Incontri/Scontri
Il
suono della
radio propagava ad alto
volume lungo le scale, segno
che Olimpia Collins era tornata.
Il primo istinto di Angie Rose fu quello di farle
visita per avere notizie
di Bob, ma desistette per tema di un’accoglienza fredda, o peggio
ancora di una scenata, quando la porta si aprì e Olimpia s’affacciò
sulla soglia.
«Ciao,
Rose. Hai un momento?»
Con un cenno del capo
Olimpia la
invitò ad entrare.
«Certo»
rispose Angie Rose «Come
sta Bob?» Chiese,
entrando in
casa.
«Meglio». Rispose asciutta la vecchia signora, poi saltando ogni preambolo, disse: «Durante la mia assenza qualcuno è entrato in casa e mi ha derubato»
«Mi spiace. Hai sporto denuncia?».
«Perché me lo chiedi? Sai bene che non avrei potuto!» Esclamò stizzita Olimpia.
Angie Rose si limitò ad un’alzata di spalle: «Perché no? Se si sono portati via cose di tua proprietà».
«Qualcuno è entrato nel mio appartamento, ha frugato e messo in subbuglio i cassetti e gli armadi e...e se fossi stata in casa magari mi avrebbe uccisa!»
«Io te lo avevo detto che le cose potevano mettersi male».Ribadì paziente, Angie Rose.
«Oh si, tu mi avevi avvertito e guarda caso è proprio quello che è avvenuto!».
«Cosa intendi dire?» Domandò esterrefatta la ragazza
Che la borsa l’hai rubata tu» Sibilò Olimpia, puntandole un dito contro.
Angie Rose, davanti a quell’accusa rimase per un attimo frastornata poi, cedendo alla rabbia, l’afferrò per un braccio e la condusse alla porta: «Salicontrollare a controllare!» Le intimò furiosa, mentre Hamlet ringhiava di sottofondo.
L’anziana donna si liberò dalla stretta e proruppe in una risata sarcastica: «Non ti faccio così stupida! Avrai nascosto la borsa da qualche altra parte al sicuro».
«Sei davvero meschina, Olimpia. Non abbiamo altro da dirci». Mormorò amareggiata Angie Rose, andando via.
Entrata
in casa azionò la segreteria telefonica. Tra i messaggi c’era
quello di Christine Logan che le comunicava che Andrew Saint Just era
uscito dal coma e se poteva richiamarla. Cosa che fece
immediatamente.
Dall’altro capo del filo le rispose Christine, cordiale e rilassata: «Andrew si è risvegliato».
«E’ una notizia splendida».
«Sta bene e non ha riportato nessun tipo di trauma. Direi che le cose vanno indirizzandosi nel verso giusto.
«Giusto, per chi?» Angie Rose domandò ironica
«Per tutti, visto che Andrew non intende denunciare Peter Newton e neppure Alfred Hayden» Ribatté tranquilla l’altra.
«Christine...pensi davvero che sia giusto? Poteva morire o riportare gravi conseguenze, così ...».
«Ma per fortuna, non è successo » La interruppe impaziente, Christine: «E’ la decisione di Andrew, e va rispettata. Ti consiglio di non prendere iniziative personali, di non metterti di traverso, perché non troveresti nessuno dalla tua parte».
«Neppure Andrew, scommetto, troverebbe qualcuno disposto a supportarlo in caso di denuncia. E’ per questo che ha lasciato perdere?».
«Sei un’irriducibile idealista, amica mia. E se fosse per un ricco risarcimento? Una cifra con molti zeri?»
«Lo sai per certo?» Domandò delusa Angie Rose.
«E’ quello che si dice dopo la visita precipitosa di Hayden al capezzale di Andrew e l’espulsione di Peter Newton dall’Accademia». Concluse, sarcastica, Christine Logan.
Terminata la telefonata, Angie Rose si sentì pervadere dalla rabbia e dal disgusto, verso il mondo e verso sé stessa, soggiogata dal peso della sua impotenza a poter cambiare le cose e permettere alla verità e alla giustizia di trionfare. Christine Logan l’aveva definita “irriducibile idealista”, ma non era vero perché altrimenti, a dispetto della volontà di Andrew, avrebbe lei stessa denunciato l’abominevole baratto del denaro in cambio della verità. Si guardò intorno in cerca di una via di fuga, così come aveva fatto nel passato, quando non riuscendo ad opporsi a sua madre e far valere le sue ragioni, era fuggita. Ma allora, dalla sua, aveva le attenuanti della giovane età: una giustificazione che non riteneva più valida nel presente. Nell’ultimo periodo aveva disertato le lezioni, ma nessuno pareva essersene accorto. Nessuno l’aveva cercata, tranne l’ufficio amministrativo che con una lettera le ricordava che a fine semestre le sarebbero state addebitate anche le lezioni a cui non aveva partecipato. Un mondo cannibale, quello della “Alfred Hayden’s Acting School”, dove non contavano le persone ma i ruoli, e la sua assenza aveva costituito per qualcuno la possibilità di prendere il suo posto. Anche se nessuno, in verità, poteva reclamare il proprio posto, perché quello veniva stabilito, di volta in volta, dagli umori di Hayden.
