Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.

lunedì 6 gennaio 2020

Rebecca (cap.12)


UN PROVVIDENZIALE INCIDENTE
«Convengo con voi, Mimì, sull'armonia del legno di abete, che le arpe e i violini degli angeli sono di sicuro fatti con quello, ma i liuti degli arcangeli, quelli sono di mogano, quello stesso che ho commissionato per Giandomenico per gli arredi di Papa Leone XIII. Il mogano più pregiato, proveniente dal centro America, ad impreziosire con l'arte di vostro figlio per la stanza privata di Sua Santità che direttamente spalanca sul Paradiso. »

Concetto Scalavino,  adagiato nel suo letto, nella stanza inondata di luce e permeata dalla fragranza della lavanda, amabilmente conversava con Mimì Messinese, che seduto su una poltroncina sorseggiava da un bicchiere di vetro acqua e zammù, che Brigida Catalano s'era premurata di offrirgli a conforto del caldo, prematuro ed eccessivo, di quell'inizio di primavera che sapeva già di estate.
Mimì Messinese, seduto al capezzale del letto del mercante, non riusciva però ad ignorare la sensazione di disagio che gli procurava quell'intimità inedita, che sapeva molto di famigliarità, soprattutto dopo le confidenze che l'altro gli andava svelando sulla malattia della moglie.

  «Di questa sciagura, Mimì, ne siete voi solo al corrente, e naturalmente la signora Catalano, ai cui servigi, a causa di questo, ho dovuto far ricorso in previsione di quella mia programmata, e mai più avvenuta, partenza per l'America. Non potevo gravare Gemma e Rebecca del carico della madre che nella sua follia è davvero imprevedibile. E questo ne è la prova. » Aveva detto indicando la gamba ingessata. Poi sospirando aveva aggiunto: «Avessi avuto un figlio maschio avrei incaricato lui di compiere quel viaggio in mia vece, ma Rosa, mia moglie, ha saputo germogliare solo boccioli femmine...»
 Amaramente aveva riso alla sua stessa battuta, cosicché l'altro s'era sentito in dovere di solidarizzare: «Avete ragione, un figlio maschio avrebbe di certo alleviato il vostro fardello.» Ma di più non s'era sentito di dire per timore che il discorso da generico diventasse personale e si tornasse a parlare dell'ipotesi di matrimonio tra Giandomenico e Rebecca, non sentendosi di assumere impegni di nessun tipo e né tanto meno di elargire promesse, che la paura di un altro passo falso, come quello dell'invito a pranzo che solo quel provvidenziale incidente aveva al momento evitato, lo costringeva ad un vigile autocontrollo sulle parole e sulle emozioni.
Quella caduta dalle scale che per Concetto Scalavino era stata una iattura, per lui, invece, s'era rivelata una salvezza, perché quando l'incidente era avvenuto di quell'invito non ne aveva ancora  fatto menzione con Giandomenico, che ne era quindi all'oscuro, seppure l'eventualità che lo venisse a sapere dallo stesso Scalavino, al quale suo figlio presto avrebbe fatto visita anche, e soprattutto, per ringraziarlo della fornitura del pregiato legno di mogano, oscillava sulla sua testa come la spada di Damocle, tanto che, alla fine, risolse che il male minore sarebbe stato parlargliene quella sera stessa.
A questa prospettiva, però, dentro di lui montava l'ansia, che già avrebbe voluto tutto fosse concluso. Definito. Timoroso che la sua apprensione diventasse visibile perché consapevole di non essere capace di schermare le proprie emozioni, Mimì Messinese cercava il modo opportuno per accomiatarsi, quando a trarlo d'impaccio fu la governante che entrò ad annunciare una visita.
«Tornerò presto a trovarvi.» Aveva promesso salutandolo e, avviandosi all'uscita, aveva incrociato il nuovo visitatore, un uomo alto, scuro, in tenuta da caccia. S'erano salutati, senza essersi presentati, con un breve cenno del capo. La governante lo aveva poi accompagnato fino alla porta d'ingresso, salutandolo con un sorriso gentile. Da lei emanava una fragranza sottile di lavanda, lo stesso aroma che permeava la stanza dello Scalavino. E forse la casa intera
... perché donne, come i gatti, marcano il loro territorio. Rifletté divertito. Tutte le donne lo fanno, anche Pietra, sua moglie, il cui profumo di zagara aleggiava nella casa e nel suo cuore. Inebriante. Suadente. Predominante.

