(Amaranta)
Saggio non svelarsi mai completamente neppure a sé stessi: spontaneamente lasciare irrisolto un interrogativo; consapevolmente non sciogliere l'ingarbugliamento di un nodo; scientemente illuminare una zona d'ombra.
Questa salvifica misconoscenza impedirebbe, all'introspettivo penitente di apprestarsi al confessionale con l'intento specifico di dichiarare i peccati del passato e del presente, e con anticipo quelli non ancora commessi, che pur avendo il presentimento di poterli nel futuro perpetrare, non sono stati ancora compiuti.
Per quel che mi riguarda, una confessione preventiva dei reati commessi, e di quelli in pectore, e la smania di espiarli per un senso di giustizia e non per l'assoluzione.
La confessione non impedisce la reiterazione: un circolo vizioso.
Con l'aggravante della consapevolezza a trasformare, il tutto, in un girone infernale.
E non c'è nessuno, più entusiasta del peccatore pentito, che si appresta a confessarli e poi ad espiarli.
Il saio e il cilicio e, sullo sfondo, un rogo ammonitore.
Nella duplice veste di giudice e d'imputato, i verdetti paiono mai abbastanza duri perché permane il dubbio della concessione, ad personam, di una qualche attenuante.
Se la pena inflitta è l'ergastolo l'unico modo per evadere, sia pur solo mentalmente, è la spettacolarizzazione di se stessi.
Più circoscritto è il perimetro calpestabile più ci si eleva in altezza, con fasto hollywoodiano e abbondanza di effetti speciali.
E l'auspicio di un pubblico vero che faccia la fila al botteghino a decretare il tutto esaurito.
Ed eccoti al centro del palco, rutilante di luce, sicura del copione e della parte che stai rappresentando in quella sceneggiatura che hai scritto in virtù della completa, ed intima, conoscenza di te stessa.
Non ci sono puntini sospensivi, è tutto definito: en plein air.
Nessun luogo è così luminoso come quella tua cella, simile al microscopico pertugio di un topo, dal cui interno occhieggia, però, con l'occhio unico di un ciclope a circoscrivere il mondo.
Non c'è bisogno di una garitta per dominare i territori conquistati, lo si può fare anche da un pozzo sotterraneo, basta che ci sia lo spazio necessario per manovrare i fili.
Lo scrittore, all'inizio della storia, è incuriosito e affascinato dalla diretta conoscenza dei suoi personaggi, appassionato alle probabilità della trama di cui ne scandaglia ogni possibile risorsa, ma afflitto, prima ancora di giungere all'ultimo capitolo, d'aver preventivamente svelato a se stesso, tutte le incognite.
Per lo scrittore, quindi, non esistono segreti.
Nessuna sorpresa, nessun colpo di scena, nessun batticuore: tutto svelato, organizzato, predisposto all'altrui meraviglia.
Alla ricerca dello stupore smetterà, allora, le vesti dello scrittore per indossare quelle del lettore.
Un difficile cambio di ruolo, al quale dovrebbe predisporsi preventivamente resettato dalla sua essenza di addetto ai lavori, così da non rilevare, con spirito troppo critico, le correzioni, le contraddizioni, gli aggiustamenti, i prevedibili colpi di scena, quelli programmati e quelli di supporto...insomma, quei medesimi artifici a lui noti e da lui stesso attuati.
Predisporsi con l'entusiasmo, spontaneo e benevolo del lettore che, all'oscuro di questi sottili inganni, (sulla pagina vede solo le parole e non le impalcature che le sostengono) pienamente gode della storia nella sua interezza.
Un difficile sdoppiamento
Marilena
Per quel che mi riguarda, una confessione preventiva dei reati commessi, e di quelli in pectore, e la smania di espiarli per un senso di giustizia e non per l'assoluzione.
La confessione non impedisce la reiterazione: un circolo vizioso.
Con l'aggravante della consapevolezza a trasformare, il tutto, in un girone infernale.
E non c'è nessuno, più entusiasta del peccatore pentito, che si appresta a confessarli e poi ad espiarli.
Il saio e il cilicio e, sullo sfondo, un rogo ammonitore.
Nella duplice veste di giudice e d'imputato, i verdetti paiono mai abbastanza duri perché permane il dubbio della concessione, ad personam, di una qualche attenuante.
