Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.

sabato 18 ottobre 2025

Rebecca (cap. 22)




CAUSE ED EFFETTO
«Sono qui per cercare di capire, e fare chiarezza, su quei motivi da voi definiti morali che vi hanno indotto a fare a meno dei nostri servizi dopo un lungo e corretto rapporto di lavoro iniziato circa vent'anni fa.» Così, senza troppi preamboli, Giovanni Basile aveva da subito chiarito a Michele Messinese lo scopo di quella sua visita neppure annunciata.

«Il vostro socio non ve li ha esposti?» Aveva risposto con un sorriso fugace il figlio maggiore di Mimì, indicandogli una sedia dove accomodarsi.

Giovanni ignorò l'invito. «Mi piacerebbe avere anche la vostra versione.» 

«Concetto Scalavino ha adottato un comportamento vessatorio nei confronti di mio padre con costanti pressioni, e insidiose manipolazioni, per realizzare quel progetto di matrimonio tra mio fratello e sua figlia, e a cui mio padre, un uomo dal carattere mite, non ha saputo opporsi. Questa sua incapacità, unita alla consapevolezza che Giandomenico non voleva questo matrimonio, lo ha precipitato in un profondo stato di sofferenza emotiva sfociata  nell'infarto.»

 Il tono crudo, ma privo di veemenza con cui  Michele Messinese aveva formulato il suo j'accuse, dove però non aveva mai pronunciato la parola "assassino", avevano colpito Giovanni Basile, come se quella opinione, appena espressa, non fosse la sua ma il giudizio di altri: lui era solo il latore della sentenza e non il giudice che l'aveva emessa. 

«Presumo che, per lanciare accuse così gravi, questo vostro convincimento basi su una conoscenza personale del mio socio e una partecipazione agli eventi.» Ipotizzò ironico, Giovanni Basile

Michele scosse il capo: «No, lo conosco solo di nome in quanto fornitore unico per i lavori di Giandomenico e per la nostra scuola d'ebanisteria di Parigi. Ad amministrare la società è sempre stato mio padre, io sono subentrato solo ora, alla sua morte, e confesso che questo del contabile è un incarico che non mi attrae ma che dovrò portare avanti. » 

«E di cosa vi occupavate prima?» Chiese, incuriosito da quella spontanea rivelazione.
 
«Dei terreni di famiglia, perché sono l'unico dei Messinese che non ha nessuna predisposizione all'arte dell'ebanisteria, e che gli alberi ama vederli eretti e non piallati. In definitiva sono un contadino.» Concluse con un certo compiacimento, accendendosi una sigaretta.

«Davvero credete che la causa della morte di vostro padre sia d'attribuirsi a Concetto Scalavino, oppure avete sposato la convinzione di vostro fratello?» Domandò, in tono pungente Giovanni Basile, entrando nel vivo dello scopo della sua visita.

« Le parole sono un'arma molto potente, quelle dette così come quelle non dette, e come un'arma possono uccidere. Nel corso della sua vita mio padre ha imparato a decifrarle negli accenti e nelle pause perché sempre, nella loro apparente soavità c'era una traccia di veleno, e a neutralizzarle quando, giungendogli alle spalle, lo ferivano come coltellate. Da sempre ha dovuto fronteggiare la malevolenza dei nostri concittadini, soprattutto  nei confronti di mia madre, ritenuta un'adultera, e di Giandomenico, un invertito.» Lo guardò per valutare l'effetto del suo discorso crudo «Ma, nonostante tutto questo, aveva le spalle larghe e un'anima grande. Non sono state le calunnie ad ucciderlo, a quelle era abituato, ma l'ipocrisia a cui per un momento, lui stesso ha ceduto. Quella finzione, suggeritagli in modo così persuasivo dal signor Scalavino, e a cui ha sperato si piegasse mio fratello.» 

 «Perdonate la franchezza, ma siete certo di non aver trovato in Concetto Scalavino il capro espiatorio per pareggiare i conti con la malevolenza che da sempre vi perseguita? E' un uomo dal carattere difficile, talvolta perfino dispotico, lo riconosco, ma lo si può arginare con un atteggiamento deciso, perché se Mimì subiva passivamente la sua prepotenza, Giandomenico, invece, con la sua risolutezza sarebbe stato benissimo in grado di fronteggiarlo, e con la sua risolutezza chiarire la sua posizione. Per un uomo di grande sensibilità, come vostro fratello, non sarebbe stato difficile esporre le ragioni del suo rifiuto, senza umiliarlo Quindi, se vogliamo scavare nell'ambito delle concause che hanno, secondo il vostro punto di vista determinato la morte di Mimì, si potrebbe obiettare che anche vostro fratello abbia concorso a ....» 

