Non era la più bella ma la più luminosa.
Il volto, dall'incarnato chiarissimo e circonfuso dall'aureola pallida dei capelli, e i movimenti aggraziati di una ballerina, le donavano un che di etereo, d' impalpabile, sicchè sentivi forte l'impulso materiale di toccarla per sincerarti che non fosse una visione.
Il suo abito grigio, quasi monacale, risultava ancora più nitido nella cornice dei rossi festosi e dei neri aggressivi, perchè la funzione dei colori violenti non sempre è quella di catalizzare lo sguardo ma, come capita in questo caso, di far risaltare, invece, ciò che è solo apparentemente incolore.
Dunque non era la più bella ma la più luminosa.
Quella che avresti voluto toccare.
Eppure nessuno degli astanti aveva trovato il coraggio di avvicinarla, d'invitarla a ballare, un cortese approccio per una prima confidenza.
Una invisibile linea di confine la divideva dal resto della sala.
Intimidivano la malinconia del suo sguardo spaesato di esule.
E quell'abito grigio, serrato fino al collo.
Pubblicato il 26/11/2010, sotto l'etichetta "Ritratti"
RispondiEliminaClic elettrico e — le moccolose candeline infilzate — s'accende il vetro d'una lampadina
RispondiElimina......seppur la visiblità non è solo una questione di luce, di certo, una buona illuminazione rende tutto più reale.
EliminaFiat Lux, Andres!
Questa descrizione mi fa venire in mente le ragazze del Corno d'Africa, esili e con gli occhi grandi e malinconici, che in questi giorni d'estate ho incontrato spesso intorno a casa mia, con il carico di angosce per la propria condizione di esuli-migranti, e che non hanno sconti dall'essere donne. Ti leggo sempre molto volentieri Marilena.
RispondiEliminaCi scivolano accanto invisibili e malinconiche, ne ho conosciute sai, Giovanni, che hanno dovuto lasciare la famiglia e i figli per assicurare loro una possibilità di futuro, o il semplice diritto allo studio.
RispondiEliminaIn fuga dalla povertà o dalle guerre, o da mariti violenti (eh si, anche in questo contesto si ripropone l'universale questione)
Donne che arrivano clandestine consapevoli di non poter tornare indietro e di non poter, forse, rivedere la propria famiglia per anni.
Ma in questo brevissimo racconto frammento ho voluto anche sottolineare la difficoltà da parte nostra d'interagire con gli stranieri, una sorta di timidezza e pudore che subentra davanti alla povertà estrema, alla rinuncia stoica, ad un destino precario.
Si diventa timidi ed inadeguati, è un sentirsi in colpa per avere anche solo poco di più, perchè scatta la consapevolezza che quel nostro poco di più per loro rappresenta, invece, la ricchezza.
E' il pudore delle genti povere davanti ad una povertà ancora più disperata.
Dobbiamo rispetto a questa gente.
Se rispettiamo loro rispettiamo anche la parte migliore di noi stessi.
E della nostra storia di migranti.
Grazie, Giò, è con altrettanto piacere che leggo i tuoi commenti.
ciò che è lontano da noi, ci spaventa eppure attrae, chissà quante storie prenderebbero una svolta diversa se abbattessimo quelle barriere in noi. Un bacio mia escura, indagatrice dell'animo umano.
RispondiEliminaE' così Lucy, anche la timidezza si dimostra un barriera. Quella timidezza che c'assale in presenza di qualcosa/qualcuno che si palesa diverso, non in sintonia col contesto (in questo caso una sala da ballo. La tristezza dell'esule e la timidezza degli astanti: due barriere insuperabili.
EliminaSempre così attenta, Lucy, e i tuoi commenti sempre centrano il punto.
già le barriere sono di natura infinita in noi, cercare di vincerle è già vivere. baci
RispondiEliminaQuello che noi tutti dovremmo, con convinzione, fare.
EliminaBacio