Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.

mercoledì 29 giugno 2022

Il Faro di Zion (cap.1)

 


DJ, INGEGNO MASSIMO

‘fanculo!
Tutto ha inizio con un vaffanculo urlato con rabbia in una stanza completamente sottosopra, da un gigante di medie dimensioni. Ammetto che la definizione “gigante di medie dimensioni” può apparire un controsenso, ma pure, vi garantisco, che se vi fosse dato vederlo converreste con me che gli calza a pennello, perché in Massimo Ingegno (questo il suo nome registrato all’anagrafe) in arte Dj Ingegno Massimo, conduttore di successo di “Radio Evelina”, nonostante la modesta altezza di 1,72 in lui tutto svetta verso l’alto in spessore aereo. Iniziando dalla capigliatura, un intrigo rasta, trasbordante ed espansivo, che trova il suo apice sulla sommità del capo dove gli spezzoni nodosi delle ciocche diramano spavaldi verso i quattro punti cardinali.


‘fanculo!
Aveva urlato Dj sferrando un calcio all’unica sedia rimasta in piedi che, dopo averla scaraventata a terra aveva tirato di nuovo su per sedersi a guardare la stanza oltraggiata, con una lenta occhiata circolare, scuotendo la testa e rollandosi una sigaretta. Mancava niente… mancava tutto… forse… perché in realtà non gli era mai importato di considerare proprietà privata le sue cose e ancor meno quella stanza, porto di mare per amici e conoscenti. Parenti no, di quelli non ne aveva, e a dir la verità, a causa del continuo sovraffollamento di quei pochi metri quadrati, non ne sentiva affatto la mancanza.


JOE LICANTROPO
‘fanculo.
Stavolta Dj l’aveva pronunciato senza rabbia, facendosi strada in lui il sospetto che tutto quello sfacelo fosse opera di Joe Licantropo in uno dei suoi momenti di dissociazione dalla realtà, per poi dopo non ricordare nulla. Non era violento di natura Joe, ma a causa delle sue paranoie faceva spesso danni. Nessuna intenzione di dolo ma gli partiva l’embolo e lui diventava qualcun altro: un licantropo, appunto. Che in realtà con la bestiaccia satanica Joe (nome di battesimo, Giuseppe Nanni) non aveva niente da spartire, se non i canini vagamente vampireschi e gli occhi da randagio, orlati di rosso.
Dj voleva bene a Joe ma cominciava a non farcela più troppo a tollerare quelle sue disconnessioni che da qualche tempo succedevano con frequenza. Sulla soglia dei trent’anni s’era ritrovato a ricoprire il ruolo di padre putativo di un figlio anche lui trentenne, e per di più affetto da un disturbo dissociativo dell’identità. Ad ogni modo che quella fosse opera di Joe non poteva esserne certo, anche se Licantropo era sempre il primo indiziato ogni volta che accadeva qualcosa. Sospetto colpevole e mai sospetto innocente. Povero, vecchio Joe. E forse era proprio questo uno dei motivi per cui gli voleva così bene e tollerava le sue stranezze.
Ma se non era opera sua, allora di chi?
Dj rifletteva camminando nella stanza, concentrato su un ipotetico identikit e facendo attenzione a non inciampare negli oggetti disseminati sul pavimento. Più tardi, o tutt’al più l’indomani, avrebbe rimesso in ordine. Non era il disordine a disturbarlo, a quello c’era abituato ed era elemento naturale nella sua vita, ma quanto il motivo da cui era originata tutta quella violenza, comunque non avrebbe sporto denuncia perché al commissariato gli avrebbero chiesto di stilare un elenco degli oggetti mancanti e lui non avrebbe saputo dire quali. In quella sua casa aperta le cose che sparivano venivano rimpiazzate da altre, magari di genere diverso. A lui non importava, lo trovava perfino divertente, una specie di caccia al tesoro, ma era certo che al commissariato avrebbero giudicato alquanto discutibile quella sua filosofia esistenziale così come le sue amicizie, tra cui Joe, che per via dei suoi trascorsi e della sua patologia sarebbe stato considerato sospetto. Forse, l’unico sospetto.
Avrebbe chiesto a lui e gli avrebbe creduto, perché Joe non sapeva mentire.

fanculo
Aveva ripetuto sulla soglia frugandosi le tasche alla ricerca delle chiavi, ma realizzando che non gli servivano perché la serratura era stata scassinata. 


