Nella commedia dell'amore puoi essere l'attore principale, un buon caratterista o un'anonima comparsa.
...e nessun regista ad assegnare la parte, se non tu stesso, quella che pensi sia a te più congeniale, in base al tuo talento, all'estro e alla vocazione.
Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.
mercoledì 28 settembre 2016
lunedì 26 settembre 2016
sabato 24 settembre 2016
I fiori dei pigri
Grandiosi sono quei piccoli, e solo apparentemente umili fiori, che crescono abbarbicati ai muri, alle pietre, sui bordi dei marciapiedi, illuminando coi loro colori gli angoli più oppressi di un paesaggio. Sono definiti i "fiori dei pigri" perché germogliano senza che nessuno presti loro nessuna cura, traendo forza per le loro necessità solo, e unicamente, da se stessi. Sono piante battagliere, tenaci ed entusiaste. Sono un inno alla vita. Non hanno mai conosciuto la sicurezza di un vaso o il tepore di una serra, abituate a vivere alla giornata, alle intemperie, al caldo arido e al freddo intenso, ai piedi distratti che non si curano di calpestarle, allo sguardo superficiale di occhi che ignorano quella loro prodigiosa, tenace, piccola vita.
Fiori ostinati che sbucano a sorpresa da una zolla indurita, da un anfratto di uro, da una crepa di marciapiede, occupati a colorare la vita di chi è troppo occupato, cieco o distratto per viverla davvero.
Fiori ostinati che sbucano a sorpresa da una zolla indurita, da un anfratto di uro, da una crepa di marciapiede, occupati a colorare la vita di chi è troppo occupato, cieco o distratto per viverla davvero.
mercoledì 21 settembre 2016
Nuove costruzioni psicologiche
Un tempo erano proprio le giornate di pioggia a favorire le mie escursioni nei mondi paralleli, quando riuscivo, senza sforzo alcuno, a intraprendere la via del mare, oltrepassare le colonne d'Ercole e clandestinamente introdurmi nelle regioni occulte di Utopia.
Affascinata da quel madreperlaceo mondo di nebbia, abitato da amichevoli ombre cordiali; incantata da quel suo paesaggio cangiante, estremamente mutevole, inedito ad ogni mia nuova esplorazione, e dove ho vissuto esperienze indimenticabili. Irripetibili.
Irripetibili, appunto, che nel trascorrere del tempo e l'avanzare degli anni, le percezioni affievoliscono e le sensibilità ottundono o, al contrario, esasperano.
Così, con questi equilibri sfalsati, è la genuinità dell'esplorazione ad esser compromessa e incerto il piacere che se ne ricava, per cui meglio conservare il ricordo di quella felicità ancora vivida, anziché, partendo da questa consapevolezza, il voler reiterare un tentativo già improntato al fallimento.
Se Utopia, avvolta nelle sue impalpabili nebbie, è sempre più irraggiungibile, allora tento nuove costruzioni psicologiche, ipotesi forse meno avventurose ma non per questo meno entusiasmanti.
...che ogni viaggio, ogni tipo di viaggio, sempre c'insegna qualcosa, perché quello che davvero conta, al di là delle situazioni che lo determinano, delle circostanze in cui si svolge, e dello stato d'animo con cui ci si accinge ad intraprenderlo, è l'esperienza che se ne ricava, quella in grado di modificarci.
Io e Cagliostro siamo usciti sul terrazzo alle prime luci dell'alba, accolti da un cielo pallido, già autunnale, che fa capolino da sotto la tendina frusciante della pioggia.
Il piccolo Conte, incurante dell'acqua, intrepido guada i brevi rivoli che vanno a convogliarsi nella direzione prestabilita dalla pendenza dello scolo, attratto dal mistero di quella grata che l'inghiotte e dove lui non può penetrare.
Non potendo fare altro, la esplora da ogni angolazione, con un interesse commovente.
...mentre io sorseggio un caffè troppo dolce e prendo appunti.
Marilena
lunedì 19 settembre 2016
Sicurezze
Quando scrivo sono assolutamente sicura di me.
Al capitolo finale anche le incongruenze irrisolte rifulgono di una loro logica.
Magicamente tutto ha un senso.
Al capitolo finale anche le incongruenze irrisolte rifulgono di una loro logica.
