Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.

giovedì 30 giugno 2022

Il Faro di Zion (cap.2)



 PADRE ERNESTO GUEVARA CASADIO
Padre Ernesto Guevara Casadio, classe 47, prete di strada e comunista (una precisazione, questa, a cui teneva molto) aveva vestito l’abito talare non per fede ma per sfida. Sulla soglia dei settant’anni non aveva ancora deposto le armi, e non solo in senso metaforico, perché la leggenda raccontava che girasse armato di una pistola ereditata dal nonno partigiano e regolarmente denunciata. Licenza accordata nonostante un indizio di Parkinson, perché padre Casadio era a conoscenza di tutti gli scheletri nascosti negli armadi dei suoi concittadini e non si faceva scrupolo di forzare la mano, all’occorrenza, per ottenere quello di cui aveva bisogno. E di solito l’otteneva.

Marisol lo baciò sulla guancia: «Ciao zio Ernesto».
In realtà non erano parenti ma lei amava personalizzare i rapporti con le persone che le piacevano.

«Ehilà Don, come ti butta? È un po’ che non ci si vede» disse Dj salutandolo.

«Mi va sicuramente meglio che a te. Ho saputo dello scasso». Senza troppi preamboli era entrato diritto nell’argomento.

«Le notizie volano in fretta… e non ho neppure denunciato!» ironizzò Dj.

«Ho informatori ai piani più alti». Padre Casadio alzò gli occhi al cielo e poi ridendo indicò Licantropo: «Me lo ha detto Joe. Cos’è questa storia che non sporgerai denuncia?».

«Indagherò per conto mio» rispose Dj, carezzandosi il mento con la mano. «In confidenza, Don, non saprei dire con esattezza, ma nemmeno con approssimazione, cosa manca. Non sono in grado di fare una lista delle mie cose, di quelle prese in prestito e di quelle lasciate da altri, perché col tempo sono diventate tutte un unico amalgama. No… non riuscirei a fare un inventario e stabilire l’appartenenza dell’enorme mucchio di oggetti sparpagliati ora sul pavimento di casa mia».

«E invece dovresti!» intervenne Marisol, «almeno per cautelarti. Magari hanno rubato qualcosa di tuo che poi di proposito verrà lasciato sulla scena di un futuro crimine. E chi pensi che incolperanno?».

«Esattamente!» si intromise Joe, più che altro per compiacere Marisol nella quale nutriva cieca fiducia piuttosto che per contravvenire ai ragionamenti dell’amico.

«Agatha Christie e Sherlock Holmes!» li apostrofò Dj con affettuoso sarcasmo.

«Potrebbe essere una ritorsione per qualcosa detto durante il tuo programma? Pensaci» suggerì padre Casadio.

Lui ci rifletté e poi scosse la testa: «No, a parte un tizio in paranoia che diceva di volersi arruolare nella legione straniera perché ha trovato la sua ragazza a letto con una donna, non c’è stato altro di rilevante».

«Ad ogni buon conto tienimi informato» disse il prete in sella al motorino, pronto a ripartire

Licantropo fece il gesto di salire anche lui ma padre Casadio lo fermò: «Non è il caso che tu venga Joe, vado a somministrare, per la terza volta, l’estrema unzione ad un ottuagenario che all’atto di ungergli la fronte resuscita. Sta tenendo in scacco un manipolo di eredi, uno dei quali, quando lo ha visto schizzare su dal letto, ha avuto un infarto. Sta cercando, e con successo, di spedirli al creatore prima di lui. Riflettendoci, questa potrebbe essere una buona storia per il tuo programma. Magari convinco il moribondo a partecipare ad una tua diretta» disse, strizzando l’occhio a Dj prima d’immettersi nel traffico.


CARLO MAGNO BOSCHI. E RADIO EVELINA.
Quando Carlo Magno Boschi, detto Magnum per via della stazza ciclopica e del nome altisonante, a bordo del suo Suv Ferrari aveva scorto il gruppetto dei tre amici aveva inchiodato proprio al margine del marciapiede dove loro ancora stazionavano e fatto cenno a Dj di avvicinarsi al finestrino.
Marisol, lo salutò mostrandogli il medio, e lui contraccambiò col medesimo gesto.

