Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.

martedì 13 febbraio 2024

Clandestina


 Giorno 1
Clandestina

E' ora di tornare a scrivere, mi sono detta stamani come ormai mi sollecito da tanti mesi, visto che nel mio computer giacciono accatastati, come corpi di anonimi soldati in un cimitero di guerra, racconti incompiuti, appunti e bozze a cui dare un destino.
Ma oggi, magari, è la volta buona che riesco a superare il blocco del foglio bianco.
Complici di questo mio stato d'animo sono un cielo di porcellana celeste e un vago tepore marzolino, promessa di una primavera prematura, perché sebbene sia ancora gennaio nel coccio sul davanzale, tra i detriti di terra desolata, fa capolino la prima violetta, introversa esploratrice che inebria l'aria col suo intenso profumo di caramella, e intriga i sensi con la fiamma fredda del colore dei suoi petali. 
Premesse di una primavera ante tempore e del mio cambiamento di vita, questo già in corso, che mi permette di vivere sulla base delle mie necessità (la scrittura) e non più solo sugli obblighi esistenziali (il lavoro)
Un nuovo corso dove finalmente posso dilatare o restringere il tempo secondo il mio umore. 
E la mia ispirazione.
Ma è quest'ultima che ho scoperto essersi data alla macchia, la clandestina della quale non ho più, da un'infinità di mesi, alcun sentore, nonostante tutte le mattine cerchi di evocarla attraverso parole, frasi brevi per lo più, straordinariamente cariche di tutto ma prive, però, di un vero senso logico. 
Come se in quell' accozzaglia di parole incoerenti fosse nascosta l'ispirazione.
E' un guazzabuglio tondo che non origina da un punto di partenza e non ne ha uno d'arrivo, così da essere ai suoi estremi saldamente congiunto in un tutt'uno. Un nucleo dal quale io sono fuori.
 Esterna. Ed esclusa. 
Clandestina.  
Ignorata da quel vorticoso girotondo di frasi ermetiche, dada, indecifrabili o, peggio ancora, balbettanti. Troppo spesso pretestuose o banali che non mi portano a niente. Di sicuro non alla risoluzione della mia apatia mentale.
 E di questo mare fermo, laddove prima turbinavano uragani, non so che farmene.

Giorno 2
Puck

Ho trascorso, pure oggi, un lungo tempo seduta al computer senza partorire nessuna idea se non spezzoni d'immagini sfocate o in penombra, impossibili da tradurre in parole.
 Anche stamani c'è lo stesso lembo di cielo celeste, terso e asciutto, come una pregiata seta cinese.
Un cielo senza nubi né ombre, perché quelle sono tutte nelle immagini concepite dalla mia mente. 
Ah, se con quelle potessi invadere questo fazzoletto di cielo, espanderlo e plasmarlo nella sua piatta geografia, fino a scomporlo ed alterarlo nella rifrazione di un prisma!
Un gioco ottico tridimensionale.
Un tentativo di riscrittura della realtà.
Se solo riuscissi a tessere l'inganno ritroverei la mia ispirazione.
Non più clandestina, ritornerei al mio centro.

Il mio gatto Puck fa il suo ingresso con la coda dritta, mi guarda sornione e con un balzo salta sul davanzale della finestra. Dal vetro scruta il mio stesso angolo di visuale, poi si allunga verso la maniglia, segno che vuole uscire. Un gesto pigro ed insieme imperativo. Io non ottempero meccanicamente al comando e lui si gira a guardarmi stupito, abituato com'è alla mia sollecitudine. Allora apro la finestra e con un agile balzo plana nel giardino sottostante, dove si stiracchia al sole. 
Padrone di quel suo angolo di mondo non sente il bisogno d' inventarne altri. 
Lui è al suo centro. 
Lui ne è il centro.

Giorno 3
"Heaven is a place on Earth"

 Una notte tonda, questa appena trascorsa. Tonda come il girotondo di bambini che, uniti per mano, cantavano nel mio sogno "Heaven is a place on Earth", in un prato primaverile colmo di violette, sullo sfondo di un cielo turchino e sotto lo sguardo benevolo di Puck, acciambellato al centro del girotondo.
...il paradiso è un posto sulla terra, cantavano i bambini,
...dicono che in paradiso l'amore viene prima di tutto, trasformeremo il paradiso in un posto sulla terra, promettono, certi nella forza dell'amore. E della sua infallibilità. 
Perché i bambini credono nelle cose potenti, invincibili e magiche. Come l'amore.

Un tempo ci ho creduto anch'io all'amore che si è rivelato, però, essere una favola senza lieto fine e, quando tutto è finito, per non soccombere alle oppressioni del cuore e a quelle della mente, sono ricorsa all'immaginazione. Così ho cominciato a costruire realtà alternative entro cui rifugiarmi. Ad inventare storie. E poi a scriverle, sia pure per un pubblico immaginario.
La scrittura è stata per tutti questi anni il mio paradiso, il mio posto sulla terra. 
Ora però che ho perso l'ispirazione, e con essa il diritto ad abitarci, mi sento una clandestina.

