Horribilis anno.
Magnum anno.
Il 2012, l'anno in cui sarebbe dovuto avvenire il completamento di me stessa, sta finendo senza che io abbia portato a termine questa mia grande opera destinata, ormai di certo, a rimanere incompiuta.
Ciò a cui da sempre aspiro è la perfezione, non un lifting o un aggiustamento mirabolante, no, la perfezione assoluta che, ne son ben cosciente, potrebbe alla fine paradossalmente rivelarsi "grandiosamente disarmonica".
Ma no, non mi è stato possibile nonostante i miei sforzi e la mia, sempre più scarsa pazienza, ottenere da me stessa più di quello che ho conquistato.
Molto poco, alla luce dei fatti, ancor meno rispetto ai miei desideri.
Ma è di questo che ancor oggi tratto, il fallimento delle mie aspettative che, seppur non è una debacle totale (qualcosa si può sempre, alla somma dei conti, annoverare in positivo) il risultato, però, è ben lontano dall' esser confacente alle attese.
Per quel che mi riguarda, poi, ho dovuto sempre lottare contro scetticismo e pessimismo che da sempre mi caratterizzano, zavorra gravosa che di certo rende ancor più ostico il percorso, anche se perseguire il raggiungimento di una meta che sempre più s'allontana, o addirittura si rivela irrangiungibile, col sorriso sulle labbra, personalmente mi sembra un modo di fare molto falso e molto idiota.
Insomma non credo neppure che un atteggiamento forzatamente positivo possa modificare il nostro destino o, almeno, mostrarcelo in una luce diversa (l'ho provato e per me non ha funzionato forse per colpa di quel mio terzo occhio costantemente desto e guardingo, spietatamente aperto sulla realtà oggettiva cosicchè io, che ho la presunzione di scriver favole, non soggiaccio al loro incantesimo).
Non sarei capace, quindi, pur falsando i bilanci e barando le carte, indossare una maschera gaudiosa e votarmi al pensiero positivo che un altro anno sta per sorgere e che ci saranno nuovi giorni e nuove occasioni, quando invece so per certo che col trascorrere degli anni le energie scemano e la volontà sempre più volentieri si rifugia nell'asilo dell'intorpidimento passivo.
Questa ultima metà di anno è stata comunque terribile, mi son dovuta confrontare con situazioni al disopra delle mie forze e delle mie possibilità, prender decisioni senza aver avuto neppur il tempo di poterle riflettere.
Decisioni che mi condizioneranno almeno per i prossimi anni, che hanno già determinato cambiamenti e che, di certo, altri ancora ne porteranno, e non saranno facili.
E non sono queste ipotesi pronosticate dal mio pessimismo endemico ma, piuttosto, dati reali.
Quest'ultima metà di anno è stata, però, anche magnifica, perchè quella grande forza interiore che ho recentemente acquisito non ha mai più violentemente vacillato ma, anzi, ancor di più si sono rafforzate la mia autostima e la mia indipendenza.
Ed anche se la storia della mia vita è ormai già forse avviata alla stabilità di una trama definita, e noiosamente prevedibile, ho ancora per il resto dei miei giorni, mille storie da inventare, mille destini da compiere, mille galassie da esplorare, mille guerre da pacificare, mille mongolfiere da involare, mille destrieri da domare, mille stelle d'accendere, mille lune da far sorgere, mille...
Perchè questa è la sorte meravigliosa dei fabbricanti di storie.
Marilena
Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.
sabato 29 dicembre 2012
venerdì 21 dicembre 2012
Pragmatismo natalizio
“Se quest’anno nessuno ha intenzione di mandarmi dei regali per Natale, non vi preoccupate. Ditemi solo dove abitate e io verrò a prenderli da solo.”
(Henny Youngman)
Pragmatismo natalizio.
......e, a proposito di regali, lo voglio alto, atletico, colto e brillante, con una bella voce ma che abbia anche una buona manualità e fantasia ed ironia e un conto in banca e qualche anno meno di me.
Babbo Natale, vecchio bastardo, non tirarmi buca anche stavolta che, se per questa consegna non ce la fai a Natale, va bene anche Capodanno.
(Amaranta)
(Henny Youngman)
Pragmatismo natalizio.
......e, a proposito di regali, lo voglio alto, atletico, colto e brillante, con una bella voce ma che abbia anche una buona manualità e fantasia ed ironia e un conto in banca e qualche anno meno di me.
Babbo Natale, vecchio bastardo, non tirarmi buca anche stavolta che, se per questa consegna non ce la fai a Natale, va bene anche Capodanno.
(Amaranta)
domenica 16 dicembre 2012
Tris di donne
La libertà è un bene supremo, anche per un personaggio di carta, che solo così può essere vero e trascinarci nella lettura.
(Felinità)
TRIS DI DONNE
TRE DONNE PERICOLOSE
In questa storia, di donne pericolose ce ne sono tre: la Scultrice, la Scrittrice, l'Alter Ego.
Il titolo della mia ultima storia "Una donna pericolosa" trae, anche se involontariamente, in inganno, dal momento che identifica la minaccia solo nella protagonista principale, la Scultrice, che si presenta come una donna impenetrabile, morbosamente introversa e solitaria, e non riscuote le simpatie di nessun'altro degli abitanti dell'Antro, in particolare della mia Alter Ego, Amaranta, che ha maturato, a causa di un album dal quale la nostra ospite non si separa mai, contenente immagini e fotografie di membra amputate e di corpi mutilati, la convinzione che si tratti di una serial killer.
La Scultrice, di cui non sappiamo nemmeno il nome, è d'ascriversi alla categoria dei sociopatici, questo è un dato di fatto deducibile dai suoi comportamenti ma che non può, a priori, definire null'altro.
I sociopatici non sono necessariamente degli assassini.
E neppure il famigerato album contenente la lugubre galleria di corpi smembrati può essere addotto come prova di delitti commessi o da commettere.
Ovvio che le due concomitanze,sociopatia ed album pulp, possono esaltarsi a vicenda e scioccare, ma non per questo sono bastanti ad emettere un giudizio di colpevolezza.
DUE SEQUENZE DIVERSE
Nella prima sequenza vediamo una donna impenetrabile, che noi percepiamo ostile, diversa dai nostri quotidiani e cordiali modelli di riferimento ai quali lei però non prova neppure, nel ruolo di ospite, a conformarsi, ma anzi ancor di più si estranea, traccia distanze e pone barriere, provocatoriamente lasciando trapelare, attraverso un album d'immagini aberranti, l'aspetto remoto di un carattere borderline, cosicché noi ci predisponiamo a supporre che quelle costituiscano la prova del suo crimine probabile e l'arroganza della sua impunità.
L'altra sequenza, invece, ci mostra una donna diversa, compatibile alla nostra idea di ospite, con un atteggiamento più espansivo e caloroso, con la quale scambiamo idee banali sul tempo, più profonde sulla politica e sulla cultura, o effimere, sulla moda e sulle canzonette, insomma una persona che definiremmo normale, anche se coltiva l'originale, sia pur discutibile passione di collezionare immagini pulp.
Questo penseremmo: che ama il pulp.
Le perplessità di Amaranta, quindi, alla luce dei fatti fin qui registrati, sono assolutamente prive di qualsiasi fondamento oggettivo che le trasformi in indizi materiali ma, piuttosto, ascrivibili ad una quantità di dubbi suscitati da una prudenza eccessiva, forse morbosa, e sicuramente retaggio di condizionamenti mentali etici, morali e d'immagine.
E' questo suo giudizio superficiale, basato essenzialmente sull'apparenza, a renderla una donna pericolosa.
LE TRAIT D'UNION
La Scrittrice è le trait d'union tra la Scultrice ed Amaranta.
La più pericolosa, mi spingerei a dire, perché pur di poter scrivere il suo romanzo volutamente ignora le perplessità della sua Alter Ego nei confronti della sua ospite, protagonista del suo ultimo romanzo, dalla quale spera di ricavare rivelazioni scioccanti per trasformare il suo libro in un caso letterario.
E' talmente assorbita da questo compito che scientemente ignora, minimizza, finge di non vedere la disastrosa collisione in atto, schierandosi sempre dalla parte della Scultrice, infrangendo le regole elementari del buon senso che, in un contesto tale, ricuserebbero un arbitraggio così sfacciatamente partigiano.
UNA VOCE FUORI CAMPO
Le mie attenzioni si sono concentrate da principio sulla protagonista principale, La Scultrice, investendola del ruolo di elemento portante della narrazione, quello che avrebbe dovuto stabilire logica e distribuire coerenza e verità a questo mio affannoso affastellamento di parole e di concetti.
Analizzando però poi a fondo la storia, che tra l'altro come quasi tutte le mie storie non ha un finale stabilito, e mai come in questo caso potrei forse dire un verdetto, per tutte quelle ragioni fin qui supposte e diligentemente elencate a scapito degli alibi e delle motivazioni, vere o presunte, a cui ci si può singolarmente appellare per non chiudere definitivamente il caso, lasciando spazio al dubbio e alle ipotesi e alla possibilità che un approfondimento delle indagini preveda la scrittura di nuovi capitoli: prequel, sequel e, per quel che strettamente mi riguarda, anche midquel, dal momento che ancora permangono interrogativi a cui non si è data soddisfacente risposta per cui, fin d'ora, sarebbe onesto dire che la storia non è finita
(Felinità)
TRIS DI DONNE
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La Scrittrice |
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La Scultrice |
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L'Alter Ego |
TRE DONNE PERICOLOSE
In questa storia, di donne pericolose ce ne sono tre: la Scultrice, la Scrittrice, l'Alter Ego.
Il titolo della mia ultima storia "Una donna pericolosa" trae, anche se involontariamente, in inganno, dal momento che identifica la minaccia solo nella protagonista principale, la Scultrice, che si presenta come una donna impenetrabile, morbosamente introversa e solitaria, e non riscuote le simpatie di nessun'altro degli abitanti dell'Antro, in particolare della mia Alter Ego, Amaranta, che ha maturato, a causa di un album dal quale la nostra ospite non si separa mai, contenente immagini e fotografie di membra amputate e di corpi mutilati, la convinzione che si tratti di una serial killer.
La Scultrice, di cui non sappiamo nemmeno il nome, è d'ascriversi alla categoria dei sociopatici, questo è un dato di fatto deducibile dai suoi comportamenti ma che non può, a priori, definire null'altro.
I sociopatici non sono necessariamente degli assassini.
E neppure il famigerato album contenente la lugubre galleria di corpi smembrati può essere addotto come prova di delitti commessi o da commettere.
Ovvio che le due concomitanze,sociopatia ed album pulp, possono esaltarsi a vicenda e scioccare, ma non per questo sono bastanti ad emettere un giudizio di colpevolezza.
DUE SEQUENZE DIVERSE
Nella prima sequenza vediamo una donna impenetrabile, che noi percepiamo ostile, diversa dai nostri quotidiani e cordiali modelli di riferimento ai quali lei però non prova neppure, nel ruolo di ospite, a conformarsi, ma anzi ancor di più si estranea, traccia distanze e pone barriere, provocatoriamente lasciando trapelare, attraverso un album d'immagini aberranti, l'aspetto remoto di un carattere borderline, cosicché noi ci predisponiamo a supporre che quelle costituiscano la prova del suo crimine probabile e l'arroganza della sua impunità.
L'altra sequenza, invece, ci mostra una donna diversa, compatibile alla nostra idea di ospite, con un atteggiamento più espansivo e caloroso, con la quale scambiamo idee banali sul tempo, più profonde sulla politica e sulla cultura, o effimere, sulla moda e sulle canzonette, insomma una persona che definiremmo normale, anche se coltiva l'originale, sia pur discutibile passione di collezionare immagini pulp.
Questo penseremmo: che ama il pulp.
Le perplessità di Amaranta, quindi, alla luce dei fatti fin qui registrati, sono assolutamente prive di qualsiasi fondamento oggettivo che le trasformi in indizi materiali ma, piuttosto, ascrivibili ad una quantità di dubbi suscitati da una prudenza eccessiva, forse morbosa, e sicuramente retaggio di condizionamenti mentali etici, morali e d'immagine.
E' questo suo giudizio superficiale, basato essenzialmente sull'apparenza, a renderla una donna pericolosa.
LE TRAIT D'UNION
La Scrittrice è le trait d'union tra la Scultrice ed Amaranta.
