Kalifa amava raccontare di essere approdata all'Isola nuotando tra le pieghe turchine del mantello del Diomare, sospinta dai generosi soffi del vento di grecale, affinché non corresse rischio di naufragio.
In realtà fu uno scalo silenzioso e notturno, privo di testimoni, quando lei, in prossimità delle coste, sgattaiolò dal sottopancia della nave sbilenca che l'aveva clandestinamente ospitata, per raggiungere a nuoto la riva.
Passò la notte sotto il porticato buio di una costruzione in rovina, nuda, dopo essersi spogliata degli abiti fradici che, come vele multicolori, aveva steso ad asciugare ai raggi della luna.
Al primo chiarore si era rivestita e, dopo aver ravvivato come meglio poteva l'intrico selvaggio dei capelli, aveva atteso paziente che la spiaggia si popolasse.
E gli isolani accolsero, con buona disposizione d'animo, quella negra altissima che si era materializzata sul far dell'alba con le sue anche lussuriose ed i seni puntuti, la chioma di un biondo raggiante quanto innaturale, vestita di uno strato di gonne arcobaleno, arancio, rosa e turchese, che raccontava, in perfetto italiano, di essere la figlia dell'ultima regina d'Africa, unica sopravvissuta, grazie alle sue capacità divinatorie, al sanguinoso complotto che aveva sterminato tutta la sua famiglia. E così ora lei vagava, esule, nello sterminato mondo, in cerca di una terra ospitale e di un popolo accogliente.
Questa storia immaginifica fece colpo sugli isolani che, pur non credendola del tutto vera, furono pronti ad accogliere l'esule, entusiasti di rompere la monotonia che imperava su quel lembo di terra circoscritto dal mare, punto di passaggio dove si approdava solo per poi ripartire, e dove nulla di memorabile sembrava fosse mai accaduto, né mai dovesse accadere.
Kalifa, invece, era giunta per restare.
Kalifa era cresciuta nella Missione italiana delle Suore Apostoline di Gesù Bambino nell'entroterra del Niger, sulla cui soglia si era materializzata, sul far dell'alba, con una borraccina d'acqua legata al collo ed una coperta sulle spalle.
Una bambina gracile, dall'apparente età di otto anni, con evidenti difficoltà caratteriali e di linguaggio.
Le suore le avevano insegnato l'italiano ed avevano provato a ribattezzarla con un nome cristiano a cui lei, però, si rifiutava di rispondere.
Maria Addolorata, Maria Assunta, Maria Immacolata, Maria Crocefissa, Maria Benedetta, Maria Annunziata.
Un lungo elenco di Marie a cui lei, caparbiamente, si sottraeva poiché non ravvedeva nessun suo possibile, e neppur ipotetico, apparentamento con le Madonnine diafane delle immaginette.
Non riusciva a credere che un frutto bianco potesse generarne uno nero.
E di bianco, in quell'angolo di mondo, oltre le nuvole ed un pericolosa orchidea dai candidi petali di carne viva, c'erano solo le suore.
E il Dottore.
Un omone rubicondo ed entusiasta che albergava fuori dalla missione, nel minuscolo ospedale dove le suore e le ragazze più grandi, a turno, andavano ad aiutarlo.
Il Dottore era stato un chirurgo di grande talento che aveva dilapidato credibilità e patrimonio tra i tavoli da gioco e le case d'appuntamento.
In fuga dai creditori, e dai boss, si era rifugiato in quell'angolo d'Africa ad espiare le sue dissolutezze.
Ma, quando la malinconia aveva la meglio sul suo spirito esuberante, gli si inumidivano gli occhi ed iniziava a raccontare dell'Isola su cui era nato, della sabbia finissima e chiara che si disfaceva tra le dita, delle acque terse come specchi che lambivano scogli di madreperla, e del sole bastardo che dilagava sul mare divampando come fuoco liquido che inibiva, col suo micidiale riverbero, perfino la navigazione. E di come le onde, assoggettate alle nevrosi dei venti, tramutassero in marosi apocalittici che trascinavano a riva interi banchi di pesci dai riflessi opalini, molluschi trasparenti, rametti e gemme di flora sottomarina dai colori estivi, insieme alle ossa spolpate dei naufraghi ed alle loro povere reliquie.
Poi, per respingere il singhiozzo amaro che gli saliva alla gola, raccontava le sue avventure amorose, profondendosi in particolari piccanti che scandalizzavano le suore e creavano buon umore tra gli astanti.
Kalifa, allieva silenziosa ma diligente, apprendeva da lui, oltre i segreti dell'ostetricia e le tecniche basilari del soccorso, il carisma dell'affabulazione.
«Se sai raccontarla puoi cavare un dente, o togliere un'appendicite, senza anestesia » amava ripeterle.
