il testamento e ha lasciato tutto a “La Casa dei Ragazzi”, ed ora quelli minacciano di farmi causa per circonvenzione d’incapace».
Dopo aver parcheggiato il motorino davanti al cancello del cimitero, guidò la ragazza verso uno spiazzo fiorito dove era scavata una buca. «Mentre aspettiamo il suo arrivo, qui sulla soglia della sua ultima casa, raccontami questa tua incredibile storia» la esortò, sedendosi sul bordo di un muretto.

Marisol sciorinò il suo racconto con dovizia di particolari e facendo attenzione a non omettere, ma neppure enfatizzare, nulla.
Il prete l’ascoltò fino alla fine senza mai interromperla.

«…ma Heracles ha detto che se Joe andava via anche lui se ne sarebbe andato, e così Joe è rimasto» concluse il suo racconto Marisol attendendo un commento sulla vicenda, ma padre Casadio era rimasto in silenzio.

«Non dici niente, zio Ernesto? Lo sapevo che non mi avresti creduta». C’era una punta di delusione nella sua voce. «Continuerai a non credermi anche se ti dico che ti ho visto, attraverso uno specchio del Faro, giocare a briscola con il Vecchio? Potrei descriverti la stanza nel dettaglio, ma immagino che non mi crederesti comunque».

Per un istante lui l’aveva guardata perplesso. «Sinceramente, Marisol, riusciresti a credere a questa storia raccontata da un altro?».

«No. Ma pure è vera. E anche se Cornelius mi aveva avvertita che nessuno mi avrebbe creduta avevo sperato che almeno tu lo avresti fatto». Rispose, senza cercare di dissimulare la delusione nella sua voce.

«A volte capita che davanti a qualcosa di brutto o inaccettabile, la nostra mente metta in atto strategie per rimuovere il ricordo dell’accaduto, sostituendolo con realtà fittizie che alla fine crediamo vere per non soccombere alla disperazione. Questa tua storia, Marisol, non è vera, è solo un’allucinazione autoindotta e sostitutiva di una realtà che forse per te è impossibile d’accettare». C’erano tenerezza e fervore nelle parole di padre Casadio. E tristezza. «Prendere atto della realtà può essere terribilmente doloroso ma necessario per la nostra stessa salvezza. Fai uno sforzo, Marisol, perché tu sola sai dove sono Dj e Joe. Aiutami a ritrovarli». Non era una richiesta la sua, ma una supplica

«Dj e Joe sono nel futuro remoto». Marisol asserì, guardandolo negli occhi.

DUE MESI DOPO
Il Suv Ferrari di Magnum era stato ritrovato nei pressi degli stabilimenti “Primo Sole”, ma di Dj e Joe Licantropo non v’era traccia, nonostante quel tratto di mare fosse stato accuratamente scandagliato dai sommozzatori. Erano come scomparsi nel nulla. Magnum, che li aveva denunciati per il furto della sua auto, ora era indagato per la loro sparizione. Il video, diventato virale, della scazzottata tra lui, Dj e Licantropo, e le molte testimonianze sui loro cattivi rapporti e sulle pressioni esercitate da Magnum affinché Dj si dimettesse da “Radio Evelina”, lo avevano catapultato in cima alla lista dei sospetti e costretto a pagare il silenzio dei due killer che avevano minacciato di recapitare alla polizia la registrazione dove lui ordinava loro d’impartire a Dj una lezione indimenticabile.

«La tua voce inconfondibile equivale ad una confessione» lo avevano irriso, umiliandolo nel suo punto più debole

Marisol aveva convinto Luna a ritornare a casa e sottoporsi ad un programma per la riabilitazione nutrizionale e a disintossicarsi dalle droghe. Dopo un paio di settimane Luna era di nuovo fuggita a Milano. Marisol aveva provato a recuperarla una seconda, una terza ed una quarta volta, ma inutilmente. Il fallimento dei tentativi per salvare la sorella, l’assenza di Dj e Joe e l’impossibilità di avere loro notizie, il polverone sollevato dalla loro scomparsa, e la frustrazione di non poter raccontare la sua versione della storia a cui nessuno avrebbe creduto, l’avrebbero di nuovo spinta nel baratro della depressione se padre Casadio non l’avesse convinta a convogliare le sue energie in qualcosa di utile e positivo, come la sua partecipazione nella gestione de “La Casa Dei Ragazzi”.

Padre Casadio, dal canto suo, dopo reiterati e vani tentativi di avere da Marisol una versione più credibile sulla scomparsa di Dj e Joe, ed ottenendo da lei sempre lo stesso racconto e in ultimo solo il silenzio, s’era rassegnato ad un’attesa passiva, confidando per la prima volta in vita sua in un miracolo, che li restituisse alla loro vita e al suo affetto.