La più pericolosa, mi spingerei a dire, perché pur di poter scrivere il suo romanzo volutamente ignora le perplessità della sua Alter Ego nei confronti della sua ospite, protagonista del suo ultimo romanzo, dalla quale spera di ricavare rivelazioni scioccanti per trasformare il suo libro in un caso letterario.
E' talmente assorbita da questo compito che scientemente ignora, minimizza, finge di non vedere la disastrosa collisione in atto, schierandosi sempre dalla parte della Scultrice, infrangendo le regole elementari del buon senso che, in un contesto tale, ricuserebbero un arbitraggio così sfacciatamente partigiano.
UNA VOCE FUORI CAMPO
Le mie attenzioni si sono concentrate da principio sulla protagonista principale, La Scultrice, investendola del ruolo di elemento portante della narrazione, quello che avrebbe dovuto stabilire logica e distribuire coerenza e verità a questo mio affannoso affastellamento di parole e di concetti.
Analizzando però poi a fondo la storia, che tra l'altro come quasi tutte le mie storie non ha un finale stabilito, e mai come in questo caso potrei forse dire un verdetto, per tutte quelle ragioni fin qui supposte e diligentemente elencate a scapito degli alibi e delle motivazioni, vere o presunte, a cui ci si può singolarmente appellare per non chiudere definitivamente il caso, lasciando spazio al dubbio e alle ipotesi e alla possibilità che un approfondimento delle indagini preveda la scrittura di nuovi capitoli: prequel, sequel e, per quel che strettamente mi riguarda, anche midquel, dal momento che ancora permangono interrogativi a cui non si è data soddisfacente risposta per cui, fin d'ora, sarebbe onesto dire che la storia non è finita
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Images by Aly Fell |
venerdì 14 dicembre 2012
La cicatrice
Il mio tatuaggio l'ho voluto visibile, in primo piano sulla mia faccia, e scioccante come un urlo, perché non sono di quelle che pensa che un tatuaggio deve essere discreto o segreto.
Né tanto meno silenzioso.
A cosa serve un opera d'arte se non può esser vista?
A cosa serve un'opera d'arte se non trasmette alcun messaggio?
Il mio urlo, di voce e di gola, si sarebbe alla fine perso tra le mille altre grida che azzittiscono il mondo, quando invece la mia insondabile angoscia implorava l'eterna visibilità della maschera.
Pierrot ha per sempre impressa la sua tristezza in quella lacrima nera, indelebile nel suo viso di biacca, la mia disperazione esistenziale...qualcosa di molto più grande e profondo, che ha prodotto il tatuaggio di questa cicatrice frastagliata che mi taglia la faccia e muore all'angolo della bocca con una goccia rossa di sangue.
Una lacrima vivida che mai, per tutto il resto della mia vita, si rapprenderà.
Eppoi, un giorno, ho ricominciato a sorridere nonostante quel fulmine nero che m'attraversa il volto.
Quando sorrido i miei estimatori vanno in estasi, meravigliati della particolarità inedita di quella linea sottile che demarca il confine tra la bellezza e l'orrore.
Sei bella, nonostante questo.
Il mio ammiratore ha accarezzato con dita lievi la cicatrice, timoroso che sfiorandola potesse farmi male.
Apprezzava me e non l'opera del tatuatore.
Se Pierrot ha per un'unica volta sorriso deve essere stato allora.
Né tanto meno silenzioso.
A cosa serve un opera d'arte se non può esser vista?
A cosa serve un'opera d'arte se non trasmette alcun messaggio?
Il mio urlo, di voce e di gola, si sarebbe alla fine perso tra le mille altre grida che azzittiscono il mondo, quando invece la mia insondabile angoscia implorava l'eterna visibilità della maschera.
Pierrot ha per sempre impressa la sua tristezza in quella lacrima nera, indelebile nel suo viso di biacca, la mia disperazione esistenziale...qualcosa di molto più grande e profondo, che ha prodotto il tatuaggio di questa cicatrice frastagliata che mi taglia la faccia e muore all'angolo della bocca con una goccia rossa di sangue.
Una lacrima vivida che mai, per tutto il resto della mia vita, si rapprenderà.
Eppoi, un giorno, ho ricominciato a sorridere nonostante quel fulmine nero che m'attraversa il volto.
Quando sorrido i miei estimatori vanno in estasi, meravigliati della particolarità inedita di quella linea sottile che demarca il confine tra la bellezza e l'orrore.
Sei bella, nonostante questo.
Il mio ammiratore ha accarezzato con dita lievi la cicatrice, timoroso che sfiorandola potesse farmi male.
Apprezzava me e non l'opera del tatuatore.
Se Pierrot ha per un'unica volta sorriso deve essere stato allora.
mercoledì 12 dicembre 2012
Una donna pericolosa (cap 3)
"Nulla è più complicato della sincerità"
Pirandello
La Scultrice è partita stamane, di buon mattino e senza salutare nessuno, lasciando solo un biglietto contenente un suo indirizzo vago e senza specificare la città.
Vorrebbe che io la rintracciassi e, nello steso tempo, non desidera farsi trovare: solo questa può essere la spiegazione logica per quelle sue indicazioni incomplete.
Albeggiava, quando è andata via, l'ho intravista da dietro la tendina della finestra, vestita di tulle, nonostante il freddo pungente e trascinando a fatica quel suo pesante, traballante bagaglio sul terreno fortemente accidentato.
Dal canto mio, pur avendo intuito la sua intenzione di partire, non ho fatto nulla per trattenerla, perché sapevo che il mio tentativo sarebbe stato vano e che l'avrebbe perfino imbarazzata.
Così sono rimasta ad immaginarla, al di là della parete, intenta ad assemblare con gesti misurati il suo bagaglio, ispezionando poi, ad uno ad uno, i cassetti e l'armadio, alla ricerca di eventuali dimenticanze, attentissima a cancellare ogni traccia del suo passaggio.
Un ultimo sguardo alla stanza, per lei transitoria ed estranea, ed eccola già proiettata all'esterno, libera e senza rimpianti per il termine di quella permanenza tra gente ostile e sospettosa.
So che non tornerà più e così dovrò essere io a cercarla, per questo mi ha lasciato metà di una traccia: il nome di una strada senza la specifica della città.
Amaranta - Ho trovato questo davanti alla porta della mia camera. -
E mi porge l'album che La Scultrice gelosamente custodiva. -
Amaranta - Una provocazione! Cos'altro può significare? -
Io - Forse è solo un regalo...dal momento che tu ne eri così affascinata. -
Amaranta - Ci sta sfidando, e quest'album è il guanto con cui ci ha schiaffeggiato. -
Io - Sei diventata paranoica. -
Amaranta - E tu, invece, completamente cieca. -
DAL DIARIO DI AMARANTA
13 Dicembre 2012
La Scultrice è partita e mi ha lasciato il suo album contenente una piccola, ma dettagliata, galleria degli orrori .
L'ho nascosto, seppellito sotto terra affinché nessuno degli abitanti dell'antro ne venga in possesso.
Soprattutto Iggy.
Di contro, la mia alter ego ha invece stoltamente ridimensionato il tutto ad una sequenza di bozzetti pulp, testardamente rifiutando a priori l'ipotesi di qualcosa di più oscuro.
E il fatto che abbia lasciato di proposito il suo album, dal quale non si separava mai, ne potrebbe costituire la cinica prova di un reato commesso ed impunito, destinato a rimanere tale.
Ci sta sfidando al gioco sottile della strategia dell'inganno.
Lei è quella che io intuisco sia, ed il mostrarsi apertamente, in maniera così spudorata, anziché dissimulare, è una raffinatissima tattica dell'imbroglio della quale, la nostra ospite, ha dimostrato di sapersi magistralmente servire, tant'è che la scrittrice si è posta completamente dalla sua parte, ed ignorando le mie perplessità, con convinzione ha preso le sue difese.
La Scultrice, abilissima giocatrice, ha saputo ben intuire la psicologia di Mari, penetrare il suo sconfinato bisogno d'interazione e manipolare il suo giudizio, stabilendo una sorta di dipendenza, cieca e sorda, scaturita in quel suo placido ed inerte stato d'accettazione quando, stolidamente ignorando le realtà oggettive, ha abbassato tutte le difese affidandosi ad una valutazione analitica, superficiale ed improbabile, il cui risultato finale è stato quello della sua acritica accettazione.
sabato 8 dicembre 2012
Una donna pericolosa (cap 2)
Il giorno che La Scultrice ha varcato la soglia dell'antro l'atmosfera è diventata improvvisamente cupa.
L'Imperatrice Camilla è stata categorica, tornerà in visita solo quando lei se ne sarà andata.
Iggy si è rintanato nel suo bugigattolo buio a recitare le sue lugubri nenie.
Lizard, la lucertolina bionda, si è eclissata sotto una qualche pietra remota ed inviolabile, in un accesso di prudenza che mal concorda con la sua natura instancabile di curiosa, sempre avida di novità.
Kilroy, il piccolo Freak graffiti writer, spontaneamente si è assunto il ruolo di body guard che, incollato al mio fianco, gira armato di bombolette spray strategicamente disseminate su tutta la superficie del suo breve corpo, determinato, come un ardente shahid, ad immolarsi per proteggermi.
Eppoi c'è Amaranta, apertamente nemica, non fa nulla per dissimulare la sua avversione nei confronti della nostra ospite e, ritenendomi l'artefice di questa situazione, ha adottato anche nei miei riguardi lo stesso freddo ostile atteggiamento.
Amaranta - Perché l'hai voluta qui?
Io - Perché è una donna interessante, ha una storia incredibile nel suo passato, per me materia di scrittura
Amaranta - Piantala, Mari, con questa storia della scrittura, l'alibi con cui giustifichi le tue stravaganze.
Io - Non hai però parlato di stravaganze quando ho qui invitato, con la stessa motivazione, Il Portoghese
Amaranta - Mica vuoi mettere i due sullo stesso piano, vero? Quella donna dissemina gelo, non è paragonabile a nessun'altro che abbia varcato questa soglia, nemmeno a Fernanda Castillia che pur trasportava nel suo baule il cadavere fatto a pezzi di Ignazio Amaral. E' il male, possibile che solo tu non lo vedi?
Io - Il bene e il male! Da quando hai iniziato a ragionare in termini dualistici?
Amaranta - Da quando quella donna, su tuo invito, ha varcato la soglia di questa casa.
DAL DIARIO DI AMARANTA
8 Dicembre 2012
C'è qualcosa in questa donna, La Scultrice, di profondamente buio ed insondabile: parca di parole e di gesti, se ne sta la maggior parte del tempo a fumare e tracciar schizzi su un album che non lascia mai incustodito alla portata delle nostre mani e dei nostri occhi.
Stamani, però, sono riuscita a darci un'occhiata, seppure frettolosa, quando lei volendo fumare e non avendo più sigarette e pensando di esser sola è andata a prenderne nella sua stanza, lasciando l'album sul tavolo, aperto su di una pagina che mostrava un'orippillante sequenza di bozzetti, disegni e foto di corpi umani sezionati ed orrendamente smembrati: il lavoro di un tecnico autoptico o il delirio di un folle.
Son sicura che se ne facessi menzione con la mia ostinata alter ego, la scrittrice, di sicuro obietterebbe che gli studi di anatomia naturalmente rientrano nel bagaglio culturale di una scultrice mentre io, invece, ho il forte sospetto che quelle immagini siano la raccapricciante testimonianza di un orribile segreto.
L'Imperatrice Camilla è stata categorica, tornerà in visita solo quando lei se ne sarà andata.
Iggy si è rintanato nel suo bugigattolo buio a recitare le sue lugubri nenie.
Lizard, la lucertolina bionda, si è eclissata sotto una qualche pietra remota ed inviolabile, in un accesso di prudenza che mal concorda con la sua natura instancabile di curiosa, sempre avida di novità.
Kilroy, il piccolo Freak graffiti writer, spontaneamente si è assunto il ruolo di body guard che, incollato al mio fianco, gira armato di bombolette spray strategicamente disseminate su tutta la superficie del suo breve corpo, determinato, come un ardente shahid, ad immolarsi per proteggermi.
Eppoi c'è Amaranta, apertamente nemica, non fa nulla per dissimulare la sua avversione nei confronti della nostra ospite e, ritenendomi l'artefice di questa situazione, ha adottato anche nei miei riguardi lo stesso freddo ostile atteggiamento.