 Michele Messinese lo interruppe  sdegnato «Credete che Giandomenico non si senta colpevole? Che abbia interamente addossato tutta la responsabilità a lui?» Obiettò, il giovane, con durezza «Certo che si sente responsabile di non aver gestito lui la situazione, ma è stato per un eccesso di riguardo verso la ragazza, trattata da suo padre come un semplice oggetto di scambio. Ad ogni modo nemmeno lei voleva questo matrimonio. Era solo Concetto Scalavino a volerlo!» Esclamò risentito.

«Ne siete davvero convinto? Il sospetto che in cuor suo, anche Mimì lo desiderasse non vi ha mai sfiorato? Dubbio che, invece, deve aver avuto Giandomenico, tanto da sentirsi messo in discussione, per la prima volta in vita sua, da colui che lo aveva da sempre accettato nella sua essenza. E la scoperta che anche suo padre lo voleva forse diverso da quello che era, o sembrava essere, deve averlo sconvolto nel profondo, così da covare rancore nei suoi confronti e odio in quelli di Concetto Scalavino. Vi esorto quindi a vigilare su di lui: tenetelo d'occhio!» Avvertì in tono perentorio, avviandosi alla porta.

 Michele Messinese, lo fermò «Aspettate! Ho una richiesta per il signor Scalavino.» 

Giovanni Basile lo guardò stupito.

 «Capisco il vostro sbalordimento, ma se non mi aveste preceduto venendo qui, oggi stesso sarei andato da lui, per chiedergli se fosse ancora disponibile la fornitura di legname commissionata da mio padre per i lavori di Giandomenico presso la Santa Sede.»


  Giovanni Basile assentì «Non una semplice fornitura ma un omaggio all'arte di vostro fratello, e da lui sdegnosamente rifiutata.» 

  «Devo confessarvi che non sono stato all'altezza del mio nuovo incarico non riuscendo a trovare un fornitore in grado d sostituirla in così breve tempo. .Questa mia incapacità rischia ora di danneggiare mio fratello e così...al diavolo il mio orgoglio, perché se quel legname fosse ancora nel vostro magazzino sarei disposto a pagarlo qualsiasi prezzo.» 

 «Siete generoso ad assumervi tutta la responsabilità di un danno che non è dipeso essenzialmente da voi, a tornare sui vostri passi e chiedere aiuto a colui che la vostra famiglia ritiene essere l'assassino di vostro padre.» Tacque, il tempo necessario che le parole sortissero il loro impatto emotivo, per poi chiedere in tono asciutto «E...Giandomenico è a conoscenza di quanto state facendo?» 

Il giovane annuì.

«Immagino che per il suo orgoglio, questa prospettiva equivalga ad una disfatta personale.» Sorrise, senza allegria. «Il suo orgoglio, però, non è dello stesso valore del vostro. Non così altruista.»

«Vi sbagliate se credete che mio fratello possa avvalersi di meschini stratagemmi per giungere al suo scopo, mandando avanti me per i suoi interessi. Sarò schietto con voi perché lui non è affatto d'accordo su questo passo indietro, piuttosto rinuncerebbe al suo prestigioso incarico presso la Santa Sede, compromettendo così la sua reputazione e la sua carriera, se non fosse che questo avrebbe conseguenze disastrose sulla credibilità della nostra azienda che nell'ebanisteria ha fondato la sua ragion d'essere, col talento indiscutibile di Giandomenico e con la lungimiranza di Giacomo e Salvatore che a Parigi hanno istituito "L'Accademie Italienne d'Ebenisterie" frequentata dai giovani provenienti da ogni parte d' Europa per apprendere i segreti delle tecniche d'intarsio e finitura del legno degli artigiani italiani: un fiore all'occhiello, non solo per la Sicilia, ma per tutta la nostra penisola.» Tacque, il tempo per accendersi un'altra sigaretta «Ma a causa della mia imperizia, a cui oggi sto tentando di porre rimedio, ho messo a rischio tutto questo. Capita quando la ragione viene sopraffatta dall'emotività: avrei dovuto rendermi conto io per primo dell'irragionevolezza di mio fratello in questo contesto, in balia dei suoi demoni e della sua disperazione per la morte di nostro padre.» Alzò gli occhi a cercare il suo sguardo «Voglio essere completamente sincero con voi, signor Basile, perché non sono neppure certo, qualora voi vorreste acconsentire a questa richiesta, che Giandomenico sia disposto ad usare quel legname, ma semmai accadesse dovrebbe essere privo dell'egida di mecenate di Concetto Scalavino. Il prezzo per la fornitura lo stabilirete voi. Siamo disposti a pagare qualunque cifra voi decidiate.» 