«Fallo per me ed anche per lui». Quel “lui”, a cui si riferiva, era Enrico Berlinguer, al quale “La Casa Dei Ragazzi” era intitolata. Il prete costretto a letto dopo una caduta dal motorino, glielo aveva chiesto con gli occhi umidi e velati dei vecchi. Dopo l’incidente, ma sarebbe più vero dire dopo la scomparsa di Dj e Joe, i suoi movimenti e i suoi riflessi s’erano fatti più lenti e il tremore alle mani sempre più incontrollabile, e Marisol non aveva potuto dirgli di no. Era anche accaduto che i parenti del Vecchio che aveva lasciato la sua ingente eredità a “la Casa Dei Ragazzi” gli avevano intentato causa accusandolo di circonvenzione d’incapace, così era toccato a lei occuparsi, in sua vece, di quello che si preannunciava essere un processo senza esclusioni di colpi, insieme al giovane avvocato delegato a rappresentarli, Michele Morandi, che nella sua infanzia era stato ospite de “La Casa Dei Ragazzi”.

Crisi conclamata per “Radio Evelina”: in calo di ascoltatori e di sponsor, avrebbe nel breve chiuso i battenti. Il vecchio Giulio Cesare Boschi, presa definitiva conferma delle tendenze fascistoidi del figlio e per impedire che l’emittente si trasformasse in un megafono delle destre più eversive, gliene aveva perfino vietato l’accesso. Inoltre i considerevoli ammanchi nella cassa di famiglia lo avevano indotto a mettergli alle costole un investigatore, scoprendo così il ricatto a cui da tempo soggiaceva. L’investigatore aveva anche accertato che in realtà non esisteva alcuna registrazione incriminatoria, cosicché l’accusa dei due ricattatori, non supportata da nessuna prova, si sarebbe ritorta contro di loro come tentativo d’intimidazione.
«Vi consiglio di sparire, ricordandovi che Giulio Cesare Boschi vanta le amicizie giuste nei posti giusti» li aveva ammoniti, e non aveva dovuto ripetere la minaccia perché i due balordi s’erano eclissati all’istante.

Ma ancor più duro era stato Giulio Cesare Boschi con il figlio che aveva estromesso dal patrimonio di famiglia: «Se ti piace spendere i soldi, impara prima a guadagnarli, iniziando dalla gavetta. Ad ogni modo dovrai risarcirmi della somma che ti sei fatto estorcere da quei due delinquenti».

sabato 9 luglio 2022

Il Faro di Zion (cap. 5)


 

HERACLES. E LA STANZA DEGLI SPECCHI
«Voglio mostrarvi una cosa. Seguitemi» Cornelius li condusse davanti la porta chiusa del corridoio di sinistra, prese una chiave del tutto identica alle altre che pendevano dal moschettone legato alla sua cintura, e aprì la serratura.
Su una parete del piccolo ingresso che immetteva in una stanza più grande campeggiava in nero e a caratteri macro la scritta “Temet Nosce”.
La stanza, avvolta da un bagliore ialino era tappezzata da una miriade di specchi che vicendevolmente si riflettevano, ingrandendo o rimpicciolendo, duplicando o spezzando gli spazi e le figure, in un fantastico gioco di prisma.

«È la stanza più particolare che io abbia mai visto!» esclamò Marisol incantata, mirandosi negli specchi che la mostravano gigantessa o pigmea, tonda come una balena o sottile come una giraffa, duplicata o recisa, «così posso scegliere chi essere!».

«La forma e la dimensione non cambiano la sostanza: qualunque sia la tua immagine negli specchi sarai sempre tu» precisò Cornelius.

«A me piaci come sei, Marisol» affermò Licantropo davanti ad uno specchio che lo rifletteva in una sequenza multipla «siamo in troppi». Inquieto, era retrocesso di alcuni passi.

«Questa è la stanza degli specchi, ovvero “della conoscenza”. È il cuore del Faro di Zion, così come la stanza degli orologi, ovvero “del tempo” ne è la memoria».

Con una mano Cornelius sfiorò la superficie di uno specchio e nel riquadro apparve il Faro, una torre cilindrica bianca a strisce nere dalla cui ogiva centrale lampeggiava, ad intermittenza, un’intensa luce gialla ad illuminare il paesaggio spettrale degli stabilimenti “Primo Sole”. A riprova che non si trattava di un semplice fotogramma, ma che tutto era vero e stava avvenendo in tempo reale, inquadrato in primo piano c’era il Suv Ferrari di Magnum, sul cui cofano era ritto un pappagallo gigantesco, alto circa un metro e munito di un becco enorme, adunco.

«Lui è Heracles Squawkzilla, il mio assistente, specializzato nello smantellamento delle automobili» lo presentò Cornelius.

«Coooosa?». A quell’affermazione Dj era sobbalzato: «Quella macchina non è nostra e se qualcuno la distrugge il proprietario poi distruggerà noi».

«Tranquillo, era una battuta!». Cornelius rise, rassicurandolo con una pacca sulle spalle.

«Humor nero. E fuori luogo» ribatté Dj tirando un sospiro di sollievo.

«Da dove proviene Heracles?» chiese Marisol ammirando le dimensioni e il piumaggio dai colori di bosco del pappagallo.

«Dalla preistoria, esattamente dal primo Micene, 16/19 milioni di anni fa. È nativo della Nuova Zelanda, ma da quello che mi è dato sapere vive da sempre qui, nel Faro, col ruolo di assistente».

«Forte!». Joe allungò una mano per toccare l’immagine del pappagallo e d’improvviso lo specchio lo risucchiò al suo interno.

Dj, d’impulso, aveva cercato di seguirlo, ma Cornelius lo fermò: «Accidenti, Heracles ha dimenticato di disinserire il cronotopo dalla porta geodetica, ma state tranquilli che al vostro amico non accadrà nulla che non debba accadergli. O almeno nulla di quello che non è stato previsto».

