Il mio viaggio inizia quasi sempre nell'ora in cui la notte sfuma nel giorno, transitorio passaggio in cui concentro la mia sintesi esistenziale.
Vivo, realmente vivo, solo in questo breve spazio di tempo.
Signora di un mondo silenzioso e solitario, abitato da contorni di ombre e respiri letargici, al coma della vita contrappongo i miei incubi sontuosi e barocchi portando così alla superficie tragici desideri inespressi e, in un perverso gioco d'ipotesi, riscrivo il mio destino.
L'intero mondo giace inconsapevole con gli occhi ciechi e le vene insensibili nel tempo in cui io, da sola, m'appresto a purgare dall'oblio la memoria.
In apnea trattengo il respiro fino a percepire la sofferenza dei polmoni perchè solo così riesco, più vividamente, a ricordare il mio incubo e porlo a confronto con l'evidenza di una realtà sempre più dissolta, sempre meno vera.
Come Frankstein giaccio immobilizzata da funi di ghiaccio, sospesa nell'incoscienza di una non vita in attesa della scarica vitale del fulmine.
Il mio corpo è solo una grossa cicatrice dolorante, appena consapevole del tumulto del sangue e del tutto ignaro dell'arroganza del pensiero.
Le convulsioni dei muscoli convulsi dilaniano in schegge di puro dolore senza possibilità di grido nella gola nuda.
Un freddo sudore cattivo spurga dalla mia pelle, veleno maligno che riempie la stanza del mio odore.
La bocca è colma della saliva che invano cerco di ricacciare nel fondo arido e scarnificato della gola.
Una tosse violenta vanifica le mie penose contrazioni per ingoiarla, ed infine, il sugo amaro del vomito mi riempie il palato.
L'odore viscerale del rigurgito si mischia a quello acre del sudore evocando l'umido trasudo di tane inviolate.
L'ultimo sputo è una schiuma bianca di cane.
Rinasco dal fango dei miei escrementi, pienamente cosciente del caos da me generato ma troppo debole per confrontarmi con le allucinazioni della vita reale.
Così, ciecamente, arranco nel buio distorto dell'astinenza, pronta a captare il primo caldo raggio del mattino perchè non mi colga impreparata il risveglio del mondo.
L'ago penetra le vene esauste per nutrirle col cibo divino della resurrezione mentre io, in attesa di rinascere, sto in bilico su una soglia d'asfalto con le mani tenacemente protese verso un lembo indistinto di cielo.
Spalanco le mie potenti ali nere e grani di terra si sfaldano sotto le pesanti scarpe dell'inverno mentre precipito, cosciente, nell'invitante vuoto che ingordo si apre sotto questo, ancora assonnato, deserto nebbioso.
Quello che resta in supeficie è solo ombra su una terra di carta.
Poi, sciami di farfalle nude si leveranno in volo e cancelleranno anche quell'ombra.
Scritto da Amaranta in ricordo di un'altra vita.
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