Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.

martedì 26 febbraio 2019

Quasi le sette


Alice : per quanto tempo è per sempre?
Bianconiglio: a volte solo un secondo.
(Alice in Wonderland)


Per quanto tempo è per sempre?
Mi aveva chiuso la bocca con un bacio e poi mi aveva sussurrato: per sempre è per sempre.
Ed io gli avevo creduto.
Mi ero addormentata tra le su braccia, un lungo sonno durato dieci anni, e poi, al risveglio, c'era lui con la valigia in mano che mi guardava, già sulla soglia, con aria colpevole.
Io allora gli avevo sorriso, e lui che quel sorriso non se lo aspettava, mi ha guardato sconcertato.
Gliene sfuggiva il senso e non trovava il coraggio di chiedermelo. Ma forse non avrebbe neppure voluto, molto più brava di lui con le parole, avrei costruito con quelle il tranello di un labirinto psicologico entro il quale si sarebbe smarrito, dibattuto tra i sensi di colpa e la voglia di andarsene.
Per evitare la trappola di quel j'accuse lui s'era mosso silenziosamente, badando di non far nessun rumore per non svegliare la principessa addormentata nella sua bara di cristallo, così non ci sarebbe stata nessuna domanda a cui dar spiegazione.
O peggio ancora bugie, pietose ed imperfette, che la verità può essere troppo dolorosa anche per chi si confessa.
Non tutte le storie terminano con l'ultimo capitolo, ma nel momento in cui il lettore chiude la copertina del libro sulle pagine lette e a sua discrezione decide poi se continuarne o meno la lettura. Pagina 22, pagina 58, pagina 100...ma non si arriva all'ultima se si perde interesse alla trama.

Ma indizi c'erano stati, piccole tracce come granelli di polvere su una superficie lucida.
Orme di una scarpina di cristallo che non era la mia. Non corrispondeva il numero.
Quelle impronte lillipuziane le avevo viste. Ed ignorate. Volutamente. E poi rimosse.
Ripulita la scena del crimine e disposta ad accettare i suoi alibi falsi. Autorizzandoli.
 Perfino suggerendoli, per rendere vera la finzione ed impedire a lui l'imbarazzo della bugia.
Gli suggerivo io stessa, così brava con le parole, il copione, una trama ambigua, perché non giungesse alla battuta finale.
Fermavo in questo modo gli orologi.

«Stai per andar via?» Imprimo alla mia voce un tono normale. Avrò tempo dopo per piangere.

«Si.» Risponde colpevole, abbassando gli occhi.

«E non tornerai.»
Non è una domanda questa mia, piuttosto un'affermazione con cui fargli capire che conosco la storia e non gli chiederò spiegazioni, né dettagli. Non voglio umiliarlo estorcendogli un'inutile confessione

Non risponde subito. Non è certo delle mie reazioni. La mia calma lo destabilizza. Non vuole ferirmi, si sente colpevole di essersi innamorato di un'altra e di non amare più me.

«Che ore sono?» Chiedo dal mio angolo di stanza.

«Cosa?» Mi risponde stupito di rimando.

 «Che ore sono?» Domando di nuovo, paziente.

«Quasi le sette.»
E' a disagio. Non sa dove voglia andare a parare con quella domanda, o se invece contiene un messaggio da decodificare e che a lui sfugge.

Quasi le sette: un'ora solo abbozzata. Un'ora da limbo. L'eternità, chissà perché, l'ho sempre immaginata piena e definita. Rotonda. Senza un prima e senza un dopo. "Quel quasi" stabilisce, invece, un'attesa, una trappola in cui rimanere impantanata per il resto dei miei giorni.
Quei pochi minuti allo scoccare dell'ora compiuta rappresentano il divario tra l'eternità definita e quella solo abbozzata. Non si bada all'ora in cui inizia una storia, ma quando finisce tutto acquista importanza, e allora il tempo lo si soppesa fino all'ultimo secondo. Ingiusto sarebbe che quell'eternità giurata finisse anche solo un secondo prima. Sarebbe quello l'imperdonabile tradimento.

«Che ore sono?» Chiedo di nuovo

Lui guarda l'orologio: «sono le sette.»

«Chiudi la porta, per favore. E non voltarti indietro.»

domenica 24 febbraio 2019

Quella


Nulla si sapeva di lei tranne che abitava da sola nella villetta gialla dalle persiane blu, al confine del paese. La  casa più bella, ma anche la più isolata.
Usciva di rado, occhiali neri e un foulard sulla testa. Nessuno conosceva il colore dei suoi capelli e quello dei suoi occhi. E il tono della sua voce. Seppure lei sempre rispondeva ai buongiorno e ai buona sera, ma con signorile discrezione aveva fatto in modo che non si andasse oltre.
Questo suo estremo riserbo alimentava le chiacchiere e alienava le simpatie, cosicché era stata etichettata come superba. Una snob. Una che di sicuro aveva qualcosa da nascondere.


- Ma se avesse avuto qualcosa da nascondere sarebbe forse andata ad abitare in una grande città, mica in un posto come questo dove tutti alla fine si conoscono e niente resta mai troppo a lungo segreto. -
Aveva provato ad obiettare il giovane medico anch'egli approdato da poco in paese a sostituire il predecessore, appena andato in pensione.

- Quando un segreto non è più segreto ma diventa di tutti, allora è come se appartenesse a ciascuno, e così non se ne parla. -
Aveva sancito il barbiere col rasoio in mano mentre s'apprestava a fargli la barba.

- Al mio paese si chiama omertà.-
La voce che s'era intromessa, con spiccato accento veneto, era quella del commissario di polizia in attesa del suo turno per un taglio di capelli.

- Ih che parolone, signor commissario, un'esagerazione la vostra chiamare omertà i segreti di Pulcinella. -
Il barbiere aveva replicato in tono scanzonato al commissario, irrorando nel frattempo di schiuma le guance del dottore.

- E quindi nei riguardi della signora in questione, Pulcinella non ha scoperto niente. Nessun segreto. Però in paese si mormora di continuo alle sue spalle come se lei, invece, ne avesse. Non lo trovate curioso? -

La domanda del funzionario di polizia era diretta al barbiere che aveva risposto in modo sibillino: - Se ha un segreto lo deve saper nascondere, se invece non ne ha dovrebbe inventarsene uno allo scopo di soddisfare la curiosità della gente e far cessare le chiacchiere. Tutti abbiamo un segreto commissario, che sia di corna o di salute o di una piccola malefatta, uno sgarbo o un debito non saldato, e così si diffida di chi apparentemente non ne ha. E allora, Pulcinella, non smetterà d'indagare fino a quando quel segreto salterà fuori.-


Ma la vita segreta di "Quella" (perché così la chiamavano in paese, anche se il suo nome lo conoscevano tutti) all'interno della piccola comunità non era poi così segreta, che le sue rarissime uscite erano meticolosamente annotate con morbosa curiosità, con occhi attenti e critici dai paesani.
Lei lo sapeva e accettava la sfida. Si sottoponeva ai loro sguardi, apparentemente indifferente, camminando senza fretta, senza dar mostra di accorgersi di essere consapevole di essere il soggetto dei loro muti interrogativi, ma d'istinto, come una cavalla di razza, drizzava la schiena e aggiustava il passo, elegante e sicura. Altera, avrebbero detto i passanti, che gli occhiali scuri e il foulard sui capelli, le conferivano il glamour della diva inavvicinabile.
Al suo passaggio i marciapiedi si svuotavano di corpi e si riempivano di occhi.
Le sue rare uscite pubbliche venivano comunque registrate con precisione esattoriale, data e ora e percorso. Così era noto a tutti che l'itinerario del venerdì (non tutti i venerdì, ma quando accadeva era sempre e solo di venerdì) l'avrebbe condotta verso la stazione delle corriere, che da lì dipartivano  verso la città o i luoghi termali.
Attraversava la piazza del paese passando davanti al bar dove i perditempo sostavano ai tavolini all'aperto, con i giornali sportivi dispiegati, fumando e bevendo caffè, e sentiva i loro sguardi, come punte di spillo, penetrarle dietro le spalle.
L'ammirazione si traduceva, sovente, in un fischio di approvazione.
Passava davanti al sagrato della chiesa dove le pie donne, al suo passaggio, smettevano il chiacchiericcio per poi riprenderlo, ancora più fitto, appena lei svoltava l'angolo.
La diffidenza, nelle frasi biascicate, traslava nella malevolenza.