Marisol, come una furia, gli si avventò contro: «Cosa diavolo significa che non accadrà nulla che non debba accadergli? Basta con i rebus e le magie, lo tiri subito fuori di lì!».

Alla sua collera Cornelius contrappose un sorriso e sfiorando con una mano la superficie dello specchio visualizzò Joe ed Heracles intenti a chiacchierare come vecchi amici. «Heracles è poliglotta» spiegò, beandosi del loro stupore. «Voglio mostrarvi ancora qualcosa». E nello specchio apparve Luna che sfilava in passerella. Luna che inalava cocaina. Luna che si cacciava due dita in gola per vomitare. Sfumata quella sequenza apparve il faccione barbuto di Magnum mentre brigava con due loschi figuri vestiti di nero. Dalla tasca del giubbotto di uno dei due faceva capolino il calcio di una pistola. Prima che si accomiatassero lui aveva porto loro una busta rigonfia.

 
«Non è il mio mondo che dovete temere, ma il vostro» commentò amaramente Cornelius. Poi nello specchio si materializzò padre Casadio al capezzale del Vecchio che beffeggiava la morte. Gli eredi stizziti di quella sua dipartita a puntate avevano deciso di attendere a casa la notizia dell’avvenuto decesso, e così il prete ed il moribondo ingannavano l’attesa giocando a briscola, sfacciatamente barando per imbrogliare la morte. «Ma pure, nel vostro mondo, c’è ancora del buono» concluse con un sorriso.

«Non sapevo nulla di quello che stava accadendo a Luna!». Marisol s’era interrotta sopraffatta dall’angoscia, ma dopo un attimo di silenzio e ricacciando indietro le lacrime, confessò: «No… non è del tutto vero… ho avuto paura di indagare i suoi silenzi e le sue reticenze e l’ho lasciata sola in balia di sé stessa».

«Ora però sai.» disse in tono dolce Cornelius.
Lei assentì drizzando le spalle in un moto di ritrovato orgoglio.

«In quanto a Magnum...». La frase era diretta a Dj.

«L’ho sottovalutato» ammise lui «ma anche adesso che l’ho visto all’opera mi riesce difficile credere che abbia davvero assoldato dei sicari».

«Credo che tu debba prendere atto dei suoi propositi e agire di conseguenza. Ad ogni modo conoscere le sue intenzioni ti darà molti punti di vantaggio».

L’immagine del prete e del Vecchio era stata, nel frattempo, sostituita da quella di Joe ed Heracles alle prese con un frisbee che Joe lanciava alla lunga distanza e il pappagallo, un eccellente corridore a compensare la sua disabilità al volo, inseguiva ed afferrava col suo solido becco.


«Vanno molto d’accordo quei due, tenendo conto che Heracles non ha un carattere facile» commentò Cornelius divertito.

«Se per questo neppure Joe ha un bel carattere». La nota arancione nella voce di Marisol vibrava di tenerezza.

«Cornelius, perché tutto questo interesse nei nostri riguardi? E non le sarà di certo sfuggita la sua incredibile somiglianza con padre Casadio. Ci deve qualche spiegazione, non crede?».

In tono pacato, ma deciso, Dj esigeva chiarimenti.

Cornelius assentì con un cenno del capo, e sfiorando con la mano il centro dello specchio, attivò l’invisibile porta geodetica e Joe ed Heracles, con ancora il frisbee nel becco, furono catapultati nella stanza.

«Maledizione, Cornelius» inveì Heracles sputando il frisbee a terra e massaggiandosi un’ala, «per poco non ci rimettevo l’osso del collo». Premurosamente il pappagallo si sincerò sulle condizioni di Licantropo: «Stai bene, Joe?». Aveva la stessa voce umorale dello chef Gordon Ramsay.

«Tutto ok,amico» lo rassicurò Joe riconquistando la posizione eretta.

Ignorando il tono stizzito con cui Heracles s’era rivolto a lui, Cornelius amabilmente lo presentò ufficialmente ai suoi ospiti: «Marisol e Dj, ho il piacere di presentarvi Heracles Squawkzilla, il mio prezioso e insostituibile assistente».

«Bla bla bla bla» gli fece eco il pappagallo «non cercare di blandirmi col miele delle parole dopo aver attentato alla mia vita». Nello stesso tono ammonì Marisol che non riusciva a staccargli gli occhi di dosso: «E tu smettila di fissarmi! Non hai mai visto un pappagallo?». E senza attendere risposta raccattò col becco il frisbee e poi con un’ala sfiorò lo specchio, ma prima di sparire al suo interno si rivolse a Licantropo: «Ti aspetto fuori per terminare la partita».

«Puoi contarci, amico» rispose Joe alzando il pollice.