Giovanni Basile lo guardò perplesso «Sapete cosa penso? Che vi attribuite colpe che non avete perché quel danno, vostro fratello, se l'è procurato da solo a causa del suo smisurato orgoglio, e temo che imporgli questa soluzione ve lo renderà ancora più ostile. Più furioso. Perché per lui, accettare questa via d'uscita  equivarrebbe ad abiurare le ragioni del suo risentimento, e rendere più grande ed insopportabile la sua umiliazione.» 

 Michele Messinese, con un sorriso mesto, assentì «Ma, in ultimo, dovrà accettarla perché non ci sono altre alternative. Dite al signor Scalavino che siamo nelle sue mani.» 

giovedì 4 settembre 2025

Rebecca (cap. 21)


 UNA PIU' REALE PROSPETTIVA
«Devo parlarvi.»
Rebecca, nell'approccio  asciutto di Giovanni Basile, aveva percepito l'urgenza di quella richiesta. Con la mano indicò la panchina sotto il pergolato, dove sedettero. Senza porre indugi Giovanni trasse di tasca la lettera di Concetto Scalavino e la porse alla giovane: «E' la lettera che vostro padre ha scritto a Mimì Messinese, vorrei avere la vostra opinione al riguardo.»

«La mia opinione?» Domandò sorpresa, guardandolo negli occhi. «E di questa richiesta mio padre ne è al corrente?» 

«Vostro padre mi ha incaricato di far luce su una questione per lui di grande importanza ma che riguarda anche voi, per cui l'ho informato che avrei chiesto anche il vostro punto di vista.»

Rebecca lesse la lettera. Quando terminò era visibilmente impallidita. «E' una lettera indegna, e che l'autore sia mio padre, ai miei occhi ne accresce l'oltraggio.» Con disgusto la respinse lontana da sé, come fosse una cosa immonda. «Distruggetela! Se questa lettera cade nelle mani di Giandomenico credo che per mio padre non ci sarà scampo. Lo reputa responsabile della morte del suo.» Asserì in tono sommesso «Ma giudica anche se stesso colpevole: ed è una sentenza inappellabile.» 

«Come lo sapete?» 

«Ci ho parlato.» Rispose, con un percettibile tono di sfida.

Giovanni Basile scosse il capo in segno d'approvazione. «Si, andava fatto.» E, dopo un breve silenzio, chiese: «Come giudicate l'intera faccenda?»

«Era solo mio padre a volere questo matrimonio, ma non per questo è responsabile della morte di Mimì Messinese. Credo che per lui nutrisse un affetto sincero ed egoista al tempo stesso. Lo stimava. Lo ammirava. Forse anche lo invidiava. Ma a suo modo gli voleva bene. Sono convinta che mai, consapevolmente, avrebbe voluto nuocergli.» Un sorriso amaro le increspò le labbra. «Anche se le motivazioni con cui, in questa lettera, lo sprona a perseguire quel suo progetto, farebbero presupporre il contrario.»

«Di certo ha compiuto una enorme, ulteriore forzatura su un uomo che per tutta la vita si è visto costretto a doversi difendere, dalla maldicenza e dalle fandonie, con l'arma della sopportazione.» Convenne Giovanni Basile. «Ma forse lo stesso Mimì si era convinto che il matrimonio potesse essere la soluzione per metter fine alle calunnie, tranne poi scontrarsi col disappunto di Giandomenico...e col vostro.» 

«Il mio rifiuto non riguarda Giandomenico nella sua persona, ancor meno le dicerie che lo perseguitano.
Lo ritengo un uomo leale e, per lui, nutro il massimo rispetto, ma non accetto l'idea che si disponga di me al di là delle mie volontà. E, in queste, il matrimonio non è contemplato.» Asserì risoluta. 

Giovanni Basile fece il gesto di alzarsi, ma lei lo trattenne leggermente per un braccio: «Cosa farete ora?»

«Andrò a parlare con la famiglia Messinese. E poi col medico di vostro padre. L'isolamento forzato induce a vedere fantasmi. Magari una sedia a rotelle contribuirà ad allontanare le ombre e ristabilire una più reale prospettiva.» 


