Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.

domenica 29 gennaio 2023

Cagliostro e Drugo: amici/nemici/fratelli

 


Ho raccontato molto dei miei gatti e, nonostante stiano con me ormai da molto tempo (otto anni Cagliostro e quattro Drugo) continuano ogni giorno a sorprendermi con l'innocenza, la spontaneità e, in alcuni momenti, la stravaganza delle loro performance.
Guardarli è come sfogliare un fumetto o assistere a un film della Disney: il sorriso mi si stampa in automatico sulla bocca, qualunque sia il mio umore.
Così schiettamente diversi, Cagliostro e Drugo, non hanno mai ipocritamente tentato, come spesso è nella natura umana, di falsificare le carte e spacciarsi per quello che non sono o, addirittura, voler essere l'altro.
Fieri di essere indiscutibilmente se stessi, non hanno mai tentato di addomesticarsi ai miei desideri neppure per il miraggio di un premietto.
... e, a tal proposito, cosa se ne fanno del mio benestare se Cagliostro, ormai abile scassinatore di credenze e cassetti, se ne approvvigiona autonomamente, spartendo le ruberie col suo coinquilino?
Mangiano insieme la refurtiva, seppure Drugo, più agile e vorace, soffia all'altro l'ultimo boccone. Cagliostro, a tutta prima, pare non aversene a male, anche se continua per un po' ad annusare il pezzetto di pavimento dove prima c'era il bocconcino trafugato. Terminato il pasto, fuori menù e fuori orario, in sincronia, seppure dislocati in angoli diversi, i due sodali si leccano i baffi e le zampe, si stiracchiano e sbadigliano.
Drugo, come consuetudine, dopo ogni pasto s'appisola, Cagliostro, invece, la tira per le lunghe. Lui, che pure è tipo da letargo, diventa tutto ad un tratto irrequieto, quasi che passata la botta di adrenalina della malefatta, abbia bisogno di ripetere l'esperienza. Stavolta, ad essere scassinata è la porta di casa. La maniglia cede dopo il primo vigoroso, maschio assalto, destando dal sonno Drugo che, attratto da quello che gli sembra un nuovo gioco, scansa Cagliostro seduto indifferente sulla soglia e cerca la via dell'avventura lungo le scale. Ovviamente mi precipito affannata a recuperare il fuggitivo mentre lo scassinatore resta immobile sull'uscio. Quando risalgo con Drugo in braccio, lui, con aria di sufficienza, si sposta quel tanto che basta a lasciarci passare e, senza alcuna sollecitazione da parte mia, rientra in casa.
«Volevi smammarlo?» Lo sgrido, mentre mi fissa impassibile. Poi, dopo aver chiuso a chiave la porta, puntandogli il dito contro, lo avviso: «Se lo rifai ancora sarai tu a sloggiare, capito?» Cagliostro non si scompone alla minaccia e placidamente ignorandomi s'avvia al divano sotto cui Drugo, dopo che l'ho sgridato, per prudenza s'è rifugiato e dove, nel frattempo, ha scovato una pallina che con abilità calcia e poi rincorre per la stanza, proponendosi nel doppio ruolo di attaccante e difensore. Nell'enfasi del gioco la scaglia in un angolo da cui rimbalza e finisce tra le zampe di Cagliostro, che fino a quel momento ha seguito annoiato il trambusto prodotto dall'altro, che se ne impossessa senza dar mostra di restituirla. E' nella sua area e a quanto pare non intende rimetterla in campo. Drugo, sulle prime, fraintende l'intenzione dell'altro ipotizzando la sua adesione al gioco, così rimane in attesa del rilancio, ma quando questa si prolunga, lo sollecita dapprima con brevi, amichevoli miagolii, poi, capita l'antifona tenta, con l'irruenza che gli è propria, di riprendersela e, con un'acrobazia felina, gliela soffia via, correndo sotto il letto. Cagliostro non ci sta e parte all'attacco per ritrovarsi entrambi in un turbinio rarefatto di peli sopra il letto a suonarsele di santa ragione. Cagliostro è di stazza maggiore ma l'altro non si fa intimorire, glissa le zampate e se ne frega delle soffiate, con un agile mossa lo scavalca e si catapulta a terra. La lotta continua in tutti gli angoli della casa, sopra e sotto i mobili, perfino nella lettiera dove Drugo, sconsideratamente, s'è andato ad infilare. Il rumore della sabbia che dalla cassetta travasa sul pavimento m'induce ad intervenire. Di solito non m'intrometto nelle loro faccende se non per controllare, discretamente, che nessuno dei due si faccia male e non mi distruggano casa. E' un gioco, quello della lotta...per Drugo lo è di sicuro, Cagliostro però è fumantino e credo non abbia dimenticato che una volta, in questa casa, era tutto suo, d'esclusiva proprietà perché non c'era nessun cacacazzi a fottergli i bocconcini onestamente rubati.
«Adesso basta!» Li rimprovero severa nell''intento di riportare, tra i due gladiatori, una pace seppur forzata.
Due paia di occhi color ambra mi fissano. Due code svettano.
Non capisco se è una resa o una minaccia.
«Meow». Miagola Drugo, consenziente, scrollandosi vigorosamente di dosso residui di sabbietta, che sparpaglia fin sotto la porta.
Cagliostro, che è un aristocratico, lo guarda disgustato (se non fosse total black, giurerei di avergli visto alzare il sopracciglio), poi, con noncuranza s'avvia alla credenza della sala da pranzo.
Drugo lo segue e gli si pone a lato. Affiancati nel minuscolo spazio di una mattonella, di nuovo uniti, in attesa che io entri e apra quella credenza, per il rito della sera, quello della spartizione di uno snack
«Meow». Implora, con un vocino dolce, Drugo., guardandomi coi suoi occhi tondi da bambino.
Contrasta il silenzio di Cagliostro che per me, invece, è molto eloquente: «Ci dai il premietto di tua spontanea volontà o quando dormi dovrò forzare la credenza?»