IL FARO DI ZION AL CENTRO DEL MULTIVERSO
Uscito Heracles, Cornelius aveva preso la parola: «Dj mi ha chiesto se ho notato la mia straordinaria somiglianza con padre Casadio: impossibile non vedere che siamo due gocce d’acqua… o magari anche tre». Toccò uno specchio materializzando l’immagine di un uomo identico a lui e a padre Casadio, vestito con caffettano rosso scuro, sullo sfondo di un paesaggio alieno. «Ma di un altro me sono certo che ne esista anche un quarto». Apparve un altro Cornelius che beatamente dormiva su un’amaca. «Sto per presentarvi il quinto me» preannunciò davanti al primo piano di un uomo alticcio e in disordine, con i denti guasti, gli occhi pesti e il naso alla Depardieu, «ma la molteplicità degli alter ego nel Multiverso non riguarda solo me». Specchio dopo specchio, Cornelius aveva dato vita ad un variegato carosello di Marisol, di Dj e di Joe Licantropo. «Trovate qualche somiglianza con voi stessi?» domandò loro divertito, «ognuno di noi vanta ben dodici gemelli, così quanti sono i pianeti del Multiverso. Il solo a non averne è Heracles, esemplare unico, compensato, però, da dodici vite».

«E nessuno di loro sa di avere undici gemelli?» chiese Dj sbalordito.

«Qualcuno forse lo immagina o lo spera. Ma le possibilità di un vis a vis sono remote quanto la distanza che ci separa, così grande che il numero di chilometri ha più cifre di quante sono le particelle dell’Universo conosciuto. Il Faro di Zion, fino ad oggi, ha rilevato dodici universi popolati e il loro insieme ha dato origine al Multiverso al cui centro si trova appunto l’Isola di Zion col suo Faro, la caverna cosmica dove la memoria degli uomini non è affidata ai graffiti ma racchiusa negli specchi: la più grande banca dati del Multiverso».

«Ma noi perché siamo qui? Che ruolo abbiamo in tutto questo?». La domanda di Dj, rimasta sospesa tutto quel tempo, era stata finalmente formulata.

«Una parte estremamente importante. E la scelta non è stata affatto casuale dal momento che si tratta del prossimo Guardiano, il mio successore, che deve possedere doti specifiche, straordinarie. Ed ho individuato in Dj, il prescelto: altruista, generoso, coraggioso, positivo, privo di pregiudizi: mente e cuore aperti».

Le parole di Cornelius furono accolte da un silenzio stupefatto.

«E se non accettassi?» domandò Dj sotto choc per quella proposta inaspettata.

«Pillola azzurra, fine della storia: domani ti sveglierai in camera tua, e crederai a quello che vorrai». rispose Cornelius serio, ma l’attimo dopo scoppiò a ridere: «Ovviamente scherzo! Non ti verrebbe praticato alcun lavaggio del cervello per il semplice fatto che nessuno crederebbe al tuo racconto». Poi, guardandolo negli occhi e sorridendogli comprensivo, ribadì: «Nessuna coercizione, Dj, perché il tuo sì alla mia proposta dovrà essere libero e consapevole».

«Non può pretendere questo!». C’era smarrimento e collera nella voce di Marisol.

«Glielo sto chiedendo e non imponendo».

«Se Dj resta, resto anch’io!» esclamò Licantropo. Poi rivolto a Cornelius, in tono accusatorio: «Avevi detto che eri nostro amico».

«E lo sono, Joe, sinceramente e profondamente. Sono consapevole di star chiedendo a Dj di fare una scelta estrema, ma quello che gli offro in cambio è un’avventura fantastica che solo a pochi eletti è dato di vivere. Anch’io…».

Marisol lo interruppe bruscamente: «Una vita solitaria da trascorrere rintanati in questo Faro a spiare negli specchi le esistenze degli altri non mi sembra così entusiasmante».

Cornelius rise di cuore: «Al contrario, Marisol, è una vita straordinariamente ricca di relazioni e di scoperte, avendo la possibilità di viaggiare nel tempo e nello spazio e di usufruire della meravigliosa ospitalità dell’Isola di Zion».

«Ma a cosa serve tutta questa conoscenza se non è condivisa, se è confinata nella banca dati del Faro?». La domanda di Dj era risuonata sferzante come lo schiocco di una frusta.

«Ti sei mai chiesto perché esistono tante voci verbali per raccontare il passato, che è unico, mentre esiste un solo tempo per ipotizzare gli infiniti futuri? Bisogna partire da questo interrogativo linguistico per avere la visione, a largo spettro, della complessità della missione del Faro di Zion. Dodici mondi diversi, quelli fino ad oggi scoperti, generati da una bolla atomica o da un Big Bang così come dal respiro di un dio o da qualsiasi altra ipotesi di nascita, distanti una cifra inconcepibile di anni luce e destinati per i prossimi millenni a rimanere ancora sconosciuti gli uni agli altri, ma nel frattempo rafforzandosi ognuno nella convinzione di essere il solo padrone dell’universo. La nostra missione è di osservare, studiare e documentare il cammino dei popoli del Multiverso verso quel futuro remoto quando prenderanno atto delle reciproche esistenze, ma non possiamo influire, condizionare o modificare le loro scelte. Se il Faro è l’osservatorio delle realtà parallele, l’Isola di Zion ne è il naturale laboratorio. Ai Guardiani del Faro provenienti come me da altri pianeti, al termine della missione, viene concessa la cittadinanza onoraria e la possibilità di stabilirsi a Zion, insegnare nella sua Università per condividere la propria preziosa esperienza, o ricoprire cariche di rilievo, mentre coloro che decidono di ritornare a casa possono liberamente farlo senza sottoscrivere alcun vincolo del silenzio, per il motivo che nessuno crederebbe al loro racconto. Ma ci sono anche quelli, come il vostro Philip Dick, il silveriano Ubky Hrit Morgane, Kannika Orryymar di Atreide, (tra i guardiani ci sono anche donne) che hanno trasposto in letteratura questa loro esperienza suggerendo scenari inediti e mostrando nuovi orizzonti, e spargendo in questo modo il seme primevo della conoscenza».