Se la pena inflitta è l'ergastolo l'unico modo per evadere, sia pur solo mentalmente, è la spettacolarizzazione di se stessi.
Più circoscritto è il perimetro calpestabile più ci si eleva in altezza, con fasto hollywoodiano e abbondanza di effetti speciali.
E l'auspicio di un pubblico vero che faccia la fila al botteghino a decretare il tutto esaurito.
Ed eccoti al centro del palco, rutilante di luce, sicura del copione e della parte che stai rappresentando in quella sceneggiatura che hai scritto in virtù della completa, ed intima, conoscenza di te stessa.
Non ci sono puntini sospensivi, è tutto definito: en plein air.
Nessun luogo è così luminoso come quella tua cella, simile al microscopico pertugio di un topo, dal cui interno occhieggia, però, con l'occhio unico di un ciclope a circoscrivere il mondo.
Non c'è bisogno di una garitta per dominare i territori conquistati, lo si può fare anche da un pozzo sotterraneo, basta che ci sia lo spazio necessario per manovrare i fili.
Lo scrittore, all'inizio della storia, è incuriosito e affascinato dalla diretta conoscenza dei suoi personaggi, appassionato alle probabilità della trama di cui ne scandaglia ogni possibile risorsa, ma afflitto, prima ancora di giungere all'ultimo capitolo, d'aver preventivamente svelato a se stesso, tutte le incognite.
Per lo scrittore, quindi, non esistono segreti.
Nessuna sorpresa, nessun colpo di scena, nessun batticuore: tutto svelato, organizzato, predisposto all'altrui meraviglia.
Alla ricerca dello stupore smetterà, allora, le vesti dello scrittore per indossare quelle del lettore.
Un difficile cambio di ruolo, al quale dovrebbe predisporsi preventivamente resettato dalla sua essenza di addetto ai lavori, così da non rilevare, con spirito troppo critico, le correzioni, le contraddizioni, gli aggiustamenti, i prevedibili colpi di scena, quelli programmati e quelli di supporto...insomma, quei medesimi artifici a lui noti e da lui stesso attuati.
Predisporsi con l'entusiasmo, spontaneo e benevolo del lettore che, all'oscuro di questi sottili inganni, (sulla pagina vede solo le parole e non le impalcature che le sostengono) pienamente gode della storia nella sua interezza.
Un difficile sdoppiamento
Marilena
Il peccato ci rende imperfetti, magicamente imperfetti, dunque, in quanto tale, rappresenta il presupposto per evoluzioni progressive, apre prospettive infinite d'umanità. Al contrario, la perfezione, l'essere in odore di santità, rappresenta una condizione immota, immodificabile giacché può solo peggiorarsi, regredire, dunque, una condizione faticosa da mantenere, e cela in sé il pericolo incombente cui rifuggire senza esitazioni.
RispondiEliminaI peccatori, Giò, sono la più interessante categoria nel genere umano: c'è sempre molto da scrivere quando si è alle prese con loro :)
EliminaDopo infiniti, spasmodici, devastanti, rimuginamenti introspettivi, ho capito che i miei comportamenti ineccepibili erano determinati, soprattutto, dalla paura di non saper governare le mie irrequietezze, desideri ed ossessioni.
Allora ho tenuto bassa la fiammella per paura che divampasse l'incendio.....e così, per buona parte della mia vita, sono stata quella che gli altri s'aspettassero fossi.
Sono stata così brava da non deludere nessuno, ma ho "suicidato" la vera me stessa.
Ho sacrificato la splendida peccatrice per una santa fasulla.
Magari, su quest'ultima cosa, ci scrivo un racconto :)))
Il tuo commento.....non c'ero arrivata a queste tue conclusioni. Assolutamente le condivido e, saranno fonte di riflessione e di scrittura.
Immensamente grata :))))
Marilena perdonami se sono stato assente. son qui il mio abbraccio
RispondiEliminaMaurizio
Perdonarti di che, Maurizio????
EliminaUltimamente sono assente anch'io da Blogosphere: non ho più troppo tempo per scrivere e neppure per commentare.
E' un piacere grande ritrovarti.
Ricambio l'abbraccio.
A presto :)