Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.

lunedì 10 marzo 2025

Quando gli opposti si attraggono


 

Non fu magnetismo terrestre
ma l'attrazione fatale
tra un sole corsaro e la notte artica
a generare l'aurora boreale,
concepita nell'estasi di organismi multipli
in un cielo freddo e vuoto di stelle
nel pieno di un caos d'incommensurabile bellezza.

giovedì 9 gennaio 2025

Améthyste


Ho eseguito un  gesto irreparabile, ho stabilito un legame.
(Jorge Luis Borges)


Queste nella foto siamo io e Améthyste a passeggio nel nostro quartiere  Non pensate che questa sia un'inquadratura sbagliata, semplicemente non amo essere fotografata ma, dal momento che questo racconto include in qualche modo anche la mia presenza, ho deciso che un dettaglio di me, seppur parziale, dovevo pur darlo.
A ben guardare quest'immagine, niente affatto casuale, esplica molto di noi due, della  stagione e del posto in cui viviamo. Non vi sarà certamente sfuggito il particolare del marciapiede dissestato, dell'erba incolta abbarbicata al muro, della fredda luce pomeridiana invernale, impressa in questo scatto in bianco e nero.
Améthyste ed io viviamo in periferia, non importa di quale città, perché le periferie si somigliano un po' tutte, e la descrizione del luogo non aggiungerebbe niente alla nostra storia. E' una periferia rugosa e arruffata, nelle stagioni fredde così come in quelle più calde.
Credo, con questa sintesi, di aver dato il quadro esatto della location.

Altro particolare che accomuna me ed Améthyste, è che abbiamo entrambe una predilezione per il nero: lei per via del suo DNA, io per scelta esistenziale. L'avrei amata qualunque fosse stato il colore della sua pelliccia, ma il fatto che sia nera me la rende ancora più cara. Più vicina.
In realtà, Améthyste, non è completamente nera, perché alla luce il suo manto rivela cangiante meravigliose sfumature metalliche, bronzo e blu intenso con pennellate di rosso e di viola. Un arcobaleno notturno che magicamente si palesa alla luce del giorno.
Se avessi avuto una figlia l'avrei chiamata Améthyste. Ma non ho figli perché non ne ho mai sentito imponderabile il desiderio, e non è capitato, neppure per sbaglio.
Doveva essere nel mio destino: fine della storia.
Ed un'Améthyste, nella mia vita, comunque c'è.

Ci siamo incontrate proprio su questa strada. C'era questa micia ferma ad un angolo, come in attesa. D'impulso le ho fatto una carezza. Lei mi ha guardato e non è fuggita via.  Dopo quel contatto mi sono staccata a fatica da quel pezzo di marciapiede. Sapevo che non avrei dovuto farlo. Che non avrei dovuto stabilire un legame, neppure momentaneo. Non c'è niente di più oscuro, e drammatico, della commozione: una melassa dove rischi di rimanere impantanato. E allo scoperto.
Così ho ripreso a camminare a passo svelto, e lei ha continuato a seguirmi. Qualche passante ci guardava incuriosito. Dovevamo apparire, agli occhi della gente, una coppia strampalata ma anche molto ben assortita, io con le mie sottane nere e lei che di nero aveva il manto: la strega e la sua gatta.
Non mi piace essere guardata. Non mi piace attirare l'attenzione, per questo lavoro come receptionist notturna in un hotel del centro. Chi sta alla reception non ha bisogno di una fisionomia che s'imprima nella memoria, è solo una voce che risponde alle chiamate e una mano che scrive su un registro. 

Ma tornando a quel mio incontro con  Améthyste, ricordo di aver percorso un lungo tratto di strada e lei era sempre lì, a pochi centimetri da me, aveva calibrato la sua andatura con la mia e procedeva, senza ripensamenti, sinuosa ed elegante, al mio fianco, con la coda dritta come lo scettro di una regina.
Ovvio che in quel momento non potevo sapere se Améthyste fosse una lei o un lui, anche se il mio istinto, da subito, l'ha presagita femmina, e neppure avrei immaginato che quello fosse l'inizio di un qualcosa. Di un'intesa o, ancor più impensabile, di una convivenza, perché non avevo alcuna intenzione di modificare il mio modus vivendi di animale crepuscolare, con le ore vissute nello spazio che va dal tramonto all'alba, e le brevi pause di un sonno asciutto, senza sogni. Il mio tempo è quello di un orologio le cui lancette girano al contrario, così, senza troppi rimpianti ho imparato, al di là di una facile metafora, a scoprire nei tramonti le albe e nelle stelle gli arcobaleni.
Davanti al portoncino nero fumo della palazzina dove vivo, mi sono fermata sulla soglia. Un momento d'indecisione poi ho girato la chiave nella toppa e affrontato la breve rampa di scale che conduce al mio appartamento al primo piano. Ho finto che fossi sola. Ho aperto la porta e Améthyste, senza nessuna indecisione, è entrata e ha cominciato ad annusare tutti gli angoli e gli spazi delle camere. Poi, soddisfatta, è venuta a strusciarsi sulle mie gambe. Mi ha accettata senza che io le avessi fatto alcuna promessa. Senza nessuna rassicurazione da parte mia e nonostante la mia ritrosia.
Semplicemente si è fidata.

