Cos'è un diario se non la narrazione di noi stessi?
Evito la parola autobiografia.
Narrazione. Mi piace di più.
Quando raccontiamo di noi dovremmo saperlo fare onestamente.
Evitando i manierismi e gli abbellimenti.
La trasformazione in leggenda.
Perché spesso emerge, prepotente, questa necessità.
Umanissima. A dire il vero.
Che romanza ciò che, invece, andrebbe semplicemente narrato.
Leggo molti blog e mi viene da sorridere quando vado a sfogliare le note personali sui profili.
Un eccesso di se stessi.
Note scritte, nonostante l'età adulta, con i pennarelli dell'adolescenza.
Un depistaggio.
Quanto inconsapevole?
Grande spreco di ossimori e di paradossi.
In particolare da parte delle donne.
Quel definirsi tutto ed il contrario di tutto.
Banale. Scontato.
Un'aura di mistero da soap opera.
E' la conferma di essere, al fine, davvero nulla.
Una incongruenza dietro la quale si celano personalità piuttosto anonime.
Superficiali. Sbrigative.
Intellettualmente approssimative.
Personalmente lo sperpero esagerato di tali ricchezze grammaticali lo tollero solo per le adolescenti.
Le uniche alle quali concedo, per diritto di età ed inesperienza, l'uso indiscriminato degli ossimori e dei paradossi.
Le uniche che possano saccheggiarne a piene mani.
Perché, in questo caso, parliamo di ricerca.
Di esplorazione.
Di approfondimento.
Tenere un diario in età adulta è invece una faccenda, a parer mio, piuttosto seria.
Innanzitutto verso se stessi.
Prima ancora che verso chi legge.
L'autobiografia è un impegno d'introspezione e lucidità di analisi.
Rigore. Autorevolezza.
Ed ironia. Tanta.
Per evitare l'auto celebrazione.
O, peggio ancora, la tentazione di trasformarci in qualcun'altro.
Marilena
lunedì 31 agosto 2009
domenica 30 agosto 2009
Il travestimento di Alice
Quando devo distogliermi da un pensiero ossessivo indosso scarpe con i tacchi alti.
Scarpe da mannequin.
Che rendono precario il mio equilibrio e problematica la mia intesa con il suolo.
Tacchi 13 cm.
Una sfida.
Perché tacchi così vertiginosi esigono una concentrazione altissima per rimanere in equilibrio.
Con un'attenzione estrema alla stabilità delle caviglie.
Per non cadere rovinosamente a terra.
I passi sono brevi. Rallentati.
L'andatura leggermente ondeggiante.
L'intera struttura corporea è costretta a far leva sulla solidità dei piedi e sulla fermezza delle caviglie, che diventano così il fulcro dell'intero bilanciamento.
Su quei trampoli folli ha inizio il mio solitario gioco seduttivo.
Un gioco silenzioso. Felpato.
Tacchi vertiginosi ed occhiali da diva.
Il travestimento di Alice.
Per fuggire le ossessioni. E ristabilire un'armonia in dissolvimento.
Anche se tacchi così alti, paradossalmente, inchiodano al suolo.
Ma Alice è una creatura davvero ostinata.
Adolescente tardiva. Elucubrativa.
E superbamente fantasiosa.
E Roma, stamani, era avvolta da un'atmosfera deliziosamente retrò.
Filmica.
Una location perfetta per una femme fatale.
Marilena
Scarpe da mannequin.
Che rendono precario il mio equilibrio e problematica la mia intesa con il suolo.
Tacchi 13 cm.
Una sfida.
Perché tacchi così vertiginosi esigono una concentrazione altissima per rimanere in equilibrio.
Con un'attenzione estrema alla stabilità delle caviglie.
Per non cadere rovinosamente a terra.
I passi sono brevi. Rallentati.
L'andatura leggermente ondeggiante.
L'intera struttura corporea è costretta a far leva sulla solidità dei piedi e sulla fermezza delle caviglie, che diventano così il fulcro dell'intero bilanciamento.
Su quei trampoli folli ha inizio il mio solitario gioco seduttivo.
Un gioco silenzioso. Felpato.
Tacchi vertiginosi ed occhiali da diva.
Il travestimento di Alice.
Per fuggire le ossessioni. E ristabilire un'armonia in dissolvimento.
Anche se tacchi così alti, paradossalmente, inchiodano al suolo.
Ma Alice è una creatura davvero ostinata.
Adolescente tardiva. Elucubrativa.
E superbamente fantasiosa.
E Roma, stamani, era avvolta da un'atmosfera deliziosamente retrò.
Filmica.
Una location perfetta per una femme fatale.
Marilena
giovedì 27 agosto 2009
Il collare
Vestiva un abito nuziale.
O meglio, quel che ne restava.
Le balze di trina pencolavano come festoni male appesi, e lo squarcio netto nell' ampia gonna mostrava una gamba illividita dalle ecchimosi, maldestramente fasciata con uno scampolo di velo.
La novella sposa stringeva tra le mani una carabina.
Nonostante lo stato penoso della gamba procedeva di buon passo. Determinata.
La prima ad avvistarla fu la moglie del farmacista.
Che corse a dare la notizia al marito.
Il quale si fece sull'uscio della sua botteguccia, incuriosito, giacchè in quel posto di frontiera, dimenticato da Dio e dagli uomini, erano ben pochi i forestieri che vi si avventuravano.
Così la coppia, ferma sull'uscio, si godeva l'anteprima di quella novità inattesa che, di lì a breve, avrebbe di sicuro calamitato l'attenzione dell'intero paese.
Intanto, la figura ancora lontana all'orizzonte, acquistava contorni sempre più nitidi in fase di avvicinamento.
E' una donna! Esclamò la moglie del farmacista, notando lo svolazzamento disordinato della gonna
Una donna! Le fece eco, attonito, il marito.
Una novità assoluta.
Anche la sposa, dall'altra parte, aveva scorto la coppia che, schermando gli occhi con le mani seguiva, immobile ed attentissima, il suo avanzare.
Lei proseguiva ora un pò più lentamente. Circospetta. Con la pistola bene in vista.
Fermandosi a debita distanza quando i due entrarono nitidamente nel suo campo visivo.
- Non ne avete bisogno - disse il farmacista, indicando la carabina.
- Siamo gente pacifica - puntualizzò la moglie.
- Siete ferita? Cosa vi è successo? - domandarono quasi all'unisono, andandole incontro.
- Fermi dove siete. O sparo! - intimò la sposina con accento straniero, ma con tono deciso.
- Cara, vogliamo solo aiutarvi. Siete ferita. Cosa vi è accaduto? - piagnucolò suadente la donna
- Niente che possa riguardarvi. Ma accetto l'aiuto. Alcool per disinfettare e qualche benda. Una borraccia d'acqua ed un pò di cibo. Non mi occorre altro -
- Siete capitata nel posto giusto. Mio marito è farmacista. Vi aiuterà molto volentieri. E se volete ristorarvi la nostra casa è a vostra disposizione - disse ossequiosa la donna, quasi flettendosi in un inchino.
- Sapete qui non viene mai nessuno. E saremmo davvero lieti di esservi di un qualche conforto. E, a quanto appare, ne avete davvero bisogno - s'intromise il farmacista, con la gradevolezza della sua voce.
La sposina era davvero esausta. La gamba le pulsava dolorosamente. E non mangiava da un paio di giorni. Avrebbe tenuto sempre con sé la pistola. Sarebbe stata in guardia. Ma aveva davvero bisogno di un pò di ristoro per proseguire il suo viaggio.
