Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.

mercoledì 29 giugno 2011

Requiem per un poeta (capitolo 8)


Non sempre appare ciò che è.
Non sempre ciò che è appare.
Vite vissute negli eccessi, quelle di Mariana Malavento, così come quella di Oliviero Piscopo.
E motivazioni se ne possono pur trovare per giustificare tutto quel protagonismo e quel gran chiasso, che l'intelligenza scaltra degli eccentrici troppo spesso trova supporto nelle analisi, e nell'avvallo delle teorie degli psicologi, ed ecco che, alla fine, si è in grado di confessarsi e d'assolversi autonomamente, senza l'intermediazione misericordiosa di un prete né quella analitica di uno strizzacervelli.
Questo almanaccava il commissario Guerrino Sangemini, facendo il punto della situazione in base ai chiarimenti, o supposti tali, di Mariana Malavento.
Tutto, però, stonava, in questa maledetta storia: la vittima, le parti in causa ed il presunto colpevole
Sul cadavere di Jacopo Imperiale, tra il collo ed il mento, erano state rilevate nitide tracce di saliva appartenenti, senza alcuna ombra di dubbio, ad Oliviero Piscopo, così come sue erano le impronte digitali riscontrate sul manico del coltello.
Gli unici addebiti di presunzione di colpevolezza coinvolgevano, in maniera diretta, solo lui.
Sarebbe stato in grado, l'ex attore, di congegnare la storia della sua accidentale caduta sul corpo del poeta ancora, forse, agonizzante, per spiegare le evidentissime tracce da lui lasciate sul suo cadavere?
Ma una intelligenza così acuta, da inventarsi una trama d'una siffatta logica, da sollevare comunque dubbi sulla sua colpevolezza, avrebbe anche pensato di cancellare le impronte della sua colpevolezza.
Sfumature così sottili che non sembravano appartenere al carattere di Oliviero Piscopo, noto alla polizia per storie di droga e di prostituzione, che viveva alle spalle di ricche signore annoiate alle quali piaceva, per diversivo, immedesimarsi nel ruolo della pupa del boss.
La vita di Oliviero Piscopo era stata minuziosamente passata al setaccio, ma dalle indagini effettuate non risultava nessun legame, nessun contatto, né con il morto né con il suo entourage.
Perché quindi avrebbe dovuto ucciderlo?
Si poteva formulare, però,  l'ipotesi che quella notte il gigolò, reduce da una festa borderline, sconvolto dall'alcol e dalle droghe, avesse incontrato il poeta e, assalito da un raptus improvviso, dovuto magari ad un banale diverbio o a una  puerile provocazione, lo avesse assassinato.
Ma cosa ci faceva Jacopo Imperiale nei viali deserti del parco comunale, già chiuso a quell'ora?
E, d'altra parte, non lo aveva convinto troppo nemmeno Mariana Malavento.
Donna di carattere, quella sì, personalità da romanzo: eccentrica, volitiva, carismatica.
Aveva spontaneamente confessato, con parole di fuoco, il disprezzo e l'odio per il genero, gettando ombre inquietanti sulla sua immagine di uomo e di letterato, nelle tante interviste rilasciate ai mass media, cosicché quando il commissario Sangemini le aveva chiesto chiarimenti sull'incongruenza tra quelle diffamazioni pubbliche al fulmicotone e quelle invece pacatissime, rilasciate in questura, ecco che saltava fuori una spiegazione da trattato di psicologia: l'esplosione del risentimento di una madre contro l'uomo che aveva irretito la figlia adolescente.
Di Mariana Malavento, sul cadavere del genero, non v'era nemmeno un capello e, seppur ci fosse stato, quella donna straordinaria, col suo sorriso più falso e seducente, avrebbe ben potuto obiettare: capelli sempre se ne perdono, commissario, niente di più facile che mi sia caduto mentre gli spazzolavo la giacca.

Non sempre appare ciò che è.
Non sempre è ciò che appare.
Questa la prima regola a cui un buon investigatore deve sempre attenersi.

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