Cos'è un diario se non la narrazione di noi stessi?
Evito la parola autobiografia.
Narrazione. Mi piace di più.
Quando raccontiamo di noi dovremmo saperlo fare onestamente.
Evitando i manierismi e gli abbellimenti.
La trasformazione in leggenda.
Perché spesso emerge, prepotente, questa necessità.
Umanissima. A dire il vero.
Che romanza ciò che, invece, andrebbe semplicemente narrato.
Leggo molti blog e mi viene da sorridere quando vado a sfogliare le note personali sui profili.
Un eccesso di se stessi.
Note scritte, nonostante l'età adulta, con i pennarelli dell'adolescenza.
Un depistaggio.
Quanto inconsapevole?
Grande spreco di ossimori e di paradossi.
In particolare da parte delle donne.
Quel definirsi tutto ed il contrario di tutto.
Banale. Scontato.
Un'aura di mistero da soap opera.
E' la conferma di essere, al fine, davvero nulla.
Una incongruenza dietro la quale si celano personalità piuttosto anonime.
Superficiali. Sbrigative.
Intellettualmente approssimative.
Personalmente lo sperpero esagerato di tali ricchezze grammaticali lo tollero solo per le adolescenti.
Le uniche alle quali concedo, per diritto di età ed inesperienza, l'uso indiscriminato degli ossimori e dei paradossi.
Le uniche che possano saccheggiarne a piene mani.
Perché, in questo caso, parliamo di ricerca.
Di esplorazione.
Di approfondimento.
Tenere un diario in età adulta è invece una faccenda, a parer mio, piuttosto seria.
Innanzitutto verso se stessi.
Prima ancora che verso chi legge.
L'autobiografia è un impegno d'introspezione e lucidità di analisi.
Rigore. Autorevolezza.
Ed ironia. Tanta.
Per evitare l'auto celebrazione.
O, peggio ancora, la tentazione di trasformarci in qualcun'altro.
Marilena
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