Nella frescura del retrobottega il farmacista provvide a lavare, disinfettare e bendare le ferite. E cospargere abbondantemente d'unguento le piaghe inferte dal sole.
Sul collo, però, era la ferita peggiore.
Un segno di cicatrice, doppia e simmetrica, nettamente incisa nella carne.
Il disegno di un collare.
- Chi vi ha fatto questo, bambina? - le chiese con dolcezza, indicando la cicatrice.
- Non è affar vostro - rispose aggressiva, spianandogli in faccia la pistola.
Poi, in tono più mite - Non fatemi domande, per favore -
La moglie del farmacista, nel frattempo, era ritornata con una bottiglia di sidro, del pane ed un pasticcio di carne. E frutta fresca.
Mai banchetto nuziale ebbe sposa più affamata ed entusiasta.
Il colore le era tornato sulle gote, e gli occhi sfavillavano di verde luminoso.
Un piccolo rutto, infine, per sancire il gradimento. Prima di essere travolta dall'urgenza del sonno.
- Latte di papavero, una giusta dose, mescolato al pasticcio di carne. Insomma, la poverina aveva assoluto bisogno di dormire - bisbigliò la moglie del farmacista - Così, forse, riusciremo a sapere qualcosa di lei. Intanto le prendo la pistola -
- E come pensi di sapere qualcosa di lei se non ha nulla con sè che possa chiarirci la sua identità, né la sua provenienza? - obiettà il marito.
- Intanto potresti farle un esame fisico. Una visita medica, insomma - suggerì la donna
- Ma non sono un dottore - replicò lui
- Allora gliela faccio io. Non ci vuole una laurea in medicina per verificare certe cose - rispose sarcastica la donna, sollevando la gonna della sposa.
- A cosa ti porterebbe una verifica del genere? -
- E' vestita con un abito nuziale ma non era diretta di certo all' altare. Magari è una sgualdrina. Un'impostora. Una fuggitiva. Ne ha tutta l'aria. Forse sulla sua testa c'è una taglia. Dovresti andare in città e controllare all'ufficio dello sceriffo -
- E se invece fosse successo qualcos'altro? Magari è stata rapita - suggerì l'uomo
- La visita medica a questo serve. Se è vergine, vale la tua ipotesi. Se non lo è, allora ho ragione io. E tu andrai a verificare in città - concluse drastica
- E' un idea strampalata la tua. Priva di qualsiasi logica - disse il farmacista, scuotendo il capo
- Ha la logica del buon senso - rispose acida la moglie - E d'altra parte non c'è altro modo -
- Potremmo chiedere a lei. Ascoltare la sua storia - ipotizzò lui.
- E tu saresti disposto a dar credito ad una donna che attraversa a piedi questo deserto, vestita con un abito da sposa a brandelli ed armata di pistola? - sogghignò la donna
- Tu nutri dei pregiudizi. Non sei obiettiva. E' già colpevole seppur non sappiamo di cosa - rispose il marito, rassegnato ormai da tanto tempo a subire quel carattere apodittico.
- Quale obiettività? - sentenziò ancora più aspra - C'è il bene e c'è il male. Ci sono le donne oneste e le sgualdrine. Quelle che vanno all'altare e quelle che, invece, si danno alla fuga. E' questa per me l'obiettività. Non mi sembra che ci sia molto da congetturare. L'esame vaginale darà il responso - fu la sintetica, inopinabile, arringa conclusiva
- Ha un'orrenda cicatrice sul collo. Come quella lasciata da un collare stringente che, tenuto per troppo tempo, ha inciso profondamente le carni. Forse ha subito torture. Forse era prigioniera - azzardò come estrema tesi difensiva il buon farmacista
- Ha una pistola. E ce la puntava contro. Non mi sembra così timida. Né indifesa. E tu stai perdendo pretestuosamente del tempo prezioso. Spicciati a visitarla, prima che l'oppio perda la sua efficacia e lo sceriffo chiuda il suo ufficio - concluse, categorica, la donna.
Il farmacista, rassegnato, adagiò la sposa sul tavolo di marmo dove preparava le sue misture, e si accinse ad espletare l'incarico impostogli dalla consorte.
Sentendosi un pirata che s'appresta a profanare uno scrigno devotamente sigillato.
Ma lo scrigno, ahimè, non era affatto sigillato.
Altri pirati avevano già abbondantemente attinto a quel tesoro.
La sposina non era vergine.
Avvilito il farmacista le riassestò pudicamente la gonna sulle gambe.
Con dita tremanti frugò nel corsetto.
Alla ricerca di una chiave. Di una lettera.
Di un monile.
Insomma di un indizio qualsiasi che portasse alla sua identificazione.
Ma il corsetto, strettamente allacciato, non conteneva null'altro che i seni.
Stiamo cercando verità nascoste quando forse la verità è alla luce del sole, visibilissima nello squarcio urlante di quella ferita. Pensò, addolorato, il farmacista.
- Allora? Cosa hai appurato? - la voce stridula della moglie lo fece sobbalzare
- E' vergine - rispose lui, sorprendendosi della fermezza del proprio tono.
E dell'affermazione, decisa e senza tentennamenti, di quella bugia sancita come verità inoppugnabile.
- Brucerai all'inferno. Insieme alla sgualdrina che stai proteggendo. E' entrata armata nella nostra proprietà, ci ha tenuto sotto tiro con la sua carabina. E, alla fine, ti ha anche sedotto - proruppe furiosa la donna - Ma sono sicura che ci penserà lo sceriffo a ristabilire la verità. E fare giustizia -
O meglio, quel che ne restava.
Le balze di trina pencolavano come festoni male appesi, e lo squarcio netto nell' ampia gonna mostrava una gamba illividita dalle ecchimosi, maldestramente fasciata con uno scampolo di velo.
La novella sposa stringeva tra le mani una carabina.
Nonostante lo stato penoso della gamba procedeva di buon passo. Determinata.
La prima ad avvistarla fu la moglie del farmacista.
Che corse a dare la notizia al marito.
Il quale si fece sull'uscio della sua botteguccia, incuriosito, giacchè in quel posto di frontiera, dimenticato da Dio e dagli uomini, erano ben pochi i forestieri che vi si avventuravano.
Così la coppia, ferma sull'uscio, si godeva l'anteprima di quella novità inattesa che, di lì a breve, avrebbe di sicuro calamitato l'attenzione dell'intero paese.
Intanto, la figura ancora lontana all'orizzonte, acquistava contorni sempre più nitidi in fase di avvicinamento.
E' una donna! Esclamò la moglie del farmacista, notando lo svolazzamento disordinato della gonna
Una donna! Le fece eco, attonito, il marito.
Una novità assoluta.
Anche la sposa, dall'altra parte, aveva scorto la coppia che, schermando gli occhi con le mani seguiva, immobile ed attentissima, il suo avanzare.
Lei proseguiva ora un pò più lentamente. Circospetta. Con la pistola bene in vista.
Fermandosi a debita distanza quando i due entrarono nitidamente nel suo campo visivo.
- Non ne avete bisogno - disse il farmacista, indicando la carabina.
- Siamo gente pacifica - puntualizzò la moglie.
- Siete ferita? Cosa vi è successo? - domandarono quasi all'unisono, andandole incontro.
- Fermi dove siete. O sparo! - intimò la sposina con accento straniero, ma con tono deciso.
