Torna pure indietro, Jerome, aveva acconsentito il suo Signore, ma ricordati che hai solo 24 ore di tempo per sistemare questa storia: non un secondo di più.
Così, Jerome, si ritrovò a percorrere, a spron battuto, la strada che lo riconduceva agli stessi luoghi da cui si era dipartito in un tardo pomeriggio di quel novembre piovoso, accompagnato, nell'ultimo breve tratto di strada dal suo amico Martin che, dopo i saluti di rito, corredati di ricordi e di silenziose promesse, aveva voltato la sua cavalcatura ed intrapreso la via del ritorno senza mai più voltarsi indietro.
Martin rispettava alla lettera i patti: nessun piagnisteo e nessuna retorica nell'ipotesi, tante volte valutata, della possibile, improvvisa, partenza di uno dei due.
Eventualità di cui entrambi avevano sempre realisticamente tenuto conto dal momento che la loro permanenza non aveva mai certezza di stabilità, a causa di quel loro stile di vita al limite della legalità e della morale.
Solo che stavolta, Jerome, sarebbe partito da solo.
Fra i due era lui il più scapestrato, quello che raccoglieva più rancori, ma anche più consensi, soprattutto fra le donne.
Giovane ed attraente, veloce di spada e di lingua, sfacciato ed esibizionista, godeva della benevolenza e dei favori di tutta la società femminile, dalle adolescenti alle nonne, pronte a spender per lui una lode o una giustificazione, facendo ricorso, e questo si che era bello, anche a motivazioni fantastiche e, spesso, surreali.
Jerome era il guascone, l'eroe maledetto, lo spadaccino romantico, l' amante delle donne e dell'avventura.
Non aveva, oltre Martin, suo amico d'indole e d'infanzia, altri amici, seppur riscuotesse l'ammirazione e l'invidia dei giovani cadetti e degli studenti che da quel loro coetaneo così spericolato ed esperto, molto di più di sicuro avrebbero appreso che non da professori bacucchi, e da capitani imbalsamati.
Ma nessuno di loro si era arrischiato ad una sua più intima frequentazione, consapevoli forse che le stelle come Jerome è più salutare ammirarle a debita distanza che, altrimenti, si corre il rischio di rimanerne accecati.
Coscienti che le gesta del guascone, destinate nel tempo a diventar leggenda, se fossero state allo stesso modo intraprese da uno qualsiasi di loro, non avrebbero avuto ugual risalto nè medesimo splendore.
Chi ha la voce più bella, più sovrastante o, anche solo più canzonatoria, è destinato al ruolo di solista, mentre tutti gli altri devono contentarsi di quello di numero all'interno del coro.
E questo, spesso, genera invidia, perchè tutti in nuce si sentono solisti, convinti che di sicuro lo sarebbero, in maniera inedita, e forse anche più spettacolare, se non ci fosse il costante paragone con i Jerome ed i Martin.
Un marchingegno questo che, nelle intelligenze più immature, come in quelle più egocentriche, quando non induce all'emulazione, porta sovente al disprezzo.
E così c'era solo Martin a salutarlo e poi, quando l'amico se ne era andato, sapeva che non ci sarebbe stato più nessuno
Ma la smentita era arrivata appena varcato il confine.
Si reclamava, con urgenza, la sua presenza nello stesso luogo da dove, appena qualche giorno prima, se ne era dipartito.
Il suo Signore non si prolungò in ulteriori spiegazioni, nè tanto meno scese in particolari.
Hai 24 ore di tempo, Jerome, per mettere a posto le cose: non un secondo di più, aveva sottolineato mentre lo congedava senza consentirgli domande, nè formulare ipotesi.
Ed ecco il nostro guascone rimettersi in viaggio almanaccando su cosa o, meglio, chi, avesse avuto il potere così grande di riportarlo di nuovo indietro.
Martin lo aveva accompagnato al confine, lo aveva salutato nel modo stabilito, e poi se ne era andato, quindi,se si fosse trattato di lui, ci sarebbe stato tutto il tempo, durante il tragitto, per una ultima confessione.
Non era il suo amico, dunque, che reclamava in maniera così imperativa, la sua presenza.
Non gli sovveniva nessun'altro, nemmeno tra le signore virtuose, e quelle meno, che lo avevano gratificato del proprio talamo.
Per quanto minuziosa la sua rassegna non ricordò nessuna che avesse manifestato l'esigenza di un sentimento più profondo, di un sintomo più intimo che prevalicasse quello del gioco o dell'avventura.
Con lui le donne imparavano le acrobazie fisiche dell'amore e poi, loro, si scambiavano particolari e suggerimenti unite dalla necessità di far cordata per non far trapelare chiacchiere e, soprattutto, fornirsi alibi, in tempo reale, ed in caso di bisogno.
Una sorellanza da cui erano state bandite, per una volta tanto con tacito accordo, e grande soddisfazione, le invidie e le rappresaglie che, troppo spesso, dilaniano la società delle donne.
Erano queste le riflessioni che accompagnarono Jerome durante tutto il tragitto fin quando, superato il confine, si ritrovò a rivivere il momento che lo aveva portato a quel drammatico, ultimo viaggio quando la lama spuntata del pugnale di un adolescente era calata a tradimento sulla sua gola, per incagliarsi nella giugulare, senza riuscire ad infliggere il colpo di grazia
Fu Martin, il suo amico, quando lo rinvenne nel coma del dissanguamento, a porre misericordiosamente termine alla sua sofferenza, affondando la lama per dargli la pace della morte.
Chi dunque lo reclamava con tanta disperazione da costringerlo di nuovo a rivivere il ricordo di quel martirio?
Vide Martin camminare solitario, al centro della piazza, col mantello spavaldamente gettato sulle spalle e, alla cintola, il corto spadino dalla lama spuntata, lo stesso con cui aveva pietosamente posto fine alla sua agonia.
Martin sembrava occupare, con la sua sola presenza, l'intera piazza.
Era lui, ora, l'unico protagonista della scena, l'eroe romantico che piangeva l'amico mentre gli affondava il pugnale nella gola per abbreviarne l'agonia.
E, questo gesto, aveva accresciuto così tanto la sua fama da oscurare quella che un tempo era stata la sua.
E vide poi il palco della ghigliottina, il movimento convulso della folla, e sentì le urla disperate di una voce terrorizzata, ancora infantile, grida che s'alzavano isteriche per poi smorzarsi, incoerenti, in singhiozzi patetici.
Due energumeni trascinavano il suo giovane assassino verso il patibolo.
Lui scalciava, si dimenava, a tratti sembrava dover perdere i sensi.
Ed ecco che per farlo inginocchiare gli avevano dovuto spezzare le gambe perchè il terrore gli aveva paralizzato i muscoli mentre il boia, senza troppi complimenti, gli andava incuneando il collo, gonfio di paura, sul cuscino della decapitazione.
Si era anche pisciato addosso, proprio come fanno i bambini.
Ed ancora, come fanno i bambini quando la paura prende il sopravvento ed invocano il nome di un adulto che venga in extremis a soccorrerli, lui singhiozzava quello di Martin.
Fu allora che Jerome capì.