DUE ANNI DOPO
Ai funerali di padre Casadio aveva partecipato l’intera città di Iperbole. Sul marciapiede de “La Casa Dei Ragazzi” dove era stata allestita la camera ardente, la gente attendeva, ordinata e silenziosa, il momento di potergli rendere l’ultimo saluto. Dalle finestre spalancate irrompevano le canzoni dei Nomadi, mentre Marisol, all’ottavo mese di gravidanza, insieme al marito, l’avvocato Michele Morandi, accoglieva i visitatori venuti a rendere l’ultimo omaggio a padre Casadio: mani da stringere, voci sommesse, occhi rossi.
Una lunga giornata che ancora non volgeva
al termine, e il mattino dopo ci sarebbero state le esequie, ma
quelle si sarebbero svolte in forma privata, così come era nel
volere del defunto: solo Marisol e suo marito. Mentalmente si
preparava a dover discutere con Michele, che di certo si sarebbe
opposto per via dello stato avanzato della sua gravidanza, alla sua
richiesta di seguire il feretro a bordo del vecchio motorino del
prete, ma sapeva anche che l’avrebbe spuntata perché Michele a lei
non riusciva mai a dire di no. Magari avrebbero potuto fare il tratto
di strada più lungo in macchina e poi, a bordo dello scooter,
completare il percorso fino al cimitero. Questo le era sembrato un
ottimo compromesso.
«È stata una lunga, faticosa
giornata, amore, e tu sarai terribilmente stanca. Vai a casa a
riposare, qui resto io» le aveva amorevolmente imposto Michele,
baciandola sulla fronte.
CHI
DECIDE COSA E’ REALE E COSA NON LO E’?
Marisol
s’era destata in un mondo bianco: bianca la luce che filtrava dai
candidi tendaggi così come bianche erano le pareti e gli arredi
nella stanza. Si sentiva gelare in tutto quel bianco. E neppure
poteva muoversi. Cosa diavolo le era capitato? Dov’era suo marito?
Quella mattina ci sarebbero state le esequie di padre Casadio e aveva
una montagna di cose da sbrigare. Il bambino… perché non lo
sentiva scalciare? Con fatica era riuscita, in quello spazio angusto,
a toccarsi il ventre, piatto come quello di un’adolescente.
Un
ventre che non conteneva nessun bambino.
E poi erano entrati Dj
e Joe Licantropo.
Quando erano tornati? Perché nessuno l’aveva
avvertita?
Li percepiva da una distanza infinita e liquida,
dove lo sciabordio dell’acqua smorzava le loro voci.
Terrorizzata,
Marisol, aveva realizzato di esser prigioniera dentro lo specchio,
sigillata come in una bara di vetro che loro due, disperatamente e a
mani nude, cercavano di scardinare per liberarla.
Nella stanza
era entrato anche Cornelius con un vassoio colmo di pastiglie azzurre
che aveva offerto a Dj e Joe. Loro ne avevano inghiottito una
manciata, e dimenticandosi all’istante di lei s’erano seduti a
giocare a “three player chess,” con Heracles, che però era solo
un gigantesco uccello impagliato.
«Allacciati
la cintura, Alice, che adesso di meraviglie ne vedrai un bel po’»
l’aveva minacciata Cornelius con un sorriso maligno, azionando la
porta geodetica e scaraventandola nel vuoto.
«Tutto
bene, Marisol?» le chiese Michele apprensivo «sei così pallida!
Forse sarebbe opportuno che tu non venissi alle esequie di padre
Casadio. Manca poco al parto e tutto questo strapazzo di certo non
giova né a te né al bambino».
«Dove sono?» chiese
lei, guardandosi intorno smarrita.
«Nella nostra casa. Dove altro dovresti essere?». Commosso dal suo turbamento, la prese tra le braccia «Mi stai facendo preoccupare». Disse baciandola sulla fronte.
«Ho fatto un sogno spaventoso, così reale da sembrare vero». I suoi occhi fissavano il vuoto: «E se da quel sogno non mi fossi più svegliata, sarebbe diventata quella la realtà? Chi decide cosa è reale e cosa non lo è?».
C’era un fondo di accorata disperazione in quella sua domanda. Michele lo aveva colto e per farla sentire al sicuro l’attirò a sé e la strinse contro il suo petto: «Ci si risveglia sempre dai sogni così come dagli incubi, anche se talvolta capita di ritrovarsi calati in una realtà ben peggiore».
Lei
rise debolmente: «Dalla padella alla brace! Non è consolante»
Anche Michele si unì alla risata: «… e non ti ho ancora parlato
della teoria che i sogni sono i moltiplicatori delle possibilità
della nostra vita!».