Marilena

lunedì 16 gennaio 2023

Una favola dark nel fragore della notte di San Silvestro



"Se volete un lieto fine, questo dipende, naturalmente, da dove interrompete la vostra storia"
(Orson Welles)

Passata la mezzanotte, quando le striature di fiamma degli ultimi fuochi d'artificio sono tramutati in liquide gocce d'inchiostro per essere subito dopo inghiottite dal buio dell'ultima notte dell'anno, mentre mi accingo a chiudere la finestra, sono balzati sul davanzale, e poi sul pavimento della mia camera da letto, due strane creature: un elfo con un cappello a punta e una coda di gatto che fuoriesce dal retro dei pantaloni alla zuava, e ai piedi indossa buffe scarpe con la punta ricurva. Con lui c'è una donnina somigliante ad bambola di pezza, vestita da una mantellina rossa dal cui cappuccio, calato sulle spalle, fuoriescono biondi riccioli di stoppa che incorniciano, nel viso di porcellana, due occhi enormi, color fiordaliso. La donnina stringe in una mano l'archetto di un violino.
Ho solo il tempo di tirarmi indietro che quelli, come un lampo, sono catapultati sul mio pavimento: l'elfo atterrando saldo sui propri piedi, la donnina di pezza, invece, flettendosi lievemente sulle ginocchia, ma riconquistando subito dopo, e con inaspettata grazia, la posizione eretta.
Dal canto mio non aspettavo visite, se non quelle che, data l'ora notturna, si fanno nei sogni o, come nel mio caso, nell'insonnia
Restiamo immobili, per un lungo momento, a studiarci nella luce bianca e fredda della stanza che mette in risalto, con dovizia di particolari, le straordinarie peculiarità dei miei inattesi ospiti, i quali, però, non sembrano gradire di essere al centro di quel troppo illuminato palcoscenico. Ed ecco che l'elfo, con uno schiocco di dita, ammorbidisce i toni crudi della lampadina al neon riportando la stanza alla penombra.

«Meglio, Ombretta?» domanda premuroso alla sua compagna, che muovendo l'archetto su un invisibile  violino gli risponde con la languida nota.

«Chi siete?» M'intrometto pronta a far valere i miei diritti di padrona di casa.

«Lei è Ombretta ed io sono Osv Ald». Risponde l'elfo con la voce affascinante di un doppiatore cinematografico, del quale, però mi sfugge il nome.

Colgo una nota irridente nella risposta dell'elfo, quasi che fosse sufficiente quella striminzita presentazione a giustificare l'irruzione a casa mia. Così ribadisco puntigliosa: «Si, ma oltre a questo, che ci fate qui? Cosa volete da me?».