Magicamente tutto ha un senso.
sabato 17 settembre 2016
Certe mattine
Certe mattine mi illudo di scrivere un copione nuovo, mi ritaglio un ruolo e provo ad essere in quello.
Certe mattine mi è più facile fingere d'essere un'altra anziché me stessa.
Certe mattine mi è più facile fingere d'essere un'altra anziché me stessa.
venerdì 16 settembre 2016
mercoledì 14 settembre 2016
Incontro
Fu quando smisi di cercare l'uomo della mia vita che incontrai me stessa.
E sorprendentemente mi piacqui.
E mi bastai.
E sorprendentemente mi piacqui.
E mi bastai.
martedì 13 settembre 2016
In un angolo di giardino
La piantina d'ortica era fiorita nell'angolo più in ombra del giardino, selvaggia e malavitosa, piena di rancore verso la vita, con un astio così tangibile che non solo le farfalle, ma anche tutti gli altri insetti disertavano quel paraggio.
Se ne stava abbarbicata in quella sua zolla di terra, sulla difensiva, con le radici contratte come pugni, pronta a contrastare chiunque osasse invadere il suo territorio.
Ma in quell'angolo solitario di giardino non ci andava mai nessuno.
Unica, tollerata presenza, era quella di un grosso ragno, tozzo e peloso, la creatura più brutta del giardino, sdegnoso e solitario quanto lei, che andava imbastendo la sua invisibile tela tra la cancellata e il muro.
Trappola e stomaco destinati a rimaner vuoti perché ubicati in questo posto da esiliati, elucubrava tetra la piantina, irridendo all'affannoso, quanto vano, lavorio del ragno.
Quel pomeriggio, però, qualche visitatore c'era, perché aveva captato rumore di passi in avvicinamento, e la conferma la ebbe quando, nel suo campo visivo, si delinearono quattro piedi, due piccoli e due grandi.
Nel dettaglio, un paio di sandalini rosa che procedevano affiancati a un paio di scarpe scure da uomo: padre e figlia.
L'uomo raccontava alla piccola i segreti del giardino, ora rivelandole il nome di un fiore ora quello di un insetto, prospettandole la fantastica esistenza di un mondo parallelo, terragno e mimetico, popolato di minuscole laboriose creature, e nelle cui profondità germogliavano, alle stesse temperature, esili radici di fiori e portentosi basamenti d'albero.
- Un universo colmo d'impensabili meraviglie, a saperle vedere, - spiegava il papà, - che in un giardino sono la bellezza e il profumo dei fiori ad incantarci, ma anche questo, come tutto ciò che accade in natura, non è affatto casuale, piuttosto uno stratagemma escogitato da madre terra per distogliere l'attenzione da quel mondo minuto, ed indifeso, che pullula al suolo e alla mercé delle nostre scarpe, e garantirne la sopravvivenza. -
I due dialogavano fitto fitto a pochi passi dalla scontrosa piantina, con la bimba a fare domande e l'uomo a dare risposte, sommerso da tutti quei perché che lei sparava a getto continuo.
Da quel loro intimo chiacchiericcio spesso scaturiva la risata cristallina della bambina, ed ogni volta che lei rideva la piantina scopriva una sensazione sconosciuta, un' emozione in crescendo che la portava a desiderare, per la prima volta nella sua vita, di avere un paio di gambe, invece che radici, per poter esplorare quel mondo oltre il muro al quale appartenevano quei due.
E al quale sarebbero ritornati.
E poi lui sapeva raccontare così bene che d'improvviso quel fazzoletto di terra aveva acquisito la dimensione di un luogo incantato dove tutto era fantastico e logico insieme, e dove lei stessa, che pur sempre s'era considerata clandestina, ne faceva parte.
Più che clandestina, ignorata, questo era il termine giusto, perché mai nessuno sguardo, nessuna curiosità, nessun ohhhhhhh di meraviglia l'aveva mai benevolmente sfiorata così come accadeva, invece, per l'altezzosa, longilinea pianta di rose ibride che seduceva con i suoi colori cangianti e l'intenso profumo di donna.
Perfino la timidissima violetta, che più che a volersi mostrare cercava di nascondersi, riceveva entusiastici apprezzamenti, così come la pratolina, graziosa, ma senza altro merito se non quello di essere la copia minuta di una margherita.