- Cara, vogliamo solo aiutarvi. Siete ferita. Cosa vi è accaduto? - piagnucolò suadente la donna
- Niente che possa riguardarvi. Ma accetto l'aiuto. Alcool per disinfettare e qualche benda. Una borraccia d'acqua ed un pò di cibo. Non mi occorre altro -
- Siete capitata nel posto giusto. Mio marito è farmacista. Vi aiuterà molto volentieri. E se volete ristorarvi la nostra casa è a vostra disposizione - disse ossequiosa la donna, quasi flettendosi in un inchino.
- Sapete qui non viene mai nessuno. E saremmo davvero lieti di esservi di un qualche conforto. E, a quanto appare, ne avete davvero bisogno - s'intromise il farmacista, con la gradevolezza della sua voce.
La sposina era davvero esausta. La gamba le pulsava dolorosamente. E non mangiava da un paio di giorni. Avrebbe tenuto sempre con sé la pistola. Sarebbe stata in guardia. Ma aveva davvero bisogno di un pò di ristoro per proseguire il suo viaggio.
Nella frescura del retrobottega il farmacista provvide a lavare, disinfettare e bendare le ferite. E cospargere abbondantemente d'unguento le piaghe inferte dal sole.
Sul collo, però, era la ferita peggiore.
Un segno di cicatrice, doppia e simmetrica, nettamente incisa nella carne.
Il disegno di un collare.
- Chi vi ha fatto questo, bambina? - le chiese con dolcezza, indicando la cicatrice.
- Non è affar vostro - rispose aggressiva, spianandogli in faccia la pistola.
Poi, in tono più mite - Non fatemi domande, per favore -
La moglie del farmacista, nel frattempo, era ritornata con una bottiglia di sidro, del pane ed un pasticcio di carne. E frutta fresca.
Mai banchetto nuziale ebbe sposa più affamata ed entusiasta.
Il colore le era tornato sulle gote, e gli occhi sfavillavano di verde luminoso.
Un piccolo rutto, infine, per sancire il gradimento. Prima di essere travolta dall'urgenza del sonno.
- Latte di papavero, una giusta dose, mescolato al pasticcio di carne. Insomma, la poverina aveva assoluto bisogno di dormire - bisbigliò la moglie del farmacista - Così, forse, riusciremo a sapere qualcosa di lei. Intanto le prendo la pistola -
- E come pensi di sapere qualcosa di lei se non ha nulla con sè che possa chiarirci la sua identità, né la sua provenienza? - obiettà il marito.
- Intanto potresti farle un esame fisico. Una visita medica, insomma - suggerì la donna
- Ma non sono un dottore - replicò lui
- Allora gliela faccio io. Non ci vuole una laurea in medicina per verificare certe cose - rispose sarcastica la donna, sollevando la gonna della sposa.
- A cosa ti porterebbe una verifica del genere? -
- E' vestita con un abito nuziale ma non era diretta di certo all' altare. Magari è una sgualdrina. Un'impostora. Una fuggitiva. Ne ha tutta l'aria. Forse sulla sua testa c'è una taglia. Dovresti andare in città e controllare all'ufficio dello sceriffo -
- E se invece fosse successo qualcos'altro? Magari è stata rapita - suggerì l'uomo
- La visita medica a questo serve. Se è vergine, vale la tua ipotesi. Se non lo è, allora ho ragione io. E tu andrai a verificare in città - concluse drastica
- E' un idea strampalata la tua. Priva di qualsiasi logica - disse il farmacista, scuotendo il capo
- Ha la logica del buon senso - rispose acida la moglie - E d'altra parte non c'è altro modo -
- Potremmo chiedere a lei. Ascoltare la sua storia - ipotizzò lui.
- E tu saresti disposto a dar credito ad una donna che attraversa a piedi questo deserto, vestita con un abito da sposa a brandelli ed armata di pistola? - sogghignò la donna
- Tu nutri dei pregiudizi. Non sei obiettiva. E' già colpevole seppur non sappiamo di cosa - rispose il marito, rassegnato ormai da tanto tempo a subire quel carattere apodittico.
- Quale obiettività? - sentenziò ancora più aspra - C'è il bene e c'è il male. Ci sono le donne oneste e le sgualdrine. Quelle che vanno all'altare e quelle che, invece, si danno alla fuga. E' questa per me l'obiettività. Non mi sembra che ci sia molto da congetturare. L'esame vaginale darà il responso - fu la sintetica, inopinabile, arringa conclusiva
- Ha un'orrenda cicatrice sul collo. Come quella lasciata da un collare stringente che, tenuto per troppo tempo, ha inciso profondamente le carni. Forse ha subito torture. Forse era prigioniera - azzardò come estrema tesi difensiva il buon farmacista
- Ha una pistola. E ce la puntava contro. Non mi sembra così timida. Né indifesa. E tu stai perdendo pretestuosamente del tempo prezioso. Spicciati a visitarla, prima che l'oppio perda la sua efficacia e lo sceriffo chiuda il suo ufficio - concluse, categorica, la donna.
Il farmacista, rassegnato, adagiò la sposa sul tavolo di marmo dove preparava le sue misture, e si accinse ad espletare l'incarico impostogli dalla consorte.
Sentendosi un pirata che s'appresta a profanare uno scrigno devotamente sigillato.
Ma lo scrigno, ahimè, non era affatto sigillato.
Altri pirati avevano già abbondantemente attinto a quel tesoro.
La sposina non era vergine.
Avvilito il farmacista le riassestò pudicamente la gonna sulle gambe.
Con dita tremanti frugò nel corsetto.
Alla ricerca di una chiave. Di una lettera.
Di un monile.
Insomma di un indizio qualsiasi che portasse alla sua identificazione.
Ma il corsetto, strettamente allacciato, non conteneva null'altro che i seni.
Stiamo cercando verità nascoste quando forse la verità è alla luce del sole, visibilissima nello squarcio urlante di quella ferita. Pensò, addolorato, il farmacista.
- Allora? Cosa hai appurato? - la voce stridula della moglie lo fece sobbalzare
- E' vergine - rispose lui, sorprendendosi della fermezza del proprio tono.
E dell'affermazione, decisa e senza tentennamenti, di quella bugia sancita come verità inoppugnabile.
- Brucerai all'inferno. Insieme alla sgualdrina che stai proteggendo. E' entrata armata nella nostra proprietà, ci ha tenuto sotto tiro con la sua carabina. E, alla fine, ti ha anche sedotto - proruppe furiosa la donna - Ma sono sicura che ci penserà lo sceriffo a ristabilire la verità. E fare giustizia -
domenica 23 agosto 2009
Rabbia
...e allo scatto della mezzanotte un nuovo racconto appare e mi tiene compagnia, anche se solo per un brevissimo momento, perchèé io soffro d'insonnia e la notte è lunga.
E' lo stralcio di una e-mail, carinissima e densa di considerazioni, che una lettrice di Milano mi ha inviato come commento all'antologia DA MEZZANOTTE A MEZZANOTTE, dove ho riproposto alcuni miei vecchi racconti.
E d'insonnia soffro anch'io. Di nuovo.
Insonnia. E mancanza di concentrazione.
E questo caldo afoso non aiuta.
Questi ultimi quindici giorni sono stati un inferno.
Un deja vu devastante.
Invano ho invocato il ritorno della strega.
Ma la mia rabbia, questa volta, non è stata bastevole al suo ritorno.