UN PASSO INDIETRO
Che fossero fratelli, o più semplicemente consanguinei, Michele e Giandomenico Messinese, mai lo si sarebbe detto. Vigoroso, barbuto e bruno, Michele, figlio maggiore di Mimì, s'imponeva alla vista per quella fisicità marcata, tipica degli uomini della sua famiglia e, pur non essendo di un'altezza superiore alla media, pareva sovrastare gli altri. Di contro, Giandomenico, il più giovane dei fratelli, pur avendo la stessa altezza, ma esile di corporatura, chiaro di pelle e di capelli, risultava quasi incorporeo al suo cospetto. Un'ombra, che neppure il pesante pastrano in cui era intabarrato, riusciva a dargli un volume.

«Questo licenziamento va giustificato esclusivamente nell'ambito degli affari. Nessuna accusa, che non possa essere provata, deve essere mossa nei confronti di Concetto Scalavino.» In previsione della visita di Giovanni Basile, così Pietra s'era espressa. Poi, rivolgendosi direttamente a Giandomenico, lo aveva ammonito: «Perché nessun tribunale, sull'imputazione astratta del tuo risentimento, lo condannerebbe per la morte di tuo padre, e alimentare chiacchiere o, peggio ancora, uno scandalo, a pochi giorni dalla tua partenza per Roma sarebbe, per noi, dannoso.»

«Pochi giorni alla partenza per Roma...pochi anche per sostituire il legname dello Scalavino.» Michele s'era intromesso, togliendo al fratello la possibilità di replica «Non mi è stato possibile, in così breve tempo e nonostante i miei tanti tentativi, trovare un fornitore in grado di rimpiazzarlo per questa commessa.» 

«Stai dicendo che dovremmo fare un passo indietro?» La voce di Giandomenico era risuonata ostile.

Michele, aveva allargato le braccia in segno d'impotenza: «Mi spiace, ma in un tempo così breve nessun fornitore si è detto in grado di poter esaudire la nostra  richiesta. Siamo costretti, in questo frangente, ad acquistare il legname dalla Ditta Scalavino, già pronto, quello, per la spedizione.»

«Vuoi continuare a fare affari con l'assassino di nostro padre?» Sprezzante, Giandomenico, gli si era fatto sotto, i pugni serrati e lo sguardo febbrile, pronto a battersi per quell'oltraggio.

«Basta!» Pietra, esasperata, s'era frapposta fra loro «Con questo indegno atteggiamento state disonorando il nome di vostro padre, ed io non posso tollerarlo.» Non era avvezza ad alzare la voce, Pietra, abituata a risolvere le piccole e grandi questioni famigliari con energia. Una donna risolta che con autorevolezza aveva saputo gestire quella sua famiglia di maschi, compensando le irresolutezze e gli impacci del capofamiglia, assumendosene il ruolo.
Fino a quel momento, quando d'improvviso s'era resa conto d'esser non solo vedova di Mimì ma, al pari dei figli, anche la sua orfana. Perché ora che lui non era più nemmeno sullo sfondo percepiva, nella sua definitiva assenza, un inglorioso abbandono, perché la morte era stata una facile via di fuga che lo aveva messo al riparo dalle incognite di quella situazione che lui stesso, a causa della sua titubanza, aveva contribuito a creare. Così, ancora una volta, come le innumerevoli altre, sarebbe toccato a lei porvi un rimedio. 
Puntò il dito verso Giandomenico «Andrai a Roma e rispetterai l'impegno preso col Santo Padre. Non possiamo rischiare la credibilità della nostra azienda con un rifiuto così tardivo e difficilmente giustificabile. E neppure chiedere altro tempo, per trovare un nuovo fornitore, è più possibile. Non rischieremo, per il tuo orgoglio, il buon nome dei Messinese, e dal momento che non ci sono altre soluzioni, ci serviremo della fornitura di Concetto Scalavino. Sarà l'ultima. Esigeremo di pagarla un prezzo maggiore del suo valore, se questo aiuterà il tuo orgoglio. A sistemare la faccenda ci penserà Michele, è lui ora l'amministratore. Tu stanne fuori.»

Un sorriso di scherno s'era disegnato sulle labbra di Giandomenico che, a quell'intimidazione, mimò un ironico inchino «Avete, come sempre, predisposto tutto, e a noi non rimane che obbedire.» 

«Se hai un'alternativa valida, proponila» Obiettò impassibile Pietra. «Ma se non ne hai non ti resta che adeguarti. Da questa attività dipende il benessere della nostra famiglia. Tuo padre ci ha duramente lavorato per renderla solida. Ed anche io. Per questo andrai a Roma ad onorare l'impegno preso col Santo Padre, e se questo implica un passo indietro con il vecchio fornitore, faremo quel passo indietro. E' l'ultimo obbligo a cui ti chiedo di adempiere. Dopo, sarai libero di tutte le tue scelte.»

mercoledì 20 agosto 2025

Rebecca (cap. 20)


 

UNA LETTERA MAI SPEDITA
Dalla cucina, le voci di Giovanni Basile e Brigida Catalano raggiunsero Rebecca nel corridoio. L'uomo, in tono pacato ma fermo, chiedeva conto alla governante delle lettere sparite dalla camera di Concetto Scalavino, e in particolare di una indirizzata a Mimì Messinese.