«Philip Dick è stato un Guardiano?» Dj e Joe, appassionati di science fiction, erano scattati all’unisono.

«Uno dei migliori, perfino» confermò Cornelius con un largo sorriso.

Marisol, di proposito, intervenne a gamba tesa ad infrangere quell’atmosfera insidiosa di complicità maschile: «Che Philip Dick sia stato un Guardiano lo asserisce lei, Cornelius, senza per altro produrre alcuna prova». Poi, rivolta ai suoi due amici, esclamò allargando le braccia: «E voi ci credete!».

«Non c’è da arrabbiarsi, Marisol, siamo semplicemente rimasti meravigliati da questa rivelazione» disse in tono conciliante Joe. 

«Perché non dovremmo credergli? L’orologio Dalì, il Faro, Heracles, gli specchi: è tutto vero. E se noi siamo qui perché non potrebbe esserci stato anche Phil Dick?». Il ragionamento di Dj fu interrotto da Joe che gli mostrò uno specchio che rimandava le immagini di un giovane Dick seduto allo stesso tavolo dove Cornelius aveva loro servito il tè, e poi, en plein air, mentre giocava a frisbee con Heracles, e ancora, intento a scrivere, seduto sulla soglia del Faro.

«È sufficiente come testimonianza del soggiorno di Dick a Zion?». Non c’era ironia nella voce di Cornelius, ma solo una lieve impazienza.

«Se per ipotesi accettassi, cosa accadrebbe?».

La domanda gettò Marisol nello scoramento: «Max…non starai dicendo sul serio, vero?».

«Ho detto per ipotesi» ribadì lui con dolcezza.

«Per ipotesi rimango anch’io» tagliò corto, Joe.

«Ci sarà un periodo di apprendistato dove io ti introdurrò alle dinamiche e ai segreti del Faro e alla conoscenza del codice etico che regolamenta il tutto. Heracles completerà i miei insegnamenti» rispose Cornelius.

sabato 2 luglio 2022

Il Faro di Zion (cap. 4)


 

PIPPO & TOPOLINO
Dj, Joe e Marisol, s’erano dati appuntamento alle 16,30 del pomeriggio al litorale “Primo Sole”, un tratto di spiaggia riarsa e deserta dove vigeva da molto tempo il divieto di balneazione in attesa di una bonifica promessa e mai realizzata, il luogo ideale per sperimentare senza altri spettatori le peculiarità dell’orologio Dalì, ammesso che il riferimento delle lancette fosse per le cinque di sera e non di mattina. E ammesso che l’intuizione di Joe fosse giusta. Ad ogni modo lo avrebbero appurato presto.

Lungo il tragitto Dj e Joe s’erano imbattuti in Magnum alla guida del suo Suv Ferrari con accanto una bruna, con la quale discuteva animatamente. Appena li aveva visti, però, aveva inchiodato in mezzo alla strada e dopo un’inversione da codice penale li aveva inseguiti e intrappolati contro un muro. Solo allora s’erano accorti che la bruna era Evelina, la sorella maggiore di Magnum.

Prima che i due scendessero dal Suv, Dj aveva avvertito Licantropo: «Joe, fammi il favore, cerca di restare calmo qualunque cosa dica o faccia quello stronzo di Magnum, o arriveremo tardi all’appuntamento delle cinque.»

Ma Joe neppure lo aveva ascoltato, poiché i suoi sensi, soprattutto quello della vista, era stati calamitati dall’apparizione di Evelina inguainata in un abito rosso senza spalline che pareva cucito sulla sua pelle allo scopo di mostrare, piuttosto che coprire, le sue forme esplosive. Sotto la cascata di capelli bruni spiccava la bocca sensualissima laccata di un rosso brillante, mentre il resto del volto era in ombra, celato da occhiali da sole oversize.

All’apparizione di Evelina, Joe era rimasto immobile, quasi senza respirare, e leggermente tremava: le forti emozioni lo rendevano catatonico.

«Ciao, Eve. Ciao, Carlo.» li salutò Dj in tono disinvolto, cercando di non far trasparire l’ansia per quel contrattempo.

«Ciao, Dj» rispose lei in tono amichevole e con uno spiccato accento romagnolo, prima che Magnum, in maniera arbitraria, si riprendesse l’intera scena, calando su di lui e letteralmente schiacciandolo contro il muro.

«Dobbiamo parlare!» gli intimò con la voce impastata di collera.

«Possiamo farlo più tardi? Non prenderla come una mancanza di rispetto Carlo, ma ho promesso a padre Casadio di accompagnare Joe all’ambulatorio per prendere le medicine: ha un aspetto che non mi piace ». disse mentendo, indicando Joe, come paralizzato, perso nella visione di Evelina.