Solo a lei era riservata tutta quella freddezza, quella totale indifferenza che così tanto la feriva.
Se solo avesse potuto domandare a quell'uomo, così ben addentrato nei segreti del giardino, il motivo di tanto oltraggioso disprezzo, forse avrebbe compreso e se ne sarebbe fatta una ragione.
Ben delineati nel suo campo visivo, poteva ora osservarli con più agio nei particolari: la bimba recava al braccio un cestino che conteneva un mazzolino di fiori multicolori avvolto con cura in un fazzoletto umido, un fungo carnoso e rosso, il bulbo rosato di una cipolla, e a far da contorno, lucide palline di more.
- Dobbiamo rincasare, Emma, che la mamma ci aspetta, ma prima di andare puoi ancora scegliere un fiore per completare la tua collezione -
La bambina si era guardata allora intorno sfiorando con delicatezza tutti quei petali arcobaleno che sfacciatamente s'andavano offrendo alle sue carezze, ma lei aveva guardato in basso e notato la solitaria piantina d'ortica verso cui ora tendeva una mano che il papà prontamente trattenne.
- Fai attenzione, Emma, quella è una piantina di ortica e potrebbe pungerti - L'ammonì premuroso.
Ma in quell'angolo solitario di giardino non ci andava mai nessuno.
Unica, tollerata presenza, era quella di un grosso ragno, tozzo e peloso, la creatura più brutta del giardino, sdegnoso e solitario quanto lei, che andava imbastendo la sua invisibile tela tra la cancellata e il muro.
Trappola e stomaco destinati a rimaner vuoti perché ubicati in questo posto da esiliati, elucubrava tetra la piantina, irridendo all'affannoso, quanto vano, lavorio del ragno.
Quel pomeriggio, però, qualche visitatore c'era, perché aveva captato rumore di passi in avvicinamento, e la conferma la ebbe quando, nel suo campo visivo, si delinearono quattro piedi, due piccoli e due grandi.
Nel dettaglio, un paio di sandalini rosa che procedevano affiancati a un paio di scarpe scure da uomo: padre e figlia.
L'uomo raccontava alla piccola i segreti del giardino, ora rivelandole il nome di un fiore ora quello di un insetto, prospettandole la fantastica esistenza di un mondo parallelo, terragno e mimetico, popolato di minuscole laboriose creature, e nelle cui profondità germogliavano, alle stesse temperature, esili radici di fiori e portentosi basamenti d'albero.
- Un universo colmo d'impensabili meraviglie, a saperle vedere, - spiegava il papà, - che in un giardino sono la bellezza e il profumo dei fiori ad incantarci, ma anche questo, come tutto ciò che accade in natura, non è affatto casuale, piuttosto uno stratagemma escogitato da madre terra per distogliere l'attenzione da quel mondo minuto, ed indifeso, che pullula al suolo e alla mercé delle nostre scarpe, e garantirne la sopravvivenza. -
I due dialogavano fitto fitto a pochi passi dalla scontrosa piantina, con la bimba a fare domande e l'uomo a dare risposte, sommerso da tutti quei perché che lei sparava a getto continuo.
Da quel loro intimo chiacchiericcio spesso scaturiva la risata cristallina della bambina, ed ogni volta che lei rideva la piantina scopriva una sensazione sconosciuta, un' emozione in crescendo che la portava a desiderare, per la prima volta nella sua vita, di avere un paio di gambe, invece che radici, per poter esplorare quel mondo oltre il muro al quale appartenevano quei due.
E al quale sarebbero ritornati.
E poi lui sapeva raccontare così bene che d'improvviso quel fazzoletto di terra aveva acquisito la dimensione di un luogo incantato dove tutto era fantastico e logico insieme, e dove lei stessa, che pur sempre s'era considerata clandestina, ne faceva parte.
Più che clandestina, ignorata, questo era il termine giusto, perché mai nessuno sguardo, nessuna curiosità, nessun ohhhhhhh di meraviglia l'aveva mai benevolmente sfiorata così come accadeva, invece, per l'altezzosa, longilinea pianta di rose ibride che seduceva con i suoi colori cangianti e l'intenso profumo di donna.