«Sparite?» Chiese la governante in tono leggermente divertito, guardando Giovanni Basile diritto negli occhi. «E con "sparite" intendete trafugate?»

«Non vi sto accusando di nulla.» Ribadì lui, conciliante.

«Le lettere le ho io.» Disse Rebecca entrando in cucina. «La signora Catalano le ha raccolte ai piedi del letto di mio padre e le ha consegnate a me. Corrispondenza d'affari che sto copiando in una scrittura leggibile dal momento che il letto non è una scrivania e la postura, a cui mio è costretto, non ha di certo migliorato la sua già pessima grafia.»

«Una lodevole iniziativa di cui, immagino, ve ne sarà grato.»

«Ne dubito, signor Basile,  ma non l'ho fatto per avere la sua gratitudine quanto, invece, la sua attenzione.» Ribadì pensierosa.

«Non avete la sua attenzione?» Nell'interrogativo di Giovanni Basile c'era una nota di cordiale curiosità.

«Non del tipo che vorrei.» Rispose coincisa, per poi tornare all'argomento delle lettere: «Una dozzina tra fatture e pratiche amministrative, che ho letto, ed una lettera indirizzata a Mimì Messinese, di cui ignoro il contenuto, perché privata.»

«Quindi quella lettera non è mai stata recapitata? Non ha mai lasciato la casa?» Domandò lui, sollevato

La ragazza scosse la testa in segno di diniego. «Recapitata? E a chi?» C'era una nota di genuina sorpresa nella sua domanda. «Mimì Messinese è morto e, ad ogni modo, sarebbe toccato a mio padre impartire direttive al riguardo.»

«Potrei vederla?» Chiese Giovanni Basile.

«Certo. La vado a prendere.» 

Subito dopo era tornata con una dozzina di fogli che poggiò sul tavolo: nel mucchio spiccava una busta sigillata sul cui fronte era scritto Per Mimì.

«Questa la prendo io.» Giovanni Basile mise in tasca la lettera «Tutte le altre le lascio a voi per continuare nel lavoro di copiatura. Sono sicuro che, una volta messo al corrente, vostro padre lo apprezzerà.»


UN MITE FANTASMA
« Ecco la tua lettera.» Annunciò, in tono ironicamente trionfale, Giovanni Basile, porgendo la busta all'amico allettato. «E' intatta come vedi. Era scivolata sul pavimento insieme agli incartamenti commerciali a cui stavi lavorando e che tua figlia sta riscrivendo in bella calligrafia.»

«Rebecca? » Domandò sorpreso. « E perché? Non le ho mai affidato l'incarico di ricopiare la mia corrispondenza commerciale.» Scosse il capo dubbioso. «La zita dovrebbe interessarsi di cose da femmina, come il suo corredo da sposa invece che del commercio del legname. » 

Giovanni Basile allargò le braccia «Ma se fosse stata  un picciotto te ne saresti fatto meraviglia o, al contrario, ne saresti andato fiero? »

«Ne avrei fatto un gran vanto... e Dio solo sa quanto avrei voluto quel figlio maschio!» Esclamò amaro il mercante.

«Un figlio maschio, però, non è sempre sinonimo di garanzia di continuità. Il mondo è pieno di smidollati di buona famiglia che ne hanno dilapidato i capitali e disonorato il nome. Le persone vanno considerate per il loro carattere e la loro intelligenza. E tua figlia, di carattere ed intelligenza, ne ha da vendere.» 

 «Carattere ed intelligenza, dici? Ma se così fosse non avrebbe disdegnato il matrimonio con Giandomenico Messinese, e tutto quello che ne sarebbe derivato. Rebecca non è poi così intelligente come pensi, amico mio. E quello che chiami carattere, è solo testardaggine.» Rispose esausto.

«Cosa ne facciamo di questa? » Giovanni Basile indicò la busta sigillata.

«Distruggila! Mimì è morto e la sua famiglia mi è diventata ostile. »   

«Hai creduto che i Messinese avessero interrotto ogni rapporto con te per via di questa lettera?» Domandò, cauto, Giovanni Basile.

Concetto Scalavino assentì: «La famiglia Messinese... non so...ma Giandomenico si, lui si è rivelato da subito avverso quando, invece, avrebbe dovuto essermi grato per tutto quello che gli stavo offrendo.» 