«Sei un uomo crudele!». Marisol lo baciò
con passione «Vado a prepararmi. Sarò pronta tra un minuto» disse,
sgusciando fuori dal letto.
«Aspetta,
Marisol… quasi dimenticavo». Michele aveva preso qualcosa dal suo
comodino. «Ieri, quando tu sei andata via, un tipo strano mi ha dato
questo, pregandomi di fartelo avere. Ha detto che tu avresti capito».
Nel palmo della sua mano brillava il quadrante, azzurrino e molle, di
un orologio privo di cinturino, come quelli dipinti da Salvator
Dalì.
"Chi
controlla il passato controlla il futuro.
Chi controlla il
presente controlla il passato".
George Orwell
REWIND.
Riavvolgiamo
il nastro e raccontiamo i fatti come, invece, si sono svolti nella
realtà da noi conosciuta in quella porzione del Multiverso chiamata
Iperbole.
Dalla
finestra spalancata penetrava la luce ardente del primo pomeriggio,
mentre dallo stereo di una macchina prorompevano, a pieno volume, le
canzoni dei Nomadi. Marisol, accecata dal biancore del risveglio
violentemente sovrapposto al buio tepore del sonno, per un lungo
istante s’era sentita smarrita, immemore del tempo e del luogo e di
chi lei fosse. Aveva dubitato di sé stessa e della realtà della
stanza, ma poi la materialità degli oggetti l’aveva rassicurata.
Si vestì senza guardarsi allo specchio. Prima delle cinque, ora
dell’appuntamento con Dj e Licantropo al Lido “Primo Sole” per
sperimentare l’orologio Dalì, doveva sistemare un bel po’ di
cose e tutte d’una certa rilevanza, e fra queste una telefonata a
padre Casadio per sincerarsi che stesse bene. Sentire la sua voce
l’aveva rasserenata.
«Ho una bella notizia, ma ora non ho
tempo di parlarne. Rimandiamo a stasera» le aveva detto allegro.
Subito dopo era uscita a cercare Magnum. Doveva impedire a tutti i
costi a Dj di giungere alle cinque allo stabilimento “Primo Sole”
e sperimentare l’orologio Dalì. Aveva dovuto cercare un bel po’
prima di trovarlo, e il tempo correva veloce, così quando lo aveva
visto lo aveva abbordato e senza nessun preambolo gli aveva fatto la
sua proposta: «Vorrei che tu impartissi a Dj una lezioncina in
cambio di un documento compromettente che lo riguarda».
Lui per un attimo era rimasto interdetto, poi era scoppiato a ridere: «Non ti credo!».
«Ok, non starò a pregarti, mi rivolgerò a qualcun altro. Di balordi il mondo è pieno» disse lei, facendo mostra di andar via.
«Cosa ha combinato per farti arrabbiare in questo modo?» la trattenne Magnum, incuriosito.
«E perché dovresti saperlo dal momento che la mia offerta non t’interessa?».
«Se la motivazione è convincente potrei anche decidere di prenderla in considerazione».
«Sono incinta e il vigliacco prima ha promesso che mi sposava poi si è rimangiato tutto. Ha messo perfino in dubbio che il bambino sia suo».
Magnum la guardò incredulo, poi scoppiò di nuovo a ridere.
Marisol era furiosa: «La ritieni una motivazione valida? Non farmi perdere tempo che per questi lavoretti, e per poche lire, di questi tempi c’è la fila».
«Vediamo se ho capito: Dj ti ha compromessa ed ora tu vuoi compromettere lui». Compiaciuto del proprio gioco di parole proseguì sulla stessa riga: «Potrei anche decidere di crederti, ma prima voglio vedere “quel documento compromettente”».
«Il compenso si riscuote a lavoro fatto. Ci stai girando troppo intorno, Magnum». Provocatoriamente lo aveva chiamato con quel soprannome che lui detestava. «Ti sto offrendo la possibilità di far cadere Dj in disgrazia agli occhi di tuo padre, così da subentrare tu al suo posto. Non è quello che più desideri?».
«E
quando dovrebbe essere impartita questa lezioncina?».
«Oggi
stesso. Prima delle cinque.»
«Sei davvero matta!» disse lui, scuotendo la testa.
«No, non sono “davvero matta”, come dici tu, ma “davvero arrabbiata”, come mi sento io».
«Questo qualcosa di compromettente cos’è? Un documento?».