Perfino la timidissima violetta, che più che a volersi mostrare cercava di nascondersi, riceveva entusiastici apprezzamenti, così come la pratolina, graziosa, ma senza altro merito se non quello di essere la copia minuta di una margherita.
Solo a lei era riservata tutta quella freddezza, quella totale indifferenza che così tanto la feriva.
Se solo avesse potuto domandare a quell'uomo, così ben addentrato nei segreti del giardino, il motivo di tanto oltraggioso disprezzo, forse avrebbe compreso e se ne sarebbe fatta una ragione.
Ben delineati nel suo campo visivo, poteva ora osservarli con più agio nei particolari: la bimba recava al braccio un cestino che conteneva un mazzolino di fiori multicolori avvolto con cura in un fazzoletto umido, un fungo carnoso e rosso, il bulbo rosato di una cipolla, e a far da contorno, lucide palline di more.
- Dobbiamo rincasare, Emma, che la mamma ci aspetta, ma prima di andare puoi ancora scegliere un fiore per completare la tua collezione -
La bambina si era guardata allora intorno sfiorando con delicatezza tutti quei petali arcobaleno che sfacciatamente s'andavano offrendo alle sue carezze, ma lei aveva guardato in basso e notato la solitaria piantina d'ortica verso cui ora tendeva una mano che il papà prontamente trattenne.
- Fai attenzione, Emma, quella è una piantina di ortica e potrebbe pungerti - L'ammonì premuroso.
- Hai detto che potevo cogliere ancora un fiore, papà - La piccola aveva obiettato delusa.
- Forse per questo sembra così triste. E' lei che voglio. Anche la mamma saprà apprezzarla -
A quelle parole una dolcezza sconosciuta pervase la piantina d'ortica che senza opporre alcuna resistenza si lasciò cogliere dalla mano che, con estrema delicatezza, la dispose nel panierino, avendo cura di avvolgerla nel fazzolettino umido dove aveva posto, per non farli sfiorire, i fiorellini multicolori.
Mollemente adagiata sul fondo del cestino, dove era stata collocata come sul trono di una regina, la piantina d'ortica sradicata dalla pesantezza del suolo natio d'improvviso venne colta da una vertigine, sentendosi d'un tratto incorporea, creatura d'aria e non più di terra, eterea e fluttuante in un mondo che, inspiegabilmente, andava sfocando.
Cancellati tutti i colori.
S'accorse solo allora che tutte le cose all'interno del panierino erano terribilmente fredde, che da loro non scaturiva alcun tepore né profumo.
In uno sprazzo di lucidità intuì che quel lino umido, che avrebbe dovuto mantenerla viva, sarebbe stato, invece, il suo sudario, così come lo era stato per i fiorellini multicolori, il grasso fungo, il tondo cipollotto e le minuscole more: ormai niente altro che nature morte.
Ghermita da un devastante senso d'angoscia, gettò tra le fessure del vimini un ultimo sguardo a quella che era stata la sua zolla di terra dove così a lungo s'era sentita infelice e da dove, ora lo sapeva, mai più avrebbe voluto esser strappata via.
Per un momento le balenò davanti il fotogramma indistinto del grosso ragno, come sempre affannato a compiere acrobazie per tessere la sua inutile tela, e sentì tenerezza e nostalgia per lui, sentimenti sconosciuti che mai aveva provato prima, e che la scaldarono un poco dalla tristezza e dal freddo che sempre precedono la morte.
- Non trovi, anche tu papà, che il mio cestino ora sia davvero bello? - Chiese la bambina rimirando soddisfatta il suo piccolo capolavoro.
- Hai ragione, Emma, è un cestino ineguagliabile - Rispose lui, orgoglioso, chinandosi a darle un bacio.
