Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.

sabato 9 luglio 2022

Il Faro di Zion (cap. 5)


 

HERACLES. E LA STANZA DEGLI SPECCHI
«Voglio mostrarvi una cosa. Seguitemi» Cornelius li condusse davanti la porta chiusa del corridoio di sinistra, prese una chiave del tutto identica alle altre che pendevano dal moschettone legato alla sua cintura, e aprì la serratura.
Su una parete del piccolo ingresso che immetteva in una stanza più grande campeggiava in nero e a caratteri macro la scritta “Temet Nosce”.
La stanza, avvolta da un bagliore ialino era tappezzata da una miriade di specchi che vicendevolmente si riflettevano, ingrandendo o rimpicciolendo, duplicando o spezzando gli spazi e le figure, in un fantastico gioco di prisma.

«È la stanza più particolare che io abbia mai visto!» esclamò Marisol incantata, mirandosi negli specchi che la mostravano gigantessa o pigmea, tonda come una balena o sottile come una giraffa, duplicata o recisa, «così posso scegliere chi essere!».

«La forma e la dimensione non cambiano la sostanza: qualunque sia la tua immagine negli specchi sarai sempre tu» precisò Cornelius.

«A me piaci come sei, Marisol» affermò Licantropo davanti ad uno specchio che lo rifletteva in una sequenza multipla «siamo in troppi». Inquieto, era retrocesso di alcuni passi.

«Questa è la stanza degli specchi, ovvero “della conoscenza”. È il cuore del Faro di Zion, così come la stanza degli orologi, ovvero “del tempo” ne è la memoria».

Con una mano Cornelius sfiorò la superficie di uno specchio e nel riquadro apparve il Faro, una torre cilindrica bianca a strisce nere dalla cui ogiva centrale lampeggiava, ad intermittenza, un’intensa luce gialla ad illuminare il paesaggio spettrale degli stabilimenti “Primo Sole”. A riprova che non si trattava di un semplice fotogramma, ma che tutto era vero e stava avvenendo in tempo reale, inquadrato in primo piano c’era il Suv Ferrari di Magnum, sul cui cofano era ritto un pappagallo gigantesco, alto circa un metro e munito di un becco enorme, adunco.

«Lui è Heracles Squawkzilla, il mio assistente, specializzato nello smantellamento delle automobili» lo presentò Cornelius.

«Coooosa?». A quell’affermazione Dj era sobbalzato: «Quella macchina non è nostra e se qualcuno la distrugge il proprietario poi distruggerà noi».

«Tranquillo, era una battuta!». Cornelius rise, rassicurandolo con una pacca sulle spalle.

«Humor nero. E fuori luogo» ribatté Dj tirando un sospiro di sollievo.

«Da dove proviene Heracles?» chiese Marisol ammirando le dimensioni e il piumaggio dai colori di bosco del pappagallo.

«Dalla preistoria, esattamente dal primo Micene, 16/19 milioni di anni fa. È nativo della Nuova Zelanda, ma da quello che mi è dato sapere vive da sempre qui, nel Faro, col ruolo di assistente».

«Forte!». Joe allungò una mano per toccare l’immagine del pappagallo e d’improvviso lo specchio lo risucchiò al suo interno.

Dj, d’impulso, aveva cercato di seguirlo, ma Cornelius lo fermò: «Accidenti, Heracles ha dimenticato di disinserire il cronotopo dalla porta geodetica, ma state tranquilli che al vostro amico non accadrà nulla che non debba accadergli. O almeno nulla di quello che non è stato previsto».

Marisol, come una furia, gli si avventò contro: «Cosa diavolo significa che non accadrà nulla che non debba accadergli? Basta con i rebus e le magie, lo tiri subito fuori di lì!».

Alla sua collera Cornelius contrappose un sorriso e sfiorando con una mano la superficie dello specchio visualizzò Joe ed Heracles intenti a chiacchierare come vecchi amici. «Heracles è poliglotta» spiegò, beandosi del loro stupore. «Voglio mostrarvi ancora qualcosa». E nello specchio apparve Luna che sfilava in passerella. Luna che inalava cocaina. Luna che si cacciava due dita in gola per vomitare. Sfumata quella sequenza apparve il faccione barbuto di Magnum mentre brigava con due loschi figuri vestiti di nero. Dalla tasca del giubbotto di uno dei due faceva capolino il calcio di una pistola. Prima che si accomiatassero lui aveva porto loro una busta rigonfia.