Queste nella foto siamo io e  Améthyste, durante la consueta passeggiata pomeridiana nel nostro quartiere. Tra un po' rientreremo a casa per preparare la cena prima d'iniziare la nostra anomala quotidianità: io diretta al lavoro e lei alle sue scorribande notturne. Ci incammineremo entrambe verso la fermata della metro, io come sempre un po' impacciata nel tailleur nero e leggermente traballante sui tacchi d'ordinanza della mia divisa da receptionist, e sulla spalla una capace tracolla che ospita Améthyste durante il nostro percorso verso il centro, da cui sgattaiolerà fuori appena giunte davanti all'Hotel dove prenderò servizio. C'è sempre, ormai da un po' di tempo, un piccolo gruppo di gatti che l'attende all'angolo dell'elegante palazzo, e con i quali s'avvia nelle sue segrete avventure urbane: battute di caccia e spericolate esplorazioni di quegli angoli inibiti a noi umani.
Dal canto mio, con molta discrezione, dalla mia postazione sempre getto uno sguardo al portoncino smerigliato dell'Hotel per vedere quando si palesa al di là del vetro la sua piccola ombra scura, perché stanca delle sue scorrerie o più semplicemente perché vuole starsene un po' con me. Accucciata sotto il bancone sgranocchierà crocchini e se ne ha voglia schiaccierà un pisolino, al caldo d'inverno, al fresco d'estate, gratificandomi con la morbida carezza del suo respiro che mi sfiora le gambe.
Siamo molto avvedute e nessuno, nell'hotel, si è accorto mai della sua presenza. Ma l'ha notata, invece, la mia dirimpettaia, che ora spesso lascia davanti la porta di casa qualche leccornia felina. Una premura che Améthyste di certo non disdegna, e ricambia la gentilezza con affettuose strusciatine le volte che ci è dato incrociarla sulle scale. La mia vicina esce di rado perché afflitta da una severa patologia alle gambe, e così sono convinta che quegli incontri non siano affatto casuali.
Ultimamente, tra gli estimatori di Améthyste, che per via di queste nostre passeggiate è diventata una celebrità nel quartiere, si è aggiunto anche il proprietario del negozio di libri, che sempre s'affaccia, e ci saluta, ogni volta che passiamo davanti alla sua libreria. Per lei, davanti all'entrata, ha posto una ciotolina viola per l'acqua ed una per i crocchini, e scritto col pennarello dorato il suo nome. Così la sosta nel suo negozio è diventata parte integrante del nostro percorso, e una delle abitudini irrinunciabili di Améthyste. E mentre lei si ristora, e se non ci sono acquirenti, c'è anche tempo per una breve, cordiale conversazione. Ieri, nonostante il mio evidente imbarazzo,  lui mi ha voluto regalare un libro che tratta di psicologia felina. Me lo ha porto con un sorriso, quasi scusandosi: «Si vede che lei ed  Améthyste siete molto affiatate e probabilmente questo manuale non aggiungerà nulla alla sua esperienza, ma mi farebbe comunque piacere se lei lo accettasse.»

Quel regalo inaspettato conteneva un'interessante miniera d'informazioni di cui nulla sapevo, anche se credo che nessuno, davvero nessuno, potrà mai esplorare completamente, al di là della sua esteriorità, il complesso, enigmatico, meraviglioso mondo felino.
E credo che questo sia un bene.

sabato 2 novembre 2024

Anche gli oggetti hanno un'anima


 Ci sono oggetti che non possiamo modificare, né regalare, né tanto meno disfarcene, perché sono dotati di un'anima, vivono del nostro respiro e dei nostri desideri.
Sono rappresentativi di noi stessi più di qualsiasi altra nostra immagine perché appieno ci rispecchiano, hanno il nostro odore e il nostro mistero.

Haiku (mystic)




Come un dardo, 
al tramonto, la luce
mi attraversò.

lunedì 28 ottobre 2024

Apologia del rosso



Il raso di una sottana
La punta di uno stivaletto
L'ovale di un'unghia
La trappola di una bocca
Il rosso è sempre fatale (quando vuole)

venerdì 25 ottobre 2024

Dalla parte di Penny


 Ulisse è Penelope, almeno quanto Penelope è Ulisse, entrambi con la propria tela, entrambi con le proprie traiettorie imperscrutabili.
Ma quelle di Ulisse lo sono, di sicuro, di più. Diciamocelo che in quanto a traiettorie era un genio: si è volatilizzato dal suo castello di Itaca per materializzarsi di nuovo, sulla soglia di casa, vent'anni dopo la sua partenza.

