PADRE ERNESTO GUEVARA CASADIO
Padre
Ernesto Guevara Casadio, classe 47, prete di strada e comunista (una
precisazione, questa, a cui teneva molto) aveva vestito l’abito
talare non per fede ma per sfida. Sulla soglia dei settant’anni non
aveva ancora deposto le armi, e non solo in senso metaforico, perché
la leggenda raccontava che girasse armato di una pistola ereditata
dal nonno partigiano e regolarmente denunciata. Licenza accordata
nonostante un indizio di Parkinson, perché padre Casadio era a
conoscenza di tutti gli scheletri nascosti negli armadi dei suoi
concittadini e non si faceva scrupolo di forzare la mano,
all’occorrenza, per ottenere quello di cui aveva bisogno. E di
solito l’otteneva.
Marisol lo baciò sulla guancia:
«Ciao zio Ernesto».
In realtà non erano parenti ma lei amava
personalizzare i rapporti con le persone che le piacevano.
«Ehilà Don, come ti butta? È un po’ che non ci si vede» disse Dj salutandolo.
«Mi va sicuramente meglio che a te. Ho saputo dello scasso». Senza troppi preamboli era entrato diritto nell’argomento.
«Le notizie volano in fretta… e non ho neppure denunciato!» ironizzò Dj.
«Ho informatori ai piani più alti». Padre Casadio alzò gli occhi al cielo e poi ridendo indicò Licantropo: «Me lo ha detto Joe. Cos’è questa storia che non sporgerai denuncia?».
«Indagherò per conto mio» rispose Dj, carezzandosi il mento con la mano. «In confidenza, Don, non saprei dire con esattezza, ma nemmeno con approssimazione, cosa manca. Non sono in grado di fare una lista delle mie cose, di quelle prese in prestito e di quelle lasciate da altri, perché col tempo sono diventate tutte un unico amalgama. No… non riuscirei a fare un inventario e stabilire l’appartenenza dell’enorme mucchio di oggetti sparpagliati ora sul pavimento di casa mia».
«E invece dovresti!» intervenne Marisol, «almeno per cautelarti. Magari hanno rubato qualcosa di tuo che poi di proposito verrà lasciato sulla scena di un futuro crimine. E chi pensi che incolperanno?».
«Esattamente!» si intromise Joe, più che altro per compiacere Marisol nella quale nutriva cieca fiducia piuttosto che per contravvenire ai ragionamenti dell’amico.
«Agatha
Christie e Sherlock Holmes!» li apostrofò Dj con affettuoso
sarcasmo.
«Potrebbe essere una ritorsione per qualcosa
detto durante il tuo programma? Pensaci» suggerì padre
Casadio.
Lui ci rifletté e poi scosse la testa: «No, a
parte un tizio in paranoia che diceva di volersi arruolare nella
legione straniera perché ha trovato la sua ragazza a letto con una
donna, non c’è stato altro di rilevante».
«Ad
ogni buon conto tienimi informato» disse il prete in sella al
motorino, pronto a ripartire
Licantropo fece il gesto di salire anche lui ma padre Casadio lo fermò: «Non è il caso che tu venga Joe, vado a somministrare, per la terza volta, l’estrema unzione ad un ottuagenario che all’atto di ungergli la fronte resuscita. Sta tenendo in scacco un manipolo di eredi, uno dei quali, quando lo ha visto schizzare su dal letto, ha avuto un infarto. Sta cercando, e con successo, di spedirli al creatore prima di lui. Riflettendoci, questa potrebbe essere una buona storia per il tuo programma. Magari convinco il moribondo a partecipare ad una tua diretta» disse, strizzando l’occhio a Dj prima d’immettersi nel traffico.
CARLO
MAGNO BOSCHI. E RADIO EVELINA.
Quando
Carlo Magno Boschi, detto Magnum per via della stazza ciclopica e del
nome altisonante, a bordo del suo Suv Ferrari aveva scorto il
gruppetto dei tre amici aveva inchiodato proprio al margine del
marciapiede dove loro ancora stazionavano e fatto cenno a Dj di
avvicinarsi al finestrino.
Marisol, lo salutò mostrandogli il
medio, e lui contraccambiò col medesimo gesto.
Uomo
di poche parole, Carlo Magno, a causa di una voce chioccia,
pigolante, che non corrispondeva alla sua prestanza fisica, e che nei
momenti di collera diventava stridula. Consapevole di questa evidente
sproporzione tra l’esigua intensità delle sue corde vocali e quel
suo fisico da Mangiafuoco, s’era molto esercitato, sotto la guida
di un vocal trainer, per compensare questo dislivello ed irrobustire
le corde vocali, ma con scarsi risultati, ché quella sua vocina
isterica non c’era stato verso di riconvertirla in toni più
virili.
Figlio dell’imprenditore Giulio Cesare Boschi, il
maggior produttore regionale di macchine agricole, intorno alle cui
aziende ruotava gran parte dell’economia della città e dei
dintorni, e proprietario di “Radio Evelina” l’emittente per cui
lavorava Dj e la cui gestione ultimamente era diventata motivo di
contrasto tra l’imprenditore, di anima liberal e coi trascorsi da
hippy, e il figlio che mirava, invece, a tramutarla in organo di
propaganda per una sua supposta escalation in politica, militando
egli in una formazione carbonara di estrema destra che intendeva
legittimare per i propri scopi personali e politici.