Il bar, la parrocchia e la stazione degli autobus, il tutto concentrato nel raggio di pochi metri: passaggio obbligato per i mondi limitrofi.


- Gran bella donna, però. -
L'elogio spontaneo del giovane medico aveva sollecitato, all'unisono, l'assenso del barbiere e del commissario.

- Ma voi, signor commissario, davvero non avete nessuna informazione sulla signora in questione? -
Aveva domandato, in tono allusivo, il barbiere, cercando la complicità del poliziotto che, invece, non aveva affatto gradito e freddamente aveva risposto: - seppure ne avessi non le racconterei di certo. -

Il barbiere, alla risposta asciutta dell'altro, aveva scosso il capo in segno di approvazione.
- E fate bene, signor commissario, altrimenti Pulcinella che ci starebbe a fare? -

- Non v'arrendete eh? Magari non c'è niente da scoprire su di lei. Nessun segreto. L'avete mai valutata sotto questo aspetto? -
L'interrogativo conteneva una leggera nota di derisione che il barbiere non aveva captato, ma il giovane medico, invece, si, e per questo aveva ribattuto: - converrete però anche voi che una donna come quella in un posto come questo, scatena la curiosità della gente. Insomma...l'avete vista no? -

- Certo che l'ho vista! E allora? Ognuno è libero di scegliere il posto dove stare e come volerci stare. -

- Eh magari fosse questa regola, io qui ci sono dovuto venire per lavoro, quasi obbligato, ma se avessi potuto decidere avrei scelto una città del nord. Lì c'è una mentalità diversa e...-

- Volete dire che ognuno si fa i cazzi suoi? -
Lo aveva interrotto ridendo il barbiere, frizionandogli le guance e il mento col dopobarba

- La discrezione dipende da noi e non dal luogo. -
Aveva sentenziato il commissario accomodandosi sulla poltrona da cui il medico si era appena alzato.
- Testimonianza diretta, la mia, che sono del nord, Vicenza, per la precisione, seppure sono un bel po' di anni che vivo qui, ma sono sicuro che il vostro Pulcinella su di me sa solo quello che io ho voluto si sapesse.-

- Se lo dite voi, commissario, sarà senz'altro così. Sfumatura alta? -
Gli aveva chiesto, ma solo come proforma, che già conosceva la risposta

- Quella di sempre. -
Aveva confermato il commissario, e poi aveva aggiunto: - che intendevate con quel "se lo dite voi"? Cosa si sa di me che io stesso non so? -
L'ironia pungente della domanda aveva strappato un sorriso all'altro.

- Ma niente, è solo un modo di dire. La verità è, che ci piaccia o meno, i fatti nostri li raccontiamo a tutti, senza neppure rendercene conto. Il nostro vicino, dal bucato steso, conosce il tipo di biancheria che indossiamo, se è di cotone o di seta, se è di pregio o dozzinale. Dalla quantità del bucato saprà se la cambiamo tutti i giorni o se siamo, invece, degli sporcaccioni. Forse non è proprio come la vede, ma intanto quello si è fatto la sua idea e a quella cerca conferma, magari annusandoci quando gli passiamo accanto, per scoprire se profumiamo o mandiamo cattivo odore. -

A questa teoria, enunciata con serietà dal barbiere, il giovane dottore era scoppiato in una risata.
- Ma questi, Gaetano, sono indizi o, se vogliamo dargli un'importanza maggiore, fatterelli secondari. Dalla biancheria stesa non si può certo risalire ai segreti più intimi. -

- Se lo dite voi.-
Questa sintetica obiezione aveva fatto sbottare il funzionario di polizia: di nuovo? Detesto questo modo di dire per non dire. Se sapete qualcosa parlate! -

- Commissario non sono mica sotto interrogatorio! E che diamine...si fa solo per conversare. Ma voi, invece, lo state prendendo come un fatto personale. -
Aveva replicato l'altro in tono canzonatorio.

- Eh no, voi non distinguete fra le illazioni e i fatti. C'è una bella differenza. Se fosse illegale il non lavarsi dovrei arrestare un bel po' di gente, basandomi sulle denunce visive ed olfattive dei denuncianti. Ma la verità è che un giorno capita di stendere stendere decine di calzini, perché quel giorno si è voluto camminare senza scarpe, e un altro neppure un paio, perché si è rimasti a poltrire a letto. Non capisco il vostro modo di ragionare. -

- Il ragionamento di Gaetano basa sulle statistiche. Una scienza anche quella. -
S'era intromesso, con tono discreto, il medico.

- Ma i processi, per fortuna, non si fanno con le statistiche. Fatti concreti, testimonianze dirette e ciò che si definisce assunzione di responsabilità. -

- Abbassate la testa, commissario! -
Alla richiesta imperativa del barbiere stava già per replicare stizzito, ma quello lo aveva anticipato sui tempi specificando bonario: - altrimenti la sfumatura mi viene bassa. -

Nel salone era sceso il silenzio transitorio degli armistizi, quando entrambi i contendenti, ben lontani dal voler sancire la pace, ritemprano le forze, ridisegnano le strategie e nel frattempo innestano le baionette. E il medico stava quasi per congedarsi quando il commissario, con tono beffardo, aveva chiesto: - e nei riguardi della signora in questione, Pulcinella cos'ha da riferire? Cambia la biancheria tutti i giorni? Profuma o emana cattivo odore? -

- A me lo state domandando? -
Il barbiere aveva chiesto di rimando, con aria innocentemente stupita.

-  Magari Pulcinella viene qui pure lui a farsi i capelli ed è noto che quando si fa anticamera, dal medico come dal coiffeur, amabilmente si chiacchiera. Ci si scambiano confidenze. -

- Vi sbagliate, signor commissario, nell'ambulatorio di un medico si parla solo di acciacchi e di  sciagure. Tutt'al più ci si può scambiare il segreto di un qualche intruglio salutista, letto chissà dove e che mai prescriverei. -
Il dottore, ridendo, era tornato a sedersi rimandando il commiato.

- Non vorrei sembrarvi irriverente ma Pulcinella un paio di analogie con la signora pure le ha: un cappello sotto cui nasconde i capelli ed una mascherina dietro cui cela gli occhi. Anche la sig...-

A questa sottile arguzia quello era letteralmente saltato su sibilando: - come vi permettete!-

- Ma perché ve la state prendendo tanto? La mia era solo un'inoffensiva constatazione. Non lo capisco il vostro disappunto. -
Pacato, il barbiere, scuoteva la testa.

-...eppoi la signora la biancheria non la stende. -
Con questa affermazione era intervenuto, a sorpresa, il giovane medico, spiazzando gli altri due.
- Mi sento di poterlo attestare con una qualche certezza dal momento che per motivi di lavoro, spesso e ad orari diversi, mi sono trovato a passare sotto le finestre della sua casa, e panni ad asciugare non ne ho mai visti, né alle finestre e neppure sugli stendini, che le grate del cancello, seppur fitte, permettono di guardare nel giardino. -

- Userà la lavasciuga.-
Aveva decretato ironico il barbiere.

- Tutti Sherlock Holmes in questo paese. -
L'ispettore aveva replicato con fredda ironia

- Ma no, sono solo semplici deduzioni logiche. La signora profuma. E questo lo si può stabilire a vista senza dover ricorrere all'olfatto. Una donna come quella...non può che profumare. Bella, altera, sofisticata...anche lei del nord. Non vorrei sbagliarmi ma mi sembra abbia il vostro stesso accento. Forse è delle vostre parti. Una casualità. Il mondo è così piccolo! -
Gaetano aveva risposto con la stessa ironia.
- Abbiamo quasi finito, commissario, così voi, con tutta calma potete avviarvi alla stazione e prendere la vostra corriera del venerdì. Eh...il lavoro è lavoro, e il vostro non conosce neppure la sacralità del week end. -

- Bè, se per questo anche il mio lavoro. Operativo sempre, nel week end come nei festivi. -
Il giovane medico aveva tenuto a sottolineare

- E avete ragione pure voi. Ma in ogni caso, in vostra assenza si ricorre all'ospedale e invece il commissario, non avendo un sostituto, è costretto a rinunciare al riposo e alle gioie della famiglia, con queste incresciose trasferte. Eh...il lavoro è lavoro! -
Il tono serio di Gaetano s'era colorito però, nell'ultima frase, di una leggera sfumatura d'ironia.