«Si, è un documento. Ma non farti venire l’idea di frugare in casa mia perché non lo troveresti. Non sono così stupida».
«Cosa dovrei fare?».
«Fargli prendere un bello spavento, lievi contusioni e non fratture da prognosi riservata. Nessuno spargimento di sangue o l’accordo salta. Non voglio averlo sulla coscienza quel vigliacco».
«Non vuoi fargli troppo male perché speri che ci ripensi e ti sposi?».
«Pessima battuta!» rispose sdegnata Marisol.
Magnum, deluso che non avesse apprezzato l’ironia, la guardò con aria superiore: «Quando mi farai avere la prova che incastra Dj?».
«Domattina
alle 10.00 al “Trinity” se avrai portato a termine l’incarico
nelle modalità concordate» specificò lei, andando via.
«Ehy,
Sorella Luna» la richiamò lui «mi piace il tuo lato oscuro.»
Marisol, senza voltarsi, gli mostrò il medio.
«Niente
ossa fracassate e neppure deve scorrere il sangue… quindi andateci
piano» s’era raccomandato Magnum consegnando ai due balordi
vestiti di nero la busta contenente il denaro «e metti via quella
pistola che non ti serve» aveva sibilato, vedendo sporgere dalla
tasca del giubbotto di uno dei due il calcio di una rivoltella.
Marisol,
spingendo la porta scassinata dell’appartamento di Dj era entrata e
lo aveva trovato a terra privo di sensi, con un occhio nero, una
guancia gonfia, qualche livido, ma tutto sommato in buone condizioni.
Lo aveva frugato nelle tasche alla ricerca dell’orologio Dalì che
aveva fatto sparire nel fondo del suo zainetto. Avrebbe pensato poi a
disfarsene definitivamente. Subito dopo era arrivato anche
Licantropo, preoccupato per il ritardo dell’amico che neppure
rispondeva al telefono. Insieme gli avevano prestato le prime cure.
Dj non ricordava molto, solo che qualcuno lo aveva aggredito alle
spalle e malmenato. Era caduto a terra e aveva perso conoscenza.
«L’orologio Dalì! Lo hanno rubato!» aveva esclamato quando
cercandolo in tasca non lo aveva trovato.
«Rubare l’orologio, è stato quello il motivo del pestaggio. Ma chi sapeva, oltre noi, della sua esistenza?» chiese stupita Marisol, recitando fino in fondo la sua parte.
«E
così non potremo mai più conoscere il suo segreto». C’era
delusione e rammarico nella voce di Dj.
Al
pronto soccorso era stato medicato e dimesso perché nessuna frattura
era stata evidenziata dalle radiografie. Poi al commissariato aveva
denunciato l’aggressione subita.
«Se
tu avessi denunciato da subito forse ti saresti evitato il pestaggio»
lo redarguì severamente padre Casadio, dando inizio alla disamina
dei fatti. «L’orologio deve essere scivolato dalla tasca da chi si
è introdotto la prima volta nel tuo appartamento. Forse era un
oggetto di valore, una peculiarità, questa, che non abbiamo preso in
considerazione, esaminando solo il lato fantastico, onirico, che
l’orologio ispirava».
«Ma un oggetto di valore non lo tieni sbadatamente in una tasca senza alcun accorgimento, e nella fattispecie una catenella sarebbe stata almeno una precauzione elementare». La riflessione di Dj riscosse l’approvazione di tutti.
«Ma il valore non è solo quello pecuniario, c’è anche quello affettivo, quello sacro della fede e quello scaramantico dei portafortuna» obiettò Marisol.
«Portafortuna come questo». Licantropo mostrò un ciondolo con l’effige stilizzata di un coniglio. «White Rabbit, il mio spirito guida, un potente talismano che tengo sempre con me».
Marisol impallidì visibilmente e dovette appoggiarsi al tavolo per restare in piedi.
«Tutto bene, Marisol?» domandò Dj preoccupato.
«Si,
solo un po’ stanca. È stata una giornata faticosa» lo rassicurò
lei.
«Da chiudere, almeno, con una bella notizia». Sul
volto di padre Casadio s’era disegnato un grande sorriso. «Vi ho
raccontato del Vecchio a cui per ben quattro volte ho dato l’estrema
unzione? Non era affatto un malato terminale ma piuttosto la vittima
di una diagnosi errata, e i farmaci sbagliati lo stavano uccidendo.
Ora ci stiamo allenando a giocare a briscola perché abbiamo deciso
di partecipare al prossimo torneo regionale».
«Padre Guevara, per l’occasione ti presterò White Rabbit: sono sicuro che con quello vincerete».