«Ci siamo smarriti a causa delle improvvise, violente luci assordanti che, squarciando il cielo, ci hanno fatto perdere il senso dell'orientamento, deviandoci dalla nostra traiettoria». Recita l'elfo.

Luca Ward! ecco chi è il famoso doppiatore di cui mi sfuggiva il nome. Osv Ald ha la stessa voce di Luca Ward. Ma le similitudini si fermano a questo, perché la figuretta infantile, da libro di fiabe, non ha null'altro in comune con l'affascinante attore/doppiatore/conduttore radiofonico. E questa constatazione mi riporta al presente: «Qui, però, non potete stare». Polemizzo spalancando i vetri della finestra. «Prego» E con un gesto della mano l'invito ad andarsene. 

Mi risponde la nota straziante del violino invisibile di Ombretta. Una nota prolungata e singhiozzante come il pianto di un bambino strappato alla culla. 

«Chi siete?» chiedo di nuovo quando il suono svanisce, e invano tento di focalizzare nella penombra l'invisibile strumento che lo ha generato.

«Lei è Ombretta ed io sono Osv Ald. Ci siamo smarriti a causa delle improvvise, violente luci  assordanti che, squarciando il cielo, ci hanno fatto perdere il sen...». 

«Questo  l'ho capito, ma non basta!» Sbotto impaziente avviandomi verso l'interruttore della luce.

L'elfo schiocca di nuovo le dita e il pavimento, man mano che avanzo, duplica, triplica, quadruplica, quintuplica nel suo perimetro, allontanando sempre di più l'interruttore.

«Non serve la luce per vedere. Non ti fidi dei tuoi occhi? Hai visto tutto quello che c'era da vedere ma ancora dubiti di te stessa, ti ostini a cercare quello che non c'è ed ignorare, invece, quello di cui hai contezza». Osv Ald  mi guarda con tristezza e scuote la testa con disappunto. «Mi fai davvero pena perché pur avendo il dono della vista sei del tutto cieca». 

A sottolineare questa drastica affermazione c'è il suono malinconico del violino che si diffonde nell'aria come l'amaro profumo dell'artemisia, mentre Ombretta dirige con dita sicure l'archetto sulle corde invisibili del suo immateriale strumento. Quando la melodia tace, mi fissa coi suoi grandi occhi color fiordaliso che diventano azzurro violetto quando incontrano quelli di Osv Ald. Confusa ne distoglie lo sguardo, e le lunghe ciglia disegnano una mezzaluna scura sotto le palpebre socchiuse, come un morbido ventaglio di piume. 
Non ho mai avuto bambole con occhi così belli. Così vivi. E, ancor meno, che suonassero il violino, o interagissero con qualsiasi altro oggetto in maniera così veritiera. Così realista.
Ho avuto una bambola parlante, ma il suo vocabolario si limitava a poche, infantili parole, scandite con voce meccanica. Per farla parlare dovevo darle la carica attraverso un pulsante posizionato sulla schiena e lei diceva "sonno" "fame" "cacca" con tono incolore. In quel suo coinciso lessico mancavano le frasi "ti voglio bene" o "prendimi in braccio". La mia bambola parlante difettava dei vocaboli dell'amore. 

«Il violino è la voce di Ombretta che, per tua informazione, non è una bambola.». Fa eco ai miei pensieri la voce fascinosa di Osv Ald.
 
«Sai leggere il pensiero?» Domando incredula «Perché stavo giusto pensando ad una mia bambola»

«So fare molte cose». Risponde con una piroetta che lo trasporta, con un solo movimento, nella parte opposta della stanza, a scalarne le pareti, a camminare a testa in giù sul soffitto e poi, con agilità felina, cadere sui piedi. «So fare questo ed altro, come dilatare o restringere lo spazio; proiettare l'esterno nell'interno e viceversa; agire sulla forza di gravità e sulle dimensioni temporali multiple. A questo lungo elenco delle mie peculiarità, manca però la dote di mentalista. Ma voi siete così elementari e prevedibili che capire cosa vi passa per la testa non è affatto difficile». Mi fissa ironico, e poi procede con disappunto: «Una bambola! E' un pensiero davvero scontato nei confronti di Ombretta. E' quello che tutti pensano quando la vedono per la prima volta. E anche la seconda, e la terza, e così via di seguito. Una bambola di pezza, un essere inanimato, priva di anima e di pensiero. Una banale imitazione di voi esseri senzienti. Nessuno osa credere che Ombretta, esattamente come me sia di carne ed ossa».