- Dite bene: il lavoro è lavoro. -
Il funzionario di polizia aveva ribadito con voce neutrale, e poi aveva aggiunto: - quanto vi devo? -

- Venti euro, come sempre. -

Il commissario aveva pagato e il barbiere lo aveva accompagnato alla porta, salutandolo con un: - buon lavoro. -  Eppoi sottovoce, ma udibile al dottore, aveva aggiunto: - e buon divertimento. -

- Ma come, Gaetano, quello va a lavorare e voi gli augurate buon divertimento? -

-  Neppure a casa del commissario si stende più la biancheria. E due lavasciuga in un posto così piccolo...tirate voi le somme, che la matematica non è un' opinione. -
Placidamente aveva risposto il barbiere, facendogli l'occhiolino.

giovedì 21 febbraio 2019

Calamity o Marilyn?

 Differenze ci sono tra un risveglio ed un altro, e sono quelle che decidono la giornata.
Sono quelle che t'inducono ad ingollare, invece che gustare, un caffè troppo caldo o troppo freddo, ad indossare stivaletti messicani e palandrana da pistolero piuttosto che decolté tacco 12 ed un vestito sexy.
Calamity o Marilyn?


giovedì 31 gennaio 2019

Racconto

C'è stato un tempo in cui affidavo alle parole il racconto del mio malessere.
Oggi, invece, quel racconto è nel silenzio delle pagine non scritte.


venerdì 25 gennaio 2019

Fleur (cap 15)


L'AMICO MALVAGIO
Dopo esser uscito dalla gioielleria, Ferrer s'era diretto con passo spedito verso casa di Josette, allo scopo di farle confessare, con le buone o le cattive, il ruolo da lei espletato all'interno di quella congiura ordita a disonorarlo agli occhi del mondo e a quelli di Fleur. Iniziava da lei non perché la ritenesse la mente strategica diquel diabolico piano volto alla sua distruzione, (la sua intelligenza, modesta quanto la sua fantasia, la  relegava, nella vita come sul set, a ruoli secondari, e semplici comparsate) ma solo perché era quella al momento reperibile, immaginando che Serrano, in quanto fidanzato di Celeste, sarebbe stato trattenuto a casa Petit.
Serrano il traditore, aveva tramato alle sue spalle imbastendo, con pazienza e astuzia, quella sottilissima ragnatela  dove lui, come una mosca cieca, s'era lasciato intrappolare. Approfittando del suo momento di smarrimento, e attraverso un perfetto gioco d'incastro di menzogne, pianificate a tavolino, e verità all'occorrenza distorte, l'amico malvagio, l'aveva messo in cattiva luce agli occhi della famiglia Petit, e per un momento perfino ai suoi stessi, inducendolo, con astuzie psicologiche e raffinati sofismi, a dubitare della purezza del suo amore per Fleur. Con estrema abilità narrativa Serrano aveva mistificato il suo sentimento, traducendolo in qualcosa di orribile e peccaminoso.
Con quell'ingannevole racconto aveva però conquistato la fiducia e il cuore di Celeste.
Così ora immaginarlo seduto al suo posto al tavolo dei Petit lo colmava di una rabbia feroce che gli faceva ribollire il sangue e annebbiare la vista. Lui, da sempre immune dal morbo della gelosia, d'improvviso si scopriva invaso dalle sue metastasi cancerogene.
Infettato, e senza possibilità di cura.

Ferrer aveva bussato alla porta di Josette e, con sorpresa, era venuto invece ad aprirgli un uomo anziano, in veste da camera e  in pantofole, e quando quello gli aveva detto che lì non vi abitava nessuna Josette ma piuttosto che quella era casa sua, lui con spinta lo aveva fatto da parte e facendo irruzione nelle stanze chiamando a gran voce, e con gli epiteti peggiori, la sua ex amante. La vista della finestra della cucina, priva della gabbia dei colibrì da cui mai si sarebbe separata, lo aveva infine convinto che lei non abitava più li.

- 'fanculo Josette, stupida puttana, hai perso la tua unica occasione di salire alla ribalta da protagonista. -
Aveva inveito Ferrer all'indirizzo del fantasma di lei. E poi era scoppiato in una gran risata.


In quello stato di esaltazione emotiva aveva camminato a lungo, e senza meta, preferendo la solitudine della strada a quella della propria casa. In modo confuso rivendicava il suo diritto ad un asilo, a parole di conforto, e perfino aalla solidarietà di un abbraccio. Scoprendosi d'improvviso orfano, il suo pensiero, con una fitta al cuore, era andato a suo figlio Sebastian, l'orfano da lui concepito e la cui salvaguardia, al momento della nascita, aveva affidato a Santa Martha Dominadora, abiurando così, da subito, al suo ruolo di padre, e a quanto poco posto Sebastian occupasse nel suo cuore se di lui s'era ricordato solo nel momento della disperazione. Non aveva così nessuna ragione di chiedere, proprio a lui, quell'abbraccio, quell'intima condivisione che lui stesso, per primo, gli aveva negato.
Troppo tardi per i sensi di colpa e per i rimorsi, così lo avrebbe tenuto fuori, anche stavolta, dalla sua vita, come atto d'amore, però. Il suo unico nei suoi confronti, e di cui mai, forse, avrebbe saputo.

S'era in ultimo risolto ad andare da Blanca, l'avrebbe costretta a confessare la verità sui fatti e sul ruolo da lei rivestito in quella congiura, e poi...poi cosa avrebbe fatto? L'avrebbe uccisa. Non avrebbe avuto altra scelta perché lei non gliel' avrebbe lasciata.

UNA CANZONE PER FLEUR
Le finestre della villetta di Blanca erano tutte illuminate, sagome scure si delineavano al suo interno, coppe di champagne e ventagli, gli invitati ad una festa da cui lui era escluso, e dai vetri aperte trapelavano le note, dolci e struggenti di una canzone che lui non conosceva " Dream a Little Dream Of  Me"

"Dì buona notte e baciami. Solo stringimi forte e dì che ti mancherò. Mentre sarò solo e triste più che mai. Sogna un piccolo sogno di me"

Cantava, nella notte stellata, Ozzie Nelson, consegnandogli le parole giuste da dire a Fleur nel momento dell'addio.

"Dì buona notte e baciami. Solo stringimi forte e dì che ti mancherò. Mentre sarò solo e triste più che mai. Sogna un piccolo sogno di me"

Erano queste le frasi con cui avrebbe confessato il suo amore a Fleur.

S'era seduto su una panchina del giardinetto adiacente la villa di Blanca, la musica giungeva fin lì.
Un buon posto dove attendere il giorno.