Non era una rabbia sufficientemente violenta.
Dolorosa, piuttosto.
Malinconica.
Come quella di un cane che si lecca, in solitudine, le ferite.
Ferite nuove, inferte sulle vecchie.
Per nascondere le recenti e rendere, al contempo, il dolore ancora più insopportabile.
Un inganno.
Quel cane che non guaisce.
Addomesticato al silenzio.
Rassegnato ad essere solo un cane.
O di non poter essere, al bisogno, neppure quello.
Sono lucidamente consapevole che, per ritrovarmi, devo avere la forza di destarmi dall'incantesimo dell'addomesticamento.
Strappare il collare di smeraldi che decreta la mia appartenenza.
E mi serra la gola.
E mi strozza il respiro.
Marilena
E' lo stralcio di una e-mail, carinissima e densa di considerazioni, che una lettrice di Milano mi ha inviato come commento all'antologia DA MEZZANOTTE A MEZZANOTTE, dove ho riproposto alcuni miei vecchi racconti.
E d'insonnia soffro anch'io. Di nuovo.
Insonnia. E mancanza di concentrazione.
E questo caldo afoso non aiuta.
Questi ultimi quindici giorni sono stati un inferno.
Un deja vu devastante.
Invano ho invocato il ritorno della strega.
Ma la mia rabbia, questa volta, non è stata bastevole al suo ritorno.
Non era una rabbia sufficientemente violenta.
Dolorosa, piuttosto.
Malinconica.
Come quella di un cane che si lecca, in solitudine, le ferite.
Ferite nuove, inferte sulle vecchie.
Per nascondere le recenti e rendere, al contempo, il dolore ancora più insopportabile.
Un inganno.
Quel cane che non guaisce.
Addomesticato al silenzio.
Rassegnato ad essere solo un cane.
O di non poter essere, al bisogno, neppure quello.
Sono lucidamente consapevole che, per ritrovarmi, devo avere la forza di destarmi dall'incantesimo dell'addomesticamento.
Strappare il collare di smeraldi che decreta la mia appartenenza.
E mi serra la gola.
E mi strozza il respiro.
Marilena
domenica 16 agosto 2009
Un racconto
In realtà mi sono resa conto di essere caduta in un ingranaggio pericoloso, che io mi sono rifiutata di vedere, e da cui devo assolutamente uscir fuori.
Se non voglio rimanerne stritolata.
Quello che più mi ha colpito è l'indifferenza.
Nessuno ha chiesto: ma tu come stai?
Non starò a raccontare cosa ho passato.
Sarebbe solo una concatenazione logica di frasi. Un racconto.
Ed i racconti non sono fatti di lacrime ma di parole per stimolare le lacrime.
Per strappare all'auditorio una commozione. Un' empatia.
Per questo non lo farò.
Lo devo alla storia della mia vita.
Ed al mio orgoglio personale.
E' ora di spengere i riflettori.
Far scendere il buio.
Ed il silenzio.
Per il tempo che occorre.
Marilena
Se non voglio rimanerne stritolata.
Quello che più mi ha colpito è l'indifferenza.
Nessuno ha chiesto: ma tu come stai?
Non starò a raccontare cosa ho passato.
Sarebbe solo una concatenazione logica di frasi. Un racconto.
Ed i racconti non sono fatti di lacrime ma di parole per stimolare le lacrime.
Per strappare all'auditorio una commozione. Un' empatia.
Per questo non lo farò.
Lo devo alla storia della mia vita.
Ed al mio orgoglio personale.
E' ora di spengere i riflettori.
Far scendere il buio.
Ed il silenzio.
Per il tempo che occorre.
Marilena
sabato 15 agosto 2009
Palcoscenico
Ho cancellato tre post: "Amore cannibale", "Non vado via", "Ho infranto un codice."
Di rado cancello ciò che scrivo.
Soprattutto le pagine del mio diario.
Testimonianze.
Ma quelle pagine lì non testimoniavano: urlavano.
E ne ho avuto paura.
Nel coacervo indistricabile delle mie emoziani rappresentavano chiarezza di pensiero.
Rabbia analitica. Motivazione esistenziale.
Denuncia. Affermazione di libertà.
Affermazione d'identità.
Cancellarle è stato, da parte mia, un atto di vigliaccheria estrema.
Una negazione di me stessa.
Non accadrà più.
I post, provocatori ed amaramente ironici, di "Femme Fatale" e di " Morale e Passione", non li ho rimossi. Sono la risposta sarcastica alle indegne insinuazioni di chi prima ipocritamente mi adulava e poi, velenosamente, mi ha vomitato addosso.
Attestazioni di stima.
E, subito dopo, sputi.
Una violenza oltraggiosa, ancora più cattiva perchè priva di una ragione scatenante.
Puramente finalizzata al dileggio.
Alla provocazione.
Insulti.
Puttana. Figlia incestuosa.
Mantide religiosa. Squinternata.
Esibendo, come prove deliranti, stralci dei miei racconti.
Quelle stesse storie che avevano prodotto, nei miei odierni detrattori, sdilinquimenti e moine.
I giudizi della più bieca pruderie e di rozzo maschilismo, accettato e passato nel silenzio anche da chi, prima, aveva con me rapporti di amicizia. O almeno così pareva.
In Blogosphere, mi sto rendendo conto, la solidarietà non esiste.
E' un mondo nuovo che ha dentro tutti i pregiudizi del vecchio.
Soprattutto nei confronti delle donne.
Ma anche da parte delle donne stesse.
Gli uomini possono raccontare di mondi sotterranei e di passioni oscure.
Dei grovigli inestricabili dello spirito e della carne.
Esploratori dell'io più recondito. Ipogeo.
Non certo puttane.
Nè mantidi religiose.
Nè, tantomeno, esseri perversi.
Una donna, invece, è tutto questo.
E di più.
Se racconta storie d'incesto, di bui desideri, di deliri ed ossessioni, è una puttana.
I tribunali di Blogosphere hanno tempi processuali molto brevi.
E verdetti perentori.
Accolti nell' indifferenza generale.
Blogosphere altro non è, quindi, che un immenso palcoscenico teatrale.
Dove è di scena il paradosso.
Recitato da comparse, attori secondari, che pur ambiscono a ruoli primari, ma si rivelano da subito per quello che sono: maldestri trasformisti.
Mostrano i trucchi.
Guitti mediocri.
Dimenticano le battute.
E rozzamente improvvisano.
Ma il pubblico, di livello ancora più infimo, applaude. E chiede il bis.
Esattamente come nella vita reale.
Marilena
Di rado cancello ciò che scrivo.
Soprattutto le pagine del mio diario.
Testimonianze.
Ma quelle pagine lì non testimoniavano: urlavano.
E ne ho avuto paura.
Nel coacervo indistricabile delle mie emoziani rappresentavano chiarezza di pensiero.
Rabbia analitica. Motivazione esistenziale.
Denuncia. Affermazione di libertà.
Affermazione d'identità.
Cancellarle è stato, da parte mia, un atto di vigliaccheria estrema.
Una negazione di me stessa.
Non accadrà più.
I post, provocatori ed amaramente ironici, di "Femme Fatale" e di " Morale e Passione", non li ho rimossi. Sono la risposta sarcastica alle indegne insinuazioni di chi prima ipocritamente mi adulava e poi, velenosamente, mi ha vomitato addosso.
Attestazioni di stima.
E, subito dopo, sputi.