Giovanni Basile sorrise a quest'ultima considerazione da cui dissentiva, ma non obiettò nulla, consapevole che non era quello il momento per i ragionamenti etici, quanto piuttosto quello che necessitava era di tirar fuori il suo amico da quella stanza dove, ai piedi del letto, immaginava fluttuasse il mite fantasma di Mimì Messinese, ostaggio del rammarico e della nostalgia  di Concetto Scalavino.


LA LETTERA SEGRETA
In altre circostanze mai lo avrebbe fatto, perché non era abitudine di Giovanni Basile leggere la corrispondenza altrui ma, stavolta, avrebbe trasgredito. Aveva bisogno di capire, nella maniera più diretta e veritiera, fino a che punto il suo amico s'era spinto nell'infausto progetto di matrimonio  concordato con Mimì Messinese, e in quella lettera segreta, da distruggere, avrebbe trovato la spiegazione. 
Senza esitare strappò la busta. Il foglio, al suo interno, era coperto da una grafia puntuta che rendeva acuminate anche le parole più morbide. 

Mio caro amico, non ve la starò a tirare per le lunghe ma, come è mia consuetudine, vado diritto al punto che interessa entrambi, ossia il matrimonio dei nostri figli, dal momento che anche oggi, durante la vostra ultima visita, non ne avete fatto menzione. Ne avete discusso con vostro figlio? Suppongo di no, visto che siete rimasto muto sull'argomento, così mi vedo costretto, per il buon esito del nostro progetto, a chiedervi una piccola, ma salutare forzatura, nei confronti di Giandomenico, che pure ho visto non indifferente alla mia Rebecca. Questo matrimonio, come ho già avuto modo di spiegare, metterebbe a tacere le chiacchiere sulla sua supposta mancanza di mascolinità che minano la sua immagine di uomo prima ancora che di artista. Chiacchiere che se giungessero al Santo Padre forse ne causerebbero il ripudio. Per questo il matrimonio dovrebbe essere celebrato prima della sua partenza per Roma, in modo che vi giunga con tutte le credenziali in ordine e magari con una moglie già pregna. Scusate la schiettezza con cui riassumo la situazione ma il tempo non gioca a nostro favore visto che Giandomenico a breve sarà in viaggio, e un matrimonio solenne, come quello che è nei nostri intenti, non s'improvvisa.
Conto sulla vostra determinazione, Mimì, che compito di un genitore è quello di guidare i figli, tenere salde le briglie e mostrare loro la strada. State certo che un giorno Giandomenico vi ringrazierà.

Una lettera più simile ad un messaggio ricattatorio che ad un'affettuosa sollecitazione verso il futuro consuocero. Ed anche se non era questo l'intento, ne aveva tutta l'apparenza.
Giovanni Basile ricacciò la lettera in tasca. Come promesso, l'avrebbe poi distrutta.

martedì 12 agosto 2025

Il perseguimento di un caos disciplinato



Scrivo questa pagina del mio diario non solo per tenere a mente i dettagli della storia della storia di Rebecca ma, soprattutto, per ricordare a me stessa che qualcosa nella mia vita dovrò pur portare a compimento.
Se non il mio destino almeno quello di Rebecca.


E' un periodo positivo questo, perché ritrovando Rebecca sto ritrovando me stessa, nonostante le prevedibili difficoltà a riprenderne il racconto iniziato un giorno imprecisato del 2013 (o forse anche prima); capitoli rivisti e ripubblicati a partire dal 20 Luglio 2019; in stand by dal 12 maggio del 2020; e poi ripreso, con l'intenzione di portarlo a termine, il 3 Agosto del 2025. 
Mi sono persa un'infinità di volte, facendomi distrarre da fatti meno potenti e molto più terreni, distogliendomi dalle mie esplorazioni nel mondo della scrittura, viaggiatrice solitaria di un parallelo agli altri sconosciuto, dove il Bianconiglio e Matrix convivono in un faro, rifugio dalle ossessioni del tempo e dalle illusioni dei software. Un parallelo dove Penelope non resta più a guardare il mondo dal riquadro di una finestra ma, prese in mano le redini del suo destino, si fa beffe del patriarcato.