SOGNA UN PICCOLO SOGNO DI ME
L'orafo aveva mostrato orgoglioso a Ferrer l'anello commissionatogli  per Fleur: una splendida acquamarina intagliata a forma di cuore al cui centro riluceva la mezzaluna del suo orecchino piratesco, come un cuore spezzato o due cuori ricongiunti. Ma questo lo avrebbe deciso Fleur.
L'avrebbe attesa all'uscita della scuola per darle il suo anello e confessarle il suo amore.
Sogna un piccolo sogno di me, (il resto della strofa lo aveva dimenticato) le avrebbe sussurrato tra i capelli e qualunque fosse stata la sua risposta, Ferrer sapeva che quella sua dichiarazione era la cosa più giusta da fare. La confessione di un uomo l'amava più della sua stessa vita. E del suo onore.
Non un uomo disperato di non poterla forse avere, ma un uomo felice, nonostante tutto, di amarla.
L'aveva, però, attesa invano, che quel giorno Fleur a scuola non era andata perché in lutto per la morte della madre e del fratello.
Stupido a non averci pensato. Ferrer malediceva la sua dabbenaggine, ma non riusciva a ragionare lucidamente, stravolto dagli avvenimenti del giorno prima e dalla veglia notturna sulla panchina.
Era come se tutto gli sfuggisse di mano. Doveva parlare con Fleur prima di chiudere la partita con Serrano. E così s'era appostato nei pressi di casa Petit, intenzionato ad attenderla, se fosse stato necessario, fino alla fine dei suoi giorni. Aveva smesso di sperare negli aiuti divini da quando Santa Martha Dominadora si era fatta così crudelmente beffa di lui, e anche di credere al destino...non esiste nessun destino se non siamo noi a programmarlo. E lui, il suo, lo aveva programmato. Così poteva contare solo sulla sua volontà affinché quello si attuasse. S'era predisposto ad una lunga attesa quando, invece, Fleur s'era materializzata sulla porta e, inaspettatamente da sola. Il cuore di Ferrer aveva iniziato a martellargli forte nel petto e le tempie gli dolevano. E una lacrima di gioia e di orgoglio era sgorgata alla vista di Fleur, vestita nel severo abito del lutto e i capelli raccolti sul sommo del capo. Mai le era parsa così bella e sensuale. Una donna. Il nero le si addiceva molto più delle tinte pastello, aveva pensato guardandola ammirato, meravigliosamente ne sublima la sua bionda bellezza. Quella di una donna e non di una bambina. L'aveva  seguita intenzionato a palesarsi al momento opportuno e, se possibile, l'avrebbe convinta a seguirlo in un luogo tranquillo dove poter parlare. E così quando lei s'era fermata in attesa del verde del semaforo per attraversare la strada, lui le si era affiancato e le aveva detto: devo parlarti Fleur. A quella richiesta lei era sussultata, e lo aveva guardato stupita, quasi non lo riconoscesse

- Francisco, per l'amor di Dio, andate via che mi è proibito parlare con voi. -
Istintivamente s'era scansata da lui.

- Per favore, Fleur, è terribilmente importante. Prometto che sarà una faccenda breve, ma per me è questione di vita o di morte. -
La disperazione trapelava dalla sua voce.

- Non abbiamo niente da dirci. Lasciatemi stare. -
Nella voce di lei, invece, c'era paura e fastidio.

- Ti prego, Fleur. Ti prego. Non t'importunerò più, ho solo bisogno di parlarti per un'ultima volta.-
La implorava e le parole sapevano di lacrime. Ma lei, impaurita, prendeva le distanze cercando rifugio nella folla. E allora lui, per paura di perderla, l'aveva trattenuta per un braccio, ma Fleur s'era liberata e con uno scarto s'era lanciata ad attraversare la strada prima ancora che il semaforo segnasse il via libera pedonale. E una macchina l'aveva travolta.

Ferrer era rimasto paralizzato al suo posto mentre qualcuno, tra i pedoni, s'apprestava a soccorrerla.  Ma non c'era stato nulla da far,e e una donna le aveva coperto il volto col suo foulard.

Ferrer era rimasto immobile nel suo lembo di marciapiede fissando incredulo Fleur distesa sull'asfalto, col suo abitino nero e il viso coperto da quel foulard anonimo, da un lembo del quale fuoriusciva la sua treccia bionda. Poi, a sirene spiegate, erano giunti l'ambulanza e una macchina della polizia. Il medico ne aveva accertato il decesso e un poliziotto aveva tratteggiato con un gesso la posizione terminale del cadavere. E dopo aver raccolto le dichiarazioni dei testimoni presenti all'accaduto, Fleur era stata chiusa in una "body bag" e l'ambulanza era ripartita a sirene spente.

UN MESE DOPO
UNA FESTA  SENZA INVITATI
Nella grande sala priva di mobilio, costeggiata da una sequenza di divani blu china ordinatamente addossati alle pareti, sotto la luce di cristallo degli enormi lampadari liberty, s'aggirava Ferrer, unico partecipante, con in una mano una coppa di champagne e nell'altra il suo ventaglio nero. Nell'angolo concavo, adibito per l'orchestra, Ozzie Nelson cantava, per l'ennesima volta consecutiva,"Dream a little dream for me". Non vi sarebbero state richieste di altre canzoni, e quella sarebbe stata l'esclusiva colonna sonora di quella privatissima festa.

"Dì buona notte e baciami. Solo stringimi forte e dì che ti mancherò. Mentre sarò solo e triste più che mai. Sogna un piccolo sogno di me"

Il colpo di pistola alla tempia, Ferrer, l'aveva magistralmente sincronizzato sull'ultima nota.

FRANCISCO E FLEUR
Il giorno dopo, Arturo Serrano, aveva trovato sulla sua scrivania una lettera sigillata, una voluminosa cartellina, e una scatolina con il logo di una prestigiosa gioielleria. Aveva subito riconosciuto, la grafia, slanciata ed elegante, di Francisco Ferrer. Non aveva più notizie di lui da un bel pò di tempo, ma a dir la verità neppure lo aveva più cercato, che quell'ultimo periodo, per lui e per Celeste, era stato un denso susseguirsi di avvenimenti infausti: la morte di Coralie e di Philippe e subito dopo quella di Fleur.
Conoscendo intimamente Ferrer, immaginava che lo ritenesse responsabile di chissà quali oscure trame per tenerlo lontano da Fleur, e magari di aver brigato alle sue spalle per conquistare Celeste. Ma le cose non erano andate così, lui non aveva approfittato delle debolezze dell'amico per mettersi in luce agli occhi di Celeste, e lei se n'era innamorata forse proprio per questo, intravedendo in lui quelle doti di schiettezza, onestà e lealtà, sintomi della natura superiore di chi non basa i propri successi sulle debolezze altrui, ma esclusivamente sulle proprie forze. Celeste, quando aveva capito che se ne stava innamorando, con naturalezza glielo aveva confessato. Solo allora, Serrano, le aveva detto che l'amava in silenzio dalla prima volta che l'aveva vista. Per questo, lui, baciato dall'amore, pure capiva la sofferenza di Ferrer e la sua disperazione, ma non ne approvava i metodi.
La sua ossessione per Fleur lo stava divorando. Deformando. Trasformando in qualcun altro.

Eppure non si decideva ad aprire quella lettera, che rigirava tra le mani. La grafia, non c'era alcun dubbio, era proprio quella di Ferrer, anche se lui non amava troppo scrivere, un esercizio noioso che di solito delegava alla sua segretaria. Ma  questa, invece, era vergata a mano da lui, così come pure manoscritto che recava, come titolo sul frontespizio, il nome di Fleur.
Con un senso d'angoscia s'era risolto, infine, ad aprire la busta

Arturo, un tempo siamo stati amici ed è in nome di quell'amicizia che io confesso a te il mio delitto, consapevole che la tua cruda, cristallina onestà morale, t'impedirà di farmi sconti di pena, a differenza della giustizia legale che non mi avrebbe mai condannato in quanto materialmente non mandante, e neppure esecutore, del delitto di cui, invece, me ne assumo la piena responsabilità: la morte di Fleur.
Fleur l'ho uccisa io. Fuggiva da me quando la macchina l'ha investita. Fuggiva da me e dal mio amore sbagliato. E' quello di cui l'avete persuasa, e di cui ora ne ho anch'io la convinzione. Quel  giorno ero andato da lei solo per dirle che l'amavo di amore puro ma avrei rinunciato a lei se non fossi stato contraccambiato. Ti confesso che in caso di diniego mi sarei ucciso, cosicché il mio destino, presumo fosse fin da subito tracciato. Inappellabile. Le avevo portato in dono un piccolo anello, un gioiello da collegiale: un cuore di acquamarina con incastonata la mezzaluna del mio orecchino. Un cuore spezzato o due cuori ricongiunti, secondo il verdetto di Fleur a cui io mi sarei attenuto. Non le avrei mai fatto del male. Non intenzionalmente, così come invece è accaduto. Questa mia lettera non vuole essere un j'accuse nei confronti di nessuno, e neppure una richiesta di attenuanti per me, ma solo il racconto della dinamica dei fatti. E la mia ammissione di colpevolezza.  Avrei voluto morire anch'io quel giorno stesso, che senza Fleur la vita per me non ha alcun senso, e invece, come un condannato in attesa del boia nel braccio della morte, mi sono costretto a vivere ancora il tempo necessario per raccontare, in questo manoscritto, la storia della breve vita di  Fleur, del mio amore troppo grande e disperato, che alla fine l'ha uccisa. Il mio tributo a Fleur, perché tutto il mondo la ami così come l'ho amata io. Lascio tutto nelle tue mani, Arturo, fà quello che ritieni giusto, che la mia anima dannata, qualunque cosa tu decida, te ne sarà in eterno riconoscente.