Magnum si voltò a guardarlo, per poi sogghignare: «Ma davvero? Quello psicopatico ha la bava alla bocca, e da come guarda Eve a me pare piuttosto che vorrebbe farsela. E comunque anche con lui ho un grosso conto in sospeso». Il tono, che voleva essere minaccioso, era solamente irascibile.

«Sei proprio uno stronzo, Carlo » si intromise Evelina «io, invece, lo trovo carino. Stralunato, ma carino: somiglia a quel personaggio della Disney… Pippo, l’amico di Topolino. Sì, gli somiglia proprio» concluse, facendo un giro esplorativo intono a Licantropo che, immobile, la seguiva con gli occhi.

Magnum scoppiò in una gran risata: «È vero, tu e il tuo compare sembrate proprio Pippo e Topolino!».

Dj ignorò la battuta, preoccupato della piega che Eve stava dando alla faccenda.

«Lascialo stare, Eve, per il tuo bene» l’avvertì «perché quando è in questo stato può avere reazioni imprevedibili. Carlo ne sa qualcosa».

«Cazzo dici? Cosa dovrei sapere?» sibilò Magnum toccandosi istintivamente il cerotto sul sopracciglio destro sotto cui languiva la ferita infertagli da Licantropo durante la scazzottata.

«Ora, però, dobbiamo proprio andare ragazzi. Parliamo un’altra volta» disse Dj conciliante, tentando di smarcarsi dalla presa di Magnum.

«E invece non andrete da nessuna parte» lo incalzò il gigante, stringendolo ancor di più nel suo angolo.

Ma quando Evelina propose a Joe: «Che ne dici se lasciamo questi due discutere dei loro affari e noi ce ne andiamo a fare un giro in macchina?» tentò il tutto per tutto e cogliendoli di sorpresa con uno scarto acrobatico riuscì a liberarsi dalla presa di Magnum, afferrare Joe, spingerlo nel Suv, mettere in moto e partire a gran velocità verso il lido “Primo Sole”, senza però dimenticarsi, lungo il tragitto, di far ingerire a Licantropo l’antipsicotico che avrebbe contribuito a stabilizzarlo: «Pillola rossa o pillola blu?» gli aveva chiesto parafrasando le battute di Matrix, il loro film cult. «Pillola azzurra, fine della storia: domani ti sveglierai in camera tua, e crederai a quello che vorrai. Pillola rossa, resti nel paese delle meraviglie, e vedrai quant'è profonda la tana del bianconiglio».

«Rossa» rispose Licantropo senza alcuna esitazione, inghiottendo l’anonima pastiglia bianca che Dj gli aveva porto.

NELLA TANA DEL BIANCONIGLIO
Quando Marisol aveva visto il Suv Ferrari di Magnum parcheggiare nel luogo stabilito per l’incontro s’era istintivamente ritratta, ma poi quando vide scenderne Dj uscì allo scoperto investendolo con una raffica di domande: «Dove t’eri cacciato? Perché hai il Suv di Magnum? E Joe dov’è?».

In quello stesso momento, Licantropo, frastornato e traballante, scese dall’auto e con voce incerta farfugliò: «Andiamo a scoprire la tana del bianconiglio».

«Max, di quale tana sta parlando Joe? Che storia è questa?» chiese lei preoccupata, mentre la nota arancione della sua voce vibrava verso il rosso.

«Te la racconto dopo, ora non c’è tempo. Che ore sono?» domandò Dj cavandosi di tasca l’orologio Dalì.

«Un minuto alle cinque».

Dj mise in bella vista l’orologio sul palmo della mano e si posero in attesa.

Allo scoccare delle cinque l’orologio Dalì aveva leggermente vibrato e poi s’era fatto incandescente. L’attimo dopo ci fu l’esplosione. Quando riaprirono gli occhi i tre si trovarono avvolti da una coltre di fumo, mentre dalle onde altissime, scure e oleose che avanzavano verso riva s'era levata minacciosa una colonna d'acqua simile a un fungo atomico, che man mano che procedeva, però, perdeva di potenza, fino a disgregarsi in un fuoco d'artificio di scintille d'acqua. Nello spazio nettato dalle scorie dell'esplosione s'era materializzata una torre cilindrica bianca spruzzata di nero, dalla cui sommità emanava una luce ampia e scintillante. La porta era aperta.

«Un faro!» esclamarono all'unisono Marisol e Dj.

«La tana del bianconiglio» disse Licantropo, pronto a varcare la soglia.

«Joe… fermati… dove stai andando?» urlò Dj.

«A vedere quanto è profonda la tana del bianconiglio. Ho preso la pillola rossa, ricordi?».

«Non hai preso nessuna pillola rossa, quella era solo una delle tue pasticche». E a convalidare la sua affermazione Dj trasse dalla tasca il blister degli antipsicotici. «E sono bianche!» sbottò esasperato.
Ma Licantropo era già oltre la soglia e a loro non restava altro che seguirlo
.