Amaranta - Perché l'hai voluta qui?
Io - Perché è una donna interessante, ha una storia incredibile nel suo passato, per me materia di scrittura
Amaranta - Piantala, Mari, con questa storia della scrittura, l'alibi con cui giustifichi le tue stravaganze.
Io - Non hai però parlato di stravaganze quando ho qui invitato, con la stessa motivazione, Il Portoghese
Amaranta - Mica vuoi mettere i due sullo stesso piano, vero? Quella donna dissemina gelo, non è paragonabile a nessun'altro che abbia varcato questa soglia, nemmeno a Fernanda Castillia che pur trasportava nel suo baule il cadavere fatto a pezzi di Ignazio Amaral. E' il male, possibile che solo tu non lo vedi?
Io - Il bene e il male! Da quando hai iniziato a ragionare in termini dualistici?
Amaranta - Da quando quella donna, su tuo invito, ha varcato la soglia di questa casa.
DAL DIARIO DI AMARANTA
8 Dicembre 2012
C'è qualcosa in questa donna, La Scultrice, di profondamente buio ed insondabile: parca di parole e di gesti, se ne sta la maggior parte del tempo a fumare e tracciar schizzi su un album che non lascia mai incustodito alla portata delle nostre mani e dei nostri occhi.
Stamani, però, sono riuscita a darci un'occhiata, seppure frettolosa, quando lei volendo fumare e non avendo più sigarette e pensando di esser sola è andata a prenderne nella sua stanza, lasciando l'album sul tavolo, aperto su di una pagina che mostrava un'orippillante sequenza di bozzetti, disegni e foto di corpi umani sezionati ed orrendamente smembrati: il lavoro di un tecnico autoptico o il delirio di un folle.
Son sicura che se ne facessi menzione con la mia ostinata alter ego, la scrittrice, di sicuro obietterebbe che gli studi di anatomia naturalmente rientrano nel bagaglio culturale di una scultrice mentre io, invece, ho il forte sospetto che quelle immagini siano la raccapricciante testimonianza di un orribile segreto.
mercoledì 5 dicembre 2012
Una donna pericolosa (cap 1)
E così eccoci alla inevitabile resa dei conti.
Nessuna meraviglia, qui nell'antro, su questa straordinaria guerriglia in atto, dal 13 di Novembre, tra Amaranta e La Scultrice.
Ricordo con precisione la data perchè è stato in quel giorno che La Scultrice è giunta alla nostra dimora.
Ma accade poi spesso che i nostri ospiti decidono di prolungare ad oltranza, e a data da definirsi, il loro soggiorno e così diventa fatale un loro più personale coinvolgimento all'interno delle dinamiche esistenziali di questo strampalato ecosistema.
Soltanto BLOG riesce a neutralizzare le tensioni, lui solo ha la capacità di sminuzzare la dura scorza delle diatribe e riportarle ad un'essenza malleabile di plastilina.
Il suo nichilismo ha il potere di sedare le esaltazioni, palesare le incongruenze, evidenziare le stravaganze, riportare alla lucidità le smargiassate degli abitanti dell'antro.
Ma in questo frangente BLOG è invece rimasto a guardare, esaltato all'idea di una lotta nel fango tra la sua niente affatto dolce madrina Amaranta e la nostra ultima inquietante ospite, La Scultrice.
DAL DIARIO DI AMARANTA
13 Novembre 2012
Ho aperto la porta e mi sono trovata davanti una donna dallo sguardo febbrile, vestita di veli e le braccia cosparse di minute cicatrici, alcune ancora vive, e con un voluminoso, e all'apparenza, pesantissimo bagaglio.
Non ha voluto dirmi il suo nome ma, sbrigativamente e con tono irritato, mi ha detto di essere stata invitata dalla scrittrice che abita, a quanto pare, a questo indirizzo, e se volevo essere così cortese da riferirle che La Scultrice era arrivata.
Pronunciate queste formali parole ha preso poi a guardarmi, senza quasi batter le ciglia, con uno sguardo fisso, inquietante, lo stesso di Iggy, ma ancora più insondabile.
Il mio piccolo, malinconico, killer/salamandra nutre, però, nel disordine della sua anima psicotica dei sentimenti, seppur per lui indecifrabili, questa donna, invece, assolutamente non ne ha.
Le cicatrici sulle braccia, un paio delle quali ancora sanguinanti, raccontano di una natura violenta, autolesionista ed esibizionista, esaltata, ogni oltre misura, dalle stigmate dell'artista.
L'abito inconsistente per la stagione autunnale, una copertura lievissima, quasi invisibile, è ancora un' ulteriore conferma di quella sua personalità esibizionista ed estrema.
La mancanza di luce nei suoi occhi e di calore nella voce, l'avarizia delle parole e dei gesti, l'immobilità assoluta con la quale si è predisposta ad aspettare, e la fissità avida con cui, invece, seguiva ogni mio minimo movimento, l'hanno svelata al mio istinto nella sua natura di predatrice.
Una donna pericolosa.
Nessuna meraviglia, qui nell'antro, su questa straordinaria guerriglia in atto, dal 13 di Novembre, tra Amaranta e La Scultrice.
Ricordo con precisione la data perchè è stato in quel giorno che La Scultrice è giunta alla nostra dimora.
Ma accade poi spesso che i nostri ospiti decidono di prolungare ad oltranza, e a data da definirsi, il loro soggiorno e così diventa fatale un loro più personale coinvolgimento all'interno delle dinamiche esistenziali di questo strampalato ecosistema.
Soltanto BLOG riesce a neutralizzare le tensioni, lui solo ha la capacità di sminuzzare la dura scorza delle diatribe e riportarle ad un'essenza malleabile di plastilina.
Il suo nichilismo ha il potere di sedare le esaltazioni, palesare le incongruenze, evidenziare le stravaganze, riportare alla lucidità le smargiassate degli abitanti dell'antro.
Ma in questo frangente BLOG è invece rimasto a guardare, esaltato all'idea di una lotta nel fango tra la sua niente affatto dolce madrina Amaranta e la nostra ultima inquietante ospite, La Scultrice.
DAL DIARIO DI AMARANTA
13 Novembre 2012
Ho aperto la porta e mi sono trovata davanti una donna dallo sguardo febbrile, vestita di veli e le braccia cosparse di minute cicatrici, alcune ancora vive, e con un voluminoso, e all'apparenza, pesantissimo bagaglio.
Non ha voluto dirmi il suo nome ma, sbrigativamente e con tono irritato, mi ha detto di essere stata invitata dalla scrittrice che abita, a quanto pare, a questo indirizzo, e se volevo essere così cortese da riferirle che La Scultrice era arrivata.
Pronunciate queste formali parole ha preso poi a guardarmi, senza quasi batter le ciglia, con uno sguardo fisso, inquietante, lo stesso di Iggy, ma ancora più insondabile.
Il mio piccolo, malinconico, killer/salamandra nutre, però, nel disordine della sua anima psicotica dei sentimenti, seppur per lui indecifrabili, questa donna, invece, assolutamente non ne ha.
Le cicatrici sulle braccia, un paio delle quali ancora sanguinanti, raccontano di una natura violenta, autolesionista ed esibizionista, esaltata, ogni oltre misura, dalle stigmate dell'artista.
La mancanza di luce nei suoi occhi e di calore nella voce, l'avarizia delle parole e dei gesti, l'immobilità assoluta con la quale si è predisposta ad aspettare, e la fissità avida con cui, invece, seguiva ogni mio minimo movimento, l'hanno svelata al mio istinto nella sua natura di predatrice.
Una donna pericolosa.
lunedì 3 dicembre 2012
Sulla scrittura
MORALE E PASSIONE
I protagonisti dei miei racconti sono anime buie. Precarie.
L'umanità che più mi affascina: puttane e disperati
Dannati, preda delle loro stesse passioni.
E nessuna redenzione.
Perchè i miei protagonisti, orgogliosamente, rifiutano l'assoluzione.
Non c'è quasi mai il lieto fine alle mie storie.
E neppure una morale.
In realtà detesto le morali. Tutte.
La morale spiega.
Ristabilisce. Indirizza.
Devia.
Un orpello sintetico.
Un organo artificiale.
La morale è un pace maker.
La passione è un cuore strappato vivo che, anche dopo la mutilazione, continua a pulsare
AL MOMENTO DELLA NASCITA
Le parole devono esser intrise dell'odore dei succhi corporei, anche dei più nauseabondi, ed in questo modo le paleso ad onta del mio stesso pudore perché so che, per esser credibili, devono spurgare dal budello uterino sporche di sangue e di merda, esattamente come avviene al momento del parto.
Neonati rissosi in aperto conflitto col freddo mondo esterno; creature bisognose di calore, da non confondere con la sdolcinatezza, che la linea è sottile ed oltrepassarla è quasi sempre una tentazione forte, un alibi o almeno un tentativo per mettermi al sicuro dalle possibili rappresaglie della mia stessa ingrata prole, e dal giudizio morale dei lettori.
Blandire, blandire, blandire......no, non mi riesce di farlo.
Nemmeno con i personaggi di carta.
Perchè io credo ai miei personaggi, che ho partorito dotati di un'anima e di una mente, assolutamente autonomi dalle mie esigenze e niente affatto legati ai destini della storia che li ha originati.
Creature libere, anche di sputtanarsi.
AL MOMENTO DELLA MORTE
E,' appunto, solo un momento, quello dell'ultima battuta nell'ultimo capitolo.
Poi, se si vuole, si ricomincia daccapo.
I protagonisti dei miei racconti sono anime buie. Precarie.
L'umanità che più mi affascina: puttane e disperati
Dannati, preda delle loro stesse passioni.
E nessuna redenzione.
Perchè i miei protagonisti, orgogliosamente, rifiutano l'assoluzione.
Non c'è quasi mai il lieto fine alle mie storie.
E neppure una morale.
In realtà detesto le morali. Tutte.
La morale spiega.
Ristabilisce. Indirizza.
Devia.
Un orpello sintetico.
Un organo artificiale.
La morale è un pace maker.
La passione è un cuore strappato vivo che, anche dopo la mutilazione, continua a pulsare
AL MOMENTO DELLA NASCITA
Le parole devono esser intrise dell'odore dei succhi corporei, anche dei più nauseabondi, ed in questo modo le paleso ad onta del mio stesso pudore perché so che, per esser credibili, devono spurgare dal budello uterino sporche di sangue e di merda, esattamente come avviene al momento del parto.
Neonati rissosi in aperto conflitto col freddo mondo esterno; creature bisognose di calore, da non confondere con la sdolcinatezza, che la linea è sottile ed oltrepassarla è quasi sempre una tentazione forte, un alibi o almeno un tentativo per mettermi al sicuro dalle possibili rappresaglie della mia stessa ingrata prole, e dal giudizio morale dei lettori.
Blandire, blandire, blandire......no, non mi riesce di farlo.
Nemmeno con i personaggi di carta.
Perchè io credo ai miei personaggi, che ho partorito dotati di un'anima e di una mente, assolutamente autonomi dalle mie esigenze e niente affatto legati ai destini della storia che li ha originati.
Creature libere, anche di sputtanarsi.
AL MOMENTO DELLA MORTE
E,' appunto, solo un momento, quello dell'ultima battuta nell'ultimo capitolo.
Poi, se si vuole, si ricomincia daccapo.
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Images by August Bradley |
giovedì 29 novembre 2012
Piccola Cla (cap 3)
Clarabella Goat e Piccola Cla |
Se ti stai chiedendo se le capre mangiano i dolci non saprei risponderti, ma se mi domandi se io ne mangio, ti rispondo di si, e che i miei preferiti sono proprio frolle e meringhe, e quelle del tuo cartoccio emanano un profumo delizioso, e così non ne disdegnerei un assaggio, sempre che tu voglia offrirmene...ecco brava, così, nel cavo della tua mano...un po di più per favore che altrimenti non riesco a prenderne.
Una strana coppia, la bambina e la capra, accoccolate a terra, intente a condividere l'incarto di dolciumi di cui Piccola Cla aveva generosamente, con abbondanza, omaggiato quella sua nuova straordinaria conoscenza.