La nausea l’assalì prepotente e corse in bagno a vomitare. Hamlet la seguì, arrestandosi sulla soglia. Conscia della sua presenza, Angie Rose, si chinò su di lui stringendolo in un abbraccio: «Grazie di esserci, amico» mormorò, accarezzandolo. Il cane la gratificò di uno sguardo adorante e di un guaito d’intesa.
«Angie » Sentendosi chiamare col suo nome dimezzato, s’era voltata
sorpresa, mentre Hamlet, con un agile scarto, era corso verso
l’ingresso del parco abbaiando festoso verso Simon ed Aretha.
Simon, liberata Aretha dal collare, la raggiunse: «Ciao, come
va?» domandò, e senza attendere risposta aggiunse: «Speravo di
ritrovarti».
«Deve essere il tuo giorno fortunato, allora»
Disse lei, se con una punta d’ironia.
«Direi proprio di si»
Rispose Simon, che non aveva rilevato il sarcasmo. «Ma a dire il
vero la fortuna c’entra poco, in realtà ti ho aspettato tutti i
giorni».
«Ha tutta l’aria di un appostamento: non è che
sei uno stalker?».
«Se lo fossi mi avresti trovato sotto casa
tua».
«Ma avresti prima dovuto scoprire dove abito».
«Non
è così difficile per un detective».
Angie Rose si fermò e lo
fronteggiò furiosa: «Sei un detective? Su incarico di chi stai
lavorando? Di mia madre o di mio padre? Tanto non fa differenza, non
voglio averci a che fare con nessuno dei due. Puoi riferirglielo e,
in quanto a te, non farti più vedere».
«Aspetta!» Esclamò
lui, cercando di trattenerla: «Deve esserci un malinteso... non so
niente delle tue storie di famiglia e nessuno mi ha incaricato di
rintracciarti. Il nostro incontro è stato del tutto casuale».
«Come
questo? Scusami, ma mi riesce difficile crederti» Disse mentre
metteva il collare ad Hamlet che attirato dalle voci concitate era
tornato indietro seguito da Aretha.
«E invece dovresti! Se le
cose fossero come tu immagini, cosa ci avrei ricavato a dirti che
sono un detective?». Le urlò dietro esasperato.
«Stai lontano
da me!» Lo ammonì infuriata, correndo verso l’uscita.
Nella
concitazione del momento, dalla sua borsa era scivolato un libro “The
Power Of The Actor”, declamava il titolo. Simon lo raccolse e la
rincorse: «Ehy... Angie...il tuo libro».
Ma lei era già
andata via.
«Dobbiamo ritrovarla per restituirle questo» Disse
ad Aretha, mostrandole il libro « ma soprattutto per chiarire il
malinteso. Sei d’accordo?» Aretha approvò dimenando la coda.
La
luce filtrava morbida, schermata dagli studiati panneggi delle tende
alla finestra del lussuoso ufficio di Alfred Hayden. Quando Angie
Rose entrò lui era alla scrivania intento a firmare delle carte, e
al suo ingresso non alzò gli occhi a guardarla e neppure le fece
cenno di sedersi. Solo dopo aver terminato il suo lavoro, e riposto
la penna nell’astuccio, la fissò freddamente e le porse i fogli su
cui l’attimo prima stava scrivendo.
«Le sue dimissioni
dall’Accademia, signorina Hathaway».
Angie Rose prese il
fascicoletto dalle mani di Hayden e rimase incerta, in piedi davanti
a lui.
«Non c’è altro. Può andare» Disse congedandola e
tornando a concentrarsi sui fogli di una cartella.
Ma lei era
rimasta ferma al suo posto, costringendolo ad alzare lo sguardo e
prendere atto della sua presenza.
«Non me ne vado senza prima
renderle note le ragioni per cui lascio la sua scuola»
«Non
m’interessano i suoi motivi». Replicò indifferente
«Ma io
intendo comunque dirglieli, e non me ne andrò di qui senza averlo
fatto» Angie Rose si avviò alla porta e la chiuse a chiave.
«Cosa
diavolo pensa di fare? E’ sequestro di persona, questo!» Scattò
rabbioso. Era impallidito e una grossa vena pulsava sulla sua tempia
sinistra.
«Io lo definirei un confronto privato su riguardo
quanto accaduto ad Andrew Saint Just».
«Chiamo la polizia»
Disse Hayden allungando la mano verso il telefono.
«Faccia
pure. Quando chiederanno spiegazioni avrò molte cose da raccontare.