Una violenza oltraggiosa, ancora più cattiva perchè priva di una ragione scatenante.
Puramente finalizzata al dileggio.
Alla provocazione.
Insulti.
Puttana. Figlia incestuosa.
Mantide religiosa. Squinternata.
Esibendo, come prove deliranti, stralci dei miei racconti.
Quelle stesse storie che avevano prodotto, nei miei odierni detrattori, sdilinquimenti e moine.
I giudizi della più bieca pruderie e di rozzo maschilismo, accettato e passato nel silenzio anche da chi, prima, aveva con me rapporti di amicizia. O almeno così pareva.
In Blogosphere, mi sto rendendo conto, la solidarietà non esiste.
E' un mondo nuovo che ha dentro tutti i pregiudizi del vecchio.
Soprattutto nei confronti delle donne.
Ma anche da parte delle donne stesse.
Gli uomini possono raccontare di mondi sotterranei e di passioni oscure.
Dei grovigli inestricabili dello spirito e della carne.
Esploratori dell'io più recondito. Ipogeo.
Non certo puttane.
Nè mantidi religiose.
Nè, tantomeno, esseri perversi.
Una donna, invece, è tutto questo.
E di più.
Se racconta storie d'incesto, di bui desideri, di deliri ed ossessioni, è una puttana.
I tribunali di Blogosphere hanno tempi processuali molto brevi.
E verdetti perentori.
Accolti nell' indifferenza generale.
Blogosphere altro non è, quindi, che un immenso palcoscenico teatrale.
Dove è di scena il paradosso.
Recitato da comparse, attori secondari, che pur ambiscono a ruoli primari, ma si rivelano da subito per quello che sono: maldestri trasformisti.
Mostrano i trucchi.
Guitti mediocri.
Dimenticano le battute.
E rozzamente improvvisano.
Ma il pubblico, di livello ancora più infimo, applaude. E chiede il bis.
Esattamente come nella vita reale.
Marilena
giovedì 13 agosto 2009
Diario - EFFETTO AMARANTA
EFFETTO AMARANTA.
Coniato, con supponenza ed alterigia, dalla persona che mi ha insultata, riempita di epiteti e che usando un linguaggio volgare ha aggredito anche colui che voleva difendere (da chi? da cosa?) e quell'unica voce anonima che si è alzata in mia difesa.
Quell'anonimo ha rilevato un difetto di sostanza tra quello che ci si proclama essere e quello che in realtà poi si è.
E lo ha esplicitato.
I grandi proclami, gli ideali sbandierati, la cultura progressista esibita, espressa più volte con toni altisonanti, si è miseramente rivelata essere soltanto una dichiarazione d'intenti.
Oltre il fatto che, avere un'età ragguardevole, non autorizza ad offendere, ad invadere.
A dileggiare.
Ma quello che davvero negativamente mi ha colpita è che le battutine, le verità a senso unico, hanno continuato a trovare spazio su quello che è un blog di sinistra:
LA SINISTRA CHE NOI VOGLIAMO.
"Effetto Amaranta" e spiritosaggini idiote sugli attributi (sic), commenti rivisitati e puntualizzazioni a colpire un amministratore in quel momento assente ed esternazioni personali e solitarie dell'anziano signore, accettate con superficialità, sul modello di schemi berlusconiani duramente condannati all'interno di quello stesso blog, come esempi negativi ed antietici.
Un blog democratico sicuramente non censura e da voce a tutti.
Ma non concede spazio ad illazioni, fraintendimenti, verità a senso unico, sottintesi, strizzatine d'occhio, e a tutto un fraseggio goliardico e casereccio.
Lesivo nei confronti di altri.
Ma nessuno, al suo interno, pare rilevare queste eccessive incongruenze.
Un macroscopico paradosso.
I sottintendimenti del decano e la ferocia rozza, stemperata in elementare ironia di stampo bossiano di chi, invece, provocatoriamente commenta sugli attributi.
Riferimenti velenosi, atti a colpire persone reali, e non nickname.
In evidente antitesi con l'etica di sinistra di cui quel blog si fa portavoce.
Marilena
Coniato, con supponenza ed alterigia, dalla persona che mi ha insultata, riempita di epiteti e che usando un linguaggio volgare ha aggredito anche colui che voleva difendere (da chi? da cosa?) e quell'unica voce anonima che si è alzata in mia difesa.
Quell'anonimo ha rilevato un difetto di sostanza tra quello che ci si proclama essere e quello che in realtà poi si è.
E lo ha esplicitato.
I grandi proclami, gli ideali sbandierati, la cultura progressista esibita, espressa più volte con toni altisonanti, si è miseramente rivelata essere soltanto una dichiarazione d'intenti.
Oltre il fatto che, avere un'età ragguardevole, non autorizza ad offendere, ad invadere.
A dileggiare.
Ma quello che davvero negativamente mi ha colpita è che le battutine, le verità a senso unico, hanno continuato a trovare spazio su quello che è un blog di sinistra:
LA SINISTRA CHE NOI VOGLIAMO.
"Effetto Amaranta" e spiritosaggini idiote sugli attributi (sic), commenti rivisitati e puntualizzazioni a colpire un amministratore in quel momento assente ed esternazioni personali e solitarie dell'anziano signore, accettate con superficialità, sul modello di schemi berlusconiani duramente condannati all'interno di quello stesso blog, come esempi negativi ed antietici.
Un blog democratico sicuramente non censura e da voce a tutti.
Ma non concede spazio ad illazioni, fraintendimenti, verità a senso unico, sottintesi, strizzatine d'occhio, e a tutto un fraseggio goliardico e casereccio.
Lesivo nei confronti di altri.
Ma nessuno, al suo interno, pare rilevare queste eccessive incongruenze.
Un macroscopico paradosso.
I sottintendimenti del decano e la ferocia rozza, stemperata in elementare ironia di stampo bossiano di chi, invece, provocatoriamente commenta sugli attributi.
Riferimenti velenosi, atti a colpire persone reali, e non nickname.
In evidente antitesi con l'etica di sinistra di cui quel blog si fa portavoce.
Marilena
mercoledì 12 agosto 2009
Moderno cannibalismo
Stamani è andato in onda, in diretta, su uno dei tanti blog, un film di una violenza unica.
Oscena.
Un film senza immagini.
Sullo schermo non scorrevano fotogrammi. Ma parole.
Un blog aperto. Accessibile a tutti.
Una porta con le chiavi lasciate nella toppa.
Senza la protezione del moderacommenti, la serratura, la sicurezza che sempre andrebbe inserita per prudenza quando ci si assenta per un tempo abbastanza lungo.
Non per paura dei ladri, in un blog non esiste nulla che si possa materialmente portar via, ma per timore dei folli e degli stolti.
E di ciò che la follia e la stupidità possono produrrre a nostra insaputa
Una porta fiduciosamente lasciata aperta.
Ma con un avviso chiarissimo.
Una richiesta per la verità: Per favore non mettete commenti, nessuna mail, faccio fatica a rispondere, grazie.
Dopo aver dato una sbirciatina all'interno ed essersi accertati che il padrone di casa non può o non vuol ricevere nessuno, sarebbe morale attenersi a quel suo desiderio.
Elementare rispetto per una richiesta garbata. Esistenziale. O solo di sfinimento.
Niente c'è di più detestabile dell'invasione del proprio spazio quando espressamente s'implora la solitudine. Come momento necessario e vitale per se stessi.