«La parola è l'arte del convincimento, e in questo, le suore, sono grandi esperte.» Concludeva ridendo di cuore.
Per ora, visto che è solo la prima parte, voglio dirti solo questo: Dacia Maraini sarebbe oggi orgogliosa di quella ragazza innocente.
RispondiEliminaDavvero brava.
Lorenzo
Grazie davvero, Lò.
RispondiEliminaTVB
Mari
Allora Kalifa...ma ke era la figlia del Califfo? Sì, parlo proprio di lui...Califano ke ridotto in miseria voleva il bonus x gli artisti e, visto ke ne ha combinate di tutti i colori, perkè non combinare anke una figlia nera nera con i capelli biondi? Lui, in fondo non ha il naso :))))))!!!!!!!!!!!!!!!!!
RispondiEliminaKiedo venia se skerzo sempre su scritti notevoli e veramente apprezzabili, ma a me sto nome KALIFA proprio nun me piace.
A presto....aspetto la 2^ parte!
Elisena ke ha già cambiato il nome alla tua protagonista da KALIFA anagrammandolo il LAFIKA!
Il Califfo......a Roma è un mito, però non ce lo vedo a lavorare in un ospedale nigeriano ad espiare ad una vita di dissolutezze.
RispondiEliminaAl contrario di te, stregaccia rossa, penso che Kalifa sia un bel nome e l'ho scelto proprio per la sua assonanza con Califfa (La Califfa è anche la protagonista, sensuale e proletaria, del libro di Alberto Bevilacqua)
Kalifa è un'africana approdata su un isola italiana......se togliamo lo sfondo favolistico potrebbe essere cronaca :)
Un bacio, Eli, e grazie
Aspetto treidant eil seguito .... baci baci
RispondiEliminaIl seguito......il bello d'inventare le storie è proprio questo.
RispondiEliminaNon so ancora nulla del seguito così, per Kalifa, tutti i destini sono possibili.
Un bacio, Lucy :)
Lucyfelll....ma sei diventata gatas spagnolitas?
RispondiEliminaKalifa possiede virtù divinatorie, Lucy, invece, coltiva prodigiose capacità poliglotte!
RispondiEliminaMiaos miaos!!!!! aves compres!
RispondiEliminaBuena noche!
Questo è spagnolo borgataro!
il racconto sta già speziando ...
RispondiEliminaCiao Antoine, il racconto spezia (mi piace questo termine)......io sto intrugliando nel pentolone delle parole che sobbolle di verbi, aggettivi e quant'altro, estremamente consapevole del compito gravoso de decidere del destino di una donna, seppur solo di carta.
RispondiEliminaUn bacio
Ciao Marilena,un testo veramente bello,direi in un certo senso attuale per il tema,scritto con grande estro,la figura di questa donna è descritta in modo sublime,io la amo quasi,aspetto il seguito,molto bello il finale della prima parte.
RispondiEliminaBuona serata.
Un abbraccio.
Una poliglotta distonica, dislessica e pasticciona ggggrrrrrrrrrrrrrrrr
RispondiEliminaEh si, Massimo, lo scenario del racconto riprende, seppur in maniera favolistica e molto leggera, ciò che nella realtà sta accadendo.
RispondiEliminaOvviamente, questo mio, sarà un racconto molto leggero, perchè già di pesante ci sono gli eventi della vita che ci aggrediscono dai tg e dai giornali e dai dibattiti.
Kalifa è una donna estremamente sensibile ed intelligente, una eroina positiva, di quelle che ti modificano in meglio l'esistenza.
Un bacio, Massimo
Grazie
Marilena
I tuoi pasticci sono le deliziose orme delle zampotte di un gatto che, mentre se ne sta a meditabondo a scrivere, viene distratto dall'arrivo dal volo di una farfalla che gli sfiora le vibrisse e gli solletica le orecchie, e così il miciotto tende le zampe in aria per acchiappiare quella peste di farfalla ed ecco che dagli unghioli piovono consonanti e vocali, come coriandoli colorati che lui, però, nell'entusiasmo del gioco, scambia per altre farfalle.
RispondiEliminaSe ci poniamo attentamente in ascolto, il vuoto di ogni lettera mancante è colmato dal fruscio d'ali di una farfalla.
Un bacio, Lucy
cosa mi ero persa! spero di non farti torto dicendoti che è il tuo racconto che ho letto che mi ha colpito maggiormente, esito a credere che non sia una storia vera...magnifica Kalifa che non potrà mai essere maria addolorata. baci ady
RispondiEliminaQuesto racconto è un pò diverso dagli altri, Ady, ed hai ragione, perchè qui ho cercato di mettere in evidenza "l'umanità nella tragedia" anzichè secondo i miei clichè "la tragedia dell'umanità".
RispondiEliminaUn racconto corale e positivo.
Un bacio, e grazie
Marilena