(Pubblicato nell'antologia "Il tango di Cloe" da "Writer Monkey" Maggio 2018)
LA DEA DEL CIELO. E QUELLA DELL'ACQUA.
Venere era il nome segreto con cui amava chiamarla sua madre, ma per il resto del mondo, quell'adolescente diafana ed introversa, si chiamava Maria Assunta, col nome doppio ereditato dalle nonne.
Lo stesso nome della madre di Dio, la dea cattolica ammantata d'azzurro e circonfusa di luce, che dimora in cielo tra le nuvole e gli angeli, vicinissima al sole.
Forse troppo vicina.
Una immagine insopportabile, che subito la sua pelle s'arrossava, e le labbra e le gote avvampavano in un fuoco immaginario, eppur così doloroso, che solo il contatto con l'acqua riusciva a lenire.
Sana come un pesce, avevano dichiarato i dottori.
Ma che ne sanno i dottori dell'universo dei pesci?
Venere s'era interrogata più volte a tal proposito, risultandole evidenti, e stridenti, le differenze tra il mondo terrestre e quello marino.
Così rumoroso e frastagliato il primo quanto silenzioso e compatto l'altro.
E lei, da sempre, s'era sentita appartenere all'universo buio e liquido dei pesci.
Il perchè non l'avrebbe mai saputo spiegare: era così e non poteva farci nulla.
Sapeva che il sole mai avrebbe potuto penetrare oltre la superficie del mare, che anche l'onda più pigra l'avrebbe facilmente avuta vinta contro i suoi raggi più puntuti e più ardenti, stemperandoli in mero bagliore.
Volentieri avrebbe così dimorato nei fondali più profondi per emergere solo al calar del sole ad illuminare la notte con la cruda luminosità di una medusa.
UN PAESAGGIO IMMAGINARIO
Il paesaggio immaginario di Venere, quindi, non combaciava con quello reale di Maria Assunta.
Il rifugio della vasca, la sua culla preferita fin dall'infanzia, s'era nel tempo circoscritto alle pareti di vetro di un acquario, dove lei vi dimorava solitaria, come una dea irragiungibile.
Ma l'acquario mai sarebbe tramutato in quel fondale marino che lei immaginava tappezzato da sontuosi tappeti di alghe dai colori autunnali, percorso dalle grandi praterie, baluginanti di verde e di marrone, di posidonia e zostera, incessantemente attraversate dalle inquiete colonie nomadi di plancton.
E lei, Venere, finalmente nel suo elemento naturale, avrebbe assunto le sembianze della medusa nutricula, l'unico essere immortale tra le creature del mare, del cielo e della terra.
L'acqua l'avrebbe resa dea, quanto il cielo, invece, l'aveva ridotta schiava.
Quel cielo implacabile che le incombeva addosso con le sue mille lame di luce, condannandola reclusa in una eterna penombra, acquattata sul fondo della vasca, sotto il pelo dell'acqua, come un animale che tenta di sfuggire al predatore, cancellando il proprio odore e le proprio tracce.
DESTINI
Ma da quel fondale casalingo sua madre sempre l'avrebbe fatta riemergere, così come era stato fin dal suo primo giorno di vita, strappandola alla rassicurante frescura amniotica dell'acqua per restituirla alla luce.
Perchè questo era nel destino di sua madre.
Il destino di Venere, invece, sarebbe stato quello di rivivere in eterno l'attimo della sua nascita.
Lo stesso destino della medusa nutricula.
Icaro si sciolse le ali per un sole che quasi come una balena bianca e un Achab, la Mobydick al t'agguanto da mai e dopo un tuffo profondo nell'Egeo
RispondiEliminaIcaro ed Achab, e i loro possibili destini paralleli.
EliminaNe verrebbe fuori, a saperla raccontare, una storia straordinaria.
Grande, Andres!
Grande Amaranta; quanto mi piaciono gli sviluppi che sai dare a qualsiasi storia.
RispondiEliminaCristiana
Sai, Cristiana, questa storia praticamente s'è scritta da sè.
EliminaAlcune storie sono facili da raccontare, quasi aspettano di essere scritte.
Un bacio, Cri
Grazie :)
Errore imperdonabile, scusa
EliminaUn bacio Amaranta
Non vedo errori, Cri, che tu abbia commesso.
EliminaForse l'errore è nel tono della mia spiegazione, non tenendo conto che chi legge di certo non è dentro i miei processi mentali, e quindi la mia risposta può aver assunto toni di supponenza che io assolutamente non avevo intenzione di avere.
Anzi, al contrario, era un'ammissione umile che tutto mi è stato facilitato, in questo racconto, grazie ad una serie d'incastri alcuni da me elaborati, come il parallelo tra Venere e Maria Assunta, la dea pagana e quella cattolica, e quelli fortuiti, rielaborati nelle mie ricerche in google, come la medusa nutricula.
A differenza di tante altre cose scritte, (vedi "Rebecca" ad esempio, che dopo un inizio da sprint è andata via via perdendo velocità) questa storia, invece, s'è scritta da sè nel senso che ad ogni mia ricerca (quella su Venere, sul fondale marino, sulle meduse) i tasselli del racconto andavano facilmente incasellandosi. Ad esempio, nulla sapevo della medusa nutricula, o medusa immortale, che raggiunta l'età matura ritorna allo stadio di polipo, e quindi ricomincia il suo ciclo vitale. L'ho scoperto cercando informazioni sulle meduse, ed ecco che m'imbatto nella medusa immortale, proprio confacente alla mia storia, che Venere, fin dall'inizio, per la trasparenza della sua epidermide, la paragono ad una medusa. Medusa immortale proprio come immortale deve essere una dea: a volte, per la riuscita di un racconto, molto contribuiscono incontri così fortunati!
Per questo, tranne cambiare un paio di volte il finale, giacchè vevo preso in considerazione l'ipotesi di una narrazione a circolo, dove con un rewind si torna all'inizio della storia, e troviamo la puepera, ormai in coma, che stringe al seno la sua bimba affogata, e che nelle nebbie del coma continua a sognarla viva.
Altra ipotesi era quella che Venere, cercando la liberazione a questa sua "non vita", decide di suicidarsi, esponendosi ai raggi assassini del primo inclemente sole estivo.
Avevo preso in considerazione anche l'ipotesi di una sua fuga verso il mare, e poi giù negli abissi, dove avrebbe trovato la pace.
Ma l'ho scartata quasi subito trovandola troppo scontata.
La medusa nutricula ha, infine, dipanato il bandolo della matassa e deciso, per me, il finale più giusto.
Un abbraccio, Cristiana :)
Tornare al fluido originario, come Cola Pesce, ma senza destini infausti e sacrifici definitivi, solo per perdere la gravità e lasciarsi cullare! :-(
RispondiEliminaScritto così, Giò, quello stesso finale che io ho scartato, ritenendolo scontato, sarebbe stato perfetto!
RispondiEliminaDavvero: perfetto!