Al pensiero della moglie si sentì pervadere da un senso di gratitudine e d'infinita tenerezza.
L'immagine di lei lo distolse, per un momento, dai pensieri amari che lo avevano accompagnato nel corso della giornata, e al difficile confronto che lo attendeva, al suo rientro, con Giandomenico.
Era stata lei, tanti anni prima, a sceglierlo fra quelli che aspiravano alla sua mano. Era stata ancora lei a prendere l'iniziativa, che lui, schivo e timido, non avrebbe mai trovato il coraggio di dichiararsi.
S'era innamorata di lui per la sua dolcezza, perché arrossiva quando i loro sguardi s'incontravano, ancora nel presente come era stato nel passato, per quelle emozioni che lei continuava a suscitargli dentro, nonostante il passare degli anni, le tante gravidanze, i capelli ingrigiti e gli occhiali da vista.
Avevano tirato su una nidiata di figli dividendosi i compiti, ma Mimì sempre aveva riconosciuto alla moglie di aver svolto il ruolo più difficile: a me è toccato il compito di mantenere la famiglia, a Pietra, invece, quello di costruirla. Tanti anni assieme e nessuna nube, nessuna incomprensione così insormontabile da minare il loro rapporto. Nessuna. Neppure le dicerie, alla nascita di Giandomenico, sul supposto adulterio di Pietra, che avevano, invece,  contribuito a consolidare, render granitico, il loro matrimonio.
Anche ora, nel conflitto famigliare con Giandomenico, s'era schierata dalla sua parte, e non perché  non ritenesse validi i motivi di dissenso del figlio, ma perché riconosceva a Mimì l'attenuante di avere agito per eccesso d'amore
...e d'altronde, da come la vedeva lei, non c'era nulla d'irreparabile in quella situazione. Nulla che non potesse risolversi con un onesto chiarimento tra le parti. Nulla che valesse la pena di tutta quella sofferenza.


LA MORTE DI UN UOMO MITE
«No, non avete sbagliato ad invitare a pranzo Concetto Scalavino e la sua famiglia, una formalità a cui non ci possiamo sottrarre, ma avreste dovuto comunque consultarvi prima con me visto che anche io sono parte in causa, e in qualche modo da questa storia dobbiamo trarci onorevolmente d'impaccio senza umiliare la ragazza né il padre. »
Giandomenico aveva parlato in tono freddo, senza balbettare, guardando suo padre negli occhi, che si limitava ad ascoltare quelle recriminazioni a testa bassa, senza replicare e neppure discolparsi.
Un breve silenzio aveva fatto seguito al discorso asciutto del giovane che poi aveva aggiunto: «Andrò a trovare il nostro fornitore e gli esporrò i motivi per cui non mi è possibile sposare sua figlia così come nessun'altra. Non potrà obiettare nulla davanti alla mia decisione di prendere i voti. Lo scopo è rendere libera la ragazza, che a quanto pare in questa storia non ha alcuna voce in capitolo, e mettere fine a questa vergognosa farsa.»
«Sono addolorato di averti coinvolto in questa situazione che è sfuggita ai miei stessi intenti, ma il mio proposito, ti confesso, era quello di offrirti una prospettiva diversa da quella del monastero.»
«Comprandomi una moglie?» Il giovane aveva replicato in tono sarcastico, arrossendo violentemente e stringendo le mani a pugno. «Come avete potuto anche solo per un momento immaginare che io avrei accettato? E dei sentimenti di Rebecca? Neppure quelli avete tenuto in considerazione. »
«Non era quello il mio intento Giandomenico.» Aveva replicato Mimì con voce intrisa di pianto e schermandosi il volto con le mani, scatenando così la reazione esasperata del giovane: « Guardatemi! Non vi nascondete, papà, e prendete finalmente atto di quello che sono, o meglio, di quello che non sono, e fatevene una ragione. »
«E cosa non sei, figlio mio?» Mimì, aveva chiesto accorato.
«Adattabile al vostro mondo.» Aveva replicato con durezza Giandomenico prima di uscire sbattendo la porta.
Infinitamente stanco, stremato dall'ansia che per tutto il giorno lo aveva perseguitato, affranto dai sensi di colpa e dalla consapevolezza della sua inettitudine, senza più forze e né volontà, Mimì Messinese s'era accasciato su una sedia, e senza opporre resistenza aveva rimesso la sua anima a Dio: era morto senza serbar rancore, con la stessa mitezza con la quale era vissuto.

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