Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.

mercoledì 20 gennaio 2021

Il paradiso perduto


  L'angelo era tornato a spiare il giovane pastore intento al pascolo del suo piccolo gregge, sulle colline dell'Arcadia. Gli piaceva guardarlo anche se non riusciva a spiegarsi il perché di quell'attrazione. Forse per la sua bellezza, seppur terrena ed imperfetta, e con il tempo destinata a sciuparsi. Dura pochi anni lo splendore negli uomini, e per chi è povero ancor meno Così dell'oro di quei capelli, del rosa dell'incarnato e dell'azzurro degli occhi, non ne sarebbe rimasta alcuna traccia, sepolti sotto una polvere di grigio, il colore della vita degli indigenti. L'attrazione per quella fragile bellezza, però, non era sufficiente a spiegare il motivo del suo interesse, perché dove l'angelo dimorava tutto era improntato all'incanto e alla magnificenza. All'armonia e alla perfezione. E lui stesso ne era l'emblema. 
Il giovane pastore, tutt'altro che perfetto, aveva un modo contadinesco di muoversi e di gesticolare, e una voce acuta, che diventava aspra, nel richiamare le greggi. Eppure l'angelo trascorreva  le sue ore ad ammirarlo, affascinato da quei contrasti che lo seducevano. Lo divertivano e lo ammaliavano. Provava sensazioni sconosciute, dolci ed irruente insieme, senza però riuscire a definire quel calore che dal ventre propagava al cuore. E lo stordiva. Lo confondeva. Precipitandolo in un abisso inesplorato di gioia e di disperazione.

Il pastore, quasi ne avesse avvertito l'impalpabile presenza, guardò verso l'alto, ma abbacinato dal sole, distolse lo sguardo.
L'angelo allora odiò il sole che invadeva il cielo con la sua luce di fuoco e tornò di notte, quando il chiarore della luna avrebbe permesso ai loro sguardi d'incontrarsi. E soffiò via le stelle per nettare il firmamento da qualsiasi altra luce che non fosse la sua. Il pastore dormiva nel suo riparo di fortuna, steso su un pagliericcio, il bel volto reclinato su una spalla, la bocca leggermente dischiusa e i biondi capelli ad ombreggiargli gli occhi. La corta tunica, scomposta nel sonno, scopriva un corpo levigato d'adolescente, ma già ruvidi gli arti e le mani callose.
Il tempo aveva iniziato la sua opera di distruzione.

Una lacrima sgorgò dagli occhi dell'angelo chino su di lui, e si posò, lieve come un bacio, sulle labbra del giovane che, nei riflessi del sonno, la nettò con la lingua. Quel tocco, leggero ed umido, l'angelo lo avvertì sulle propria bocca, e gli pervase i sensi con un ardore sconosciuto ed avvolgente, impudico e carnale. Sconvolto da quella tentazione che sapeva di peccato, si ritrasse e volò via.
Tornò la sera dopo, perché guardarlo alla distanza ormai non gli bastava più, e si stese accanto per vederlo dormire e respirare il suo respiro. Ma quella vicinanza, anziché acquietarlo, lo pervase come una febbre senza cura, e il delirio muto in cui si dibatteva lo rese temerario. Con mano tremante sfiorò i capelli del giovane con una casta carezza, poi con dita lievi indugiò sulle sue labbra e, sempre più ardito, scivolò sul petto glabro, sui fianchi stretti e i glutei lisci. Dal contatto della sua pelle si lasciò inebriare senza più opporre resistenza.
Il pastore aprì un attimo gli occhi (che all'angelo parvero più azzurri di tutti i cieli esplorati) confuso, pervaso dalla sensazione di un languido sogno, e a quello s'offrì docile. A quello e alle sue mani.
E lui lo colse, penetrandolo piano, con infinita dolcezza, per non travolgere nell'onda dei sensi la poesia sublime di quell'amore innocente, ma più di tutti peccaminoso.
Lo vegliò tutta la notte su quel letto di paglia, con disperazione e amore infinito, consapevole che per il giovane al suo risveglio sarebbe stato il ricordo di un sogno bagnato, e per lui, invece, il paradiso perduto.

 

 

 





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