Il
suono del cellulare l’aveva svegliata di buon mattino. «Marisol,
torno a casa» annunciò Luna, e dopo un attimo di silenzio: «Aspetto
un bambino e… e così mi toccherà, una volta per tutte, di mettere
la testa a posto». L’aveva detto ridendo, contenta.
Marisol accolse la notizia con un grido di gioia: «È meraviglioso, Luna. E il padre del bambino chi è? Cosa intende fare?».
«Si chiama Michele, è un avvocato impegnato nel campo dei diritti umani, del tutto estraneo al mondo che io frequentavo prima di conoscerlo. Ci sposiamo!» esclamò felice.
Una meravigliosa notizia a riequilibrare l’incertezza dei prossimi eventi. Forse l’ultima bella notizia della sua vita perché Magnum di sicuro non gli avrebbe perdonato il “paccotto” che s’accingeva quel mattino a rifilargli. Non a caso aveva scelto un luogo come il “Trinity”, l’immenso, super affollato, centro commerciale alle porte di Iperbole, per sperare in qualche improbabile chance di sopravvivenza, sia pure temporanea.
«Perché proprio qui?» le aveva chiesto Magnum sospettoso «c’è troppa folla. Non pensi che potrebbero vederci?».
«Al contrario, tutta questa gente ci aiuterà a diventare invisibili» lo aveva rassicurato Marisol.
«Facciamola breve: dammi il documento. E poi ognuno per la sua strada» ribadì lui, niente affatto convinto.
«I debiti vanno saldati» Marisol gli porse una busta, arretrando di qualche passo. Ma lui l’aveva trattenuta per un braccio.
«Prima controllo, e solo dopo puoi andartene». La sua voce chioccia era diventata stridula. «Aprila tu la busta e mostrami il documento» intimò, aumentando la pressione sul braccio di lei.
Marisol ubbidì, e dalla busta trasse una foto di Dj giovanissimo in un campo di nudisti intento a fumare hashish. «Rubata per te dal suo album segreto» disse, cercando di dare alla sua voce un tono disinvolto.
«E cosa cazzo me ne faccio di questa? Pensi di prendermi per il culo?» urlò Magnum, strattonandola violentemente. La scena richiamò l’attenzione dei passanti.
«Toglile le mani di dosso o te la dovrai vedere con me!» gli intimò uno della sua stessa stazza, supportato dai presenti.
«E tu chi cazzo sei? Non sono affari tuoi!» sibilò Magnum senza allentare la presa sul braccio di Marisol.
«Per tua sfortuna sono un agente in borghese» affermò quello mostrando il tesserino. «E adesso, senza opporre resistenza, mi segui al posto di polizia. Anche lei, signorina, così potrà fare denuncia».
«Grazie
per il suo intervento, agente, ma non intendo denunciare il mio
gelosissimo fidanzato sempre a caccia di ombre, perché vede in tutti
gli altri uomini dei rivali. Ecco, mi dica se questa può essere
considerata la prova di un tradimento» e mostrò all’agente, e ai
presenti, la foto di Dj. «Ma ora si calma. Dopo le sue sfuriate si
calma sempre. Le assicuro che di natura è tenero come un
agnellino».
«Contenta
lei» disse l’agente scuotendo il capo in segno di disapprovazione.
Prima di andarsene tuttavia non perse l’occasione di ammonire
duramente Magnum: «In quanto a te cerca di filar dritto che io ho
un’ottima memoria e non dimentico mai la faccia di uno stronzo!».
Rimasti soli, Marisol prese in mano la situazione: «Cosa vuoi fare Magnum, denunciarmi come mandante dell’aggressione a Dj? Accomodati! ma dovrai comunque spiegare le ragioni per cui tu hai accettato, e d’altra parte non c’è nessuna prova del nostro accordo mentre invece è nota la tua animosità nei suoi riguardi. Piuttosto, dopo questa tua esibizione di forza nei miei confronti, andata in scena sotto gli occhi di diversi testimoni e di un agente di polizia, ti conviene fare in modo che non mi accada nulla di spiacevole o saresti il primo ad essere incolpato».
«Non
c’è mai stato nessun bambino e nessuna proposta di matrimonio,
giusto? Mi hai raccontato solo un mucchio di balle». La verità si
stava facendo strada nella sua mente.
Lei assentì in
silenzio.
«Ma
perché, allora, tendere quell’agguato a Dj?» chiese sconcertato.
«Perché
ha la cattiva abitudine di non mancare mai ad un appuntamento» gli
rispose enigmatica, dirigendosi all’uscita.
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