CORNELIUS. E LA STANZA DEGLI OROLOGI
Nell’ ingresso una scala a chiocciola bifida si snodava verso l’alto disgiungendosi in due pianerottoli opposti, in ognuno dei quali c’era una porta. Nel corridoio di sinistra la porta era chiusa, in quello di destra, invece, era aperta e mostrava l’interno di una stanza arredata come uno straordinario bazar, con strumenti di misurazione del tempo di ogni tipo ed epoca: clessidre e meridiani, candele orarie, pendoli, orologi astronomici e meccanici, da tavolo, da polso e da taschino, con molla a spirale, elettrici, al quarzo, atomici, e cronometri marini. Al centro della sala una tavola apparecchiata, dove Licantropo comodamente seduto sorseggiava un tè e piacevolmente conversava con uno sconosciuto identico in tutto e per tutto a padre Casadio, dal quale differiva solo per i capelli, più lunghi e raccolti in un codino, e per la foggia egocentrica degli occhiali, in sella, però, allo stesso nasone alla Depardieu.

«Accomodatevi, ragazzi, vi stavamo aspettando. Permettete che mi presenti: Cornelius, Guardiano del Faro di Zion. Gradite una tazza di tè?» domandò l’uomo, cordiale. Anche la voce era identica a quella di padre Casadio. Con premura aveva aggiunto due seggiole alla tavola. «Non abbiamo altro a bordo, anche se il tè risulta essere la bevanda più in uso in tutte le latitudini e longitudini».

«Il tè va benissimo, grazie» rispose Marisol dando una leggera gomitata a Dj per richiamare la sua attenzione al tatuaggio sul dorso della mano di Cornelius, raffigurante un coniglio bianco.

«Credo che tu abbia qualcosa che appartiene a questo luogo e che dovresti restituirmi» disse Cornelius, porgendo a Dj una tazzina di tè fumante. «La sua missione l’ha espletata, vi ha condotti qui, è ora che torni al suo posto» e indicò uno spazio vuoto tra un vezzoso orologino da donna ed uno robusto da soldato.

«Dunque tutta la messinscena è stata opera sua? E a quale scopo?». Diffidente, Dj, restituì l’orologio Dalì a Cornelius che, con estrema cura, lo ricollocò al suo posto.

«Domande lecite a cui, prima ancora che una risposta, occorre una premessa: io sono vostro amico».

«Esatto» confermò Joe abbracciandolo commosso.

giovedì 30 giugno 2022

Il Faro di Zion (cap.3)


 

L’OROLOGIO DALI’
Con un solo colpo d’occhio Licantropo aveva intercettato il corpo estraneo nella montagna di oggetti sparsi sul pavimento.

«Questo non è nostro!» esclamò estraendo dal mucchio il quadrante azzurrino e molle, di un orologio privo di cinturino, come quelli dipinti da Salvator Dalì.
Dj prese l’orologio e dopo averlo osservato con curiosità domandò a Joe: «Ne sei davvero certo?».

«Non è nostro!» confermò Licantropo con sicurezza, perché a differenza di Dj, distratto di natura, possedeva una memoria fenomenale. Quel “non è nostro” implicava oltre il suo forte coinvolgimento emotivo, anche la sua dichiarata appartenenza alla casa.

«Dunque, non si è trattato di un furto ma di un lascito» rifletté Dj «ma perché tutto questo casino piuttosto che consegnarmelo personalmente o spedirmelo per posta? E cosa sta a significare?» .
Licantropo, eccitato da quella scoperta di cui aveva il merito, glielo tolse di mano e notate le lancette ferme esclamò: «Neppure funziona!».
Prima che iniziasse a scuoterlo, nella convinzione infantile di attivarne in quel modo il meccanismo, Dj se lo riprese: «Fammi vedere.».
Sul quadrante azzurrino le lancette erano ferme alle ore cinque e il bordo d’acciaio riluceva di riflessi ocra, piccole punte di sole nella stanza in penombra. Un oggetto particolare e misterioso. Inquietante, ma pure a suo modo bello.
Cosa aveva a che fare con lui, però?

In quello stesso momento arrivò padre Casadio: «La porta era solo accostata, può entrare chiunque, dovresti chiamare un fabbro e… e quello cos’è?». S’era interrotto quando Dj aveva fatto oscillare sotto il suo nasone alla Depardieu l’orologio Dalì.

«Un enigma, ecco cos’è! Non sono venuti a rubare ma a lasciare questo. E il motivo non riesco proprio a spiegarmelo».

«Sicuro che non ci fosse già da prima? Magari dimenticato da qualcuno dei tuoi ospiti. Ad ogni modo sarebbe più corretto dire che è la prima volta che lo vedi piuttosto che affermare che non c’è mai stato».

«Prima non c’era. Non è nostro!» si intromise, risentito, Licantropo.

«Puoi mettere in discussione la mia memoria, Don, ma non certo la sua» disse Dj, indicando l'amico e gratificandolo con una pacca sulle spalle, «se Joe dice che prima questo non c’era, puoi starne ben certo».

«Ammettiamo pure che le cose stiano così, che la tua casa sia stata messa a soqquadro inscenando un furto ma in realtà per nascondere questo orologio, fidando sulla tua distrazione, deve trattarsi di qualcuno che ti conosce molto bene e sapeva che non saresti stato in grado d’inventariare le tue cose e quindi non avresti neppure denunciato».

Padre Casadio, perplesso, continuava a rigirarsi l’orologio fra le mani. Poi, colpito da un’illuminazione, disse «Non volevano nasconderlo, ma volevano che tu lo trovassi, e conoscendo la tua cecità verso le cose materiali, hanno fatto in modo che tu ci inciampassi contro».