«Mi stai dicendo che siete umani?» chiedo perplessa.

«Bè, la parola umani non è la più appropriata ma è l'unica similitudine che le vostre menti limitate, ma pure così straordinariamente arroganti, sono in grado di capire. Non esistete solo voi nell'immenso universo. Ci sono mondi strepitosi e diversi dal vostro che non vedete ma, ancor peggio, quando avete la fortuna d'incapparvi, li denigrate. Li disprezzate. Nella migliore delle ipotesi l'ignorate».

«Quindi voi due, così diversi, allora non provenite dallo stesso mondo».

«Non capisco se questa tua è una domanda o un'affermazione». Al tono divertito di Osv Ald fa eco il trillo brioso del violino di Ombretta. I due si scambiano uno sguardo d'intesa ed allora a rispondermi è lei, e lo fa a modo suo, attraverso quel suo violino fantasma, con una melodia di una tenerezza struggente che trapassa l'anima e i sensi. E quella musica è di certo la voce di un angelo o di una sirena, o di una donna innamorata che racconta la storia di un sentimento che sfida le differenze e le diffidenze, che non conosce barriere e s'affida alla incorrotta, e incorruttibile, certezza dell' amore.

 Quando il violino tace, Osv Ald riprende il discorso: «Si può essere diversi e non esserlo. Questo non significa abiurare la propria natura, disconoscere le proprie dissomiglianze ma, al contrario, farne un punto di forza e con quello costruire una più complessa, e completa, armonia. Io sono in perenne movimento, lei ha bisogno di un punto d'approdo. Io sono la trottola e lei è il perno su cui giro, la forza di gravità senza la quale rotolerei velocemente verso il nulla. Se Ombretta ha bisogno del mio movimento io, altrettanto, necessito della sua stabilità. Insieme ci completiamo. Insieme siamo un unico».

Confesso di provare una punta d'invidia per questa loro storia dove c'è materiale per un film Tim Burton. Lo penso d'istinto, senza tradurre il pensiero in parole.

«...o Guillermo del Toro» mi fa eco Osv Ald. Ma forse è solo la mia immaginazione.

Decido di tenere per me questo dubbio dal momento che mi è chiaro che lui, poiché gli fa gioco, non  ammetterà mai di avere doti da mentalista, così  mi limito a sorridere e ad assentire con il capo.
Ma pure ha ragione quando afferma che noi umani siamo elementari, prevedibili. Scontati. Per cui non ci sarebbe niente di diabolico nella sua capacità d'interpretare la logica umana e prevenirne il pensiero, essendo egli un attento osservatore, un fine psicologo, e un persuasivo affabulatore.
 Lo guardo per verificare se questa mia ultima, insinuante riflessione riesce a provocare una sua qualche istintiva reazione. Ma niente. La sua espressione non tradisce nulla. 
Sorrido del mio puerile riscontro, consapevole che se davvero possedesse capacità telepatiche, di ogni mia strategia programmata per indurlo a svelarsi, lui ne verrebbe, in tempo reale, a conoscenza, neutralizzandomi.
Contraccambia il mio sguardo con un misto d'indignazione ed ironia, poi si volta verso la sua compagna:« Ora che i cieli si sono placati, potremmo rimetterci in cammino, mia cara, naturalmente se non sei troppo stanca, e togliere così il disturbo, dal momento che qui non siamo i benvenuti».
Ombretta non ha il tempo di una risposta che lui l'ha già presa per mano, e la guida verso l'uscita
Lei si gira verso di me e mi guarda malinconica, con quei suoi splendidi occhi fiordaliso dove tutta la tristezza del mondo pare essersi, d'un tratto, annidata. 

D'improvviso, il sospetto che la donnina di pezza possa essere ostaggio dell'elfo, si fa strada nella mia mente. E il timore che il racconto del suo violino non fosse quello di una tenera storia d'amore, ma una sommessa, accorata invocazione di aiuto, diventa plausibile, così mi precipito verso la porta: «Di solito non sono così scortese.Vi prego di scusarmi. Non so cosa mi abbia preso. I botti di fine anno e quelli dei fuochi d'artificio innervosiscono anche me. Potete rimanere» Mi rivolgo ad Osv Ald, cercando di non far trapelare l'affanno nella mia voce: «Ombretta è visibilmente stanca. Lasciamola riposare ancora un pochino».