Querula e frastornante, per la verità, perché ad ogni frase intercalava un belato variamente prolungato secondo l'importanza attribuita al discorso. La bambina, nel corso della conversazione, aveva così scoperto che il bèèèèèè con sei echi finali rappresentava un punto di domanda, e questo particolare del linguaggio caprino si era rivelato essenziale per un più corretto svolgersi della conversazione che, altrimenti, sarebbe naufragata nell'incomprensione più totale dal momento che la "signora capra" non aveva considerato la necessità, per un miglior intendimento, di frasi più corte e di pause più lunghe.
Ma Piccola Cla era una bambina curiosa del mondo e pronta ad accoglierne le meraviglie senza discriminanti né inopportuni scetticismi.
La "signora capra" dal canto suo, dopo aver spazzolato anche le briciole cadute a terra, era assai ben disposta nei suoi confronti.
Meglio del salato c'è il dolce, e non si discute! Ne hanno messe in giro di leggende per darci ad intendere il contrario, cara mia, ma senza riuscirci, dammi un bel tazzone di latte, piccola, con una manciatella di biscotti per fare una colazione degna di questo nome, che il sale lo lascio volentieri ai fornai e ai pizzaioli.
A proposito, come ti chiami? Io Clarabella Goat. Origini straniere, penserai, naaaaaaa...è che mia mamma era patita dei personaggi Disney, in particolare di quella mucca smorfiosa, Clarabella, appunto, e allora che ti va a pensare al momento di dichiarare il mio nome all'anagrafe dei caprini? Clarabella Cow! Fortuna che ha aggiustato il secondo nome in Goat. E tu come ti chiami? Cappuccetto Rosso? Ok, lo so, questa è scontata e chissà in quanti te l'avranno già detto, però un po' le somigli. Io l'ho conosciuta personalmente sai, ed anche lì ci hanno montato una storia epocale, distorsione dei fatti, stravolgimento della realtà, piccola, e tutto per il business, che quel povero lupo...ma ti pare davvero credibile che i fatti siano andati così come sono stati raccontati? Al solito, non sapevano che pesci prendere, abbisognavano di un capro espiatorio (non volevo dirla sta frase, che mi provoca subbuglio e sudori freddi) e il lupo, con la cattiva fama che da sempre lo perseguita, ben si prestava allo scopo. E il ruolo del cacciatore? Quello vero, intendo! Mai fatta un indagine approfondita che ancora oggi in quel maledetto affaire, la verità non è mai emersa. « Quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, quello con la pistola è un uomo morto! » Così recita Clint. E il povero lupo non era neppure armato! Sai che se fossi nata maschio mi sarei chiamata col suo nome e cognome? Clint Eastwood, perché mia mamma non fa mai le cose a metà. Ma come vola il tempo quando si è in così piacevole compagnia, è ora di pranzo ed i miei si staranno chiedendo dove sono finita. Bé, piccola, è stato un vero piacere conoscerti. Arrivederci al prossimo picnic!
Piccola Cla non si era resa conto di quanto tardi fosse, della corsa che avrebbe dovuto fare per risalire la collina per essere a casa prima che sua mamma la chiamasse per apparecchiare la tavola.
Non avrebbe mai fatto in tempo, e stavolta si che sarebbero stati guai grossi.
Chissà se le rivelazioni di Clarabella Goat, quelle sulla predilezione caprina per il gusto del dolce anziché del salato, e quelle ancor più scottanti sugli omissis nell'affaire Cappuccetto Rosso, sarebbero state in grado di mitigare la collera materna e, seppur per miracolo avessero costituito un buon motivo per giustificare il suo ritardo a tavola, non avrebbero di sicuro rappresentato un valido alibi per la gravissima colpa di aver disobbedito al suo divieto perentorio di non scendere mai in strada da sola.
Ci sarebbe stata baruffa, e di sicuro le avrebbe buscate.
Ma non avrebbe pianto.
Piangere sarebbe stato abiurare quel suo desiderio realizzato, promettere che non l'avrebbe fatto più.
No, non avrebbe sottoscritto nessun trattato di resa incondizionata che l'avrebbe relegata ad un esilio forzato a quel balconcino, che da quel momento immaginava sarebbe stato sorvegliato a vista.
E non avrebbe neppure inventato una bugia per giustificare quella sua imperdonabile trasgressione, tanto sua mamma non avrebbe compreso, perché non le importava davvero capire, era il reato commesso l'unica cosa di cui avrebbe tenuto conto senza prendere in considerazione i motivi che lo avevano determinato.
Perché sua mamma, come tanti, non nutriva nessun reale interesse per la verità delle storie.
Proprio come aveva asserito Clarabella Goat.
martedì 27 novembre 2012
Piccola Cla (cap 2)
Nella pasticceria di Mangiafuoco e poi l'entrata in scena di una querula capretta
Ma, in Piazza Dell' Amor Perfetto, Piccola Cla scomparve o, per meglio dire, venne inglobata in quell'umanità irregolare e caotica che popolava la strada, divenendone parte.
E fu amore a prima vista fra la bambina vestita di rosso e la folla variegata che disordinata e chiassosa irrompeva dai portoni e vociava dalle finestre in quella domenica mattina, turchese e smeraldo, della città di Genova, dove l'impeto festoso della campane della chiesa della Maddalena accresceva quel trambusto da luna park.
Tutti quei colori e tutti quei rumori prodotti nello stesso momento, Piccola Cla, abituata a vivere in un mondo ordinato, programmato, e per volontà materna estremamente soffuso, non li aveva mai sperimentati prima di allora, così le sembrava di stare dentro un grande carillon e di girare ad un ritmo vorticoso ed inebriante, sicura che seppur fosse caduta non avrebbe riportato danni perché la folla avrebbe attutito l'impatto.
Nessuna escoriazione.
Nessuno strappo al cappottino rosso.
Nessun motivo per cui la mamma avrebbe potuto recriminare.
Irresistibilmente attratta, in egual misura, dalla vetrina della pasticceria e da quella del fiorista, i negozi strategicamente posizionati l'uno vicino all'altro, perché entrambi vendevano dolcezze, l'uno nella glassa minuta e friabile di un pasticcino e l'altro nei teneri petali sfumati, arancio e mandarino, di un tulipano.
Piccola Cla sostava tra i due usci, indecisa su quale per primo sarebbe entrata semmai avesse avuto la possibilità di qualche moneta per fare acquisti, quando una voce possente dall'interno della pasticceria la invitò ad entrare e, ad accoglierla dietro il bancone, c'era il fratello di Mangiafuoco, mezzo zingaro e mezzo pirata, tale e quale il protagonista della favola di Pinocchio, con la bocca larga come un forno e gli occhi che parevano due lanterne di vetro rosso, che le porgeva un cartoccino profumato di frolle e meringhe: un gigante brutto ma dall'animo tenero, proprio come quello della versione originale di Collodi, non ancora incattivito, oltremisura e senza speranza, di quello della Disney (ma questo, Piccola Cla, lo avrebbe scoperto solo in età adulta, svelando anche che la trasposizione materna della fiaba aveva di molto contribuito ad accrescere la cattiva fama di questo personaggio).
- Con questi non rischi di sporcare il tuo bel cappottino e la mamma non avrà di che rimproverarti. E ti garantisco che sono buoni, anzi di sicuro più buoni di quelli esposti nella vetrina che paiono più golosi ma, in realtà, servono ad invogliare la gente ad entrare, un pò come un'esca, invece questi sono speciali, provengono direttamente dalla mia cucina e non sono in vendita, sono per la famiglia e per gli amici -
Piccola Cla, per via dell'età, non poteva capire ancora che quello che le era veniva offerto non era solo un semplice cartoccino di dolci ma qualcosa di più grande, una regola morale che un giorno, diventata adulta, avrebbe ben saputo comprendere: l'apparenza non sempre corrisponde alla sostanza, e i giudizi stabiliti solo in base a questo sono assolutamente da evitare perché pericolosi e danneggianti.
Piccola Cla educatamente ringraziò "il signor Mangiafuoco", gratificandolo di un luminoso sorriso (non più solo una falce, ma una luna a tre quarti) predisponendosi ad assaporare la dolcezza casalinga contenuta nel goloso cartoccetto... quando da un vicolo, belando querula, sbucò una capretta.
domenica 25 novembre 2012
Piccola Cla (cap 1)
Tutte le bambine hanno nel loro armadio un cappottino rosso.
Poi le bambine diventano donne.
(Amaranta)
Piccola Cla
Questa è la storia di Piccola Cla che aveva anche lei nel suo armadio, come tutte le bambine del mondo, un cappottino rosso che la faceva somigliare ad un folletto, soprattutto quando sorrideva con la bocca che s'allargava da una guancia all'altra come una falce di luna.
O un petalo di fiore.
O uno spicchio d'arancia.
O tutto ciò che di grazioso il sorriso d'una bimba può ispirare.
Piazza Dell' Amor Perfetto
Piccola Cla abitava con i suoi genitori in Piazza Dell' Amor Perfetto anche se, a dir la verità, di amore se ne respirava davvero poco in quei pressi, crocicchio di donne di malaffare e di filibustieri, di povera gente abituata a vivere con nulla, e di bambini rumorosi e precoci.
La casa di Piccola Cla, però, non era proprio sulla piazza ma s'ergeva solitaria su una collinetta prospiciente che la delimitava dal lato destro, e così, per motivi pratici, il nome era stato esteso anche a quella minuscola montagnola.
Piccola Cla dal balconcino della sua camera agevolmente poteva osservare il frenetico, quanto oscuro viavai, che già dalle prime luci dell'alba animava la via sottostante, a cui però la mamma aveva proibito l'accesso.
Così rimaneva affacciata per ore, come una spettatrice dal palco del Teatro dell'Opera, a contemplare l'incessante andirivieni di uomini e mezzi, a cercar di carpire le voci che giungevano fino a lei trasportate dall'aria come un brusio indecifrabile, a catturare gli odori camuffati di verde e di azzurro, di mare e di collina, di alghe e di sterco.
In Piazza Dell'Amor Perfetto, in verità, di amore non ce ne era così tanto, ma solo tentativi maldestri e commoventi, rare volte riusciti, spesso falliti: più tragedia che commedia.
Una rappresentazione complessa per una bambina a cui nessuno spiegava nulla di ciò che dabbasso realmente accadeva, e così lei fantasticava che un giorno sarebbe discesa dalla collina, e dal ruolo passivo di spettatrice sarebbe passata a quello più dinamico di protagonista.
Piazza Dello Amor Perfetto, con i suoi piccoli criminali, le donne malamente imbellettate, e i bambini precocemente svezzati, avrebbe costituito per Piccola Cla una specie di debutto in società.
Il cappottino rosso
Da quel balconcino lei vedeva le stagioni cambiare, crescere i bambini, diventar vecchi gli adulti.
Eppoi i regolamenti di conti, qualche serenata, disinibiti mercanteggiamenti, i carnevali vivacissimi e molesti, la festa del Santo Patrono con i fuochi d'artificio equamente distribuiti tra le colline ed il mare, matrimoni e funerali. Memorabile quella volta che, nello stesso giorno, la sposa aveva indossato al mattino l'abito bianco nuziale e la stessa sera quello nero vedovile.
Al balconcino però tutto questo arrivava a sprazzi, sfumato, confuso ed incoerente: difficile da decifrare
Nell'ennesimo giorno di tedio mortale, Piccola Cla maturò l'idea che infondo all'armadio giaceva avvolto nel cellophane il suo cappottino rosso, e che forse quello era l'ultimo inverno che avrebbe potuto indossarlo.
Un cappottino pressoché nuovo che di occasioni per sfoggiarlo non ne aveva avute molte, e solo per eventi noiosi e circoscritti all'ambito famigliare.
Ecco che la sua mente di bambina, fervida ed immaginifica, già istintivamente predisposta ad abbracciare idealismi e sogni, aveva concepito l'innocente, quanto ardito disegno, di attuare una conoscenza più diretta con quel luogo fatato che era per lei Piazza Dell'Amor Perfetto.
Nella sua giovanissima mente questo concetto era stato formulato in maniera molto più elementare e non contemplava nessun sofisma riguardante moti di ribellione all'autorità genitoriale, cosicché possiamo semplicemente riassumere il suo progetto in un innocentissimo "farò solo una passeggiata piccola piccola"
Poi le bambine diventano donne.
(Amaranta)
A Cla
All'infanzia
A tutte le bambine diventate adulte
Piccola Cla
Questa è la storia di Piccola Cla che aveva anche lei nel suo armadio, come tutte le bambine del mondo, un cappottino rosso che la faceva somigliare ad un folletto, soprattutto quando sorrideva con la bocca che s'allargava da una guancia all'altra come una falce di luna.