Dj, seduto sul pavimento a rollarsi una sigaretta, guardò il prete con ammirazione: «Don, il tuo ragionamento non fa una piega. Resta da capire però lo scopo».

«Non lo scopriremo stasera» continuò con un sospiro il prete, «dormiamoci sopra. A proposito di dormire, ci sono un paio di letti liberi a “La Casa Dei Ragazzi”, sarebbe opportuno che tu e Joe questa notte vi trasferiste lì, per evitare altre brutte sorprese, perché con la serratura rotta chiunque può entrare».

«Grazie per l’offerta ma io rimango qui a fare un po’ di ordine, sarei però felice che Joe accettasse».


Licantropo rifiutò: «Resto con Dj, gli faccio compagnia e lo aiuto a sistemare questo casino».

«Sei un gran bravo ragazzo Joe» disse padre Casadio, restituendo l’orologio a Dj che però non lo prese:

«Tienilo tu, Don, almeno fin quando non sarà riparata la serratura».

Il prete fece un cenno d’assenso e se lo infilò in tasca: «Ci vediamo domani, ragazzi».

Sulla soglia, Joe lo fermo: «E’ morto poi il Vecchio?».

«Macché! Pare che abbia sette vite come i gatti!» rispose il prete, ridendo di cuore.

Quella sera la trasmissione di Dj “Il Confessionale” non era andata in onda ma la segreteria telefonica era stata subissata di messaggi per Licantropo: il video della scazzottata con Magnum era diventato virale e nel giro di una manciata di minuti Joe era diventato una stella del web.

IL TEMPO. E LA MEMORIA
Il giorno dopo Marisol, messa al corrente da Dj sulla novità dell’orologio Dalì, li aveva raggiunti a “La Casa Dei Ragazzi” dove, con l’ausilio di padre Casadio, si tentava di venire a capo di quel mistero.
L’orologio era stato passato di mano in mano, da tutti soppesato e valutato in ogni suo particolare. La speranza era quella d’imbattersi in un qualche automatismo, magistralmente mimetizzato, che una volta azionato ne disvelasse il segreto.

«Proviamo ad aprirlo» aveva suggerito Joe in preda ad una sempre più crescente eccitazione.

«Non credo sia una buona idea: corriamo il rischio di manometterlo» lo ammonì padre Casadio, togliendogli con gentilezza l’orologio dalle mani.

«Ma neppure quest’attesa passiva ci sta dando risultati, Don: ormai è palese che il limitarci a fissarlo, o continuare a rigirarcelo tra le mani, non ci svelerà il suo enigma» ribadì Dj perplesso tormentandosi il pizzetto sul mento. «Tu che ne pensi, Marisol?» chiese alla ragazza che era rimasta in tutto quel tempo silenziosa.

«Se deve accadere qualcosa, Max, accadrà nei tempi e nei modi stabiliti dall’autore di questo rompicapo che non avrà di certo lasciato puramente al caso, o all’intuito, la sua soluzione».

Dj la guardò stupito: Marisol era molto più di quello che faceva apparire essere.
Anche padre Casadio aveva assentito al suo ragionamento.

«Quando mi hai parlato di quest’orologio molle, simile a quelli dipinti da Salvator Dalì, sono andata a documentarmi sul loro significato. Dalì diceva che lo scorrere del tempo è cadenzato dal moto degli orologi che oggettivamente pretendono di misurarne la dimensione, ma che tutto questo viene ribaltato dalla memoria umana, un dato non quantificabile né tangibile, che ne stabilisce, invece, la soggettività e di conseguenza la relatività. In poche parole, sono le nostre percezioni, soprattutto quelle dell’inconscio, a misurare la stabilità e la durevolezza al tempo, variabili e diversi per ognuno di noi».

«Vuoi dire che quest’orologio è stato catapultato nella vita di Dj per sollecitare i suoi ricordi riguardo a qualcosa accaduto nel passato?» chiese padre Casadio.

«Non ne sono certa, zio Ernesto. È solo un’ipotesi».

«Plausibile, però» disse il prete pensoso, rivolgendosi poi a Dj: «Non ti viene in mente niente al riguardo?».

«Sto riflettendo, ma non ricordo nulla di così eclatante da giustificare tutto questo».

«Trattandosi però di percezioni soggettive, potrebbe consistere di un episodio marginale per te ma abnorme per altri, per cui, Max, non lambiccarti il cervello: se c’è qualcosa che deve accadere, accadrà, ma non sarai tu a stabilirlo» osservò Marisol, rassicurandolo con la nota arancione della sua voce.

«Accadrà alle cinque». Licantropo, rimasto fino a quel momento silenzioso ad ascoltare discorsi di cui a tratti gli sfuggiva il senso, sorprese tutti con quella sua profezia. «Perché è quella l’ora che segnano le lancette» s’era sentito in dovere di precisare.

«Alle cinque non è successo niente e l’orologio l’ho sempre avuto con me» commentò perplesso padre Casadio.

«Non è accaduto nulla perché l’orologio lo avevi tu, zio Ernesto, e non Max, l’intestatario di questo enigma» spiegò Marisol paziente.

Il prete, scettico, restituì l’orologio a Dj e in tono paterno lo ammonì: «In attesa di questo prodigio cerca di non cacciarti nei guai.»