SORELLA LUNA
Sceso in strada, Dj aveva individuato la sagoma allampanata di Licantropo e quella ad anfora di Sorella Luna, venirgli incontro a passo spedito.
Joe somigliava a Pippo, il personaggio antropomorfo della Disney, al pari di lui dinoccolato e goffo, ingenuo e irrazionale in maniera disarmante. Eppure tra loro era nata una grande amicizia, patologica, come l’aveva definita con molta ironia Sorella Luna, all’anagrafe Marisol Calzolari, sorella minore di Luna la ragazza più bella di Iperbole, (ridente cittadina romagnola che non ce l’aveva fatta a diventare una seconda Rimini), e della quale era considerata l’escrescenza siamese, ma senza minimamente somigliarle, ché mentre Luna era slanciata e diafana, luminosa già alla distanza come l’astro da cui aveva preso il nome, Marisol, invece, era poco definita, in ombra, e con qualche chilo di troppo. Quella sua costante presenza al suo fianco le aveva fruttato il soprannome di “Sorella Luna”, e di quel nomignolo ne aveva intimamente sofferto come la conferma dell’assenza di una propria identità, che era diventata poi invisibilità quando Luna s’era trasferita a Milano per tentare la carriera di top model. Così, per essere visibile, aveva azzardato pericolosi esperimenti per somigliarle. Sul baratro dell’anoressia era riuscita a fare un passo indietro grazie soprattutto all’aiuto di padre Ernesto Guevara Casadio, un prete di strada operante nell’ambito del disagio giovanile. A “La Casa dei Ragazzi”, la struttura che lui gestiva, Marisol aveva conosciuto Dj e Joe: i suoi amici del cuore.


DJ, JOE LICANTROPO E SORELLA LUNA
Dj s’era seduto ad attenderli sugli scalini dell’ex casa del popolo “Enrico Berlinguer” riconvertita in casa d’accoglienza per ragazzi in difficoltà. Sulla facciata la dicitura “Casa Del Popolo” era stata sostituita con “Casa Dei Ragazzi” ma il nome di Berlinguer era rimasto per volere di padre Ernesto Guevara Casadio, ché nella sua personale hit Berlinguer era da sempre saldamente insediato al secondo posto subito dopo la band dei Nomadi e prima di Gesù Cristo.

«Ehilà, Dj» lo salutò Joe con un largo sorriso, sedendosi sullo scalino dietro di lui.

«Ciao, Max» disse Marisol con una nota arancione nella voce, baciandolo su una guancia. Era l’unica a chiamarlo Max

«Qualcuno oggi è entrato nel mio appartamento e lo ha messo a soqquadro». Breve pausa per far metabolizzare a Joe la notizia, e poi guardandolo negli occhi: «Ne sai qualcosa? Non è che tu per caso ti trovassi da quelle parti?».
In sua vece rispose Marisol: «Joe è stato con me tutto il giorno».
«Non sono stato io» confermò Joe in tono lamentoso. E poi, aggressivo: «Non sono stato io!».

«Ok, amico non sei stato tu. Tranquillo, non ti sto accusando di nulla. Ma anche se fossi stato tu non mi sarebbe importato. Lo sai vero, che non mi sarebbe importato? È già successo, ricordi? E non ho mai fatto un dramma per la casa sotto sopra».

«Joe sta prendendo le medicine» ribadì Marisol, sperando così di porre fine alla faccenda.

«Prendo le medicine. Non sono stato io» le fece eco Joe, accigliato.

«Sono molto orgoglioso di te. Dammi il cinque». Dj si girò per battere il cinque.

«Dunque hai trovato l’appartamento sotto sopra». Non era una domanda quella di Marisol, ma un riprendere l’argomento.

Dj, intento a rollare una sigaretta, assentì col capo.

«Cosa hanno rubato?».

«Cosa vuoi che ne sappia! Non ho fatto l’inventario» rispose lui scrollando le spalle e offrendole la sigaretta appena confezionata.

«Dovresti sporgere denuncia».

«Denunciare? La verità è che non saprei dire cosa hanno rubato. Sono estremamente carente in fatto di organizzazione domestica». Dj aveva confezionato una sigaretta anche per Joe e gliela aveva porta: «Tieni amico».

«Potresti almeno denunciare lo scasso, come misura cautelativa» suggerì lei.

Dj scosse il capo in segno di diniego: «Al commissariato farebbero comunque domande. No, meglio soprassedere. Svolgerò qualche indagine per conto mio». Poi voltandosi verso Joe annunciò: «Amico, sei ufficialmente arruolato nella squadra investigativa».

«Non sono stato io. Prendo le medicine». Licantropo, tagliato fuori dalla conversazione, era rimasto ancora a quel punto.

«Lo so. Per questo ti voglio in squadra, e conto sulla tua collab…».

Ma già lui non l’ascoltava più che all’orizzonte aveva intravisto padre Casadio a bordo del suo motorino e si sbracciava per manifestargli la sua presenza, chiamandolo a gran voce: «Padre Guevara. Padre Guevara» andava ripetendo come un mantra quel nome precipitandosi in strada e correndo a perdifiato verso lo scooter, schivando miracolosamente le auto da cui partivano insulti e strombazzate di clacson. Il prete, quando lo vide lo prese a bordo.

Nessun commento:

Posta un commento