 
«Non è il mio mondo che dovete temere, ma il vostro» commentò amaramente Cornelius. Poi nello specchio si materializzò padre Casadio al capezzale del Vecchio che beffeggiava la morte. Gli eredi stizziti di quella sua dipartita a puntate avevano deciso di attendere a casa la notizia dell’avvenuto decesso, e così il prete ed il moribondo ingannavano l’attesa giocando a briscola, sfacciatamente barando per imbrogliare la morte. «Ma pure, nel vostro mondo, c’è ancora del buono» concluse con un sorriso.

«Non sapevo nulla di quello che stava accadendo a Luna!». Marisol s’era interrotta sopraffatta dall’angoscia, ma dopo un attimo di silenzio e ricacciando indietro le lacrime, confessò: «No… non è del tutto vero… ho avuto paura di indagare i suoi silenzi e le sue reticenze e l’ho lasciata sola in balia di sé stessa».

«Ora però sai.» disse in tono dolce Cornelius.
Lei assentì drizzando le spalle in un moto di ritrovato orgoglio.

«In quanto a Magnum...». La frase era diretta a Dj.

«L’ho sottovalutato» ammise lui «ma anche adesso che l’ho visto all’opera mi riesce difficile credere che abbia davvero assoldato dei sicari».

«Credo che tu debba prendere atto dei suoi propositi e agire di conseguenza. Ad ogni modo conoscere le sue intenzioni ti darà molti punti di vantaggio».

L’immagine del prete e del Vecchio era stata, nel frattempo, sostituita da quella di Joe ed Heracles alle prese con un frisbee che Joe lanciava alla lunga distanza e il pappagallo, un eccellente corridore a compensare la sua disabilità al volo, inseguiva ed afferrava col suo solido becco.


«Vanno molto d’accordo quei due, tenendo conto che Heracles non ha un carattere facile» commentò Cornelius divertito.

«Se per questo neppure Joe ha un bel carattere». La nota arancione nella voce di Marisol vibrava di tenerezza.

«Cornelius, perché tutto questo interesse nei nostri riguardi? E non le sarà di certo sfuggita la sua incredibile somiglianza con padre Casadio. Ci deve qualche spiegazione, non crede?».

In tono pacato, ma deciso, Dj esigeva chiarimenti.

Cornelius assentì con un cenno del capo, e sfiorando con la mano il centro dello specchio, attivò l’invisibile porta geodetica e Joe ed Heracles, con ancora il frisbee nel becco, furono catapultati nella stanza.

«Maledizione, Cornelius» inveì Heracles sputando il frisbee a terra e massaggiandosi un’ala, «per poco non ci rimettevo l’osso del collo». Premurosamente il pappagallo si sincerò sulle condizioni di Licantropo: «Stai bene, Joe?». Aveva la stessa voce umorale dello chef Gordon Ramsay.

«Tutto ok,amico» lo rassicurò Joe riconquistando la posizione eretta.

Ignorando il tono stizzito con cui Heracles s’era rivolto a lui, Cornelius amabilmente lo presentò ufficialmente ai suoi ospiti: «Marisol e Dj, ho il piacere di presentarvi Heracles Squawkzilla, il mio prezioso e insostituibile assistente».

«Bla bla bla bla» gli fece eco il pappagallo «non cercare di blandirmi col miele delle parole dopo aver attentato alla mia vita». Nello stesso tono ammonì Marisol che non riusciva a staccargli gli occhi di dosso: «E tu smettila di fissarmi! Non hai mai visto un pappagallo?». E senza attendere risposta raccattò col becco il frisbee e poi con un’ala sfiorò lo specchio, ma prima di sparire al suo interno si rivolse a Licantropo: «Ti aspetto fuori per terminare la partita».