O un petalo di fiore.
O uno spicchio d'arancia.
O tutto ciò che di grazioso il sorriso d'una bimba può ispirare.
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Piccola Cla |
Piccola Cla abitava con i suoi genitori in Piazza Dell' Amor Perfetto anche se, a dir la verità, di amore se ne respirava davvero poco in quei pressi, crocicchio di donne di malaffare e di filibustieri, di povera gente abituata a vivere con nulla, e di bambini rumorosi e precoci.
La casa di Piccola Cla, però, non era proprio sulla piazza ma s'ergeva solitaria su una collinetta prospiciente che la delimitava dal lato destro, e così, per motivi pratici, il nome era stato esteso anche a quella minuscola montagnola.
Piccola Cla dal balconcino della sua camera agevolmente poteva osservare il frenetico, quanto oscuro viavai, che già dalle prime luci dell'alba animava la via sottostante, a cui però la mamma aveva proibito l'accesso.
Così rimaneva affacciata per ore, come una spettatrice dal palco del Teatro dell'Opera, a contemplare l'incessante andirivieni di uomini e mezzi, a cercar di carpire le voci che giungevano fino a lei trasportate dall'aria come un brusio indecifrabile, a catturare gli odori camuffati di verde e di azzurro, di mare e di collina, di alghe e di sterco.
In Piazza Dell'Amor Perfetto, in verità, di amore non ce ne era così tanto, ma solo tentativi maldestri e commoventi, rare volte riusciti, spesso falliti: più tragedia che commedia.
Una rappresentazione complessa per una bambina a cui nessuno spiegava nulla di ciò che dabbasso realmente accadeva, e così lei fantasticava che un giorno sarebbe discesa dalla collina, e dal ruolo passivo di spettatrice sarebbe passata a quello più dinamico di protagonista.
Piazza Dello Amor Perfetto, con i suoi piccoli criminali, le donne malamente imbellettate, e i bambini precocemente svezzati, avrebbe costituito per Piccola Cla una specie di debutto in società.
Il cappottino rosso
Da quel balconcino lei vedeva le stagioni cambiare, crescere i bambini, diventar vecchi gli adulti.
Eppoi i regolamenti di conti, qualche serenata, disinibiti mercanteggiamenti, i carnevali vivacissimi e molesti, la festa del Santo Patrono con i fuochi d'artificio equamente distribuiti tra le colline ed il mare, matrimoni e funerali. Memorabile quella volta che, nello stesso giorno, la sposa aveva indossato al mattino l'abito bianco nuziale e la stessa sera quello nero vedovile.
Al balconcino però tutto questo arrivava a sprazzi, sfumato, confuso ed incoerente: difficile da decifrare
Nell'ennesimo giorno di tedio mortale, Piccola Cla maturò l'idea che infondo all'armadio giaceva avvolto nel cellophane il suo cappottino rosso, e che forse quello era l'ultimo inverno che avrebbe potuto indossarlo.
Un cappottino pressoché nuovo che di occasioni per sfoggiarlo non ne aveva avute molte, e solo per eventi noiosi e circoscritti all'ambito famigliare.
Ecco che la sua mente di bambina, fervida ed immaginifica, già istintivamente predisposta ad abbracciare idealismi e sogni, aveva concepito l'innocente, quanto ardito disegno, di attuare una conoscenza più diretta con quel luogo fatato che era per lei Piazza Dell'Amor Perfetto.
Nella sua giovanissima mente questo concetto era stato formulato in maniera molto più elementare e non contemplava nessun sofisma riguardante moti di ribellione all'autorità genitoriale, cosicché possiamo semplicemente riassumere il suo progetto in un innocentissimo "farò solo una passeggiata piccola piccola"
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foto di Claudia Moon |
mercoledì 21 novembre 2012
Il diario di Jane
Il DIARIO DI JANE
L'ULTIMO CIAK
IL TORPORE DI JANE NELLA VASCA DA BAGNO
...così mi sono ripresa da quel lungo, o breve, torpore, che non saprei giudicare la sua durata, che m'ha colto nella vasca da bagno, e ne sono emersa accingendomi poi con grande premura a riguadagnare il tempo prestato all'oblio, che già ero in forte ritardo e tutti mi aspettavano sul set per il ciak finale.
IL CIAK FINALE: L'IMPICCAGIONE DI LENI
Il ciak finale, la scena dell'impiccagione, quella per me più difficile da recitare, un intenso primo piano sul mio volto atterrito mentre i miei occhi fissano il cappio, la cui lugubre ombra dondola solitaria sulla parete, monito beffardo che in realtà, ad onta del titolo (Non siamo soli) ci dice che, invece, soli lo siamo, soprattutto nel nostro ultimo giorno.
Il tuo sguardo, Jane, mi ha detto il regista, affida a quello le tue battute mute, quelle che la ragione, davanti all'ineluttabile, non riesce più a compitare attraverso la voce, e devi decisamente convincere noi, come il pubblico della sala, del sentimento pesante della paura mentre sei ancora viva e respiri già la tua morte.
Un ultimo intenso primo piano, Jane, è quello che vogliamo da te, che la storia è buona ed il pubblico incondizionatamente amerà Leni, giustiziata senza aver commesso colpa alcuna se non quella d'essersi innamorata dell'uomo di un'altra.
RIFLESSIONI DI JANE SU SE STESSA E IL PERSONAGGIO DI LENI
Scivolo via dalla vasca che si è fatto tardi e basta elucubrare, la scena va girata sul set e non rivoltata all'infinito nella mente, che è pur vero che la morte è così estranea ai miei pensieri che mi risulta doloroso essere Leni ed interpretare la sua paura, ma sono un'attrice e in questa recitazione darò il meglio di me, che così chiedono il regista, la critica ed il pubblico, ma dopo questo film non vorrò più saperne di tragici ruoli, che questa scena mi strazia, e la morte, nonostante tutto, non riesco a sentirla, anzi, mai sono stata così eterea e leggera, che la vita è un incanto ed io così fortemente l'amo come mai Leni potrà più amarla.
IN PROGRAMMATO RITARDO
Ma lei è l'eroina di una storia ed io, invece, una donna reale, e come tale ora m'affretto allo specchio, che proprio come una diva, in programmato ritardo, mi sarò fatta aspettare.
LO SCONCERTO DELLA REALTA'
Ma lo specchio è solo una vuota cornice dove il vetro non ha più riflesso, ed invano io cerco l'immagine mia, come una folle percorro la casa dove nessuna superficie però mi rivela, ed allora mi cerco nel mio corpo coperto di schiuma dove solo le mani paiono ancora reali, ma la voce non c'è, ed è muto il mio urlo che potente mi risuona nella testa e le cui vibrazioni infrangono gli specchi di tutto il creato, che ora provo lo stesso terrore di Leni davanti alla morte, che se per lei è il cappio, per me, invece, è lo specchio, dove invano mi cerco.
LA MORTE DI JANE
E torno alla vasca, a quella mia tomba dove giaccio coperta di schiuma, solo un braccio ancorato alle freddi pareti, e il resto di me sepolto dall'acqua.
Che inganno la vita!
Che inganno la morte!
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Images by Victoria Frances |
sabato 17 novembre 2012
E forse questo è ancora amore
Stasera non ho voglia di niente, ho mal di testa di quello pesante, di quello che annienta i pensieri e desidero solo che passi in fretta senz'altro baccano che perfino il contatto della tua mano ne aumenta il dolore e ne genera nuovo, così non toccarmi, ti prego, lascia che il male faccia il suo corso e domani vedrai sarò ancora pronta ai tuoi baci e alla tua tenerezza ma stanotte no, ti prego stammi lontano, lascia che io dorma da sola se dormire sarà possibile con questa lama conficcata nel capo.
E tu paziente mi lasci tutto lo spazio di cui abbisogno e vai nello studio a dormire con la pena di questo dolore che non puoi e vorresti lenire, e chiudi piano la porta rimanendo in attesa di un mio richiamo o di un sospiro più forte, che giustifichi un tuo rientro, ma il silenzio è assoluto e così t'allontani a malincuore che avresti voluto dimostrarmi il tuo amore stringendomi tra le braccia e cullandomi come una bimba, che la virilità di un uomo è anche nella dolcezza con cui ninna la sua donna, appagato solo dall'averla vicina, come altre volte è accaduto che la tua sola presenza calmava il dolore e di null'altro avevo bisogno che anzi, in quel letto così grande mi pareva di smarrirmi e m'accucciavo nel tuo grembo e tu, racchiudendomi tutta, diventavi per me intercapedine e protezione.
Stasera non ho voglia di niente anzi, una voglia ce l'ho e non riesco a cacciarla via dalla mente, che l'emicrania è solo una scusa e di altro ho bisogno fuorché di dolcezza e tu non capisci e non te ne accorgi che non sono più quella di un tempo, che porto addosso l'odore di un altro, impronta di dita e di umida lingua, così ti chiedo sempre più spesso di lasciarmi dormir sola perché ho il terrore di pronunciar nel sonno il suo nome, e tu poi come vivresti? Anche adesso mi chiedo se tu lo hai capito o se fingi perché hai paura che io ti dica sia vero che amo un altro ma no, non è amore ma solo una smania, sfrenata ed abietta, di pelle nuda e di cieca obbedienza.
E tu non riusciresti a comprendere il demone che m'ha plagiata, la febbre che di me s'impossessa solo al pensiero delle sue dita e della sua voce perversa che umilia e comanda e m'eccita, m'eccita più delle tue parole gentili e della tua tenerezza, mi rende scoperta, facile preda, che questo è il mio ruolo nel suo gioco di sesso e non lesina nulla, insulti e vergogna, di cui mi diletto come gesti d'amore e più cado in basso e più io li agogno, più impaziente attendo il prossimo oltraggio che il desiderio è anche questo e tu non puoi sapere quanto nell'abisso si possa godere.
E tu mai saprai quanto vorrei raccontarti di quello che provo e di quanto vorrei non provare, tornare indietro a quella che ero, lasciar spalancata questa porta e far si che tu, come un tempo, liberamente vi entri, che non ci sono fantasmi ed è solo il tuo nome che nel sonno pronuncio, ma non sono più quella e della nuova me stessa tu di sicuro ne avresti disprezzo, e così ti lascio fuori da questa stanza e dai miei sogni abietti.
E forse questo è ancora amore.
giovedì 15 novembre 2012
Un film non convenzionale
L'amore non convenzionale, tratto dal racconto "La strega Elvira, la fata Costanza e i capricci dell'innamoramento non convenzionale" è un film del 2011 scritto e diretto da Amaranta Dell'Antro, protagonisti la coppia Cassel/Bellucci ed una sensualissima Cameron Diaz
Indice (nascondi)
Indice (nascondi)
Trama
Ispirazioni
Ispirazioni
Dietro le quinte
Ricononoscimenti
L'amore non convenzionale
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Bellucci e Cassel in una scena del film |
Paese di Italia
produzione
Anno 2011
Durata 112 min
Colore colore
Audio sonoro
Genere sentimentale
Regia Dell'Antro/Fel
Soggetto A. Dell'Antro
Sceneggiatura Felinità
Produttore William Blogger
Fotografia Claudia Moon
Montaggio Camilla Imperatrice
Musiche AA.VV
Scenografia Claudia Moon
Interpreti e personaggi
Monica Bellucci: Elvira
Cameron Diaz: Costanza
Vincent Cassel: Il Portoghese
Doppiatori italiani
Monica Bellucci: Elvira
Eleonora De Angelis: Costanza
Christian Iansante: Il Portoghese
Trama (modifica)
In una Parigi dalle atmosfere decadenti, la strega Elvira e la fata Costanza, ambedue attratte dallo stesso uomo, il fascinoso matematico e latin lover Cristiano Diogo De Santos, alle cronache conosciuto come Il Portoghese, affilano le armi sfidandosi in una guerra di seduzioni e malie dove la magia è però bandita, scommettendo onore e prestigio solo sulle rispettive capacità personali per far innamorare perdutamente l'affascinante seduttore.
Ispirazioni (modifica)
Ispirato dalle vicende reali, di prima e seconda mano, della scrittrice e dalla sua insana passione per gli uomini dagli occhi chiari e dalla mente contorta.