M'ero cacciata in un vicolo cieco nel capitolo 18, che nella sua seconda parte ho dovuto riscrivere non ricordando i processi mentali per cui avevo intrapreso quel percorso. Ho passato ore a rievocare i motivi per cui Concetto Scalavino avrebbe dovuto far consegnare una lettera a Mimì Messinese già morto. E nello stesso tono, avevo proseguito nel capitolo 20 (in bozze dal 20 Settembre 2024). Un vero rompicapo. Un coacervo da cui non riuscivo a districarmi, ma dove oggi, con le modifiche apportate al capitolo 18, ho ritrovato il bandolo. Spero di proseguire ora spedita, anche perché non ho l'abitudine di prendere appunti, ancor meno di tracciare la trama, ma d'improvvisare al momento. Forse perché nella vita sono una persona molto ordinata, metodica e, ai miei stessi occhi molto prevedibile, ho cercato di radicare la mia scrittura su un caos disciplinato che si fonda sui contrasti degli ossimori, gli eccessi delle iperbole e l'audacia dei paradossi.
 E' sul perseguimento di questo caos disciplinato che si basa la ricerca del mio marchio d'autrice.

Marilena

domenica 3 agosto 2025

My Body My Rules



«Era il 12 Maggio del 2020, cinque anni fa, quando hai scritto l'ultimo capitolo della mia storia. Un racconto mai terminato, nonostante le tue promesse e i buoni propositi.»

La voce alle mie spalle, nella stanza vuota, mi coglie di sorpresa. Mi giro e vedo lei, Rebecca, la protagonista dell' omonimo racconto. Se non fosse per la massa rossa dei suoi capelli non l'avrei riconosciuta, tanto è cresciuta. Non più l'adolescente ribelle ma una giovane, bellissima donna proveniente dal secolo scorso, che però indossa jeans scoloriti, anfibi, e un top verde scuro che le lascia scoperto l'ombelico. 
La  guardo stupita. Senza parole. 

 Sinceramente divertita della mia meraviglia, dice: «ho anche un tatuaggio.»  e mi mostra il polso dove campeggia la frase "my body my rules".

«Sono andata avanti, Mari, anche senza di te, Non potevo più aspettare nella bara di cristallo nel bosco dei romanzi incompiuti, perché non sono la bella addormentata nel bosco, e la mia attesa, fiduciosa all'inizio, è diventata col passare del tempo sempre più simile ad un'oppressione. Così ho rotto quella bara in cui tu mi avevi rinchiuso in attesa non del mio ma del tuo risveglio, e mi sono ripresa la mia vita. E il mio destino. »

Uno scarno ma durissimo j'accuse, questo di Rebecca, pronunciato però senza alcuna rabbia o rancore nei miei confronti. Un modo per mettermi di fronte alla mie responsabilità e alle mie inadempienze umane, prima ancora che letterarie. E alla loro risoluzione da parte sua.

«Hai assolutamente rag...» provo a replicare, ma lei con un gesto deciso della mano, come a spazzar via le mie ormai inutili scuse, aggiunge: «Non sono qui, Mari, a sollecitare un proseguimento della storia che non sono certa tu sia in grado di affrontare ma, piuttosto, a renderti edotta del suo finale. E quello l'ho scritto io.»

Devo avere assunto un'espressione idiota perché lei mi gratifica di un piccolo sorriso divertito. E' consapevole del mio smarrimento ma non ne approfitta per sferrare il knock out decisivo per stendermi al tappeto. Non vuole infierire su quel ring dove io ho già perso in partenza. A lei basta che io ne abbia la consapevolezza.

«Ascolta, Mari, non serve che i tuoi lettori sappiano che la storia non l'hai scritta interamente tu perché... ti è sfuggita di mano... ecco.» 

«Cosa?» Salto su offesa, anche se non ho rilevato nel tono della sua voce nessuno sberleffo. Nessuna derisione.

«I tuoi lettori non devono saperlo e non lo sapranno mai.» Prosegue, ignorando il mio stupido scatto d'orgoglio. «Non importa chi di noi due ha messo il punto all'ultimo capitolo, siamo sempre state comunque in sintonia e il mio finale non può essere poi così tanto diverso da quello che tu avresti forse ideato.»

«Non puoi sapere quello che avevo in serbo per il tuo futuro.» Sospiro afflitta scuotendo il capo.

«Dimentichi che io sono parte di te... anche se non vorrei esserlo più del dovuto.» Ride divertita.

Stavolta la canzonatura c'è, e ne sorrido anch'io. Alzo le mani in segna di resa: «Ok, Rebecca... prendo appunti. Da dove ripartiamo?» 

«Là da dove la storia si è interrotta: capitolo 19»

sabato 2 agosto 2025

Gli inganni siamo noi

I rigagnoli d'acqua piovana, che s'aprono a ventaglio a ridosso dei marciapiedi, deflagrano sotto i pneumatici delle auto in corsa in un opaco crepitio di lava liquida. In lontananza scintillano, sullo sfondo antracite e oro, gli antichi palazzi barocchi, paludati d'ermellino e specchi, della città vecchia, come abbaglianti riflessi di luce nel traslucido crepuscolo autunnale.

