SOLO QUATTROCENTONOVE PAROLE
Premetto che sono molto prolissa, quando scrivo e quando
parlo, con una spiccata simpatia per gli aggettivi e gli avverbi di cui ne
faccio un uso smodato, al limite della legalità.
Detta così sembra una cosa innocua, una peculiarità
intellettuale o perfino un vezzo: un difettuccio se paragonato ad altri più
invasivi anche nei confronti di terzi.
Peggio sarebbe stato se mi fossi ostinata a guidare la
macchina, ad esempio, io che riuscivo a farla andare solo a zig zag, pur
essendo sobria.
Naaa, lo sproloquio degli aggettivi e degli avverbi ricade
interamente su di me anche se probabili, ma non mortali conseguenze, potrebbe
averle riportate qualche incauto lettore.
Questa premessa, effimera e all'apparenza scollegata, in cui
ho tirato in ballo alcuni dei miei disagi più blandi (di tutti gli altri, di
ben altra portata, ne parlo solo con il mio psichiatra) era solo per arrivare a
parlare degli audio racconti, l'ultima bellissima, iniziativa di Writer Monkey,
ma ho scelto la strada più tortuosa, ho allungato la broda, come si dice in
gergo, per dimostrare che non mentivo riguardo alla mia verbosità accertata e
non supposta.
Mi sono cimentata anch'io il testo per un audio racconto, "Nel mio delirante universo dada", questo il titolo. Conteggio delle parole: quattrocentonove, non una di più non una di meno. Quattrocentodieci lo
avrei preferito, mi piacciono i numeri pari, ma proprio quell'unica parola che
avrebbe arrotondato non c'è stato verso di farcela entrare. Mi sballava tutto.
E non parlo di avverbi o aggettivi, ma anche una semplice "e" di
congiunzione o un "se" dubitativo: parliamo di minuzie, cose
piccolissime, destinate a passare inosservate ma che per me avrebbero fatto la
differenza psicologica di quel numero tondo.
Ma nonostante i miei molteplici, estenuanti tentativi, quel
risultato non l'ho raggiunto, e sono rimasta inchiodata al numero quattrocentonove.
Ma poi...ma poi, mi sono soffermata a valutare più
attentamente il tutto: cause e concause, motivazioni ed alibi, impedimenti e
spalleggiamenti, al fine di capire questa mia inspiegabile, sopravvenuta
impotenza all'inserimento forzoso di quell'unica particella grammaticale,
operazione che in altri tempi avrei spensieratamente, e senza nessun inciampo,
condotto in porto, ma che al presente, invece, non mi è stato possibile attuare
perché finalmente anche io sono entrata nella fase 2 (il paragone con la fase 2
Covid era scontato ma irresistibile) quella dell'alleggerimento
delle restrizioni, seppure a tutta prima questo, applicato al mio caso, può
sembrare un paradosso dal momento che l'opportunità di un numero minore di
parole s'attiene più ad un restringimento che ad un allargamento, ma...
ma, non è così: quello che appare non sempre è!
Sto imparando la sintesi, e tramite questa la riscoperta
delle parole. Meglio ancora una nuova loro lettura.
L'esigenza di raccontare con un numero definito di vocaboli
(nello specifico se ne richiedevano dai 500 ai 1000) senza però penalizzare lo
scritto: atmosfera, pathos, descrizioni e dialoghi. Tutto in uno spazio
ristretto ma non claustrofobico, essenziale ma non sciatto, minimal ma non
spoglio. Un gioco di ossimori stuzzicante.
Un esercizio in piena regola di autodisciplina impostata
alla scrittura!
Un impegno affascinante e una bella sfida, tirando in ballo
capacità ed esperienza, intuizione ed istinto (anche quello serve e spesso è
determinante) ricerca,(un solo aggettivo, ad esempio, ma il più significativo,
il più rappresentativo, piuttosto che un corollario immaginifico, stravagante,
colto o sorprendente).
Autodisciplina: una strana scoperta per me che sono
anarchica nella scrittura (improvviso, vado a braccio, non tengo conto delle
regole basilari della grammatica e spesso stravolgo, o personalizzo, i
termini).
Ma qui sono stata ai patti, mi sono attenuta al dettame: mi
sono messa in riga. E il risultato per me è stato straordinario!
Figurativamente mi vedo nell'atto di voler inserire
forzatamente quell'unico vocabolo che invece rincula, punta i piedi e mi
respinge. Mi manda a gambe all'aria mentre scappa via.
Alla distanza mi punta il dito contro e mi redarguisce: «Gli
assembramenti sono vietati, e li dentro sono già in troppi .Io non entro!»
Prima di darsi alla fuga, però, si volta per aggiungere sarcastico: «E smettila con questa storia dei numeri pari, Hemingway
ha scritto "Quarantanove Racconti". Non cinquanta e neppure
quarantotto. Cerca di crescere!»
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