Serrano aveva allora aperto la scatolina dove, all'interno, il piccolo cuore di acquamarina riluceva del bagliore della mezzaluna di Ferrer.
Fleur, senza l'amore disperato di Ferrer, sarebbe passata inosservata al mondo.
Fleur era esistita perché era esistito Ferrer.
E alla luce di questa commovente, veritiera rivelazione, Serrano, s'apprestava a leggere il manoscritto di Ferrer.

"La prima volta che Francisco Ferrer l'aveva vista, Fleur Petit (ma dal suo entourage affettuosamente chiamata Petit Fleur ) indossava un vestito primaverile verde chiaro, dello stesso colore degli occhi, e aveva i capelli biondi, quasi albini, ordinati in un triplice gioco di trecce.
Seduta fra due matrone vestite di scuro (la nonna paterna e quella materna), spiccava non solo per la luminosità della sua aura ma anche per quella veste da bambina che la diversificava dal resto degli invitati, rigorosamente in abito da sera.
Troppo giovane per sfoggiarne uno e troppo giovane per poter ballare, Fleur, visibilmente annoiata, giocherellava con l'orlo della gonna, battendo le mani sulle ginocchia al ritmo della musica, motivo per cui le due nonne, a turno, la riportavano al decoro della postura con invisibili pizzicotti.
Un richiamo, quello delle due generalesse, a cui lei obbediva solo per un momento, per poi subito ricominciare quella sua mimica.
Chiaramente si vedeva che aveva voglia di ballare e che era una sofferenza per lei rimanere seduta, in castigo, a scontare il peccato di essere ancora così giovane.

Ma perché portarla al ballo se poi non le era concesso neppure di potersi muovere?"

lunedì 21 gennaio 2019

Fleur (cap 14)


FLEUR. FLEUR. FLEUR
Il corteo funebre, lento e composto, s'era dipartito dalla Cattedrale di Santa Maria la Menor alla volta del cimitero locale dove, Coralie e Philippe, sarebbero stati tumulati insieme in un unico loculo opportunamente predisposto nella cappella di famiglia.
A far da sfondo al nero corteo, una mattinata tersa e azzurrissima e già dalle prime ore molto calda, che si proponeva beffarda come un insulto ai morti che non avrebbero, di quel cielo e di quel sole, mai più goduto, e una sfida ai vivi che boccheggiavano nelle corazze degli abiti del lutto, quasi fossero chiusi essi stessi in una bara.
Ferrer, dal suo angolo strategico aveva individuato nelle prima fila del corteo funebre, il console Petit al braccio di Celeste e Fleur, (la piccola Fleur, che pure nell'anonimo vestitino nero risaltava su tutti, abbagliante come una stella di mezzogiorno) e sulla stessa fila le due nonne che si sostenevano l'una all'altra, rimpicciolite ed indifese, procedevano come sonnambule sul percorso tracciato dal carro funebre, con i visi nascosti dalle velette nere dei loro antiquati cappellini.
E questo particolare aveva richiamato alla memoria di Ferrer, l'innocente e anacronistico "program du bal" che Fleur gli aveva porto, nel loro primo incontro, affinché lui lo autografasse per Ermelina Hortega.
E la commozione s'era tramutata, dietro gli occhiali neri, nelle lacrime amare del ricordo:
 Fleur, vestita di un abitino primaverile verde chiaro, dello stesso colore dei suoi occhi, e i capelli biondi, quasi albini, ordinati in un triplice gioco di trecce.
Fleur annoiata che giocherella con l'orlo della gonna, battendo le dita al ritmo della musica sulle ginocchia.
Fleur, che ha voglia di ballare ma è costretta, in castigo su una sedia, a scontare il peccato di essere ancora così giovane.

Fleur, che avrebbe voluto stringere tra le braccia senza altro intento se non quello di farla ballare fino a che lei sfinita si sarebbe poi addormentata sul suo petto, dove lui si sarebbe beato solo di vegliarla.. Non chiedeva, e non desiderava altro, se non di condividere con lei l'intimità, silenziosa e mistica degli amanti che oltrepassando il confine del sesso, finalmente affrancati dalle catene dei sensi, vivono nella dimensione, esclusiva e privilegiata, dei sentimenti.
Fleur: stordente, deliziosa perdizione.

Doveva parlare con lei, sentiva la necessità di spiegarle che le orrende illazioni sul suo conto erano frutto di un terribile equivoco, che in lui non albergava l'stinto del corruttore e che, nonostante il disperato bisogno di lei, non l'aveva mai sfiorata, e nè mai l'avrebbe fatto, se non nel fuggevole contatto di un ballo. Era amore puro quel suo sentimento malamente frainteso.
No, nessuno avrebbe mai potuto accusarlo di nulla, che s'era limitato a sognarla e desiderarla nell'oscurità dei suoi sensi ma con la purezza della sua anima, e le supposizioni infamanti di Celeste non costituivano prove di reato. In ogni caso,qual'ora fosse stato, anche lui avrebbe avuto diritto ad una difesa per dimostrare la sua innocenza e ribaltare l'ingiusta condanna a non vedere più Fleur. Addirittura, a questo ipotetico tribunale, avrebbe potuto avanzare la richiesta di un risarcimento per i danni inflitti al suo amore e al suo onore, ma pure non gli sarebbe importato se solo gli fosse stato concesso di poter continuare a ballare con Fleur.
Null'altro chiedeva.
Il giorno dopo sarebbe andato a casa Petit per porgere le sue condoglianze e chiarire quell'imbarazzante fraintendimento.
Questa sua decisione lo aveva tranquillizzato e così, predisponendosi all'attesa, aveva deciso di anticipare il corteo funebre all'ingresso del cimitero per avere ancora la possibilità di scorgere, seppure alla distanza, Fleur.

Il corteo aveva varcato il cancello del camposanto e la folla, all'inizio serrata, s'era poi sparpagliata nei viali adiacenti alla cappella, smembrandosi in piccolo capannelli, mentre il gruppo dei famigliari, in forma privata,  presenziava al suo interno alla tumulazione.
Ferrer, prima ancora d'intercettare Fleur , aveva invece visto Arturo Serrano, inglobato nel gruppo dei famigliari, avvicinarsi a Celeste, parlarle all'orecchio, prenderle la mano e rimanere poi così senza discostarsi da lei.
Un gesto intimo, quello, che prevaricava l'amicizia.

- Nulla è più idoneo di un evento pubblico per rendere noto un fidanzamento. -
Blanca lo aveva colto di sorpresa, meglio ancora in flagranza di reato, ed ora sarebbe stato impossibile liberarsi di lei. Come una mosca sarcofaga, richiamata dall'odore della morte, lei s'apprestava a deporre le sue uova nella carne in putrefazione. Doveva solo scegliere il cadavere.

- Ne sapevi qualcosa? -
Ferrer aveva cercato di dare alla sua voce un tono neutro che il pallore del volto, però, smentiva.
- Ho tentato di dirtelo quando sei tornato da Hollywood, la sera che hai dormito da me, ma tu non me ne hai dato il modo. Non ho mai disatteso al nostro patto. E alla nostra amicizia. -
La risposta sferzante di Blanca gli aveva fatto intendere che lei, invece, aveva capito che lui le stava nascondendo qualcosa.-
- Il buon Serrano, novello Giuda ha rivelato la sua anima criminale, mentre la tua, Francisco, sta rammollendo nel sentimentalismo. Ed eccoti in balia della tua stessa ombra e di quelle dei tuoi amici malvagi. -
La risata di lei era risuonata fredda e cattiva come una scudisciata e lui, d'istinto, s'era ritratto per schivarla. Odiava Blanca con lo stesso fervore con cui odiava Serrano.

- Me ne vado, ma tu rimani pure a goderti lo spettacolo. -
Non c'era ironia nella frase di Ferrer quanto piuttosto una sottile canzonatura, consapevole che lei l'avrebbe colta e non l'avrebbe perdonato, decretando così la fine del loro patto.