«Prima ci cacci e poi cambi idea. Ora ti preoccupi della stanchezza di Ombretta. Sei ben strana, anche per essere un'umana». Mi guarda sarcastico: «Ah, se solo potessi leggerti nella mente!». Non mi dà il tempo di rispondere che già è rivolto alla violinista e le domanda premuroso: «Sei ancora stanca, mia cara? Quanto stanca? Perché per la nostra ospite lo sei visibilmente». 

Ombretta poggia il suo violino fantasma sulla spalla e con l'archetto trae una piccola nota lamentosa, poi una breve pausa, e ancora la stessa nota, succeduta da un'altra pausa, e poi di nuovo, finché  Osv Ald, con un gesto della mano interrompe quella monotona esecuzione e, rivolgendosi a me, conferma: «Ammette di essere ancora stanca, così ci toccherà approfittare ancora un po' della tua squisita ospitalità ». Non mi sfugge il tono ironico con cui pronuncia l'ultima frase.

«Può stendersi sul mio letto». Suggerisco indicando un punto nella stanza.

Osv Ald, la prende fra le braccia e la depone sul letto, accomodandola sotto le coltri le toglie l'archetto dalle mani. Lei tenta un vago gesto per riprenderselo, ma poi rinuncia, cedendo a quel calore consolatorio. 
Nella stanza è calato il silenzio. Io e l'elfo, senza troppe finzioni, apertamente  ci stiamo studiamo. E' lui il primo a rompere gli indugi e a dare il via ad una probabile belligeranza: «Il gioco intuitivo mi annoia, anche perché per me è facile arrivar per primo al traguardo, quindi giochiamo a carte scoperte». 
La sua non è una proposta ma piuttosto un' ingiunzione.

«Come vuoi» rispondo io, in un finto tono di distacco. «Chi sa leggere il pensiero è di sicuro, in questo frangente, avvantaggiato». Butto lì, provocatoria. 

Lui non abbocca e specifica caustico: «Io sono oltre la mentalizzazione: io sono nella tua mente». Accomodandosi sulla poltroncina ai piedi del letto. Accavalla le gambe mettendo in mostra quelle sue buffe scarpe a punta a forma di gondola, sullo stile dei Leningrad Cowboy. Noto anche che la coda è sparita.

«Dov'è finita la tua coda?» Chiedo stupita.
 
«Ah, quella è retrattile. serve a confondere le idee. Me l'ha fornita Behemoth, ma se continui a fissarmi così tra poco mi spunteranno anche i suoi baffi da cavalleggero». Ride sottovoce, per non svegliare Ombretta.

«Chi sei? Cosa a che fare Behemoth con te?»

«E non mi chiedi di queste scarpe? Sono di Vladimir, il manager dei Leningrad Cowboys, me le ha prestate, dovresti saperlo visto che sei stata tu l'intermediaria».

«Io?» Domando incredula «Ma quando?»

«Quando?  Decenni fa, mia cara, prima che io nascessi. Meglio ancora, che mi assemblassi. In quegli anni, che potremmo definire della tua formazione, hai piluccato qua e là dettagli e assaporato atmosfere letterarie e musicali, molte delle quali, a mio avviso, discutibili, o che forse avresti dovuto approfondire, motivo per cui io sono come sono. Ma anche lo stravagante concepimento di Ombretta  è opera tua....lei è figlia delle tue malinconiche, romantiche tiritere esistenziali post adolescenziali, e di quelle successive, agguerrite e femministe». Scuote il capo e sorride.

«Non ricordo niente di tutto questo, ma in compenso mi sta venendo un gran mal di testa». Dico in tono dolorante.

Osv Ald, mi punta il dito contro: « E' il minimo!» Esclama alzandosi per dirigersi verso il letto, e un pezzetto di coda fa capolino dal retro dei suoi pantaloni.

Qual è il nesso tra il piccolo elfo e Behemoth, il diabolico gatto del romanzo "Il maestro e Margherita"? E quale, quello col gruppo musicale finlandese dei Leningrad Cowboys?
E qual è il ruolo di Ombretta in tutto questo?

