Amo le parole con la stessa passione con cui un pittore ama i suoi colori.
Le parole, per me, non sono semplici assemblaggi di consonanti e vocali, nè il risultato di un suono volutamente emesso dalla gola, ma anime in cerca di un contesto in cui materializzarsi, che una volta evocate assumono consistenza di volume e di peso.
E un'odore. E un colore.
Occupano uno spazio fisico.
Vivono.
Mi sono innamorata da bambina della parola pensata, del suo potere evocativo, magico.
Nel mio vocabolario di allora pochi termini, molto elementari e forse con gli accenti sbagliati, ma capaci di strapparmi a quella solitudine che troppo spesso si tramutava in pianto, e spalancare finestre su mondi fantastici o semplicemente meno desolanti.
Pensavo le parole e le vestivo di colori, così come vestivo la mia bambola (avevo una bambolina minuscola, molto essenziale, alla quale confezionavo gli abiti con la carta delle caramelle).
Le mie parole evocative avevano odore di caramella.
Le parole, anche quelle silenziose, quelle solo pensate, annullano il vuoto opprimente della solitudine.
Questo devo aver intuito da bambina, così m'inventavo una favola, ed il finale era sempre bello (a quel tempo credevo ancora molto al lieto fine).
Quando non inventavo elaboravo le storie sentite, le stravolgevo, le rendevo diverse da quello che erano in origine.
Difficilmente accettavo la storia così come mi veniva proposta: dovevo vestirla con una carta di caramella, e solo io potevo deciderne il colore e il sapore.
Marilena (parolaia naif)
Nessun commento:
Posta un commento