LA STRATEGIA DEL RAGNO
Ferrer rifletteva che in  ultimo le persone a lui più care, e nelle quali aveva posto la sua fiducia aprendo perfino il suo cuore, lo avevano tradito. Tramando alle sue spalle, con modi e fini diversi, lo avevano usato per raggiungere i propri obiettivi. Serrano, Blanca e Josette, s'erano serviti di lui per il loro miserabile tornaconto. Forse perfino complici in quell'odiosa congiura.
Era stato cieco e stupido a non aver capito. A non aver visto.
Alla summa dei fatti, però, ad una loro più attenta analisi, la logica degli eventi balzava istantanea agli occhi, senza neppure doversi troppo arrovellare in congetture astratte o ipotesi possibilistiche.
Il ragno quando tende la sua ragnatela lo fa alla luce del sole, non la nasconde ma strategicamente la tesse con fili sottilissimi degli stessi colori dell'aria e della luce. Inganno artistico e psicologico in cui la mosca, inconsapevolmente, e a passo di danza, va ad intrappolarsi.
Tutti loro erano stati molto abili a tessere le geometrie di quella loro ragnatela, e con una tempistica perfetta, approfittando del suo stato di smarrimento lo avevano spinto fra le sue maglie, con gentilezza e senza sforzo alcuno, cosicché benissimo si sarebbe potuto dire che nella trappola ci si era cacciato da solo. E a passo di danza. Coercizione d'incapace, avrebbe stabilito un'ipotetica giuria di un ipotetico tribunale, chiamata ad emanare un verdetto con cui, se si ridimensionava l'eccellenza criminale dei suoi amici malvagi, di contro si attestava la sua menomazione mentale. Inaccettabile per lui.
Si sarebbe allora fatto giustizia da solo.

Ma prima di ogni cosa avrebbe dovuto parlare con Fleur, confessarle il suo amore, facendo attenzione, però, a non spaventarla col subbuglio delle parole, appassionate e struggenti, che nella foga della dichiarazione sarebbero potute implodere incoerenti e folli, che per troppo tempo erano state tenute alla catena, dentro al suo cuore. Una trappola anche quella.

Le parole, soprattutto se pronunciate in uno stato di intensa emotività, di esaltazione, facilmente possono ingarbugliarsi tra di loro, inseguirsi e moltiplicarsi, straripare e insensatamente prendere il sopravvento sui silenzi. E sugli sguardi. Così lui si sarebbe limitato alle sole essenziali: ti amo, Fleur.
E poi le avrebbe messo in mano il suo cuore.

IL COLORE DEGLI OCCHI DI FLEUR
- E' un lavoro non di semplice esecuzione, signor Ferrer, in particolare per l'incastonatura della mezza luna all'interno dell'acquamarina. Un lavoro delicato e che richiede tempo. Impossibile per domani. -
Aveva detto l'orafo in tono dispiaciuto, nell'atto di restituire la mezza luna d'oro bianco, l'orecchino da corsaro che Ferrer s'era sfilato dal lobo dell'orecchio sinistro.
- E' un favore per il quale sono disposto a pagare qualunque prezzo. -
Aveva rilanciato lui ,senza dar modo all'altro di replicare, aveva aggiunto: vi pagherò l'acquamarina allo stesso prezzo di un diamante.
All'refice non era rimasto che alzare le mani in segno di resa, e poi l'inevitabile domanda: toglietemi una curiosità, signor Ferrer, perché l'acquamarina e non un diamante?
- Perché acquamarina è il colore degli occhi di Fleur -

domenica 9 dicembre 2018

Fleur (cap 13)


CAPRICCI DA STAR
Ad attenderlo all'aeroporto Ferrer aveva trovato Blanca Gil, che nel lungo periodo della sua assenza pure s'era data un gran da fare per pervenire alla verità sull'accaduto, senza però alcun risultato, che Serrano, prima di partire, prudentemente aveva attivato un'impenetrabile rete protettiva a salvaguardia dell'intera vicenda, allo scopo d'impedire di pregiudicare, con una pubblicità negativa, il film di cui Ferrer sarebbe stato protagonista.
Salvaguardare l'onorabilità dell'attore equivaleva a proteggere anche i suoi stessi interessi, seppure questo gli era costato una cifra considerevole e dovuto contrarre qualche debito di riconoscenza.
Ed era stata questa richiesta di favori la cosa più odiosa a cui Serrano s'era dovuto sottomettere e che il suo carattere, schivo ed orgoglioso, profondamente aborriva, motivo per cui s'era trovato a covare un fondo di risentimento nei confronti dell'amico. Irritazione che però non gli aveva impedito di espletare in modo impeccabile il compito che s'era prefisso: rendere Ferrer irraggiungibile da Blanca Gil e nel contempo tenerlo all'oscuro di ciò che a Santo Domingo andava accadendo. Mentirgli, se il caso lo richiedeva, seppure l'ambiguità e le menzogne non rientravano nel suo modo d'agire, in questo caso particolare vi si sarebbe adeguato, che la faccenda era così delicata che sarebbe bastata una semplice svista per precipitare nello scandalo. D'altro canto, nelle condizioni psicologiche in cui Ferrer versava, i ragionamenti logici s'erano dimostrati fallimentari. Nessuna collaborazione da parte sua ma piuttosto un crescendo d'ostilità sfogata talvolta in maniera adolescenziale, capricciosa e irrazionale, cattiva ed ingiuriosa. La troupe, abituata ai capricci delle star, e completamente ignorando le motivazioni vere da cui scaturivano i comportamenti dell'attore, aveva vissuto queste sue insensatezze come fatto normale, divertendosi perfino e parteggiando, secondo le simpatie, per Ferrer o per la Turner. L'attore, per la sua arguzia e le sue sottili crudeltà, riscuoteva un successo personale che molti dello staff, pur trovando odiosi i suoi cinici sberleffi nei confronti della partner di scena, erano preferiti di gran lunga alle scene drammatiche di lei, che assolutamente priva di fantasia ripeteva lo stesso copione, quello delle invettive, delle lacrime e delle porte sbattute. Ma qualcuno dello staff, pur trovando noiose queste sue performance, s'era provato a consolarla, trovando nel pretesto di un abbraccio, la possibilità di saggiare, con un contatto fisico più diretto, quella sua sensuale burrosità. Gesti contenuti che però avevano scatenato la gelosia del regista, e dopo il licenziamento in tronco di un cameramen e poi di un elettricista, nessuno s'era più azzardato nell'impresa. Scene madri, quelle della Turner, che lasciavano invece indifferenti, o stizzite, tutte le altre donne della troupe, dalle altre attrici alle addette ai lavori, che pur trovando sgradevole il comportamento di Ferrer nei suoi riguardi, non le avevano mai manifestato solidarietà. Né amicizia. La sua totale mancanza di talento artistico, contrapposto a quella sua bellezza mozzafiato, esplicitava in modo palese le ragioni per cui le era stato affidato il ruolo di protagonista. E la gelosia ossessiva del regista lo attestava, tanto che sembrava quasi essere grato a Ferrer della sua ripugnanza nei confronti di lei, unico uomo a respingerla, a non esserne attratto, quando tutti gli altri, invece, se la sarebbero voluta portare a letto. Motivo per cui, il regista, non aveva mai chiesto a Serrano di sostituire Ferrer.


BLANCA 
Blanca Gil lo attendeva con una rosa rossa in mano e una bottiglia di champagne nell'altra.

- Cosa dobbiamo festeggiare, Blanca? -
Le aveva domandato lui in tono sarcastico.

- Il tuo ritorno, Francisco. -
Aveva risposto lei baciandolo lievemente sulla bocca. Ma lui s'era scansato infastidito.

- Non c'è nulla da festeggiare. E anche se ci fosse non sarei dell'umore giusto. -
Aveva ribadito con avversione.

- Un motivo per bere champagne si trova sempre. E dopo, magari, migliora anche l'umore -
Blanca non era tipo da demordere e così lo aveva preso sottobraccio e condotto verso il taxi in attesa.