Occorre
specificare che l’emittente prendeva il nome da Evelina, la figlia
primogenita dell’imprenditore, una scavezzacollo le cui gesta
riempivano le riviste scandalistiche, ma per Magnum, questa
titolarità da sempre rappresentava una discriminante: la conclamata
preferenza paterna nei riguardi della sorella.
Con due figli
siffatti, così diversi da lui e in nessuno dei quali poteva riporre
fiducia, l’imprenditore Boschi, che in Dj aveva rivisto se stesso
da giovane, gli aveva affidato la conduzione del programma più di
successo, e lui non lo aveva deluso e aveva perfino aumentato gli
sponsor. La predisposizione del padre verso Dj, che col tempo andava
sempre più accreditandosi come il suo possibile successore nella
gestione di “Radio Evelina”, aveva fomentato in Magnum gelosie e
rancori.
«Ciao, Carlo» lo salutò Dj senza alcun
entusiasmo.
«Ho saputo dello scasso» disse a voce bassa, strisciante, e con un sorriso sarcastico Magnum, tamburellando con le dita colme di anelli sul cruscotto dell’auto.
«Hai saputo? E da chi, se non ho ancora denunciato?».
«Qualcuno mi ha riferito». Aveva smesso di tamburellare e senza guardarlo in faccia aveva fatto un gesto circolare e sfumato.
«Magari l’autore stesso del misfatto» ribadì Dj, ironico.
«E
come faccio a saperlo?». Il tono della risposta, in contrapposizione
al sorriso sghembo, faceva presupporre il contrario.
Dj
scosse la testa perplesso: «Perché mi cercavi?».
«Per parlare del futuro del tuo programma che, seppur seguito, alla fine non concretizza nulla, così…».
«Non concretizza nulla?» Dj sorrise sarcastico: «Ti ricordo che i maggiori introiti pubblicitari vengono proprio dal mio programma e, a quanto mi risulta, tuo padre non se ne lamenta affatto, motivo per cui mi ha dato carta bianca sulla sua conduzione. Si chiama rapporto di fiducia. E comunque è a lui che devo renderne conto in quanto proprietario di “Radio Evelina”, non certo a te che da quel che mi risulta non rivesti alcun incarico». Nonostante Dj avesse cercato di mantenere un tono distaccato quell’ultima considerazione, però, era risuonata nitida come una rasoiata, così da richiamare l’attenzione di Joe che già stava precipitandosi verso di lui. Ma Dj, che lo aveva intercettato con la coda dell’occhio, fece cenno a Marisol di fermarlo.
«Non serve che tu vada, Max sa il fatto suo.» lo rassicurò lei, trattenendolo
Joe
era rimasto al suo posto senza però distogliere lo sguardo
dall’amico, all’erta e pronto ad intervenire se la situazione lo
avesse richiesto. Anche Magnum s’era accorto della scena e
adottando un tono che avrebbe voluto esser sarcastico ma che invece
era risuonato solo stizzito, aveva detto: «Non ti sei ancora
stancato di fargli da balia? Frequenti le persone sbagliate, come
Sorella Luna, e scommetto che neppure te la scopi. Lesbica o frigida.
Quelle come lei…». Ma non aveva terminato la frase che il pugno di
Dj, penetrando attraverso lo spazio del finestrino abbassato, s’era
abbattuto con precisione da cecchino sulla bocca di Magnum e
scatenando la sua reazione, che con violenza aveva aperto lo
sportello dell’auto, facendolo cadere a terra.
Stavolta
Marisol non trattenne Licantropo che come una furia s’era
precipitato in soccorso dell’amico a terra, sopraffatto dalla
gragnuola di colpi sferrati alla cieca dall’altro. Lei stessa s’era
buttata all’arrembaggio del gigante che scrollandosela di dosso
come un ramoscello l’aveva messa subito ko. Ma con Joe, invece, la
faccenda s’era rivelata ostica, perché nonostante la sproporzione
fisica a favore di Magnum, Licantropo poteva contare sulla durezza
del suo corpo esangue e tutt’ossa, che quasi i pugni non li
sentiva, e ogni volta che sembrava soccombere schizzava di nuovo su,
come una molla, assestando colpi a casaccio, che data la mole
dell’avversario quasi sempre andavano a segno.
Nel
frattempo una folla s’era radunata per assistere a quel curioso
match, più spettacolo da circo che da ring, inneggiando e ridendo,
facendo il tifo e filmando la scena coi cellulari, senza che nessuno
materialmente ponesse fine a quella rissa da saltimbanchi dove
Magnum, con buone probabilità, sarebbe capitolato per stanchezza se
Dj, una volta riavutosi, non fosse intervenuto a bloccare Licantropo
che, arroccato su se stesso continuava a menar fendenti come una
collaudata macchina da guerra.
In ultimo era giunta una
pattuglia della polizia che li aveva caricati tutti a bordo e portati
al commissariato, passando però prima per il pronto soccorso.
Ma
neppure in quel frangente Dj aveva denunciato lo scasso del suo
appartamento.
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