Penny, che aveva la passione per il telaio, ha tessuto una meravigliosa coperta pensando di usarla come un antesignano tepee indiano, una capannina solo per loro due. Di buon grado Ulisse ha accettato la coabitazione (Penelope era una gran bella donna, molto intelligente ed anche molto paziente), ci si è divertito, ci ha fatto un figlio, fin quando ha deciso che la routine lo annoiava e che fuori dal tepee c'era tutto un mondo da scoprire: donne, avventure, guerre e gloria ma, soprattutto, niente più responsabilità.

Così, un mattino che Penelope è andata a fare la spesa (o dal parrucchiere) lui ha smontato il tepee e se l'è gettato sulle spalle a mo' di poncho, s'è acceso un cigarillo, ha riempito un otre d'acqua e una bisaccia di cibo, e si è preso il suo anno sabbatico, anche se poi è durato venti.
Ma siccome era un re, e Penny era pur sempre sua moglie e la madre di suo figlio, erede del nome e del trono, non si è eclissato alla chetichella ma le ha lasciato un bigliettino: sono via a salvare il mondo e non so quando torno, ma tornerò. Aspettami. Ti amo.
Di quello che Ulisse ha fatto dopo che ha varcato la porta del castello, sappiamo tutto (forse l'unica a non sapere niente era la moglie, come quasi sempre in questi frangenti accade) per merito di Omero che, con i ventiquattro tomi dell' Odissea, ci ha ragguagliato sulle peripezie del suo viaggio di ritorno a Itaca, traendone un best seller mondiale. Ulisse ha amato altre donne, avuto altri figli, combattuto guerre, ed è riuscito perfino ad inimicarsi Poseidone, il dio delle acque, dei terremoti e delle tempeste. Un tipo davvero irascibile che gli ha messo i bastoni fra le ruote (si fa per dire, visto che Ulisse viaggiava su una nave), creandogli inciampi d'ogni tipo sulla via del ritorno.

Direi, però, che della storia di questa coppia, la parte  più affascinante non è quella che riguarda Ulisse, che di lui, grazie ad Omero, conosciamo fatti e misfatti, ma quella più defilata di Penny, che si aggira solitaria nella sua casa, avvolta nelle brume del mistero.

Io sono convinta che su Penny, per via dei codici dell'epoca, ci siano state trasmesse un bel po' di fake allo scopo di convincere tutte noi, perfino ai nostri giorni, della inalienabilità di virtù catto/integraliste, a lei attribuite, come la fedeltà coniugale e la dipendenza dall'uomo e dal focolare domestico.
Ma no, non è così, e le azioni di Penny (quelle pubbliche, di cui siamo a conoscenza) lo smentiscono in pieno.
Ha preso il posto di Ulisse nella gestione della casa e del trono; tiene a bada ben 108 pretendenti, che nella maggior parte dei casi non sono proprio dei gentiluomini; cresce da sola un figlio e si occupa del governo dell'isola. Per vent'anni gestisce tutto lei.
Davvero qualcuno può pensare che abbia avuto il tempo di fare e disfare una tela allo scopo di prender tempo per evitare nuove nozze? Anche se, di un altro marito, francamente non ne sentiva l'esigenza.
L'unica tela che ha filato è quella del tepee in cui ha sedotto Ulisse. E guarda caso di questa tela, l'unica da lei realizzata, non se ne sa niente. Nessuno ne fa menzione! Tanto meno Ulisse, con la complicità di Omero, per non rivelare al mondo che il super eroe, il macho, lo sciupafemmine, è stato stregato sotto una tenda da una donna.
Ma nonostante tutto, con tenace ostinazione, si continua a favoleggiare di quella tela virtuale, tessuta di giorno e disfatta di notte, sotto gli occhi dei 108 pretendenti che non dovevano, in virtù di ciò, brillare per intelligenza.

Alla luce di queste argomentazioni rimane davvero difficile immaginare Penny sottomessa e passiva, seduta al telaio a tessere, o affacciata alla finestra a scrutare l'orizzonte in attesa del ritorno di Ulisse.
Più probabile che abbia preso tempo cedendo volutamente, per voglia o per svago, a qualche pretendente, magari al più giovane o al più sexy, perché sono certa che, in quel folto gruppo, non ci fossero altri parametri di selezione. 
E al diavolo l'attesa e la fedeltà!
Vent'anni, per una donna, sono veramente tanti.
Perché mai una come lei, seducente, intelligente e scaltra, avrebbe dovuto consumarli, e consumarsi, nell'inutile attesa di un uomo che, vista la piega che avevano preso gli eventi, di certo non la meritava?
Così ha trasformato il tempo della solitudine in quello della maturazione. Dell' emancipazione.
Essere bella per se stessa, e autodeterminata nella sua volontà di scegliere e non di essere scelta.
In piena consapevolezza.
E che il mondo continuasse pure ad immaginarla paziente, fedele, subordinata. E docile. 
Ancella, intenta a filare un'interminabile tela.
Moglie, in attesa alla finestra.
Non le sarebbe importato, perché quello che suo marito, il mondo, gli uomini e la storia ignoravano, è che lei la sua vita l'aveva, fino in fondo, vissuta.