Fosse solo per piangere. Per urlare.
Per fissare un muro. Per infrangere stoviglie.
Ed ancora più odioso se questa invadenza viene imposta in nome dell'amicizia.
L'amicizia non può arrogarsi nessun altro diritto se non quello della comprensione.
L'amico rispetta il silenzio.
Ed il bisogno di solitudine.
Permane nelle vicinanze se la situazione lo richiede. Discreto. Attento. Empatico.
Non s'impone granitico e perentorio.
Con la sua mole e la sua voce.
Ad elargire consigli, proverbi.
Perle di saggezza.
O ad assilare con la similitudine delle sue esperienze.
L'amico resta ad aspettare, per tutto il tempo necessario, dietro l'uscio.
Discretamente accertandosi dei tuoi bisogni immediati.
Magari l'esigenza di un kleenex.
Da porgere con una carezza e tornare dietro la porta.
Lui sa che tu sei là fuori.
Lui sa di non essere solo.
Lui sa che nel momento in cui avrà bisogno delle tue parole, del tuo conforto, della tua tenerezza, gli basterà spalancare quella porta e farti entrare.
Invece, stamani, la richiesta garbata affissa sull'uscio era stata strappata via.
C'erano urla ed invettive.
Consigli pratici.
Teorie.
Faccine amorfe.
Considerazioni musicali.
Considerazioni politiche.
Ed ancora urla ed invettive.
Ed ancora i sorrisini idioti delle faccine.
Un incubo.
Violenza.
Indifferenza.
Superficialità.
Supponenza.
Un film dell'orrore.
Un moderno cannibalismo.
L'odiosa indifferenza a quel dolore che aveva indotto a scrivere: Per favore non mettete commenti, nessuna mail, faccio fatica a rispondere, grazie.
Invece c'è stata l'invadenza manicomiale di tutti quei commenti che contenevano solo frasi assurde. Estranee.
Chiassose. Eccessive.
Provocatorie. Cattive.
Retoriche. Vuote.
Di circostanza.
Buttate lì, con la fretta e l'indifferenza di un passaggio dovuto.
Stamani si è consumata una dura violenza dietro quella porta lasciata fiduciosamente aperta.
Marilena
Oscena.
Un film senza immagini.
Sullo schermo non scorrevano fotogrammi. Ma parole.
Un blog aperto. Accessibile a tutti.
Una porta con le chiavi lasciate nella toppa.
Senza la protezione del moderacommenti, la serratura, la sicurezza che sempre andrebbe inserita per prudenza quando ci si assenta per un tempo abbastanza lungo.
Non per paura dei ladri, in un blog non esiste nulla che si possa materialmente portar via, ma per timore dei folli e degli stolti.
E di ciò che la follia e la stupidità possono produrrre a nostra insaputa
Una porta fiduciosamente lasciata aperta.
Ma con un avviso chiarissimo.
Una richiesta per la verità: Per favore non mettete commenti, nessuna mail, faccio fatica a rispondere, grazie.
Dopo aver dato una sbirciatina all'interno ed essersi accertati che il padrone di casa non può o non vuol ricevere nessuno, sarebbe morale attenersi a quel suo desiderio.
Elementare rispetto per una richiesta garbata. Esistenziale. O solo di sfinimento.
Niente c'è di più detestabile dell'invasione del proprio spazio quando espressamente s'implora la solitudine. Come momento necessario e vitale per se stessi.
Fosse solo per piangere. Per urlare.
Per fissare un muro. Per infrangere stoviglie.
Ed ancora più odioso se questa invadenza viene imposta in nome dell'amicizia.
L'amicizia non può arrogarsi nessun altro diritto se non quello della comprensione.
L'amico rispetta il silenzio.
Ed il bisogno di solitudine.
Permane nelle vicinanze se la situazione lo richiede. Discreto. Attento. Empatico.
Non s'impone granitico e perentorio.
Con la sua mole e la sua voce.
Ad elargire consigli, proverbi.
Perle di saggezza.
O ad assilare con la similitudine delle sue esperienze.
L'amico resta ad aspettare, per tutto il tempo necessario, dietro l'uscio.
Discretamente accertandosi dei tuoi bisogni immediati.
Magari l'esigenza di un kleenex.
Da porgere con una carezza e tornare dietro la porta.
Lui sa che tu sei là fuori.
Lui sa di non essere solo.
Lui sa che nel momento in cui avrà bisogno delle tue parole, del tuo conforto, della tua tenerezza, gli basterà spalancare quella porta e farti entrare.
Invece, stamani, la richiesta garbata affissa sull'uscio era stata strappata via.
C'erano urla ed invettive.
Consigli pratici.
Teorie.
Faccine amorfe.
Considerazioni musicali.
Considerazioni politiche.
Ed ancora urla ed invettive.
Ed ancora i sorrisini idioti delle faccine.
Un incubo.
Violenza.
Indifferenza.
Superficialità.
Supponenza.
Un film dell'orrore.
Un moderno cannibalismo.
L'odiosa indifferenza a quel dolore che aveva indotto a scrivere: Per favore non mettete commenti, nessuna mail, faccio fatica a rispondere, grazie.
Invece c'è stata l'invadenza manicomiale di tutti quei commenti che contenevano solo frasi assurde. Estranee.
Chiassose. Eccessive.
Provocatorie. Cattive.
Retoriche. Vuote.
Di circostanza.
Buttate lì, con la fretta e l'indifferenza di un passaggio dovuto.
Stamani si è consumata una dura violenza dietro quella porta lasciata fiduciosamente aperta.
Marilena
martedì 11 agosto 2009
Heuropa
(Pubblicato nell'antologia "Ti racconto la donna" da "Writer Monkey,it" Dicembre 2018)
In quell'ardente pomeriggio di un Agosto meridionale la strada, bianca e polverosa, si presentava deserta, da nord a sud e da est ad ovest, ma il trambusto provocato dal passaggio degli innumerevoli carri aveva destato la contrada apparentemente addormentata nella siesta pomeridiana.
Dai pertugi delle imposte socchiuse, per preservare la freschezza degli interni dall'invadenza del sole, Heuropa, però, poteva facilmente intuire sguardi indagatori e bisbigli sommessi.
Qualcuno più ardito aveva fatto brevemente capolino all'affaccio del balcone per ritirarsi subito con stampata in volto l'espressione di rimprovero severo di colui che, ingiustamente destato da un meritato riposo, si ritrova suo malgrado spettatore di qualcosa che non lo riguarda.
La carovana procedeva spedita in una nube soffocante di polvere bianca che andava coprendo i bagagli accuratamente sigillati ma sprovvisti all'esterno di qualsiasi protezione, ed imbiancando, come fine strato di pan di zucchero, i conducenti dei carri.
La scimmietta, annoiata di dover incedere su una passerella priva di pubblico, sventatamente aveva tentato di inerpicarsi sul primo carro, arrampicandosi lungo una ruota per risalire fin sul pianale ma, miseramente, era poi caduta a terra, finendo tra le zampe di un cavallo che, scartando di lato, aveva ribaltato tutto il suo carico.
Il cavallo dietro andò ad incespicare nel carro rovesciato.
E così per tutta la fila che seguiva, in un devastante effetto domino.
Impaurita, ma illesa, la scimmietta rea di aver provocato tutto quel caos, era corsa a rifugiarsi nel grembo amico di Heuropa che, con qualche difficoltà, si ritrovò a dover discendere dalla carrozza padronale senza l'ausilio del predellino.