«Puoi contarci, amico» rispose Joe alzando il pollice.

IL FARO DI ZION AL CENTRO DEL MULTIVERSO
Uscito Heracles, Cornelius aveva preso la parola: «Dj mi ha chiesto se ho notato la mia straordinaria somiglianza con padre Casadio: impossibile non vedere che siamo due gocce d’acqua… o magari anche tre». Toccò uno specchio materializzando l’immagine di un uomo identico a lui e a padre Casadio, vestito con caffettano rosso scuro, sullo sfondo di un paesaggio alieno. «Ma di un altro me sono certo che ne esista anche un quarto». Apparve un altro Cornelius che beatamente dormiva su un’amaca. «Sto per presentarvi il quinto me» preannunciò davanti al primo piano di un uomo alticcio e in disordine, con i denti guasti, gli occhi pesti e il naso alla Depardieu, «ma la molteplicità degli alter ego nel Multiverso non riguarda solo me». Specchio dopo specchio, Cornelius aveva dato vita ad un variegato carosello di Marisol, di Dj e di Joe Licantropo. «Trovate qualche somiglianza con voi stessi?» domandò loro divertito, «ognuno di noi vanta ben dodici gemelli, così quanti sono i pianeti del Multiverso. Il solo a non averne è Heracles, esemplare unico, compensato, però, da dodici vite».

«E nessuno di loro sa di avere undici gemelli?» chiese Dj sbalordito.

«Qualcuno forse lo immagina o lo spera. Ma le possibilità di un vis a vis sono remote quanto la distanza che ci separa, così grande che il numero di chilometri ha più cifre di quante sono le particelle dell’Universo conosciuto. Il Faro di Zion, fino ad oggi, ha rilevato dodici universi popolati e il loro insieme ha dato origine al Multiverso al cui centro si trova appunto l’Isola di Zion col suo Faro, la caverna cosmica dove la memoria degli uomini non è affidata ai graffiti ma racchiusa negli specchi: la più grande banca dati del Multiverso».

«Ma noi perché siamo qui? Che ruolo abbiamo in tutto questo?». La domanda di Dj, rimasta sospesa tutto quel tempo, era stata finalmente formulata.

«Una parte estremamente importante. E la scelta non è stata affatto casuale dal momento che si tratta del prossimo Guardiano, il mio successore, che deve possedere doti specifiche, straordinarie. Ed ho individuato in Dj, il prescelto: altruista, generoso, coraggioso, positivo, privo di pregiudizi: mente e cuore aperti».

Le parole di Cornelius furono accolte da un silenzio stupefatto.

«E se non accettassi?» domandò Dj sotto choc per quella proposta inaspettata.

«Pillola azzurra, fine della storia: domani ti sveglierai in camera tua, e crederai a quello che vorrai». rispose Cornelius serio, ma l’attimo dopo scoppiò a ridere: «Ovviamente scherzo! Non ti verrebbe praticato alcun lavaggio del cervello per il semplice fatto che nessuno crederebbe al tuo racconto». Poi, guardandolo negli occhi e sorridendogli comprensivo, ribadì: «Nessuna coercizione, Dj, perché il tuo sì alla mia proposta dovrà essere libero e consapevole».

«Non può pretendere questo!». C’era smarrimento e collera nella voce di Marisol.

«Glielo sto chiedendo e non imponendo».

«Se Dj resta, resto anch’io!» esclamò Licantropo. Poi rivolto a Cornelius, in tono accusatorio: «Avevi detto che eri nostro amico».

«E lo sono, Joe, sinceramente e profondamente. Sono consapevole di star chiedendo a Dj di fare una scelta estrema, ma quello che gli offro in cambio è un’avventura fantastica che solo a pochi eletti è dato di vivere. Anch’io…».

Marisol lo interruppe bruscamente: «Una vita solitaria da trascorrere rintanati in questo Faro a spiare negli specchi le esistenze degli altri non mi sembra così entusiasmante».

Cornelius rise di cuore: «Al contrario, Marisol, è una vita straordinariamente ricca di relazioni e di scoperte, avendo la possibilità di viaggiare nel tempo e nello spazio e di usufruire della meravigliosa ospitalità dell’Isola di Zion».