Dietro le quinte (modifica)
Il film è stato prodotto dal miliardario William Blogger innamorato, e non corrisposto, dall'autrice della storia, Amaranta Dell'Antro, che pare lo ritenesse noiosamente sano di mente nonostante una fantascientifica e rischiosissima operazione agli occhi a cui egli si è sottoposto per cambiarne il colore e omaggiare, di un paio di più gradite iridi verdi, la scrittrice.
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domenica 11 novembre 2012
Sogni
Caro diario, a scriverti è una ragazza di 56 anni col cuore e la testa traboccanti di emozioni e parole che prova a raccontare con l'entusiasmo e la convinzione di una prosatrice autodidatta, ma scrupolosa.
Caro diario, questa ragazza di 56 anni non ha rinunciato ai sogni, seppure per motivi esistenziali ed anagrafici li ha ridimensionati, ma ti confiderà che l'averli rimpiccioliti un pochino li rende più alla sua portata, più credibili, sicuramente meno faticosi e forse fattibili.
Di che natura siano i miei sogni non ha importanza, né il dichiararlo cambierebbe il senso alle tue pagine, i sogni sono sempre belli, ed anche se il raccontarli non li rende di certo più veri o realizzabili, stabilisce con loro un rapporto più diretto, più confidenziale, an che più umano, perché i desideri, in virtù della loro natura volatile, paiono sempre irraggiungibili.
Lo scriverne rende a me stessa l'idea esatta dell'estensione dei miei sogni e, a dirtela tutta, col passare degli anni essi stessi, spontaneamente, sono andati a rimodellarsi sulle variazioni che ogni stagione della vita comporta.
Caro diario, dei miei sogni ho realizzato quelli più facili, anche se quelli a cui aspiravano erano, invece, quei palloncini che non sono riusciti ad involarsi verso le vette più alte del cielo, a toccare il sole.
Ma c'è pur sempre un sole che sorgendo dal basso scalda nell'immediato. Un sole casalingo, da caminetto, al quale possiamo tendere le mani nelle giornate più malinconiche e trovare il conforto di un po' di calore.
Caro diario, i sogni non sono mai piccoli o striminziti, questo me lo dice, oggi, la saggezza della mia età, ma è piuttosto l'intensità o l'impazienza con cui li desideriamo a stabilirne la vastità e la priorità.
Ci sono desideri che una volta concretizzati rimangono con te tutta la vita, diventano i tuoi successi altri, invece, solo temporanei, li ascriviamo ai fallimenti.
Caro diario, anche quelli erano invece sogni che s'erano realizzati, mentre io ho cercato perfino di rimuoverli dai miei ricordi: come è stato possibile che io abbia voluto dimenticare l'intensa emozione del mio matrimonio, e ricordare solo il rancore e la disperazione di quando poi è finito? Come è stato possibile che io abbia desiderato cancellare i giorni in cui il mio cuore ha ricominciato a battere per un nuovo amore, e la passione e la complicità che hanno scandito quegli anni della mia vita?
Caro diario, erano sogni anche quelli, realizzati nel loro breve destino.
Caro diario, questa ragazza di 56 anni non ha rinunciato ai sogni, seppure per motivi esistenziali ed anagrafici li ha ridimensionati, ma ti confiderà che l'averli rimpiccioliti un pochino li rende più alla sua portata, più credibili, sicuramente meno faticosi e forse fattibili.
Di che natura siano i miei sogni non ha importanza, né il dichiararlo cambierebbe il senso alle tue pagine, i sogni sono sempre belli, ed anche se il raccontarli non li rende di certo più veri o realizzabili, stabilisce con loro un rapporto più diretto, più confidenziale, an che più umano, perché i desideri, in virtù della loro natura volatile, paiono sempre irraggiungibili.
Lo scriverne rende a me stessa l'idea esatta dell'estensione dei miei sogni e, a dirtela tutta, col passare degli anni essi stessi, spontaneamente, sono andati a rimodellarsi sulle variazioni che ogni stagione della vita comporta.
Caro diario, dei miei sogni ho realizzato quelli più facili, anche se quelli a cui aspiravano erano, invece, quei palloncini che non sono riusciti ad involarsi verso le vette più alte del cielo, a toccare il sole.
Ma c'è pur sempre un sole che sorgendo dal basso scalda nell'immediato. Un sole casalingo, da caminetto, al quale possiamo tendere le mani nelle giornate più malinconiche e trovare il conforto di un po' di calore.
Caro diario, i sogni non sono mai piccoli o striminziti, questo me lo dice, oggi, la saggezza della mia età, ma è piuttosto l'intensità o l'impazienza con cui li desideriamo a stabilirne la vastità e la priorità.
Ci sono desideri che una volta concretizzati rimangono con te tutta la vita, diventano i tuoi successi altri, invece, solo temporanei, li ascriviamo ai fallimenti.
Caro diario, anche quelli erano invece sogni che s'erano realizzati, mentre io ho cercato perfino di rimuoverli dai miei ricordi: come è stato possibile che io abbia voluto dimenticare l'intensa emozione del mio matrimonio, e ricordare solo il rancore e la disperazione di quando poi è finito? Come è stato possibile che io abbia desiderato cancellare i giorni in cui il mio cuore ha ricominciato a battere per un nuovo amore, e la passione e la complicità che hanno scandito quegli anni della mia vita?
Caro diario, erano sogni anche quelli, realizzati nel loro breve destino.
Marilena
sabato 10 novembre 2012
Identikit
Cristiano Diogo De Santos, l'affascinante matematico e latin lover, meglio noto come "Il Portoghese" è identico a Vincent Cassel, tranne per il colore degli occhi che Vincent li ha grigi e Cristiano, invece, verdi.
Cercavo una sua foto da postare ma mi sono resa presto conto che non l'avrei trovata, semplicemente perchè dopo le ultime vicissitudini sentimentali che lo hanno costretto, suo malgrado, sotto le luci dei riflettori, ha cancellato ogni traccia di sè per disseminare fotoreporter e donne che, da quel travagliato periodo, ostinatamente gli danno la caccia.
I primi per uno scoop, le altre, invece, per una notte d'amore.
Ma siamo io ed Amaranta, qui nell'antro dove ha trovato temporaneo rifugio, ad averne l'esclusiva, seppur dolorosamente consapevoli che una mattina, al risveglio, troveremo sul cuscino una rosa screziata ed un cartoncino azzurro:
Eu te amo
até breve
Cristiano
giovedì 8 novembre 2012
Nella cucina della maga Circe
Incomprensibile, per me, questo mistero.
Che io cucini discretamente bene non può spiegare questa assurda, incontrovertibile lievitazione di peso, un'assunzione spropositata di chili che rende i miei partner giocosamente conviviali, votati all'allegria più schietta ed alle confidenze più intime, loquaci e disponibili ad ogni mia richiesta, ma ahimè così diversi, nell'aspetto fisico, dal loro primo ingresso,
Begli esemplari maschili inspiegabilmente trasformati in qualcos'altro.
Amaranta - Questo avviene perché sei una castratrice. Pretendi, e loro coscienti di non riuscire ad accontentarti, s'ingozzano.
Io - Questa pretenziosità che tu m'attribuisci non è vera, ma forse, al contrario, è il mio istinto materno di cancerina a compiere il danno, perché io ho la necessità nutrire il mio partner di cibo, di parole e sesso.
E calore.
I miei uomini varcano la soglia della mia cucina agili come atleti, forti come guerrieri, esibendo tutte quelle mascoline virtù che incantano noi donne e, nel mio caso specifico, anche dotati di un ottimo cervello e di una bella voce.
La voce è un elemento per me fondamentale, così ho sempre scelto uomini con un bel timbro vocale.
Affabulatori, perché l'incanto non deve essere legato solo alla presenza fisica.
Al pari di me, incalliti narratori di storie.
Voce, fantasia e dita sensibili: gli elementi del peccato.
Che io diligentemente, ad ogni pausa, rinvigorisco rifocillandoli.
Dunque, i miei amanti entrano nella mia cucina esibendo un volume ed un peso, e ne escono triplicati.
Ma contenti.
Questo va pur detto.
Anche se dopo passare dalla porta quasi sempre si rivela un problema non secondario.
mercoledì 31 ottobre 2012
La fredda pioggia di Novembre (La festa. L'addio)
La festa
E sulla festa irrompe questo cielo tempestoso di pioggiama è Novembre, amore mio
e non importa se la sua acqua bagnerà la tua veste d'angelo
perché dietro il velo intravedo l'arcobaleno nei tuoi occhi
E gli amici indossano gli abiti giusti
e ci sorridono
sanno che il nostro amore sarà per sempre
E tutto è così perfetto
Come questa fredda pioggia di Novembre.
E sulla tristezza irrompe questo cielo tempestoso di pioggia
ma è Novembre, amore mio
abbiamo vissuto il nostro tempo
e non è stato facile
imparare ad accettarne la fine
Si rimane soli quando il cuore cambia
e sulla festa cala il silenzio
Perché niente dura per sempre
Nemmeno questa fredda pioggia di Novembre.
lunedì 29 ottobre 2012
Amiche/Nemiche
Nell'antro va di scena un menage a trois: è storia ufficiale questa liaison sbocciata tra me, Amaranta e Cristiano Diogo De Santos, El Portugués.
Dal momento che nessuna di noi due ha voluto rinunciare allo splendido uomo, ce lo dividiamo.
Da parte sua, Cristiano Diogo, non sembra alcunchè imbarazzato.
Vi amo entrambe sia pure in maniera diversa e sono contento di non dover scegliere (che non avrei saputo) nè di rinunciare a una di voi, volentieri, quindi, mi rassegnerò alla benigna persecuzione del numero due che si è rivelato essere il numero del mio destino.
Non ha però voluto spiegare cosa intendesse con quella frase "vi amo entrambe sia pure in maniera diversa", anche se una logica scontata ci fa supporre un riferimento alle nostre diversità fisiche e caratteriali.
Ovviamente, nè io e nè lei, intendiamo approfondire, dal momento che non riusciremmo di buon animo a sopportare se quella diversità si rivelasse più struggente nei confronti dell'altra.
Stà di fatto che il viaggio che Amaranta aveva già da tempo programmato è stato rimandato a data da destinarsi, con buona pace di Iggy che già si vedeva trascinato via dalla sicurezza ermetica del suo buio rifugio per venir forzatamente scaraventato, dalla sua adorata, in quel mondo esterno che egli con tutte le sue forze appassionatamente odia.
Così il piccolo killer psicotico potrà unicamente, e con più agio, concentrarsi a render ancora più folle, distorta e plateale, la collera impotente della sua gelosia.
Iggy, che nei filamenti denaturati dei polimeri del suo dna nasconde il segreto dei Natural Born Killers, è paradossalmente condannato ad una miserevole esistenza di recluso, prigioniero delle ossessioni intrusive del d.o.c. (disturbo ossessivo compulsivo) e del suo delirante amore borderline per Amaranta.
Queste due robuste e provvidenziali catene, alle quali egli è provvidenzialmente aggiogato, sono servite a mettere in sicurezza il mondo di superficie ma non questo ecosistema sotterraneo.
Amaranta, in virtù di tutto questo e per amore del suo protetto, dovrebbe preoccuparsi di contenere, anzichè esasperare, lo squilibrio psicotico della tormentata personalità di Iggy, evitando ogni possibile, pericolosa, istigazione alla follia.
Ma ecco, invece, la mia alter ego vestire i panni della giocatrice d'azzardo arrivando perfno a mettere in scena l'estrema provocazione del baro che con consapevole, criminale sfrontatezza, di proposito lascia supporre all'avversario l'alterazione del gioco quando, con straordinaria arroganza, fidando unicamente sull'abilità fantastica delle sue dita di prestigiatrice, ostenta sotto il suo naso, nel brevissimo attimo di un batter di ciglia, un asso clandestino, fugacemente emerso dal nulla e repentinamente dal nulla inghiottito.
Cinicamente cosciente che quel dubbio fomentato ad arte non potrà mai aspirare a dignità di testimonianza oculare se, all'interno del mazzo di carte, non rimane traccia alcuna dell'asso infiltrato.
Tanto più entusiasmante sarà la vittoria per il baro quanto più amara, invece, la sconfitta per l'avversario.
