PIPPO
& TOPOLINO
Dj,
Joe e Marisol, s’erano dati appuntamento alle 16,30 del pomeriggio
al litorale “Primo Sole”, un tratto di spiaggia riarsa e deserta
dove vigeva da molto tempo il divieto di balneazione in attesa di una
bonifica promessa e mai realizzata, il luogo ideale per sperimentare
senza altri spettatori le peculiarità dell’orologio Dalì, ammesso
che il riferimento delle lancette fosse per le cinque di sera e non
di mattina. E ammesso che l’intuizione di Joe fosse giusta. Ad
ogni modo lo avrebbero appurato presto.
Lungo il tragitto
Dj e Joe s’erano imbattuti in Magnum alla guida del suo Suv Ferrari
con accanto una bruna, con la quale discuteva animatamente. Appena li
aveva visti, però, aveva inchiodato in mezzo alla strada e dopo
un’inversione da codice penale li aveva inseguiti e intrappolati
contro un muro. Solo allora s’erano accorti che la bruna era
Evelina, la sorella maggiore di Magnum.
Prima che i due
scendessero dal Suv, Dj aveva avvertito Licantropo: «Joe, fammi il
favore, cerca di restare calmo qualunque cosa dica o faccia quello
stronzo di Magnum, o arriveremo tardi all’appuntamento delle
cinque.»
Ma
Joe neppure lo aveva ascoltato, poiché i suoi sensi, soprattutto
quello della vista, era stati calamitati dall’apparizione di
Evelina inguainata in un abito rosso senza spalline che pareva cucito
sulla sua pelle allo scopo di mostrare, piuttosto che coprire, le sue
forme esplosive. Sotto la cascata di capelli bruni spiccava la bocca
sensualissima laccata di un rosso brillante, mentre il resto del
volto era in ombra, celato da occhiali da sole
oversize.
All’apparizione di Evelina, Joe era rimasto
immobile, quasi senza respirare, e leggermente tremava: le forti
emozioni lo rendevano catatonico.
«Ciao, Eve. Ciao,
Carlo.» li salutò Dj in tono disinvolto, cercando di non far
trasparire l’ansia per quel contrattempo.
«Ciao, Dj» rispose lei in tono amichevole e con uno spiccato accento romagnolo, prima che Magnum, in maniera arbitraria, si riprendesse l’intera scena, calando su di lui e letteralmente schiacciandolo contro il muro.
«Dobbiamo parlare!» gli intimò con la voce impastata di collera.
«Possiamo farlo più tardi? Non prenderla come una mancanza di rispetto Carlo, ma ho promesso a padre Casadio di accompagnare Joe all’ambulatorio per prendere le medicine: ha un aspetto che non mi piace ». disse mentendo, indicando Joe, come paralizzato, perso nella visione di Evelina.
Magnum si voltò a guardarlo, per poi sogghignare: «Ma davvero? Quello psicopatico ha la bava alla bocca, e da come guarda Eve a me pare piuttosto che vorrebbe farsela. E comunque anche con lui ho un grosso conto in sospeso». Il tono, che voleva essere minaccioso, era solamente irascibile.
«Sei
proprio uno stronzo, Carlo » si intromise Evelina «io, invece, lo
trovo carino. Stralunato, ma carino: somiglia a quel personaggio
della Disney… Pippo, l’amico di Topolino. Sì, gli somiglia
proprio» concluse, facendo un giro esplorativo intono a Licantropo
che, immobile, la seguiva con gli occhi.
Magnum
scoppiò in una gran risata: «È vero, tu e il tuo compare sembrate
proprio Pippo e Topolino!».
Dj ignorò la battuta, preoccupato della piega che Eve stava dando alla faccenda.
«Lascialo stare, Eve, per il tuo bene» l’avvertì «perché quando è in questo stato può avere reazioni imprevedibili. Carlo ne sa qualcosa».
«Cazzo dici? Cosa dovrei sapere?» sibilò Magnum toccandosi istintivamente il cerotto sul sopracciglio destro sotto cui languiva la ferita infertagli da Licantropo durante la scazzottata.
«Ora, però, dobbiamo proprio andare ragazzi. Parliamo un’altra volta» disse Dj conciliante, tentando di smarcarsi dalla presa di Magnum.
«E invece non andrete da nessuna parte» lo incalzò il gigante, stringendolo ancor di più nel suo angolo.
Ma quando Evelina propose a Joe: «Che ne dici se lasciamo questi due discutere dei loro affari e noi ce ne andiamo a fare un giro in macchina?» tentò il tutto per tutto e cogliendoli di sorpresa con uno scarto acrobatico riuscì a liberarsi dalla presa di Magnum, afferrare Joe, spingerlo nel Suv, mettere in moto e partire a gran velocità verso il lido “Primo Sole”, senza però dimenticarsi, lungo il tragitto, di far ingerire a Licantropo l’antipsicotico che avrebbe contribuito a stabilizzarlo: «Pillola rossa o pillola blu?» gli aveva chiesto parafrasando le battute di Matrix, il loro film cult. «Pillola azzurra, fine della storia: domani ti sveglierai in camera tua, e crederai a quello che vorrai. Pillola rossa, resti nel paese delle meraviglie, e vedrai quant'è profonda la tana del bianconiglio».