I nitriti isterici dei cavalli, le bestemmie esecrabili e le giaculatorie irripetibili dei carrettieri e, sovrastante su tutti, lo sgradevolissimo paupulare del pavone, avevano dato pretesto ai curiosi di fuoriuscire dalle proprie case, forniti dell'alibi altruistico di un aiuto pratico.
Ben presto lo sterrato, bianco e polveroso, si animò di voci e di corpi.
Heuropa, ferma vicino alla sua carrozza con in braccio la scimmietta tremebonda, fu presto circondata da una piccola folla di bambini e di signore, mentre gli uomini, come detta la creanza e la civiltà, si erano immediatamente mobilitati, senza perdersi in vane chiacchiere, a prestar soccorso.
Tirare su i carri. Rimontare le ruote. Recuperare i bagagli.
E, prima di ogni cosa, tentare di chetare lo stonatissimo pavone che andava frantumando i timpani di tutti col suo verso stridente.
Heuropa, nel frattempo, intesseva rapporti di buon vicinato con le comari, le nonne e la maestrina del paese, finché, fra tutte quelle, la più pratica e la più amichevole, la invitò ad accomodarsi nel fresco del suo salottino.
- Per ristorarvi almeno con una limonata, dal momento che il caldo non dà tregua. E tranquillizzare questa creaturina - disse accarezzando la scimmietta - che pare abbia subito un bello spavento -
Con gratitudine Heuropa accettò l'amichevole offerta, apprestandosi di buon grado a presentarsi e a rispondere alle inevitabili curiosità del suo auditorio.
- Heuropa...che nome bizzarro. Originalissimo per altro - Dichiarò la comare più amichevole mentre le versava, in un calice pretenzioso, la limonata.
- Mio padre era italiano. Mia madre francese. La nonna materna era di origine polacca. Mio fratello maggiore è nato in Grecia. Io sono nata al confine tra Spagna e Gibilterra. Da qui l'origine del mio nome. E lei, invece - disse indicando la scimmietta - è Giselle. E proviene dalle lontane Americhe. Le sto insegnando a danzare - Spiegò mentre Giselle, già rinfrancata, si esibiva intrepida in un impudico inchino, tra i gridolini delle signore e gli entusiasmi dei bambini.
- E vostro marito è con voi? Avete figli?- osò, curiosa, la comare più anziana
- Non ho marito signora. O meglio lo avevo. L'ho smarrito durante il cammino. In quanto all'aver figli...ho lei, Giselle. E' la mia bambina. Ha un carattere affettuoso ed una intelligenza eccezionale. Andiamo molto d'accordo -
E a sottolineare quell'ottimo rapporto stampò un bacio sulla fronte rugosa di Giselle, che la contraccambiò con un verso scimmiesco ed un abbraccio appassionato.
- E cosa fate nella vita? Se è lecito chiedere - S'informò, con un largo sorriso, la padrona di casa.
- Scrivo. Favole per bambini e romanzi per adulti - Puntualizzò Heuropa
- Ed è possibile conciliare entrambe le cose? - Domandò, arrossendo, una comarella pallida.
- Non sono affatto inconciliabili, ve lo assicuro. I bambini non sono altro che uomini in nuce - Rispose l'ospite ridendo.
- E come mai siete capitata in questo posto sperduto? - S'intromise la maestrina
- Non ci sono capitata. L'ho scelto di proposito. Ho esigenza di tranquillità per la stesura del mio ultimo romanzo. Una trama complicata che richiede molta concentrazione e così, care signore, mi è stato raccomandato proprio questo posto. La casa che andrò ad abitare comprende un podere molto esteso dove potrò allevare i miei purosangue, fare lunghe escursioni a cavallo, dilettarmi a portare il mio pavone al guinzaglio, e lasciare libera Giselle di scorrazzare a suo piacimento e di arrampicarsi sugli alberi. La vostra cittadina gode inoltre, all'estero, di una straordinaria fama. Niente omicidi. Niente furti. Niente ingiustizie. Insomma, nessuna di tutte quelle brutture di cui ormai sono insozzati tutti gli altri posti. Prodiga, inoltre, di una ospitalità squisita di cui io ora sono, in prima persona, testimone e che ricambierò al più presto, appena mi sarò sistemata nella mia nuova casa - Concluse Heuropa nel prendere congedo.
La lenta processione di carri, con la carrozza padronale in testa, aveva appena finito di defluire, scomparendo all'orizzonte, che già era in atto il nevrotico lavorio di riscontri e congetture, sull'identità della nuova arrivata.
In questo farneticamento elucubrativo il contributo maschile fu davvero prezioso.
Gli uomini, che avevano aiutato a rimettere in sesto la carovana, avevano così avuto modo di soppesare i bagagli e valutare lo stile degli arredi.
Le grandi specchiere barocche, la spalliera oltraggiosa del letto, con raffigurazioni di quelli che parevano essere satiri e ninfe, e gli sgargianti divani di seta viola, volgari orpelli del salottino di una maitresse. E i conturbanti effluvi di quel profumo sessuale che sprigionava dai bauli ermetici degli abiti e della biancheria, non lasciavano dubbi sulla vera identità della scrittrice.
- Chiama bambina la sua scimmia, tiene al guinzaglio un pavone, e ci ha raccontato di aver smarrito il marito lungo il cammino - Sottolineò stridula la comare più amichevole
- E cosa dire della sua professione? Scrittrice di favole per bambini e di romanzi per adulti! Ah bè, certo, partendo da quel suo nome bislacco e dalla sua inverosimile storia genealogica, direi che la signora non difetta certo di fantasia - Aggiunse caustica la comare più anziana.
- E cosa pensare di quella sua affermazione sui bambini che sono gli uomini futuri? E' una frase riprovevole - Rincarò, stavolta senza arrossire, la commarella pallida
- Ma non ci vedo una insensatezza in questo. I bambini diventano poi uomini. E' un fatto naturale. Incontrovertibile. Forse non intendeva dire altro. Nessun doppio senso. - Rischiò timidamente la maestrina
- Parli così perchè non hai visto i suoi bagagli. E' una svergognata. - S'alzò dal fondo una robusta voce maschile.
- Letti lussuriosi e specchi peccaminosi. E quel profumo lascivo che sprigiona dai suoi bauli. Come zolfo dal fosso del diavolo. - Rincarò un compare ancora visibilmente emozionato.
Prese allora la parola il decano, per l'epilogo conclusivo. Nel religioso silenzio dell'intero conclave.
A lui spettava il verdetto finale.
- Concittadini, vi dico che quella donna porterà solo guai. E' una minaccia incombente sull'integrità morale della nostra sana comunità. Una presenza sgradita ed inopportuna, destinata comunque solo ad un breve soggiorno, perché come già meteorologicamente preannunciata questa sarà un'estate torrida e presto inizieranno a divampare incendi. -
martedì 4 agosto 2009
La nausea
La nausea mi ha sopraffatta.
Per questo chiudo la porta del mio antro.
Per ristabilire un equilibrio olfattivo.
Magari cambio casa. Mi trasferisco.
Ricomincio da un'altre parte.
Bagaglio leggero.
I miei racconti: fanfaluche e cronache.
Niente altro.
Ma questo lo deciderò nella ponderazione del distacco.
Per ora è sufficiente lo stand-by.
E' tempo che io mi fermi.
Tranquillità. E silenzio.
Soprattutto silenzio.