- Andiamo a casa mia. Si sta più tranquilli. -
Proposta a cui lui non aveva mosso obiezioni, perché ritrovarsi da solo nel suo appartamento, col fantasma irato di Santa Martha Dominadora, lo atterriva.

Dopo aver consumato una cena leggera, Ferrer s'era fatto una doccia e poi nudo aveva raggiunto Blanca nel letto matrimoniale. Sul comodino di lei campeggiava, su un vassoio d'argento, la bottiglia di champagne e due flute di cristallo.

- Stai mettendo su peso. -
Aveva detto Blanca soppesandolo con occhi critici. Lui le si era sdraiato accanto e lei lo aveva accolto carezzandogli il petto, ma Ferrer, con malagrazia l'aveva scansata via.

La giornalista, niente affatto risentita di quella sua irritazione, s'era fatta di lato per studiarlo più attentamente, riflettendo a voce alta.

- Si, Francisco, non solo stai ingrassando ma hai un colorito opaco e borse sotto gli occhi: un aspetto pessimo. Se è una conseguenza del fallimento del film, ricorda che un flop è quantomeno doveroso nella carriera di un attore di successo. Una cattiva recitazione non pregiudicherà i tuoi successi futuri. Ma la devastazione fisica, si. E tu ci sei dentro, amico mio. Ed è una pena constatarlo. Ma non credo che siano stati i mancati incassi di botteghino a produrre questa tua brutta trasformazione, quanto piuttosto una donna. Forse la piccola, glaciale, Celeste Petit? Ci scommetto che è opera sua. Una splendida femmina alfa, quella. Ci avrei perso la testa anch'io e volentieri mi sarei fatta fottere da lei, e non solo in senso letterale. Non ho mai creduto alla storia messa in giro dal tuo amico Serrano, ad uso e consumo della stampa, del tuo ritorno di fiamma per Josette. A proposito dovrò aggiornarti su di lui e le più recenti vicende di nostri comuni conoscenti. Ovviamente le mie informazioni vanno oltre le verità di facciata, ed hanno un prezzo. Mi sono data molto da fare per te quando eri ad Hollywood, e con gran fatica, che Serrano è stato magistrale nel sigillare qualunque accesso potesse condurre a te, rendendoti irraggiungibile. Ed invisibile. E' un uomo diabolico! -
L'ultima frase, intenzionalmente, l'aveva pronunciata in tono ammirato. Poi s'era accesa una sigaretta e aveva aggiunto sibillina: posso aiutarti a fare i tuoi interessi, a riprenderti ciò che era tuo, o che speravi lo fosse, e che con l'inganno ti è stato sottratto. Ma per tutto questo c'è un prezzo da pagare.

Ferrer, a quelle sue parole che sapevano più di minaccia che di promessa, s'era riscosso dal suo torpore e con inaspettata violenza l'aveva afferrata per le braccia strappandole un gemito di dolore.

- Cosa intendi dire? Se sai qualcosa parla! Non sono in vena di risolvere enigmi. -
D'improvviso era diventato ferino. Minaccioso. Dominato da una brutalità istintiva, dirompente, alimentata dalle notti insonni e da quelle etiliche. Stringeva le braccia della donna con forza selvaggia, cosicché lei, sopraffatta, lo aveva implorato di allentare la presa. La sua voce vibrava di paura e di odio. Ma la paura aveva un'intensità maggiore.

Ferrer, stupito da quell'implorazione s'era ritratto, rintanandosi nel suo angolo di letto. Blanca, sconvolta da quell'umiliazione che s'era auto inferta, quando l'aveva liberata lo aveva schiaffeggiato, insultandolo. Lui non aveva reagito: s'era girato di fianco e aveva chiuso gli occhi.
Ma lei, di nuovo padrona del campo, non mollava la presa, verbalmente mortificandolo e psicologicamente assalendolo in un crescendo d'improperi, e indotta poi al silenzio dai singhiozzi proveniente dal lato del letto di Ferrer.
Era la prima volta che lo vedeva piangere. Sconvolta da quella sua vulnerabilità così impudicamente esibita, e sfinita dalla sua stessa furia, Blanca s'era finalmente chetata, scivolando nel buio profondo di se stessa e poi in quello di Ferrer. Era sgusciata verso di lui e lo aveva abbracciato di spalle.

PHILIPPE E CORALIE
Erano diverse notti che Coralie vegliava al capezzale di Philippe, non fidandosi di lasciarlo in custodia a nessun altro, neppure agli infermieri che il consolato aveva messo a sua disposizione, e che avrebbero dovuto alternarsi in turni a coprire l'arco delle ventiquattro ore. Era esausta, ma pure continuava ad affaccendarsi intorno a quel letto dove Philippe giaceva in stato di coma, misericordiosamente deprivato da ogni sensibilità fisica. L'infermiere di turno dormiva su un divano in fondo alla stanza mentre lei andava rimboccando le coperte al figlio, seppure non ce ne fosse bisogno che da giorni giaceva immobile nella stessa posizione. Si era chinata poi con la delicatezza estrema di una farfalla per auscultargli i battiti del cuore talmente lievi, quasi impercettibili, che per riuscirci aveva costretto tutti gli altri suoi sensi ad ammutolire a favore dell'udito. Nella stanza buia si muoveva con la sicurezza percettiva di un cieco, anche se nello spazio circoscritto nel perimetro del letto non c'erano mobili e nessun altro oggetto a far da barriera,  ma solo la piccola poltrona su cui lei, quando era troppo esausta, riposava per brevi momenti, e che di proposito l'aveva voluta scomoda, così da non indugiarvi a lungo e cedere alle lusinghe del sonno. Aveva poi sfiorato la fronte di Philippe che le era parsa più fredda del solito. Anche le labbra nella trasparenza del volto, sotto le ciglia di brina, risaltavano di un blu più intenso, quasi violetto. Con gli occhi asciutti Coralie era scivolata nel letto accanto al figlio, non per rianimarlo, come era accaduto altre volte, col calore del suo corpo ma per assorbire il gelo da quello di lui.

venerdì 7 dicembre 2018

sabato 1 dicembre 2018

Fleur (cap 12)


LA CADUTA DEGLI DEI
- La verità, Arturo, è che hai manipolato la vicenda per salvaguardare i tuoi interessi e non hai neppure per un attimo pensato al danno d'immagine che mi stavi arrecando. La verità è...-

- La verità è che tu miravi a portarti a letto una ragazzina di quindi anni! -
La voce di Serrano s'era alzata di tono. Una dura accusa che non ammetteva repliche.
- E perdio non credi che sarebbe stata proprio la verità a causarti quel danno d'immagine? Il pubblico non la capirebbe questa tua infatuazione. E neppure i produttori del tuo prossimo film. Perfino Josette ha respinto l'idea immaginando che tu fossi preso da Celeste e non dalla sorella quindicenne. Celeste alla verità, però, c'era già arrivata da sola. Quello che cercava da Josette era un'ulteriore conferma, che però lei, essendo all'oscuro delle tue mire, non gli ha dato. Per questo tu non farai nulla per nuocerle. Celeste sapeva benissimo che non era per lei che ti stavi dando da fare con tutte quelle attenzioni alla madre e al fratello malato, e i preparativi per quella festa di compleanno. Il tutto per poter essere accreditato come amico di famiglia e poter più liberamente interagire con la sorvegliatissima Fleur. A parer mio dovresti esserle grato per averti evitato lo scandalo, la prigione e la fine della carriera. Anche se non l'ha fatto per te ma per la sorella. Che ti piaccia o meno, Francisco, sarà la mia versione, quella ufficiale. Ti diffido anche dal confidarti con Blanca Gil, che la piccola iena ha già subodorato odore di cadavere e s'aggira nei pressi fiutando il vento e leccandosi le labbra. E ho l'impressione che quel cadavere sia il tuo. Ho dato così disposizione di non far entrare nessuno, oltre me, in questa stanza, e appena sarai dimesso partiremo per Hollywood -

A questa valanga di parole, profferite in tono imperativo, Ferrer aveva risposto con un gemito doloroso. S'era voltato sul lato sinistro e aveva chiuso gli occhi.


BLANCA E ARTURO
-  Perché mi è vietato di vedere Francisco? E' dunque tuo ostaggio? -

Blanca Gil, sul piede di guerra, aveva affrontato Arturo Serrano all'uscita dell'ospedale.