«Rossa» rispose Licantropo senza alcuna esitazione, inghiottendo l’anonima pastiglia bianca che Dj gli aveva porto.
NELLA
TANA DEL BIANCONIGLIO
Quando
Marisol aveva visto il Suv Ferrari di Magnum parcheggiare nel luogo
stabilito per l’incontro s’era istintivamente ritratta, ma poi
quando vide scenderne Dj uscì allo scoperto investendolo con una
raffica di domande: «Dove t’eri cacciato? Perché hai il Suv di
Magnum? E Joe dov’è?».
In quello stesso momento, Licantropo, frastornato e traballante, scese dall’auto e con voce incerta farfugliò: «Andiamo a scoprire la tana del bianconiglio».
«Max,
di quale tana sta parlando Joe? Che storia è questa?» chiese lei
preoccupata, mentre la nota arancione della sua voce vibrava verso il
rosso.
«Te la racconto dopo, ora non c’è tempo. Che
ore sono?» domandò Dj cavandosi di tasca l’orologio Dalì.
«Un
minuto alle cinque».
Dj mise in bella vista l’orologio
sul palmo della mano e si posero in attesa.
Allo scoccare
delle cinque l’orologio Dalì aveva leggermente vibrato e poi s’era
fatto incandescente. L’attimo dopo ci fu l’esplosione. Quando
riaprirono gli occhi i tre si trovarono avvolti da una coltre di
fumo, mentre dalle onde altissime, scure e oleose che avanzavano
verso riva s'era levata minacciosa una colonna d'acqua simile a un
fungo atomico, che man mano che procedeva, però, perdeva di potenza,
fino a disgregarsi in un fuoco d'artificio di scintille d'acqua.
Nello spazio nettato dalle scorie dell'esplosione s'era
materializzata una torre cilindrica bianca spruzzata di nero, dalla
cui sommità emanava una luce ampia e scintillante. La porta era
aperta.
«Un
faro!» esclamarono all'unisono Marisol e Dj.
«La tana del bianconiglio» disse Licantropo, pronto a varcare la soglia.
«Joe… fermati… dove stai andando?» urlò Dj.
«A vedere quanto è profonda la tana del bianconiglio. Ho preso la pillola rossa, ricordi?».
«Non
hai preso nessuna pillola rossa, quella era solo una delle tue
pasticche». E a convalidare la sua affermazione Dj trasse dalla
tasca il blister degli antipsicotici. «E sono bianche!» sbottò
esasperato.
Ma Licantropo era già oltre la soglia e a loro non
restava altro che seguirlo.
CORNELIUS.
E LA STANZA DEGLI OROLOGI
Nell’
ingresso una scala a chiocciola bifida si snodava verso l’alto
disgiungendosi in due pianerottoli opposti, in ognuno dei quali c’era
una porta. Nel corridoio di sinistra la porta era chiusa, in quello
di destra, invece, era aperta e mostrava l’interno di una stanza
arredata come uno straordinario bazar, con strumenti di misurazione
del tempo di ogni tipo ed epoca: clessidre e meridiani, candele
orarie, pendoli, orologi astronomici e meccanici, da tavolo, da polso
e da taschino, con molla a spirale, elettrici, al quarzo, atomici, e
cronometri marini. Al centro della sala una tavola apparecchiata,
dove Licantropo comodamente seduto sorseggiava un tè e piacevolmente
conversava con uno sconosciuto identico in tutto e per tutto a padre
Casadio, dal quale differiva solo per i capelli, più lunghi e
raccolti in un codino, e per la foggia egocentrica degli occhiali, in
sella, però, allo stesso nasone alla Depardieu.
«Accomodatevi, ragazzi, vi stavamo aspettando. Permettete che mi presenti: Cornelius, Guardiano del Faro di Zion. Gradite una tazza di tè?» domandò l’uomo, cordiale. Anche la voce era identica a quella di padre Casadio. Con premura aveva aggiunto due seggiole alla tavola. «Non abbiamo altro a bordo, anche se il tè risulta essere la bevanda più in uso in tutte le latitudini e longitudini».
«Il
tè va benissimo, grazie» rispose Marisol dando una leggera gomitata
a Dj per richiamare la sua attenzione al tatuaggio sul dorso della
mano di Cornelius, raffigurante un coniglio bianco.
«Credo
che tu abbia qualcosa che appartiene a questo luogo e che dovresti
restituirmi» disse Cornelius, porgendo a Dj una tazzina di tè
fumante. «La sua missione l’ha espletata, vi ha condotti qui, è
ora che torni al suo posto» e indicò uno spazio vuoto tra un
vezzoso orologino da donna ed uno robusto da soldato.
«Dunque tutta la messinscena è stata opera sua? E a quale scopo?». Diffidente, Dj, restituì l’orologio Dalì a Cornelius che, con estrema cura, lo ricollocò al suo posto.
«Domande lecite a cui, prima ancora che una risposta, occorre una premessa: io sono vostro amico».
«Esatto» confermò Joe abbracciandolo commosso.
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