Complice o vittima di Osv Ald? Rifletto in silenzio.

«E se, invece, fosse lei quella dalla quale guardarsi?» La voce di Osv Ald mi giunge da dietro le spalle.

 Mi volto. Sono entrambi davanti a me, si tengono per mano e mi sorridono enigmatici. 

 «Un'ipotesi che non hai nemmeno preso in considerazione, perché la muta, dolce ed indifesa Ombretta, forse un po' tocca, di certo stravagante, perché suona un violino che nessuno vede, ispira sentimenti di benevolenza e compassione, mentre io, invece, con questa coda di gatto, queste scarpe da clown, e le mie strepitose peculiarità acrobatiche, potrei essere, senza alcun dubbio, l'incarnazione del diavolo».  S'interrompe per darmi modo di elaborare la logica nel suo ragionamento. Poi, indicando la sua compagna, riprende il discorso: «Complice o vittima? Non l'hai mai, però, vista come una possibile minaccia. Ti sei fatta incantare da lei e ti  saresti battuta per lei. E se fossi io la sua vittima? Ipnotizzato da quel suo diabolico violino e sedotto dalla sua natura all'apparenza dolce, remissiva. Precaria. E tu...» prorompe in tono melodrammatico: « tu, saresti stata la prossima. L'ultima di un'interminabile serie».  

  Osv Ald guarda Ombretta e si sorridono complici. Lei si avvicina e lui le prende una mano. Le bacia le dita una ad una, e poi il braccio, tutto, fino alla spalla, dove indugia tra i capelli e l'orecchio, per posare, infine, la sua bocca sulla sua. Un lungo, sensuale bacio. E di quel bacio, Ombretta, ne risplende tutta. Sirena e fata. Madonna e cortigiana. Donna.
Poi l'elfo, premuroso, le porge l'archetto e lei, dal suo violino fantasma, trae note aliene, criptiche, di un linguaggio musicale a me sconosciuto. Indecifrabile. Ma che pure, in maniera inequivocabile, giunge al cuore e ai sensi.

Quando la musica tace, Osv Ald, con un guizzo mi si pone di fronte e senza darmi il tempo di obiettare nulla, incalza: «C'è sempre una terza via, mia cara, e in alcuni casi anche una quarta e forse una quinta. Mai fermarsi alla prima, potrebbe essere un tranello. Di queste vie, fino ad ora vagliate, quale sceglierai? Guillermo del Toro ha detto che la vera scelta politica oggi è scegliere l'amore e non la paura. Per il finale di questo racconto sceglierai l'amore o la paura? Noi lo sapremo solo a giochi fatti, e non ci resterà che accettare la tua scelta. Come vedi, tra i nostri tanti poteri, non abbiamo quello di decidere il nostro dest...». 

Sfuma la voce seducente di Osv Ald /Ward, quando le stelle residue di un fuoco d'artificio clandestino deflagrano, improvvise, accendendo la notte di bagliori psichedelici, e il rimbombo apocalittico di quell'ultima fiammata frantuma i vetri della finestra e una spessa, acre cortina di fumo, inonda la stanza. 

Con gli occhi che lacrimano, a tentoni, nella stanza d'improvviso deserta, cerco indizi a testimonianza dello straordinario passaggio dell'elfo con la coda di gatto e della bambola di pezza e del suo violino fantasma.
Li chiamo, e mi risponde il silenzio. Di loro più nessuna traccia.
Mi affaccio alla finestra sperando in un rewind, che la pellicola si riavvolga e tutto accada di nuovo.
Ma il mondo, oltre la barriera degli alberi e l'alta cinta dei palazzi, è tornato solitario e quieto.

Nella stanza silente riecheggiano le parole di Osv Ald: Guillermo del Toro ha detto che la vera scelta politica oggi è scegliere l'amore e non la paura. Per il finale di questo racconto sceglierai l'amore o la paura? 

L'amore, senza alcun dubbio, perché scegliere l'amore non è solo un lieto fine ma una rivoluzione. 
Lo sussurro nella mia mente, ma sono certa che Osv Ald ed Ombretta, in qualunque altro luogo dello sconfinato, inesplorato universo siano, presto lo scopriranno.

Scruto la notte, dove la densa cappa di fumo si è finalmente diradata e le stelle, con fervore, sono tornate a splendere.