In ogni caso sarebbe un secondo “incidente” che accade nella sua
scuola, a distanza di pochi giorni. » disse guardandolo ironica «e
credo che qualche sospetto lo desterebbe. Una cattiva pubblicità per
la sua Accademia».
Alfred Hayden scoppiò in una risata: «L’ho
sopravvalutata, signorina Hathaway, non è poi una così brillante
attrice come avevo creduto. E sta recitando un copione già
visto».
«Esattamente come lei, che da anni interpreta un unico
ruolo: sé stesso. E vive di luce riflessa». Disse indicando gli
attestati e i premi della sua passata carriera.
«Ma questi cimeli non
sono bastati a riempire la sua vita non più sotto la luce dei
riflettori, mentre lei voleva si continuasse a parlare di lei. E lo
ha fatto con la collera di un uomo frustrato che ogni giorno scarica
sui suoi studenti il suo livore, solo per ricordare a loro, e a sé
stesso, la sua trascorsa grandezza. La odiano tutti ma a lei non
importa, perché è da quest’odio che trae lo spunto per le sue
piccole angherie quotidiane con cui umilia i suoi studenti, colpevoli
di avere un futuro mentre lei ha solo un passato».
In un impeto
d’ira tentò di mettersi in piedi ma non gli riuscì, e così
afferrò un pesante fermacarte e glielo lanciò contro. Poi
s’accasciò sul sedile della carrozzina, tremante e con il fiato
smorzato.
Qualcuno prese a battere con forza alla porta, dopo
aver tentato inutilmente di aprirla.
« Alfred...cosa sta
succedendo?» Chiese preoccupata una donna dietro l’uscio : «Per
l’amor di Dio, rispondi!»
Angie Rose aprì la porta e quella
quasi la travolse, nel precipitarsi a soccorrere Hayden.
Nel
cortile s’imbattè in Christine Logan e Jasmine Wright, ma le
ignorò tirando dritta per la sua strada.
Splendida
nel suo abito da sera rosso, un colore inusuale per lei che preferiva
le tinte fredde, come il verde e il turchese, che risaltavano i suoi
occhi, Gina Colombo s’era esibita, poco prima della chiusura, nello
spettacolo della rottura dei bicchieri, infrangendo, con la potenza
della sua voce, quelli apparecchiati sulle tavole e quelli nelle
vetrine. Gli avventori, che erano stato adunati in una zona sicura
del ristorante dove le schegge non potevano arrivare, applaudivano
alla pioggia di cristallo e alla dea vestita di rosso che l’aveva
provocata. Gina li aveva stregati con la sua voce e la sua presenza,
ma i suoi occhi guardavano il fondo della sala dove c’era Apache.
Angie Rose intercettò quello sguardo ma se ne distolse imbarazzata,
come stesse violando un segreto che non le apparteneva, anche se, in
quel momento, tutto pareva intriso di magia, palpitante e chiaro:
alla luce del sole. Solo il suo cuore rimaneva buio, amareggiato
dalle menzogne del mondo fuori la porta del Colombo’s Restaurant.
Quel mondo a cui inevitabilmente avrebbe dovuto far ritorno quando il
ristorante avrebbe spento le luci e chiuso i battenti. Ma di tornare
a casa non se la sentiva e avrebbe chiesto a Gina di potersi fermare
a dormire li, nella stanza che un tempo era stata di Apache. Hamlet
era con lei e non c’era nessun altro a cui avrebbe dovuto rendere
conto del suo mancato rientro.
«Puoi venire da me. La mia
stanza degli ospiti è di certo più confortevole» Le propose Gina.
«Grazie» Rispose riconoscente « ma se per te va bene, vorrei
stare qui».
Gina assentì, comprensiva: «A volte si ha
necessità di restare soli...che è diverso, però, dall’essere
soli...così di qualunque cosa tu abbia bisogno, chiamami». Disse
indicando il telefono.
Già sulla strada, tornò indietro
per un ultimo abbraccio.
Rimasta
sola, Angie Rose uscì
con Hamlet nel cortiletto
della cucina. La notte primaverile, brulicante di stelle, profumava
di gelsomino. In
lontananza si snodava il
nastro scuro della strada
punteggiato dalle luci dei
fari delle auto in transito. Il
paesaggio era tutto lì,
racchiuso in quegli
scarni fotogrammi: non
c’era altro da vedere. Si
sedette sulla soglia ed
Hamlet le si accucciò accanto,
col muso nel
suo grembo.
C’era una gran pace. Tornò
a guardare la strada che, attraverso le assi orizzontali
dello steccato, appariva
segmentata in porzioni
ordinatamente intervallate, nella
distanza e nell’ampiezza. Ogni
tratto d’asfalto conduceva verso luoghi e destini diversi. Quello
percorso da lei l’aveva portata fin lì. Punto d’arrivo o di
partenza?
Angie
Rose non lo sapeva ancora, e forse non era poi
così importante stabilirlo in quel momento.
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