Quell'asso di troppo di cui io ho la certezza assoluta, che Iggy provvidenzialmente ignora, che El Portugués sventatamente auspica, che Amaranta...Amaranta indossa un seducente abito che le lascia nude le braccia: niente maniche ove celare gli assi.
Mi sorride e mi bacia sulla bocca, ostentando sfrontatamente sotto il mio naso, nel brevissimo attimo di un batter di ciglia, la minuta, ma vivida fiammella di follia che la pervade, e la sua determinazione nel mantenerla viva.
Dal momento che nessuna di noi due ha voluto rinunciare allo splendido uomo, ce lo dividiamo.
Da parte sua, Cristiano Diogo, non sembra alcunchè imbarazzato.
Vi amo entrambe sia pure in maniera diversa e sono contento di non dover scegliere (che non avrei saputo) nè di rinunciare a una di voi, volentieri, quindi, mi rassegnerò alla benigna persecuzione del numero due che si è rivelato essere il numero del mio destino.
Non ha però voluto spiegare cosa intendesse con quella frase "vi amo entrambe sia pure in maniera diversa", anche se una logica scontata ci fa supporre un riferimento alle nostre diversità fisiche e caratteriali.
Ovviamente, nè io e nè lei, intendiamo approfondire, dal momento che non riusciremmo di buon animo a sopportare se quella diversità si rivelasse più struggente nei confronti dell'altra.
Stà di fatto che il viaggio che Amaranta aveva già da tempo programmato è stato rimandato a data da destinarsi, con buona pace di Iggy che già si vedeva trascinato via dalla sicurezza ermetica del suo buio rifugio per venir forzatamente scaraventato, dalla sua adorata, in quel mondo esterno che egli con tutte le sue forze appassionatamente odia.
Così il piccolo killer psicotico potrà unicamente, e con più agio, concentrarsi a render ancora più folle, distorta e plateale, la collera impotente della sua gelosia.
Iggy, che nei filamenti denaturati dei polimeri del suo dna nasconde il segreto dei Natural Born Killers, è paradossalmente condannato ad una miserevole esistenza di recluso, prigioniero delle ossessioni intrusive del d.o.c. (disturbo ossessivo compulsivo) e del suo delirante amore borderline per Amaranta.
Queste due robuste e provvidenziali catene, alle quali egli è provvidenzialmente aggiogato, sono servite a mettere in sicurezza il mondo di superficie ma non questo ecosistema sotterraneo.
Amaranta, in virtù di tutto questo e per amore del suo protetto, dovrebbe preoccuparsi di contenere, anzichè esasperare, lo squilibrio psicotico della tormentata personalità di Iggy, evitando ogni possibile, pericolosa, istigazione alla follia.
Ma ecco, invece, la mia alter ego vestire i panni della giocatrice d'azzardo arrivando perfno a mettere in scena l'estrema provocazione del baro che con consapevole, criminale sfrontatezza, di proposito lascia supporre all'avversario l'alterazione del gioco quando, con straordinaria arroganza, fidando unicamente sull'abilità fantastica delle sue dita di prestigiatrice, ostenta sotto il suo naso, nel brevissimo attimo di un batter di ciglia, un asso clandestino, fugacemente emerso dal nulla e repentinamente dal nulla inghiottito.
Cinicamente cosciente che quel dubbio fomentato ad arte non potrà mai aspirare a dignità di testimonianza oculare se, all'interno del mazzo di carte, non rimane traccia alcuna dell'asso infiltrato.
Tanto più entusiasmante sarà la vittoria per il baro quanto più amara, invece, la sconfitta per l'avversario.
Quell'asso di troppo di cui io ho la certezza assoluta, che Iggy provvidenzialmente ignora, che El Portugués sventatamente auspica, che Amaranta...Amaranta indossa un seducente abito che le lascia nude le braccia: niente maniche ove celare gli assi.
Mi sorride e mi bacia sulla bocca, ostentando sfrontatamente sotto il mio naso, nel brevissimo attimo di un batter di ciglia, la minuta, ma vivida fiammella di follia che la pervade, e la sua determinazione nel mantenerla viva.
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Images by Natalie Shau |
venerdì 26 ottobre 2012
Dalle paludi dello Stige alle sponde del Mississippi
Non c’è in natura una passione più diabolicamente impaziente di quella di colui che, tremando sull’orlo di un precipizio, medita di gettarvisi.
(Edgar Allan Poe)
Dalle paludi dello Stige alle sponde del Mississippi, un viaggio senza mappe, iniziato con delirante incoscienza, assecondando le necessità di una emotività esaltata che abbisognava di uno sfogo per non implodere, e proseguito poi con giocosa consapevolezza, via via che acquisivo maggior dimestichezza nel mio guscio galleggiante, imparando a padroneggiare gli elementi, temporali e marini, all'inizio adottando ingenue ma poi sempre più elaborate astuzie, giungendo perfino a farmi gioco della mia tremebonda ombra in balia delle burrasche, esortandola ed irridendola, quasi non fossi io a dondolare follemente sulla schiuma nera di quelle onde trasbordanti ira violenta.
Se guarderai a lungo nell'abisso anche l'abisso vorrà guardare in te.
Questa l'esortazione che Allan Poe, psicopompo incaricato di traghettarmi oltre la palude Stigia, mi andava instancabile ripetendo, quando, lungo la costa atlantica norvegese avemmo la sventura d'imbatterci nei gorghi apocalittici del maelstrom.
E, seguendo il consiglio del mio mentore, guardai dentro l'abisso, penetrandolo e facendomi penetrare.
Ho guardato così a lungo nei vortici del suo buio tempestoso cuore, fino a condividere tutti i suoi mortali segreti, e non averne più paura.
E' così che sopravvissi al Maelstrom, non come sua schiava ma come sua partner, consenziente ed appassionata.
Sua pari.
Questo mi ha permesso di proseguire il mio viaggio, nonostante la stanchezza e la solitudine e la tentazione di approdare da qualche parte, gettarvi le ancore, scavarmi un rifugio ed attendere
Come tante donne ho consumato gran parte della mia vita nell'attesa di un uomo, di un evento, di una possibilità o di un colpo di fortuna.
Perché attendere ancora?
Sarei stata Ulisse e non Penelope.
Sono approdata sulle sponde del Mississippi, in piena epopea western tra pendagli da forca, prodi sceriffi e maitresse mercenarie, sullo sfondo di un paesaggio ancora rurale dove però i saloon, i bordelli e le banche, già ne preannunciavano la gloria di grande metropoli.
Ma presto mi metterò di nuovo in viaggio, nonostante la mia lunga sosta in Blogosphere, in questa landa desertica ubicata in un punto cardinale ignoto ai moderni planisferi, disconosciuto tra quegli ortogonali e quelli intermedi, già da secoli noti ai geografi.
Da qui a qualche tempo, avvolta nei miei crespi neri, trascinandomi dietro il voluminoso baule pesante del carico di tutti i miei racconti, riprenderò di nuovo il mare.
Atlantide, sarà la mia prossima meta.
a Poe
mio mentore e mio salvatore
mio mentore e mio salvatore
Se guarderai a lungo nell'abisso anche l'abisso vorrà guardare in te.
Questa l'esortazione che Allan Poe, psicopompo incaricato di traghettarmi oltre la palude Stigia, mi andava instancabile ripetendo, quando, lungo la costa atlantica norvegese avemmo la sventura d'imbatterci nei gorghi apocalittici del maelstrom.
E, seguendo il consiglio del mio mentore, guardai dentro l'abisso, penetrandolo e facendomi penetrare.
Ho guardato così a lungo nei vortici del suo buio tempestoso cuore, fino a condividere tutti i suoi mortali segreti, e non averne più paura.
E' così che sopravvissi al Maelstrom, non come sua schiava ma come sua partner, consenziente ed appassionata.
Sua pari.
Questo mi ha permesso di proseguire il mio viaggio, nonostante la stanchezza e la solitudine e la tentazione di approdare da qualche parte, gettarvi le ancore, scavarmi un rifugio ed attendere
Come tante donne ho consumato gran parte della mia vita nell'attesa di un uomo, di un evento, di una possibilità o di un colpo di fortuna.
Perché attendere ancora?
Sarei stata Ulisse e non Penelope.
Sono approdata sulle sponde del Mississippi, in piena epopea western tra pendagli da forca, prodi sceriffi e maitresse mercenarie, sullo sfondo di un paesaggio ancora rurale dove però i saloon, i bordelli e le banche, già ne preannunciavano la gloria di grande metropoli.
Ma presto mi metterò di nuovo in viaggio, nonostante la mia lunga sosta in Blogosphere, in questa landa desertica ubicata in un punto cardinale ignoto ai moderni planisferi, disconosciuto tra quegli ortogonali e quelli intermedi, già da secoli noti ai geografi.
Da qui a qualche tempo, avvolta nei miei crespi neri, trascinandomi dietro il voluminoso baule pesante del carico di tutti i miei racconti, riprenderò di nuovo il mare.
Atlantide, sarà la mia prossima meta.
mercoledì 24 ottobre 2012
L'ultima tournée
Armonioso, nonostante la stazza.
Sembrava si godesse il paesaggio mentre precipitava, no...non è esatto dire che stesse precipitando perché veniva giù tranquillo, un po' in frenata, cercando di acquistare tempo sulla discesa per poter con più agio guardarsi attorno: contemplare e nel contempo schivare l'inciampo delle corde da bucato, per non rimanerne impigliato.
Per non esser trattenuto.
A livello della mia finestra i nostri sguardi si sono incrociati.
Ha strizzato un'occhio e mi ha sorriso.
Qualcuno da basso ha cominciato a gridare.
Una stonatura, quell'acuto.
Non s'era accorto della presenza di un pubblico.
E non lo voleva.
L'isteria dei fans, non era mai riuscito a comprenderla.
domenica 21 ottobre 2012
Ecosistema
La madre di tutte le domande me l'ha posta la mia biografa, l'Imperatrice Camilla:
Perchè nel tuo antro le donne sono tutte bellissime e gli uomini, invece, somigliano a mostriciattoli?
BLOG, Iggy, Kilroy e il sempre più sparuto drappello dei Freaks, non sono uomini ma entità di genere maschile. L'unico maschio meritevole di un posto nel mio antro è il fascinoso matematico dagli occhi verdi, Cristiano Diogo De Santos, El Portugués.
Ed è questo uno dei pochi punti su cui io ed Amaranta concordiamo appieno, perchè entrambe siamo follemente, e perdutamente, innamorate di lui.
Amaranta
Mi è capitato di parlare in passato, quando la mia vita si svolgeva essenzialmente nell'antro, delle diversità e delle divergenze, etiche e strutturali, esistenti tra me ed Amaranta, la mia bellissima alter ego.
Premettendo che l'altra me stessa gode di una vita assolutamente slegata dalla mia e, a dirla tutta, è questo un vantaggio che mi fornisce di validi spunti per il mio blog, che altrimenti dovrei limitarmi a raccontare di giornate monotone e nottate solitarie, di contro la sua esuberanza mi vivifica e, seppur talvolta mi fa enormemente incazzare, devo ammettere che senza di lei sarei una scrittrice penosamente a corto di argomenti.
Amaranta è una seduttrice esperta e consapevole e forse, a causa di questo, non si è mai davvero innamorata: un gioco troppo facile non alimenta le emozioni.
Un gioco troppo facile non alimenta le emozioni
Le emozioni, quelle non soggette all'usura subitanea e alla noia preconcetta, sono queste le mete esplorative di Amaranta. E convengo con lei che sono le uniche per cui valga davvero la pena d'intraprendere il viaggio.
Perchè nel tuo antro le donne sono tutte bellissime e gli uomini, invece, somigliano a mostriciattoli?
Perchè le lettere d'amore più belle me le ha scritte una donna.
Perchè le donne da sempre possiedono i segreti delle parole e del loro significato, ed è per questo che sono creature così complesse.
Sono più avanti degli uomini. Lo sono sempre state, e la storia ampiamente lo testimonierebbe se non fosse che a narrarla sono quasi sempre gli uomini, con il loro linguaggio approssimativo.
Perchè ad un uomo ho scritto le mie lettere d'amore più belle, inventando per lui parole attraverso le quali potessi, nel turbinio delle emozioni, sfrontatamente e liberamente, raccontarmi.
Perchè l'ho amato davvero quell'uomo, con struggimento e passione, senza mai lesinare sulle lacrime e sul riso.
Perchè è così che si deve amare: senza riserve e senza avarizia.