- Non è proprio un fiore, Emma - spiegò suo padre - L'ortica è una pianta umile e generosa, e non tutti sanno quanto è grande il suo cuore. Ingiustamente non è tenuta in gran considerazione nonostante abbia dato, fin dai tempi più remoti, il suo contributo in medicina, agricoltura, erboristeria e medicina. Non ha colori sgargianti né fiori voluminosi, per questo i pittori non la notano, e le sue foglie urticanti le hanno alienato le simpatie degli innamorati e dei poeti. La sua bellezza, Emma, è tutta interiore, una bellezza che spesso non riusciamo a vedere perché poco attenti, perché il nostro sguardo è per lo più è attratto da ciò che si mostra in superficie attraverso segnali estetici, spesso ingannatori, dimenticando che in natura anche la grazia può nascondere l'insidia. Non dimenticare che le rose hanno anche le spine. Così si può affermare che questa piantina è la più onesta di tutte mostrandosi, senza finzioni, nella sua schietta esteriorità. Meno bella di tante altre, se guardiamo all'esterno, ma superlativa, se arriviamo al suo cuore -
- Forse per questo sembra così triste. E' lei che voglio. Anche la mamma saprà apprezzarla -
A quelle parole una dolcezza sconosciuta pervase la piantina d'ortica che senza opporre alcuna resistenza si lasciò cogliere dalla mano che, con estrema delicatezza, la dispose nel panierino, avendo cura di avvolgerla nel fazzolettino umido dove aveva posto, per non farli sfiorire, i fiorellini multicolori.
Mollemente adagiata sul fondo del cestino, dove era stata collocata come sul trono di una regina, la piantina d'ortica sradicata dalla pesantezza del suolo natio d'improvviso venne colta da una vertigine, sentendosi d'un tratto incorporea, creatura d'aria e non più di terra, eterea e fluttuante in un mondo che, inspiegabilmente, andava sfocando.
Cancellati tutti i colori.
S'accorse solo allora che tutte le cose all'interno del panierino erano terribilmente fredde, che da loro non scaturiva alcun tepore né profumo.
In uno sprazzo di lucidità intuì che quel lino umido, che avrebbe dovuto mantenerla viva, sarebbe stato, invece, il suo sudario, così come lo era stato per i fiorellini multicolori, il grasso fungo, il tondo cipollotto e le minuscole more: ormai niente altro che nature morte.
Ghermita da un devastante senso d'angoscia, gettò tra le fessure del vimini un ultimo sguardo a quella che era stata la sua zolla di terra dove così a lungo s'era sentita infelice e da dove, ora lo sapeva, mai più avrebbe voluto esser strappata via.
Per un momento le balenò davanti il fotogramma indistinto del grosso ragno, come sempre affannato a compiere acrobazie per tessere la sua inutile tela, e sentì tenerezza e nostalgia per lui, sentimenti sconosciuti che mai aveva provato prima, e che la scaldarono un poco dalla tristezza e dal freddo che sempre precedono la morte.
- Non trovi, anche tu papà, che il mio cestino ora sia davvero bello? - Chiese la bambina rimirando soddisfatta il suo piccolo capolavoro.
- Hai ragione, Emma, è un cestino ineguagliabile - Rispose lui, orgoglioso, chinandosi a darle un bacio.
lunedì 12 settembre 2016
giovedì 8 settembre 2016
Una donna d'altare
Nella folla cercava la sua donna (o il sogno che aveva di lei), quella che non ha odore né colore, connubio tra una martire ed un'anoressica, una tosta, incorruttibile, che vede unicamente dalla sua visuale la prospettiva di quel mondo di cui, ignorando le poche recondite virtù, s'appresta con abnegazione ad espiarne i vizi, che pur le sono altrettanto sconosciuti.
Una donna d'altare.Non una madonna barocca, però, che il luccichio degli ori stonerebbe su quel suo incarnato fatto d'aria, gli occhi spiritati e le labbra serrate in una negazione perenne che non soccombe neppure davanti ai suoi stessi desideri, quelli più intimi, più umani.
Desideri segreti di cui ha paura.
Quegli stessi, impudici e misteriosi, di quando sotto la veste si sfiora con la punta tremante delle dita ed una goccia lattea bagna il polpastrello.
Allora ritrae quel suo dito intinto nel peccato e lo netta, furtiva, tra le labbra, inconsapevole di assaporare il gusto dell'Eden.
Lui cerca una donna siffatta, da irretire, sconvolgere e profanare, perché non lo attrae il dettaglio evidente di un bel viso, un bel culo o gambe perfette, ma quella che vagheggia è una donna senza odore e senza colore, invisibile perfino a se stessa perché inconsapevole della sua potenza e della sua bellezza.