«Ma a cosa serve tutta questa conoscenza se non è condivisa, se è confinata nella banca dati del Faro?». La domanda di Dj era risuonata sferzante come lo schiocco di una frusta.

«Ti sei mai chiesto perché esistono tante voci verbali per raccontare il passato, che è unico, mentre esiste un solo tempo per ipotizzare gli infiniti futuri? Bisogna partire da questo interrogativo linguistico per avere la visione, a largo spettro, della complessità della missione del Faro di Zion. Dodici mondi diversi, quelli fino ad oggi scoperti, generati da una bolla atomica o da un Big Bang così come dal respiro di un dio o da qualsiasi altra ipotesi di nascita, distanti una cifra inconcepibile di anni luce e destinati per i prossimi millenni a rimanere ancora sconosciuti gli uni agli altri, ma nel frattempo rafforzandosi ognuno nella convinzione di essere il solo padrone dell’universo. La nostra missione è di osservare, studiare e documentare il cammino dei popoli del Multiverso verso quel futuro remoto quando prenderanno atto delle reciproche esistenze, ma non possiamo influire, condizionare o modificare le loro scelte. Se il Faro è l’osservatorio delle realtà parallele, l’Isola di Zion ne è il naturale laboratorio. Ai Guardiani del Faro provenienti come me da altri pianeti, al termine della missione, viene concessa la cittadinanza onoraria e la possibilità di stabilirsi a Zion, insegnare nella sua Università per condividere la propria preziosa esperienza, o ricoprire cariche di rilievo, mentre coloro che decidono di ritornare a casa possono liberamente farlo senza sottoscrivere alcun vincolo del silenzio, per il motivo che nessuno crederebbe al loro racconto. Ma ci sono anche quelli, come il vostro Philip Dick, il silveriano Ubky Hrit Morgane, Kannika Orryymar di Atreide, (tra i guardiani ci sono anche donne) che hanno trasposto in letteratura questa loro esperienza suggerendo scenari inediti e mostrando nuovi orizzonti, e spargendo in questo modo il seme primevo della conoscenza».

«Philip Dick è stato un Guardiano?» Dj e Joe, appassionati di science fiction, erano scattati all’unisono.

«Uno dei migliori, perfino» confermò Cornelius con un largo sorriso.

Marisol, di proposito, intervenne a gamba tesa ad infrangere quell’atmosfera insidiosa di complicità maschile: «Che Philip Dick sia stato un Guardiano lo asserisce lei, Cornelius, senza per altro produrre alcuna prova». Poi, rivolta ai suoi due amici, esclamò allargando le braccia: «E voi ci credete!».

«Non c’è da arrabbiarsi, Marisol, siamo semplicemente rimasti meravigliati da questa rivelazione» disse in tono conciliante Joe. 

«Perché non dovremmo credergli? L’orologio Dalì, il Faro, Heracles, gli specchi: è tutto vero. E se noi siamo qui perché non potrebbe esserci stato anche Phil Dick?». Il ragionamento di Dj fu interrotto da Joe che gli mostrò uno specchio che rimandava le immagini di un giovane Dick seduto allo stesso tavolo dove Cornelius aveva loro servito il tè, e poi, en plein air, mentre giocava a frisbee con Heracles, e ancora, intento a scrivere, seduto sulla soglia del Faro.

«È sufficiente come testimonianza del soggiorno di Dick a Zion?». Non c’era ironia nella voce di Cornelius, ma solo una lieve impazienza.

«Se per ipotesi accettassi, cosa accadrebbe?».

La domanda gettò Marisol nello scoramento: «Max…non starai dicendo sul serio, vero?».

«Ho detto per ipotesi» ribadì lui con dolcezza.

«Per ipotesi rimango anch’io» tagliò corto, Joe.

«Ci sarà un periodo di apprendistato dove io ti introdurrò alle dinamiche e ai segreti del Faro e alla conoscenza del codice etico che regolamenta il tutto. Heracles completerà i miei insegnamenti» rispose Cornelius.

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