Nonostante sia autunno inoltrato l'aria è tiepida e satura di profumi marini (anche se qui non c'è il mare), traslati da un vento clandestino, a bassa intensità, e generosamente disseminati sulla geografica fisica, e quella industriale, della città. Chissà se domani l'alba si rivelerà con una rigogliosa, aliena fioritura di anemoni, coralli e fiori d'acqua, germogliati sugli alberi spogli, fioriti sui bordi slabbrati dei marciapiedi, e nei piccoli orti sterili nelle retrovie degli agglomerati urbani.
Un mondo contemporaneo ed insieme ancestrale, questo che si prospetta al mio sguardo profano, ai miei occhi che cercano tracce di un orizzonte più vasto, ipotizzato oltre le dorsali montane che degradano a valle, gibbose ed esauste, modellate nel corso dei secoli dalle abbondanze, o dalle carestie, degli elementi atmosferici, e dai sommovimenti tellurici. Un paesaggio che si prefigura, in lontananza, con una geometria convessa che ingannevolmente diventa piana lungo le linee rette dei cavi elettrici.
Mistificazioni di false successioni di piani, perché l'esplorazione visiva basa su due diverse realtà: quella fattuale e quella virtuale.

Indecisa sulla direzione da prendere dovrò contare sui miei sensi, fiutare l'aria e auscultare i suoni per non cedere all'inganno dei miraggi, e non rimanere imprigionata nell'alone trasparente e termico di quest'ora sospesa, in cui non c'è più luce ma neppure è ancora buio.
Sullo sfondo di questo chiaroscuro, la rumorosa solitudine della città pianta chiodi nei pensieri, esaspera in negativo le sensazioni, ottunde la memoria, ingarbuglia i ricordi, crea paure e dipendenze.
Perché in quest'ora incerta, da purgatorio, tutto è provvisorio e apparentemente indecifrabile. 

E' in questi momenti che subentra il bisogno di una realtà alternativa, limitata alla visione ottica anziché a quella percettiva. Una realtà facile, basata su una geometria elementare e non disorientante. Un foglio bianco su cui un bambino con una linea retta traccia il bordo dell'orizzonte; con un triangolo delinea i fianchi e le vette delle montagne; con tondi semicerchi consecutivi e orizzontali, disegna le onde dl mare: quei pochi segni bastano a tracciare l'interezza dell'universo 
... perché gli inganni sono esterni a quel foglio bianco.
Gli inganni sono nelle nostre fameliche costruzioni mentali.
Gli inganni siamo noi.

Agosto 2025


 Oggi sono ritornata qui, nel mio blog, il punto da cui sono partita per la grande avventura nel mondo della scrittura: una fatica immensa per risultati modesti, qualche soddisfazione (per altro sempre molto circoscritta) e molte delusioni. Forse, in un impeto di onnipotenza, mi sono sopravvalutata. Voler credere in se stessi non significa, necessariamente, essere quello che si è convinti di essere. Nel mio caso una scrittrice di racconti, e di un libro pubblicato, Chicago Blues, scritto a quattro mani col mio amico Angelo Fabbri. 

Un libro che mi è costato albe precoci e notti da sonnambula, tra la stanchezza della quotidianità e quella della scrittura. Un libro che, senza santi in paradiso, avrà come suo destino il limbo delle opere mai scoperte.

E allora perché continuare?

Sinceramente non lo so, perché non ho più quella rabbia e quell'urgenza di quando ho iniziato a raccontare, e raccontarmi, in questo blog. L'entusiasmo, seppur a volte doloroso e circospetto dell'esordio; la paura dei giudizi di quel mettermi in mostra; l'andare contro la mia matura mansueta da penombra; quel voler essere visibile sul grande palcoscenico della letteratura senza forse averne i requisiti e neppure possedere quella cieca, assurda fiducia nelle mie doti di scrittrice, anche se per un breve momento ho pensato di possederne.

Ma pure oggi, nonostante il tono amaro di questa pagina di diario, sono felice di riprendere a scrivere, fuori da FB e dai social, per il mio pubblico invisibile che immagino, come nel passato, ordinatamente seduto, attento e critico alle mie performance.

Marilena

lunedì 10 marzo 2025

Quando gli opposti si attraggono


 

Non fu magnetismo terrestre
ma l'attrazione fatale
tra un sole corsaro e la notte artica
a generare l'aurora boreale,
concepita nell'estasi di organismi multipli
in un cielo freddo e vuoto di stelle
nel pieno di un caos d'incommensurabile bellezza.