Una donna che solo a lui desideri offrire, con lo sfrontato candore dell'innocenza, quella goccia lattea furtivamente munta da sotto la veste.
martedì 6 settembre 2016
lunedì 5 settembre 2016
Il centro del mito
Una leggenda, per diventare vera, deve nutrirsi di se stessa per potersi espandere all'esterno e lasciare, alla memoria del mondo, tracce d'impianto per conferme biografiche, antropologiche e umanistiche.
Perché anche una leggenda necessita di testimonianze, pezze d'appoggio atte a stabilire un fondamento di veridicità a ciò che è nella realtà solo la proiezione di un desiderio collettivo: il centro del mito diventa così anche il nostro centro.
Perché anche una leggenda necessita di testimonianze, pezze d'appoggio atte a stabilire un fondamento di veridicità a ciò che è nella realtà solo la proiezione di un desiderio collettivo: il centro del mito diventa così anche il nostro centro.
sabato 3 settembre 2016
Una storia Big Babol
Unite le lingue, come gemelle siamesi, da una Big Babol.
Cementificate alle punte.
Condannati gli occhi a doversi fissare.
E le anime a toccarsi.
Quella situazione assurda, però, le avrebbe rivelato quanto di autentico c'era nel sentimento dichiarato da lui, se è vero che gli occhi svelano ciò che la lingua sottace.
Quest'ultima constatazione, grottesca nella realtà del momento, la fece mentalmente sorridere.
Un storia Big Babol.
Una storia infantile e surreale al contempo, da cui Chuck Palahniuk, il suo scrittore preferito, avrebbe saputo ricavarci la trama per un romanzo.
Ma lui non era Chuck Palahniuk, lui si stava innervosendo senza neppure darsi la pena di nasconderlo, dimenticando che in quella ridicola situazione ce l'aveva messa lui, motivo per cui avrebbe dovuto mostrarsi meno codardo e più pragmatico.
Perché quello stupidissimo gioco era stato lui ad idearlo, e lei, curiosa sempre di tutto, lo aveva accettato con entusiasmo.
Gli imprevisti fanno parte della vita, e quasi sempre si trova una soluzione.
"Keep calm and carry on" ("Mantieni la calma e vai avanti"), questo avrebbe voluto dirgli per tranquillizzarlo, se solo ne avesse avuto la facoltà.
Non potendo parlare cercava di comunicare con gli occhi: uno sguardo a cui lui, invece, pareva sottrarsi.
Strappi nervosi e goccioline di sudore sulla fronte.
E occhi sfuggenti.
Cosi andavano rivelandosi sgradite verità, mentre lui grugniva dal naso tutta la sua impotenza, nervoso ed esausto, sollecitando una collaborazione che lei, alla luce dei nuovi fatti, era sempre meno propensa a concedergli.
Lui cercava una via di fuga mentre lei avrebbe potuto, senza troppi stravolgimenti, rimanergli così attaccata per sempre.
Proprio come una Big Babol.
Ma lui, sempre più infuriato e senza più alcun riguardo, andava strattonando le loro povere lingue, gettando occhiate disperate all'orologio.
Respingeva i suoi abbracci, quasi che lei fosse l'ostacolo materiale ad una possibile via di fuga.
Cercava un varco attraverso la distanza.
«eo ndae.» Perso ogni residuo di pudore, andava ripetendo, allo sfinimento, quel ridicolo mantra, mentre il bolo appiccicaticcio andava sempre più solidificando.
«eo ndae.» Sillabava esausto, ormai in preda al pianto.
"Keep calm and carry on": toccava a lei trovare una soluzione.
Era lei l'adulta.
Dolcemente iniziò ad indietreggiare verso la credenza, trascinandoselo dietro, dapprima recalcitrante ma poi sempre più ubbidiente, fiducioso che lei avesse escogitato un espediente per uscire da quella situazione.
Brevemente frugò nel cassettino delle posate trovando ciò che cercava: un coltellino da frutta che, divertita, gli fece balenare davanti agli occhi, godendosi la sorpresa e poi la paura, l'attimo prima di tranciargli di netto la punta della lingua.
«Sei libero. Ora puoi andare.» Disse sputando quel pezzetto di carne.
"Keep calm and carry on": un finale degno di un racconto di Chuck Palahniuk.
giovedì 1 settembre 2016
Come un albero in autunno
Come un albero in autunno, per te mi spoglierò di tutte le foglie per farti dono del mio frutto nudo.
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