Oggi non farò nessun tentativo di scrittura. 

Giorno 4
Scenari opposti e discordanti

Ho impostato "Heaven is a place on Earth" come suoneria sul mio cellulare. Mi ritrovo anche a canticchiarla mentre sfaccendo. 
Puck ieri non è rientrato a casa. Non è la prima volta  che capita, deve avere un suo rifugio segreto o una tresca amorosa con qualche gattina in zona. O magari un'altra famiglia. Una doppia vita, insomma. Dovrò pedinarlo per vedere verso chi, e dove, lo conducono i suoi vagabondaggi.
 Sorrido a questa situazione da sitcom.
La violetta, sul davanzale, è in piena fioritura, in netto contrasto con gli arbusti legnosi che dal giardino si arrampicano fino alla mia finestra, e le cui ramificazioni, come dita scheletriche, si protendono torve a volerla ghermire. La sposto dal davanzale al tavolo della cucina, accanto al cestino della frutta. Rimiro la mia composizione rendendomi conto, con disappunto, che ho appena realizzato una natura morta. Mi viene da riflettere sulla  transitorietà sulla vita. D'un tratto mi sento triste.
Ricolloco la violetta sul davanzale, perché quello è il suo posto. Il suo paradiso sulla terra.
Mi sento sollevata. Più tardi chiamerò l'amministratore perché incarichi un giardiniere per la potatura degli arbusti. 

Per tutta la giornata ho volutamente ignorato il computer, ma quello che non sono riuscita ad ignorare è il contrasto tra l'interno della casa, opprimente e scuro, e l'esterno, luminoso e rarefatto. Scenari opposti e discordanti di due realtà parallele e prospicienti.
In una di queste sono prigioniera, nell'altra, invece, clandestina.

Annotta velocemente e Puck non è ancora tornato. Così come non è tornata l'ispirazione.


Giorno 5
Una nuvola

Nel sogno, Puck, si è inerpicato fino alla finestra della mia camera e, per richiamare la mia attenzione, miagola e gratta alle imposte. Nel trambusto cade, nel giardino sottostante, il vaso della violetta. Mi alzo e apro la finestra per farlo entrare. Puck fa capolino dall'apertura e, con uno scarto deciso, s'insinua dentro. Dalla finestra scruto nel buio il punto dove è caduto il vaso, e con meraviglia scopro che tutto il giardino è fiorito di violette. Un fantastico tappeto, vivido e profumato, a rivestire il misero praticello condominiale. Anche gli anoressici arbusti sono fioriti. Si evidenziano nel buio, cosparsi da una variegata nebbiolina rosa pallido e bianca, che stuzzica i sensi con note penetranti di gelsomino.   

Mi sveglia il raspare di Puck alla finestra e il sonoro picchiettare della pioggia sulla grondaia. Mi alzo per farlo entrare. La violetta è al suo posto sul davanzale ma, alla luce cruda dell'alba i suoi  petali appaiono sciupati e sbiaditi.  
E' una qualsiasi mattina di gennaio, questa, umida e piovosa. Incolore.
La meteorologia si è riconciliata con la stagione in corso. 
 Vado in cucina richiamata dal miagolio insistente di Puck che reclama la colazione. Riempio le sue ciotole e preparo la moka per me. Nel frattempo ha smesso di piovere. 
Reduce dalla sua notte di vagabondaggi, Puck, ormai sazio, dorme acciambellato su una sedia nel calore confortevole della casa. Sorseggio il mio caffè davanti alla finestra dove una piccola nuvola, rosa e arancio, gira in tondo nel lembo di cielo circoscritto dal quadrato del vetro. Mi ricorda un pesciolino rosso prigioniero in una boccia di vetro. Un nodo mi stringe la gola. Spalanco la finestra per affrancare la nuvola dalle barriere della mia visuale. Non più confinata nel limite del mio sguardo, è ora libera di travalicare i confini del cielo fin dove la materia si fa più sublime. 

Mi piacciono le nuvole perché non hanno una provenienza specifica e neppure una meta. Non le puoi trattenere o imprigionare o conservare. Sono figlie del vento e della pioggia. Hanno un cuore zingaro, non si legano a nessun luogo e a nessuna stagione. Sono anarchiche. Nessun Dio e nessun padrone. Nessuno che le governi. Nessuno che le possa ingabbiare dentro un confine, una legge o un credo.
O un sogno. Tanto meno costringerle a nascondersi. Perché nessuna nuvola sarà mai clandestina.

Nessuna nuvola sarà mai clandestina. L'ho scritto col rossetto sullo specchio. L'ho scritto di getto per fissare la traccia mutevole della piccola nuvola rosa e arancio che ha sostato, per un breve momento, davanti la mia finestra. L'ho scritto e subito dopo cancellato, perché non mi serve un promemoria ora che ho chiara la trama. Un racconto su cose potenti, invincibili e magiche. Come lo sono le nuvole, i fiori, i bambini e i gatti. 
E l'amore, col quale trasformare il paradiso in un posto sulla terra.