E questo luogo è diventato troppo affollato.
E chiassoso.
Troppe voci. Toni alti. Timbri isterici.
Deliri. Farneticazioni.
Ampollosità.
Proclami ad effetto.
Ed è troppo pieno della mia stessa presenza.
Un ingombro.
Mi sono esposta troppo. Senza rete.
Sono caduta. E mi sono fatta male.
Ma non piango.
L'esperienza dell'età adulta, soprattutto quella di questi ultimi tre anni, mi ha insegnato che la forza vera sta nel reagire.
E non nel recriminare.
L'amarezza. Le delusioni.
I giudizi. Perentori e cattivi.
Quelli si, che sempre fanno male.
L'ipocrisia. Il gossip facile e stupido.
E dietro i sorrisi amichevoli solo la curiosità.
Non l'interesse. Non l'empatia.
Non è Blogosphere questa.
Ma l'atrio di una portineria pettegola di un grande condominio.
Marilena
PS - Per favore non commentate e non scrivete e-mail. Non risponderò.
La nausea più grande è proprio per le parole di circostanza.
Marilena
Per questo chiudo la porta del mio antro.
Per ristabilire un equilibrio olfattivo.
Magari cambio casa. Mi trasferisco.
Ricomincio da un'altre parte.
Bagaglio leggero.
I miei racconti: fanfaluche e cronache.
Niente altro.
Ma questo lo deciderò nella ponderazione del distacco.
Per ora è sufficiente lo stand-by.
E' tempo che io mi fermi.
Tranquillità. E silenzio.
Soprattutto silenzio.
E questo luogo è diventato troppo affollato.
E chiassoso.
Troppe voci. Toni alti. Timbri isterici.
Deliri. Farneticazioni.
Ampollosità.
Proclami ad effetto.
Ed è troppo pieno della mia stessa presenza.
Un ingombro.
Mi sono esposta troppo. Senza rete.
Sono caduta. E mi sono fatta male.
Ma non piango.
L'esperienza dell'età adulta, soprattutto quella di questi ultimi tre anni, mi ha insegnato che la forza vera sta nel reagire.
E non nel recriminare.
L'amarezza. Le delusioni.
I giudizi. Perentori e cattivi.
Quelli si, che sempre fanno male.
L'ipocrisia. Il gossip facile e stupido.
E dietro i sorrisi amichevoli solo la curiosità.
Non l'interesse. Non l'empatia.
Non è Blogosphere questa.
Ma l'atrio di una portineria pettegola di un grande condominio.
Marilena
PS - Per favore non commentate e non scrivete e-mail. Non risponderò.
La nausea più grande è proprio per le parole di circostanza.
Marilena
domenica 2 agosto 2009
Welcome to Blogosphere
Brevissima e doverosa premessa.
In questo post sono citati nomi di blogger che hanno fatto presa sulla mia fantasia.
Prassi corretta sarebbe stata chiedere un'autorizzazione preventiva a tutti.
Ma, aggiungo subito, che il loro inserimento all'interno di questo post è dettato solo dalla simpatia e dall'affetto che nutro per loro.
Mi sarebbe piaciuto inserirne tanti altri, ma il mio racconto sarebbe diventato chilometrico!
Se tale inserimento però non è gradito, basterà solo farmelo presente, che immediatamente provvederò a rimuovere.
WELCOME IN BLOGOSPHERE
In una buia serata di un freddo gennaio, a cavallo di una palla di cannone, come il barone di Munchausen mi sono catapultata su questo fazzoletto di terra nella regione più estrema, a settentrione di Blogosphere.
Una landa desolata.
Terra di coyote e di lucertole.
Di roccia viva. E di sabbia.
E di vento turbinoso.
In un viluppo tempestoso di sottane e di foglie, ho sparso le ceneri di mio padre.
Polvere di cipria. Il belletto per i morti, che non hanno più una faccia.
L'ho reso randagio. Restituendogli la libertà.
Welcome in Blogosphere.
Ed ho acceso un falò. Al riparo di una roccia.
Perchè il vento soffiava maligno.
E maledicente.
Avidamente ho ingollato una lunga sorsata di delicious.
Aggressivo come acquavite.
Che ha pervaso la mia gola come una lingua di fiamma. Aquietandomi.
E tutta la notte le fiamme distorte del falò hanno continuato a scaldarmi e a contorcersi, come fuochi fatui, nell' isteria di una danza epilettica.
Proteggendomi dai lupi. E dai fantasmi.
E dalla nenia ossessiva di mia madre.
Che, instancabile, ripeteva il mio nome.
Delirante richiamo psicologico.
Nella mia prima notte clandestina
Welcome in Blogosphere.
Ed oggi, Blogosphere, non è più solo una ipotesi pionieristica ma una realtà geografica.
Un punto preciso sulle mappe.
La mia landa, desolata e battuta dai venti, approdo di viaggiatori spaesati o di esperti girovaghi.
Alcuni giungono trascinandosi dietro il pesante fardello d'ingombranti bauli.
Chini sotto il peso dei loro bagagli.
E con una luce disperata negli occhi.
Alla ricerca della terra promessa.
Cercatori d'oro. Principi in esilio.
Schiave in fuga. Avventurieri.
Esploratori esausti.
Domatori di leoni. Ed incantatori di serpenti.
Imbonitori. Ed affabulatrici.
Splendide puttane. E poeti crepuscolari.
Bussano alla porta del mio antro.
Acqua e cibo.
Ed in cambio il racconto delle loro storie.
Fanfaluche. Leggende. Deliri.
Cronache.
Quelle stesse che io, poi, condivido con voi.
Welcome in Blogosphere.
E' passata di qui Fernanda Castillia, col cadavere di Ignacio Amaral nascosto nel suo baule.
E La Mangiatrice di Farfalle, in fuga dalle ombre ostinate dei morti che non sono morti e dei vivi che non sono vivi.
Ed Achab, l'enigmatico principe della foresta viola. Mi ha regalato una pietra di luce.
E la profondità ermetica del suo sguardo.
E Logos, l'illuminato, il filosofo stratega di un mondo futurista. Mi ha fatto ridere e piangere. Lasciandomi in dono un anello d'argento e la certezza dell'amore.
In una notte d'eclissi qui è approdata Amaranta, con appeso alla sua treccia, come un lugubre orpello, lo psicotico Iggy.
E nessun bagaglio. Non è più ripartita.
E Francy274, fatina diurna ed ape siderale, messaggera in avanscoperta nei cieli elettrici di Blogosphere, è planata nella mia landa desertica, nel pieno di una tempesta di sole.
Preannunciata, invece, da una insondabile nube di polvere, l'irruenta e passionale subcomandante Alba Viola, in sella ad uno strano cavallo munito di una psichedelica criniera rasta. In missione, per unirsi al popolo clandestino di Utopia.
E di qui è passato Drummer, il batterista, leggendario capitano di ventura, così soprannominato per quella sua capacità di sparare pallottole con un fraseggio ritmico, come se picchiasse con le bacchette su un piatto crash. E per l'assolo, enfatico e definitivo, col quale è solito chiudere le sue solitarie jam session.
Ed i bevitori di birra, hobos e diseredati alla ricerca della libertà e d' improbabili giacimenti d'oro.
Affascinanti narratori.
Meravigliosi bugiardi.
Dispensatori di storie fantastiche.
E di bizzarre teorie.
Welcome in Blogosphere
Welcome, a chi busserà alla porta del mio antro.
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