Apro gli occhi e mi ritrovo sempre nello stesso de javù. Anche stamani nulla di nuovo sotto il sole, nel paesaggio immutato, ed immutabile, della mia casa e del mondo esterno. Perfino le parole che mi salgono alle labbra sono sempre le stesse anche se pronunciate con sfumature diverse, e non sempre a causa dell'umore, piuttosto della memoria e delle percezioni del momento.
"La vita a modo mio" io non sono stata capace di realizzarla, che se ne avessi avuto il coraggio forse mi sarei
salvata dalla monotonia del deja vù e dall'oppressione della rimozione d'interi
periodi della mia esistenza, non necessariamente i più tristi o dolorosi, ma
quelli dove la mia presenza era un ingombro anche per me stessa. "Non
essere mai stata sul posto" è la gomma con la quale ho cancellato intere
pagine del mio vissuto, senza nemmeno prendermi la briga di riscriverle in una
versione migliore. Ma la rimozione non ha portato nessun beneficio, nessuna
salvezza, perché quei vuoti, a distanza di anni, sono a me visibili, ed ancora
più dolorosi, a causa della mia impotenza a ricordare correttamente, e alla mia
onestà a non volermi servire di ricostruzioni fantasiose e a me più congeniali.
Così quei deja vù che pure dovrebbero rassicurarmi, operano, invece, in senso
contrario, rammentandomi che le scarne proiezioni sono i residui di scene più complesse a cui io, scientemente,
ho apportato tagli e censure.
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