Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.

giovedì 9 gennaio 2025

Améthyste


Ho eseguito un  gesto irreparabile, ho stabilito un legame.
(Jorge Luis Borges)


Queste nella foto siamo io e Améthyste a passeggio nel nostro quartiere  Non pensate che questa sia un'inquadratura sbagliata, semplicemente non amo essere fotografata ma, dal momento che questo racconto include in qualche modo anche la mia presenza, ho deciso che un dettaglio di me, seppur parziale, dovevo pur darlo.
A ben guardare quest'immagine, niente affatto casuale, esplica molto di noi due, della  stagione e del posto in cui viviamo. Non vi sarà certamente sfuggito il particolare del marciapiede dissestato, dell'erba incolta abbarbicata al muro, della fredda luce pomeridiana invernale, impressa in questo scatto in bianco e nero.
Améthyste ed io viviamo in periferia, non importa di quale città, perché le periferie si somigliano un po' tutte, e la descrizione del luogo non aggiungerebbe niente alla nostra storia. E' una periferia rugosa e arruffata nelle stagioni fredde così come in quelle più calde.
Credo, con questa sintesi, di aver dato il quadro esatto della location.

Altro particolare che accomuna me ed Améthyste, è che abbiamo entrambe una predilezione per il nero: lei per via del suo DNA, io per scelta esistenziale. L'avrei amata qualunque fosse stato il colore della sua pelliccia, ma il fatto che sia nera me la rende ancora più cara. Più vicina.
In realtà, Améthyste, non è completamente nera, perché alla luce il suo manto si rivela cangiante, con meravigliose sfumature metalliche, bronzo e blu intenso con pennellate di rosso e di viola. Un arcobaleno notturno che magicamente si palesa alla luce del giorno.
Se avessi avuto una figlia l'avrei chiamata Améthyste. Ma non ho figli perché non ne ho mai sentito imponderabile il desiderio, e non è capitato, neppure per sbaglio.
Doveva essere nel mio destino: fine della storia.
Ed un'Améthyste, nella mia vita, comunque c'è.

Ci siamo incontrate proprio su questa strada. C'era questa micia ferma ad un angolo, come in attesa. D'impulso le ho fatto una carezza. Lei mi ha guardato e non è fuggita via.  Dopo quel contatto mi sono staccata a fatica da quel pezzo di marciapiede. Sapevo che non avrei dovuto farlo. Che non avrei dovuto stabilire un legame, neppure momentaneo. Non c'è niente di più oscuro, e drammatico, della commozione: una melassa dove rischi di rimanere impantanato. E allo scoperto.
Così ho ripreso a camminare a passo svelto, e lei ha continuato a seguirmi. Qualche passante ci guardava incuriosito. Dovevamo apparire, agli occhi della gente, una coppia strampalata ma anche molto ben assortita, iocon le mie sottane nere e lei che di nero aveva il manto: la strega e la sua gatta.
Non mi piace essere guardata. Non mi piace attirare l'attenzione, per questo lavoro come receptionist notturna in un hotel del centro. Chi sta alla reception non ha bisogno di una fisionomia che s'imprima nella memoria, è solo una voce che risponde alle chiamate e una mano che scrive su un registro. 

Ma tornando a quel mio incontro con  Améthyste, ricordo di aver percorso un lungo tratto di strada e lei era sempre lì, a pochi centimetri da me, aveva calibrato la sua andatura con la mia e procedeva, senza ripensamenti, sinuosa ed elegante, al mio fianco, con la coda dritta come lo scettro di una regina.
Ovvio che in quel frangente non potevo sapere se Améthyste fosse una lei o un lui, anche se il mio istinto, da subito, l'ha presagita femmina, e neppure avrei immaginato che quello fosse l'inizio di un qualcosa. Di un'intesa o, ancor più impensabile, di una convivenza, perché non avevo alcuna intenzione di modificare il mio modus vivendi di animale crepuscolare, con le ore vissute nello spazio che va dal tramonto all'alba, e le brevi pause di un sonno asciutto, senza sogni. Il mio tempo è quello di un orologio le cui lancette girano al contrario così, senza troppi rimpianti ho imparato, al di là di una facile metafora, a scoprire nei tramonti le albe e nelle stelle gli arcobaleni.
Davanti al portoncino nero fumo della palazzina dove vivo, mi sono fermata sulla soglia. Un momento d'indecisione poi ho girato la chiave nella toppa e affrontato la breve rampa di scale che conduce al mio appartamento al primo piano. Ho finto che fossi sola. Ho aperto la porta e Améthyste, senza nessuna indecisione, è entrata e ha cominciato ad annusare tutti gli angoli e gli spazi delle camere. Poi, soddisfatta, è venuta a strusciarsi sulle mie gambe. Mi ha accettata senza che io le avessi fatto alcuna promessa. Senza nessuna rassicurazione da parte mia e nonostante la mia ritrosia.
Semplicemente si è fidata.