- La caduta gli ha procurato un trauma cranico, ha bisogno di riposo e tranquillità. Che non debba ricevere visite lo hanno stabilito i medici -
Aveva replicato lui, con calma e senza scomporsi

- E credi davvero che io mi beva questa storiella? Così come neppure credo a quella, ci scommetto sempre da te imbastita ad uso e consumo della stampa, sul ritorno di fiamma di Francisco per quella puttanella di Josette. Lo conosco da una vita, molto prima di te, probabilmente era salito da lei con intenti omicidi, e posso persino immaginarne il motivo. Ovviamente ho bisogno di conferme, ma stanne certo che le troverò -

- Davvero non ti riesce di capire quando è il momento di mollare? Attenta, Blanca, che stavolta potresti essere tu quella a farsi male -

- Mi stai minacciando? -
La voce di lei aveva un tono sprezzante.

- Nessuna minaccia, piuttosto un amichevole avvertimento -
Le aveva risposto voltandole le spalle ed incamminandosi per la sua strada.

DON JUAN E ANITA
Giunto a casa di Ferrer, Serrano aveva spalancato le finestre per far rigenerare l'aria satura del profumo di gelsomino di cui era pregna la candela che ancora ardeva davanti all'immagine della Loa. In camera da letto aveva stipato, in una capace sacca da viaggio, qualche effetto personale dell'amico. Prima di andarsene, con un calcio rabbioso, aveva distrutto il piccolo altare collocato sul pavimento.

Due giorni dopo, Serrano e Ferrer, erano ad Hollywood.


"Don Juan", il film di cui Ferrer era il protagonista si rivelò un fiasco. Il primo della sua carriera.
A contribuire all'insuccesso era stata la sceneggiatura puerile che aveva trasformato quella che doveva essere una storia d'azione in un noioso, sdolcinato minuetto fra "Don Juan" e la sua coorte di donne, mentre invece le sciabolate vere avvenivano a telecamera spenta tra Ferrer e la sua coprotagonista (un'attricetta alle prime armi, amante del regista, bellissima ma priva di qualsiasi talento recitativo) che i due si detestavano senza alcuna cordialità e senza il minimo imbarazzo a manifestarlo. Da cosa fosse generata questa loro ostilità nessuno in realtà lo aveva capito, ma che fosse stato Ferrer a dare fuoco alle polveri non v'erano dubbi. Fin dall'inizio aveva fatto rimostranze sull'aspetto fisico di lei non trovandola consona al personaggio di Anita, essendo la storia ambientata in Messico, si presupponeva che la protagonista dovesse essere bruna di pelle e di capelli, e non certo una pin up rossa e lattiginosa, di chiare origine irlandesi.

- Sono americana. Del Texas - Aveva puntualizzato piccata Dorothy Turner
- Sarete anche americana ma non siete adatta alla parte di Anita. -  L'ostilità di Ferrer era tangibile.
- Neppure voi per quella di "Don Juan" siete troppo vecchio e davvero poco in forma. -
- Forse intendevate dire troppo giovane, visto che Don Juan è un uomo di mezza età. Non solo siete inadatta ma neppure avete studiato il copione. -
- Io posso tingermi i capelli o indossare una parrucca bruna, mentre per camuffare la vostra mollezza non esiste alcun espediente. E ad ogni modo non spetta a voi decidere il cast -
- No di certo... quando è affare di famiglia -
- Ma come osate! - Aveva sibilato inferocita  Dorothy con uno spiccato accento texano e con le unghie snudate pronta a saltargli in viso, trattenuta a stento da Serrano che, attratto dalle voci concitate, s'era fatto sulla porta a sedare la discussione.

- E per di più avete una dizione è tremenda: il vostro accento è orribile - Aveva concluso Ferrer, con sprezzante sarcasmo
E, a quell'ultima ingiuria, Dorothy Turner era scoppiata a piangere tra le braccia di Serrano.


Durante i lunghi mesi delle riprese non c'era stato giorno senza che una qualche incomprensione  accendesse tra i due la miccia.
Vero che Dorothy era assolutamente priva di un qualsiasi talento al di fuori di quella sua strepitosa, ingombrante bellezza, con quella fisicità che s'imponeva come unica attrattiva in un film mortalmente noioso e dalla trama prevedibile, dove anche tutti gli altri attori, fuorviati dalle continue dispute tra Ferrer e la Turner, recitavano svogliati, insensibili alla esigenze del copione e alle urla del regista.
Molto più imprevedibile, invece, la storia parallela che andava in scena, tra una ripresa e l'altra, tra i due attori principali che quando non s'ignoravano s'insultavano. E, in questo campo, Ferrer s'era rivelato estrosamente imbattibile, che mentre lei palesava il suo disprezzo nei suoi riguardi in maniera convenzionale, ricorrendo, secondo il caso, al pianto o all'isteria, lui lo faceva in maniera sottile e ferocemente subdola, come quando dovendo girare la scena di un bacio, per dimostrare il suo disgusto, platealmente s'era umettato le labbra con un tovagliolo intriso di whisky, scatenando le ire di lei.
 Dopo quella volta Dorothy s'era rifiutata di girare con lui sequenze così intime e così s'era fatto ricorso alla controfigura di Ferrer, un atletico spadaccino ingaggiato per le scene di duello, quelle più spericolate, per non compromettere la guarigione del braccio fratturato dell'attore che, nel lungo periodo della terapia, aveva preso chili che non riusciva, o meglio, non gli importava di smaltire. Quella mollezza che Dorothy aveva rilevato al loro primo incontro/scontro, e che andava inesorabilmente cancellando dai suoi lineamenti l'immagine, sensuale e fiera, di un dio azteco. 


Inutilmente Serrano aveva cercato di convincere il regista, (un giovane  di origini polacche dal cognome impronunciabile, che s'era fatto nomea di "visionario" e "sperimentatore" grazie a due film di basso costo, due piccoli capolavori colmi di future promesse) a licenziare l'attrice con un'ingente buonuscita da lui stesso elargita, ma senza riuscirci perché lei mirava alla gloria più che alla ricchezza, che quella, grazie alla sua portentosa avvenenza, se la sarebbe potuta facilmente procurare.

- Se mandate via Dorothy vado via anch'io. Un punto, questo, che non si discute - Aveva puntualizzato con voce ferma il giovane regista pronto a rinunciare alla gloria per l'onore della sua  Musa.

- Non sa recitare, è evidente. Ed è incompatibile con Ferrer, il cui nome dà lustro al cartellone -

- Dorothy è adattissima alla parte... se solo Ferrer non le fosse così ostile. E' lui che dovreste decidervi a licenziare. Spesso arriva sul set abbrutito, ubriaco o in stato di sonnambulismo. Tutta la troupe lo può testimoniare. Dovreste parlargli. Magari a voi darà ascolto perché a me non ne dà. Di certo il suo malanimo verso Dorothy non facilita le riprese. -

E così Serrano aveva convocato Francisco nel suo ufficio e lo aveva messo alle strette.

- Modifica i tuoi intollerabili comportamenti, Francisco, o sarò costretto a sostituirti. Esigo che tu giunga sul set sobrio e nello stato migliore. E cerca di dimagrire. Risparmia al pubblico, se non a te stesso, lo spettacolo della tua trasandatezza. Ho investito in questo film un bel pò di quattrini e si sta rivelando, invece, un disastro. Cerchiamo di salvare quello che si può. -

- Vuoi sostituirmi? Fallo pure! Io sono arcistufo di quell'oca che non sa profferire una battuta e sculetta come fosse su una passerella di un qualsiasi concorso di Miss. Ma sono stufo anche di te, Arturo, dei tuoi opprimenti sermoni e della tua pretesa di dirigere la mia vita. -
Ferrer, furioso, fronteggiava l'amico  sfidandolo

- Vuoi sostituirmi? Accomodati! -

Ferrer non era stato sostituito.
Il film s'era confermato un fiasco.
Il produttore e l'attore avevano fatto rientro a Santo Domingo su due voli diversi.

sabato 17 novembre 2018

E basta!

La solita storia di sempre: un uomo che parla di sesso è un conoscitore, una donna, invece, una puttana.