Perchè un gioco troppo facile non alimenta le emozioni.
Perchè come donna credo enormemente nel valore dei sentimenti e nell'arte di coltivarli, e dell'importanza di riservare loro sempre un posto nella memoria, anche quando la storia è finita.
Perchè noi donne abbiamo la propensione a trasformare i paragrafi quotidiani della vita in capitoli determinanti, non importa se per ricordare o per non dimenticare.
Ed è questa la ragione per cui saremo sempre noi a scrivere le lettere d'amore più belle.
Perchè nel tuo antro le donne sono tutte bellissime e gli uomini, invece, somigliano a mostriciattoli?
BLOG, Iggy, Kilroy e il sempre più sparuto drappello dei Freaks, non sono uomini ma entità di genere maschile. L'unico maschio meritevole di un posto nel mio antro è il fascinoso matematico dagli occhi verdi, Cristiano Diogo De Santos, El Portugués.
Ed è questo uno dei pochi punti su cui io ed Amaranta concordiamo appieno, perchè entrambe siamo follemente, e perdutamente, innamorate di lui.
Amaranta
Mi è capitato di parlare in passato, quando la mia vita si svolgeva essenzialmente nell'antro, delle diversità e delle divergenze, etiche e strutturali, esistenti tra me ed Amaranta, la mia bellissima alter ego.
Premettendo che l'altra me stessa gode di una vita assolutamente slegata dalla mia e, a dirla tutta, è questo un vantaggio che mi fornisce di validi spunti per il mio blog, che altrimenti dovrei limitarmi a raccontare di giornate monotone e nottate solitarie, di contro la sua esuberanza mi vivifica e, seppur talvolta mi fa enormemente incazzare, devo ammettere che senza di lei sarei una scrittrice penosamente a corto di argomenti.
Amaranta è una seduttrice esperta e consapevole e forse, a causa di questo, non si è mai davvero innamorata: un gioco troppo facile non alimenta le emozioni.
Un gioco troppo facile non alimenta le emozioni
Le emozioni, quelle non soggette all'usura subitanea e alla noia preconcetta, sono queste le mete esplorative di Amaranta. E convengo con lei che sono le uniche per cui valga davvero la pena d'intraprendere il viaggio.
Perchè nel tuo antro le donne sono tutte bellissime e gli uomini, invece, somigliano a mostriciattoli?
Perchè le lettere d'amore più belle me le ha scritte una donna.
Perchè le donne da sempre possiedono i segreti delle parole e del loro significato, ed è per questo che sono creature così complesse.
Sono più avanti degli uomini. Lo sono sempre state, e la storia ampiamente lo testimonierebbe se non fosse che a narrarla sono quasi sempre gli uomini, con il loro linguaggio approssimativo.
Perchè ad un uomo ho scritto le mie lettere d'amore più belle, inventando per lui parole attraverso le quali potessi, nel turbinio delle emozioni, sfrontatamente e liberamente, raccontarmi.
Perchè l'ho amato davvero quell'uomo, con struggimento e passione, senza mai lesinare sulle lacrime e sul riso.
Perchè è così che si deve amare: senza riserve e senza avarizia.
Perchè un gioco troppo facile non alimenta le emozioni.
Perchè noi donne abbiamo la propensione a trasformare i paragrafi quotidiani della vita in capitoli determinanti, non importa se per ricordare o per non dimenticare.
Ed è questa la ragione per cui saremo sempre noi a scrivere le lettere d'amore più belle.
mercoledì 17 ottobre 2012
Dietro le quinte di un racconto
L'ispirazione
Mi chiamo Baltimora.
L'ispirazione è sopraggiunta inaspettata mentre ero in cucina intenta a prepararmi una omelette.
Lei - Mi chiamo Baltimora e sono qui per raccontarti la mia storia.
Io - Baltimora...è un nome molto particolare.
Lei - Ne convengo con te.
Io - Lo vuoi un caffè? Oddio, è tardissimo, mi spiace, devo scappare
Lei - Vai pure, ti aspetterò, non ho altre visite in programma. Guarderò la tv e poi farò un sonnellino.
Io - Nel freezer c'è la vaschetta del gelato, puoi servirtene.
Lei - Spero che non sia alla vaniglia. Detesto la vaniglia.
Io - No, è alla fragola.
Lei - Ottimo.
Io - Ok, allora a dopo. E non sparire.
E' tipico delle ispirazioni giungere quando meno te lo aspetti.
E nel mio caso specifico quasi sempre quando devo andare a lavorare.
Una storia parallela
Ricerche su Baltimora, la più grande città del Maryland (il Maryland non è anche lo stato dell'amore? non ne sono sicura però mi piacerebbe lo fosse, lo introdurrei nella storia, me lo appunto e magari approfondisco)
Escludo da subito un'ambientazione country (Baltimora sarebbe stato un nome azzeccato anche per un cow boy ma devo tener conto che la Baltimora che sta guardando la mia tv, e sonnecchiando sul mio divano, è indiscutibilmente di genere femminile) Continuando nella mia ricerca scopro che Baltimora è anche il porto più importante degli Stati Uniti.
Ecco, potrei far nascere la mia eroina su una nave che si chiama Baltimora, dove sua madre la partorisce dopo un estenuante travaglio di 36 ore (una bella prova di resistenza fisica) col mare grosso e la nave in balia dei marosi: le onde violente della tempesta e quelle violente delle doglie.
Poi la neo madre si eclissa al primo scalo, abbandonando la neonata che si è rifiutata fin dall'inizio di accudire e darle un nome.
A questo rimedia il capitano battezzandola col nome della sua nave.
Nell'universo della casistica
Che finale di storia ci sarebbe stato per Baltimora se avessi optato per questa trama?
Non necessariamente catastrofico, si può partir male ed arrivare bene, nella vita come nei racconti.
Avrebbe potuto anche lei essere figlia di Rodolfo Valentino?
Decisamente si, ma forse non con lo stesso numero di possibilità.
Nel racconto che invece ho sviluppato, Baltimora viene partorita, prematura e senza troppa sofferenza, sul palcoscenico di un teatro dell'omonima città, dove sua mamma, la bellissima Eloisa, sta recitando.
Una nascita da protagonista.
Il numero delle possibilità di una liaison tra Eloisa e Rudy viene aumentato dal fatto che entrambi sono artisti e, un ambiente circoscritto paradossalmente offre, talvolta, maggiori occasioni di uno spazio allargato.
E questo lo rende oltreché più probabile anche più credibile.
Lei è bellissima e persuasiva, lui è un attore di successo, ed il primo sex simbol nella storia della cinematografia e... scientemente, però, non specifico il periodo né le modalità che li hanno fatti incontrare, assicurando così uno spazio più vasto, perché meno bisognoso di dettagli verificabili, all'espansione della trama.
Più margini per me mi hanno concesso la possibilità di non dover essere troppo precisa, nei tempi come nelle date o nei riscontri degli eventi storici.
E questo mi ha permesso il lusso di qualche piccola incongruenza, prestando attenzione, però, a non andare troppo ad intaccare la verità storica o modificare le peculiarità dei protagonisti.
Perchè la parte fantastica, e quella reale, devono armoniosamente amalgamarsi per contribuire alla veridicità della trama.
Tra fantasia e realtà
Camille Negri, la donna velata di nero del mio racconto, è originata dagli innesti di Camille, film muto di Valentino del 1921, (qui il nome, però, non ha alcuna attinenza col soggetto del film,) e Negri, in riferimento a Pola Negri, l'attrice con la quale Rudy ebbe un'appassionata storia d'amore.
La donna velata di nero è la leggenda nella storia di Valentino che racconta, appunto, di una misteriosa dama, della quale mai si è scoperta l'identità, che ad ogni anniversario della morte dell'attore recava fiori sulla sua tomba.
Le 75 rose del bouquet, di colore rosso vivo in una tonalità compatta e priva di sfumature, sono una mia invenzione.
Ma quelle rose avrebbero forse potuto essere di altro colore?
Mi chiamo Baltimora.
L'ispirazione è sopraggiunta inaspettata mentre ero in cucina intenta a prepararmi una omelette.
Lei - Mi chiamo Baltimora e sono qui per raccontarti la mia storia.
Io - Baltimora...è un nome molto particolare.
Lei - Ne convengo con te.
Io - Lo vuoi un caffè? Oddio, è tardissimo, mi spiace, devo scappare
Lei - Vai pure, ti aspetterò, non ho altre visite in programma. Guarderò la tv e poi farò un sonnellino.
Io - Nel freezer c'è la vaschetta del gelato, puoi servirtene.
Lei - Spero che non sia alla vaniglia. Detesto la vaniglia.
Io - No, è alla fragola.
Lei - Ottimo.
Io - Ok, allora a dopo. E non sparire.
E' tipico delle ispirazioni giungere quando meno te lo aspetti.
E nel mio caso specifico quasi sempre quando devo andare a lavorare.
Una storia parallela
Ricerche su Baltimora, la più grande città del Maryland (il Maryland non è anche lo stato dell'amore? non ne sono sicura però mi piacerebbe lo fosse, lo introdurrei nella storia, me lo appunto e magari approfondisco)
Escludo da subito un'ambientazione country (Baltimora sarebbe stato un nome azzeccato anche per un cow boy ma devo tener conto che la Baltimora che sta guardando la mia tv, e sonnecchiando sul mio divano, è indiscutibilmente di genere femminile) Continuando nella mia ricerca scopro che Baltimora è anche il porto più importante degli Stati Uniti.
Ecco, potrei far nascere la mia eroina su una nave che si chiama Baltimora, dove sua madre la partorisce dopo un estenuante travaglio di 36 ore (una bella prova di resistenza fisica) col mare grosso e la nave in balia dei marosi: le onde violente della tempesta e quelle violente delle doglie.
Poi la neo madre si eclissa al primo scalo, abbandonando la neonata che si è rifiutata fin dall'inizio di accudire e darle un nome.
A questo rimedia il capitano battezzandola col nome della sua nave.
Nell'universo della casistica
Che finale di storia ci sarebbe stato per Baltimora se avessi optato per questa trama?
Non necessariamente catastrofico, si può partir male ed arrivare bene, nella vita come nei racconti.
Avrebbe potuto anche lei essere figlia di Rodolfo Valentino?
Decisamente si, ma forse non con lo stesso numero di possibilità.
Nel racconto che invece ho sviluppato, Baltimora viene partorita, prematura e senza troppa sofferenza, sul palcoscenico di un teatro dell'omonima città, dove sua mamma, la bellissima Eloisa, sta recitando.
Una nascita da protagonista.
Il numero delle possibilità di una liaison tra Eloisa e Rudy viene aumentato dal fatto che entrambi sono artisti e, un ambiente circoscritto paradossalmente offre, talvolta, maggiori occasioni di uno spazio allargato.
E questo lo rende oltreché più probabile anche più credibile.
Lei è bellissima e persuasiva, lui è un attore di successo, ed il primo sex simbol nella storia della cinematografia e... scientemente, però, non specifico il periodo né le modalità che li hanno fatti incontrare, assicurando così uno spazio più vasto, perché meno bisognoso di dettagli verificabili, all'espansione della trama.
Più margini per me mi hanno concesso la possibilità di non dover essere troppo precisa, nei tempi come nelle date o nei riscontri degli eventi storici.
E questo mi ha permesso il lusso di qualche piccola incongruenza, prestando attenzione, però, a non andare troppo ad intaccare la verità storica o modificare le peculiarità dei protagonisti.
Perchè la parte fantastica, e quella reale, devono armoniosamente amalgamarsi per contribuire alla veridicità della trama.
Tra fantasia e realtà
Camille Negri, la donna velata di nero del mio racconto, è originata dagli innesti di Camille, film muto di Valentino del 1921, (qui il nome, però, non ha alcuna attinenza col soggetto del film,) e Negri, in riferimento a Pola Negri, l'attrice con la quale Rudy ebbe un'appassionata storia d'amore.
La donna velata di nero è la leggenda nella storia di Valentino che racconta, appunto, di una misteriosa dama, della quale mai si è scoperta l'identità, che ad ogni anniversario della morte dell'attore recava fiori sulla sua tomba.
Le 75 rose del bouquet, di colore rosso vivo in una tonalità compatta e priva di sfumature, sono una mia invenzione.
Ma quelle rose avrebbero forse potuto essere di altro colore?
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