Uomo di poche parole, Carlo Magno, a causa di una voce chioccia, pigolante, che non corrispondeva alla sua prestanza fisica, e che nei momenti di collera diventava stridula. Consapevole di questa evidente sproporzione tra l’esigua intensità delle sue corde vocali e quel suo fisico da Mangiafuoco, s’era molto esercitato, sotto la guida di un vocal trainer, per compensare questo dislivello ed irrobustire le corde vocali, ma con scarsi risultati, ché quella sua vocina isterica non c’era stato verso di riconvertirla in toni più virili.
Figlio dell’imprenditore Giulio Cesare Boschi, il maggior produttore regionale di macchine agricole, intorno alle cui aziende ruotava gran parte dell’economia della città e dei dintorni, e proprietario di “Radio Evelina” l’emittente per cui lavorava Dj e la cui gestione ultimamente era diventata motivo di contrasto tra l’imprenditore, di anima liberal e coi trascorsi da hippy, e il figlio che mirava, invece, a tramutarla in organo di propaganda per una sua supposta escalation in politica, militando egli in una formazione carbonara di estrema destra che intendeva legittimare per i propri scopi personali e politici.
Occorre specificare che l’emittente prendeva il nome da Evelina, la figlia primogenita dell’imprenditore, una scavezzacollo le cui gesta riempivano le riviste scandalistiche, ma per Magnum, questa titolarità da sempre rappresentava una discriminante: la conclamata preferenza paterna nei riguardi della sorella.
Con due figli siffatti, così diversi da lui e in nessuno dei quali poteva riporre fiducia, l’imprenditore Boschi, che in Dj aveva rivisto se stesso da giovane, gli aveva affidato la conduzione del programma più di successo, e lui non lo aveva deluso e aveva perfino aumentato gli sponsor. La predisposizione del padre verso Dj, che col tempo andava sempre più accreditandosi come il suo possibile successore nella gestione di “Radio Evelina”, aveva fomentato in Magnum gelosie e rancori.


«Ciao, Carlo» lo salutò Dj senza alcun entusiasmo.

«Ho saputo dello scasso» disse a voce bassa, strisciante, e con un sorriso sarcastico Magnum, tamburellando con le dita colme di anelli sul cruscotto dell’auto.

«Hai saputo? E da chi, se non ho ancora denunciato?».

«Qualcuno mi ha riferito». Aveva smesso di tamburellare e senza guardarlo in faccia aveva fatto un gesto circolare e sfumato.

«Magari l’autore stesso del misfatto» ribadì Dj, ironico.

«E come faccio a saperlo?». Il tono della risposta, in contrapposizione al sorriso sghembo, faceva presupporre il contrario.

Dj scosse la testa perplesso: «Perché mi cercavi?».

«Per parlare del futuro del tuo programma che, seppur seguito, alla fine non concretizza nulla, così…».

«Non concretizza nulla?» Dj sorrise sarcastico: «Ti ricordo che i maggiori introiti pubblicitari vengono proprio dal mio programma e, a quanto mi risulta, tuo padre non se ne lamenta affatto, motivo per cui mi ha dato carta bianca sulla sua conduzione. Si chiama rapporto di fiducia. E comunque è a lui che devo renderne conto in quanto proprietario di “Radio Evelina”, non certo a te che da quel che mi risulta non rivesti alcun incarico». Nonostante Dj avesse cercato di mantenere un tono distaccato quell’ultima considerazione, però, era risuonata nitida come una rasoiata, così da richiamare l’attenzione di Joe che già stava precipitandosi verso di lui. Ma Dj, che lo aveva intercettato con la coda dell’occhio, fece cenno a Marisol di fermarlo.

«Non serve che tu vada, Max sa il fatto suo.» lo rassicurò lei, trattenendolo


Joe era rimasto al suo posto senza però distogliere lo sguardo dall’amico, all’erta e pronto ad intervenire se la situazione lo avesse richiesto. Anche Magnum s’era accorto della scena e adottando un tono che avrebbe voluto esser sarcastico ma che invece era risuonato solo stizzito, aveva detto: «Non ti sei ancora stancato di fargli da balia? Frequenti le persone sbagliate, come Sorella Luna, e scommetto che neppure te la scopi. Lesbica o frigida. Quelle come lei…». Ma non aveva terminato la frase che il pugno di Dj, penetrando attraverso lo spazio del finestrino abbassato, s’era abbattuto con precisione da cecchino sulla bocca di Magnum e scatenando la sua reazione, che con violenza aveva aperto lo sportello dell’auto, facendolo cadere a terra.
Stavolta Marisol non trattenne Licantropo che come una furia s’era precipitato in soccorso dell’amico a terra, sopraffatto dalla gragnuola di colpi sferrati alla cieca dall’altro. Lei stessa s’era buttata all’arrembaggio del gigante che scrollandosela di dosso come un ramoscello l’aveva messa subito ko. Ma con Joe, invece, la faccenda s’era rivelata ostica, perché nonostante la sproporzione fisica a favore di Magnum, Licantropo poteva contare sulla durezza del suo corpo esangue e tutt’ossa, che quasi i pugni non li sentiva, e ogni volta che sembrava soccombere schizzava di nuovo su, come una molla, assestando colpi a casaccio, che data la mole dell’avversario quasi sempre andavano a segno.

Nel frattempo una folla s’era radunata per assistere a quel curioso match, più spettacolo da circo che da ring, inneggiando e ridendo, facendo il tifo e filmando la scena coi cellulari, senza che nessuno materialmente ponesse fine a quella rissa da saltimbanchi dove Magnum, con buone probabilità, sarebbe capitolato per stanchezza se Dj, una volta riavutosi, non fosse intervenuto a bloccare Licantropo che, arroccato su se stesso continuava a menar fendenti come una collaudata macchina da guerra.
In ultimo era giunta una pattuglia della polizia che li aveva caricati tutti a bordo e portati al commissariato, passando però prima per il pronto soccorso.
Ma neppure in quel frangente Dj aveva denunciato lo scasso del suo appartamento.

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