Stamane, alle tre, ero già sveglia.
Per un po' sono rimasta quieta ad ascoltare il rumore della pioggia che continuava a cadere, incessante e copiosa, dal cielo ancora notturno, poi l'esigenza di un gesto attivo mi ha spinto fuori dalle coltri: il primo caffè e la prima sigaretta della giornata, consumati davanti ai vetri rigati di pioggia, dove le gocce più grandi, simili ad insetti di cristallo, andavano ad infrangersi, liquefacendosi tra gli altri rigagnoli sottili, come lacrime di luna che lentamente scivolavano sul mio davanzale, per ricadere poi sull'anonimo grigio del selciato.
Le gocce più minuscole, invece, che rimanevano intrappolate nelle fessure granulose del davanzale mi comunicavano un devastante senso d'angoscia: inchiodate a quel loro ineluttabile destino di segregazione a cielo aperto, impossibilitate a tracimare dagli argini, seppur minimi, che le contenevano, si sarebbero dovute rassegnare al loro breve, quanto solitario limbo, sospese tra il cielo e la terra: anime destinate all'evaporazione.
Secondo caffè e seconda sigaretta: mi sento anch'io una goccia di pioggia intrappolata nella porosità di un davanzale.
E manca un'eternità prima che il buio furtivamente rischiari in alba.
Devo fare qualcosa per sfuggire all'oppressione buia e calda del mio appartamento di superficie o inevitabilmente anche la mia anima evaporerà come una goccia di pioggia.
Solo il mio antro può rivelarsi il rifugio salvifico per la mia rigenerazione.
Come è buffo, mi viene da pensare mentre scendo l'esile scala a chiocciola che conduce nei visceri sottereanei dove è ubicato, che invece, per la stragrande maggioranza della gente, l'ipotetico Paradiso è sito talmente in alto, irraggiungibile senza l'ausilio di un paio d'ali di colomba e la fermezza nella propria fede.
Il mio Paradiso è invece sotterraneo, agevolmente accessibile, sia pure con qualche precauzione, tramite questa esile scala a chiocciola che direttamente mi conduce nel cuore del mio antro, senza che io debba fare affidamento sul mio inesistente equilibrio ascensionale ed un' ancora più inesistente fede dogmatica.
Qui non posso perdermi.
E' questa certezza il perno principale su cui m'avvito, ritrovo stabilità ed equilibrio e, spesso, positività.
Guardo fuori dalla finestra dove una giungla opulenta e schizzofrenica, ha invaso ogni arido anfratto di questo mondo parallelo.
L'effetto della pioggia qui ha prodotto una scenografia immaginifica, dando vita ad un natura incontrollata, la cui mescolanza ha generato una flora ibrida, fantastica, sgargiante di colori e di profumi, sotto il cielo plumbeo e grondante acqua.
Gli alberi dai tronchi immensi e il fogliame che da terra s'inerpica, in volute impossibili, svettanti verso l'alto, in contrasto alle leggi comprovate della forza di gravità, mi celano alla vista la bassa catena montagnosa al di là della quale torreggiano i resti della Fortezza del deserto dei Tartari, fino ad oggi unica sporgenza visibile in chilometri e chilometri di paesaggio piatto, pietroso ed arido.
E' cambiato il panorama che circonda il mio antro da quell'ormai remoto 9 Gennaio 2008, quando vi approdai come naufraga, dopo aver oltrepassato, su una scheletrica zattera, le Colonne d'Ercole.
Nulla sarà più come prima o, forse, questo è soltanto un bel momento e, come tutti i bei momenti, destinato poi a finire, ma intanto mi riempio gli occhi dei colori fosforescenti, e dei profumi persuasivi, di questa opulenta giungla amazzonica.
E non sono sola ad ammirarne la bellezza che, immobile sulla soglia della sua tana, anche il piccolo timido topo abusivo, osserva, disorientato, l'inestricabile labirinto per cui l'istinto gli suggerisce che dovrà darsi da fare per studiarne i percorsi affinché non smarrisca la strada verso il rifugio sicuro che io gli ho concesso.
I nostri occhi s'incontrano: mi guarda intimorito, forse immaginando che sia io l'artefice di questo miracolo.
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