Queste nella foto siamo io e  Améthyste, durante la consueta passeggiata pomeridiana nel nostro quartiere. Tra un po' rientreremo a casa per preparare la cena prima d'iniziare la nostra anomala quotidianità: io diretta al lavoro e lei alle sue scorribande notturne. Ci incamminiamo entrambe verso la fermata della metro, io come sempre un po' impacciata nel tailleur nero e leggermente traballante sui tacchi d'ordinanza della mia divisa da receptionist, e sulla spalla una capace tracolla che ospita  Améthyste durante il nostro percorso verso il centro, da cui sgattaiola fuori appena giunte davanti all'Hotel dove prenderò servizio. C'è sempre, ormai da un po' di tempo, un piccolo gruppo di gatti che l'attende all'angolo dell'elegante palazzo, e con i quali s'avvia nelle sue segrete avventure urbane: battute di caccia e spericolate esplorazioni di quegli angoli inibiti a noi umani.
Dal canto mio, con molta discrezione, dalla mia postazione sempre getto uno sguardo al portoncino smerigliato dell'Hotel per vedere quando si palesa al di là del vetro la sua piccola ombra scura, perché stanca delle sue scorrerie o più semplicemente perché vuole starsene un po' con me. Accucciata sotto il bancone sgranocchia crocchini e se ha voglia schiaccia un pisolino, al caldo d'inverno, al fresco d'estate, gratificandomi con la morbida carezza del suo respiro che mi sfiora le gambe.
Siamo molto avvedute e nessuno, nell'hotel, si è accorto mai della sua presenza. Ma l'ha notata, invece, la mia dirimpettaia, che ora spesso lascia davanti la porta di casa qualche leccornia felina. Una premura che Améthyste di certo non disdegna, e ricambia la gentilezza con affettuose strusciatine le volte che ci è dato incrociarla sulle scale. La mia vicina esce di rado perché afflitta da una severa patologia alle gambe, e così sono convinta che quegli incontri non siano affatto casuali.
Ultimamente, tra gli estimatori di Améthyste, che per via di queste nostre passeggiate è diventata una celebrità nel quartiere, si è aggiunto anche il proprietario del negozio di libri, che sempre s'affaccia, e ci saluta, ogni volta che passiamo davanti alla sua libreria. Per lei, davanti all'entrata, ha posto una ciotolina viola per l'acqua ed una per i crocchini, e scritto col pennarello dorato il suo nome. Così la sosta nel suo negozio è diventata parte integrante del nostro percorso, e una delle abitudini irrinunciabili di Améthyste. E mentre lei si ristora, e se non ci sono acquirenti, c'è anche tempo per una breve, cordiale conversazione. Ieri, nonostante il mio evidente imbarazzo, mi ha voluto regalare un libro che tratta di psicologia felina. Me lo ha porto con un sorriso, quasi scusandosi: «Si vede che lei ed  Améthyste siete molto affiatate e probabilmente questo manuale non aggiungerà nulla alla sua esperienza, ma mi farebbe comunque piacere se lei lo accettasse.»

Quel regalo inaspettato conteneva un'interessante miniera d'informazioni di cui nulla sapevo, anche se credo che nessuno, davvero nessuno, potrà mai esplorare completamente, al di là della sua esteriorità, il complesso, enigmatico, meraviglioso mondo felino.
E credo che questo sia un bene.