L'angelo era tornato a spiare il giovane pastore intento al pascolo del suo piccolo gregge, sulle colline dell'Arcadia. Gli piaceva guardarlo anche se non riusciva a spiegarsi il perché di quell'attrazione. Forse per la sua bellezza, seppur terrena ed imperfetta, e con il tempo destinata a sciuparsi. Dura pochi anni lo splendore negli uomini, e per chi è povero ancor meno Così dell'oro di quei capelli, del rosa dell'incarnato e dell'azzurro degli occhi, non ne sarebbe rimasta alcuna traccia, sepolti sotto una polvere di grigio, il colore della vita degli indigenti. L'attrazione per quella fragile bellezza, però, non era sufficiente a spiegare il motivo del suo interesse, perché dove l'angelo dimorava tutto era improntato all'incanto e alla magnificenza. All'armonia e alla perfezione. E lui stesso ne era l'emblema.
Il pastore, quasi ne avesse avvertito l'impalpabile
presenza, guardò verso l'alto, ma abbacinato dal sole, distolse lo sguardo.
L'angelo allora odiò il sole che invadeva il cielo con la
sua luce di fuoco e tornò di notte, quando il chiarore della luna avrebbe
permesso ai loro sguardi d'incontrarsi. E soffiò via le stelle per nettare il
firmamento da qualsiasi altra luce che non fosse la sua. Il pastore dormiva
nel suo riparo di fortuna, steso su un pagliericcio, il bel volto reclinato su
una spalla, la bocca leggermente dischiusa e i biondi capelli ad ombreggiargli
gli occhi. La corta tunica, scomposta nel sonno, scopriva un corpo levigato
d'adolescente, ma già ruvidi gli arti e le mani callose.
Il tempo aveva iniziato la sua opera di distruzione.
Una lacrima sgorgò dagli occhi dell'angelo chino su di lui,
e si posò, lieve come un bacio, sulle labbra del giovane che, nei riflessi del
sonno, la nettò con la lingua. Quel tocco, leggero ed umido, l'angelo lo
avvertì sulle propria bocca, e gli pervase i sensi con un ardore sconosciuto
ed avvolgente, impudico e carnale. Sconvolto da quella tentazione che sapeva di
peccato, si ritrasse e volò via.
Tornò la sera dopo, perché guardarlo alla distanza ormai
non gli bastava più, e si stese accanto per vederlo dormire e respirare il suo
respiro. Ma quella vicinanza, anziché acquietarlo, lo pervase come una febbre
senza cura, e il delirio muto in cui si dibatteva lo rese temerario. Con mano
tremante sfiorò i capelli del giovane con una casta carezza, poi con dita lievi
indugiò sulle sue labbra e, sempre più ardito, scivolò sul petto glabro,
sui fianchi stretti e i glutei lisci. Dal contatto della sua pelle si lasciò inebriare
senza più opporre resistenza.
Il pastore aprì un attimo gli occhi (che all'angelo
parvero più azzurri di tutti i cieli esplorati) confuso, pervaso dalla sensazione di
un languido sogno, e a quello s'offrì docile. A quello e alle sue mani.
E lui lo colse, penetrandolo piano, con infinita dolcezza, per
non travolgere nell'onda dei sensi la poesia sublime di quell'amore innocente, ma più di tutti peccaminoso.
Lo vegliò tutta la notte su quel letto di paglia, con
disperazione e amore infinito, consapevole che per il giovane al suo risveglio sarebbe
stato il ricordo di un sogno bagnato, e per lui, invece, il paradiso perduto.
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