Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.

sabato 21 marzo 2015

Abitare l'eclissi

Dalla mia finestra privilegiata nel mio antro in Blogosphere, ho visto il sole diventare nero e, per miglia e migliaia, calare un silenzio immoto.
Per un lungo momento tutto si è fermato, impresso nel dagherrotipo del tempo e negli occhi di chi, come me,  ha visto l'ombra calare come una larga ala nera ad oscurare il giorno.
Ma forse sono io l'unica testimone di quest'evento, così come lo racconto, che è esattamente come l'ho vissuto nelle mie percezioni, dal momento che è tutto soggettivo, anche il modo in cui si ammira, ad esempio, lo stesso tramonto, o si odora un fiore, o si ascolta un brano musicale, o ancora si assaggia una pietanza o si accarezza un velluto: nulla giungerà, a livello emotivo, alla stessa identica maniera a chi si sottopone all'esperimento.
Quel livello emotivo che poi, di certo, influenzerà tutti i cinque sensi.

 IL RACCONTO
Una pioggerllina, fine e leggera, odorosa di sabbia, è iniziata a cadere sporadica tutt'intorno accompagnata da un lontano rombo di tuono, ma che un gabbiano tramortito, piovuto dal cielo sul davanzale della mia finestra, trasportato dal vento improvviso di bufera che cercava di penetrare le pur solide pareti del mio antro, mi ha fatto riflettere che non fosse acqua di pioggia ma gocce residue di quel mare remoto che pur non arriva a lambire, con le sue lunghe onde insidiose, le aiuole del mio Eden.
Il gabbiano, trasportato dalla burrasca fittizia, è stato strappato via al suo mare per venire a morire, naufrago, in questo illusorio paradiso, sferzato ora dall'ira ingorda del vento, che si è mangiato onde e nuvole, con la stessa voracità con quale cerca ora d'inghiottirsi questo mio avamposto.
Per un'eternità traballiamo nel buio più assoluto, Robinson e Lizard, acquattati sotto la stessa pietra, mentre i poliedrici Freaks, invece, si sono strettamente abbarbicati alla loro trave, con gli arti trasformati in robuste gomene.
Non fidando nel mio equilibrio, mi son seduta a terra, tra la convergenza di due pareti, con le spalle appoggiate all' una ed i piedi puntellati all'altra.
Da questa posizione percepisco le flebili scosse di un terremoto ancora profondamente sotterraneo, forse destinato ad emergere in superficie.
Se così fosse nessuno di noi avrà scampo: la terra inghiottirà ciò che il cielo ha risparmiato.
Dall'avara visuale della finestra assisto, impotente, al diverbio in atto tra i ciclopi della natura: il cielo nero e le sagome dei rami arruffati in un intrigo di foglie e di piume e di ali, e le nubi basse stillanti gocce di mare, pesciolini incolori e rametti di corallo e piccoli molluschi lattiginosi, come stelle riflesse nello sciabordio di una tempesta lontana, la cui collera è solo marginalmente giunta in questo luogo.
E ci ha risparmiati.
Il vento cala e la luce riappare con un sole scialbo, velato di nebbia.
Nulla sarà come prima.
E' questo che si dice ogni volta che si scampa ad un pericolo.
Ma io non lo dirò.
Forse perchè amo le incognite dei naufragi.
E le salvezze miracolose.

8 commenti:

  1. Le Radeau de la Méduse ha solo cannibali

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  2. Accidenti, Andres, tu mi apri spiragli inediti!
    Un saluto :))))))

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  3. A proposito di intemperie fortunate e di felici naufragi:
    "Quando non può lottare contro il vento e il mare per seguire la sua rotta, il veliero ha due possibilità: l'andatura di cappa che lo fa andare alla deriva, e la fuga davanti alla tempesta con il mare in poppa e un minimo di tela. La fuga è spesso, quando si è lontani dalla costa, il solo modo di salvare barca ed equipaggio. E in più permette di scoprire rive sconosciute che spuntano all'orizzonte delle acque tornate calme. Rive sconosciute che saranno per sempre ignorate da coloro che hanno l'illusoria fortuna di poter seguire la rotta dei carghi e delle petroliere, la rotta senza imprevisti imposta dalle compagnie di navigazione. Forse conoscete quella barca che si chiama desiderio." (Henry Laborit)

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    1. Bellissimo, Giò.
      Sono Penelope che stanca di attendere all'arcolaio, intraprendo la via del mare, in fuga davanti alla tempesta con il mare in poppa ed un minimo di tela, lontana dalle rotte tracciate dalle compagnie di navigazione.
      Un'avventura meravigliosa, dettata dalle mie esigenze di conoscenza e di sopravvivenza.

      Splendido lo scritto del tuo commento, ELOGIO DELLA FUGA, che non conoscevo. ma tramite il quale ho riscoperto le necessità esistenziali di questo mio viaggio metafisico e niente affatto illusorio.
      Un viaggio molto più avventuroso e denso d'incognite perchè percorso lungo le rotte inesplorate del mio "io più recondito".
      ......e in cui solo io posso governare il mio vascello:

      Buona domenica, Giò, e GRAZIE!

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  4. il racconto sembra lo spirito inquieto di chi aspetta una metamorfosi profonda.
    Ciao Amaranta.

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    1. Endi, ormai sono fuori range per qualsiasi metamorfosi: diciamo mezzo bruco e mezza farfalla. In sintesi, mi toccherà continuare a vivere con una sola ala :) Credo che metterò anche una benda su un occhio, a mò di pirata, per completare il quadro di questa metamorfosi a metà!

      A presto, endi :)))))

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  5. in un mondo di ciechi chi ha un occhio è fortunato ;) capitana uncina :)

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    1. Adoro questo tuo commento.
      GRAZIE!
      E' come se mi avesi restiutito l'ala mancante.
      E una vista da veggente.

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