Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.

mercoledì 3 gennaio 2018

Maria Verena Valduga. La storia. La leggenda (cap 6)


LE VERITA' SEPOLTE
Di  Maria Verena, o chiunque quella donna fosse, s'erano perse le tracce. La casa stessa sembrava essere sempre stata disabitata, con il mobilio coperto dai teli impolverati e le finestre sprangate.
...ma sul balconcino, però, erano rimasti a testimoniare della sua presenza i vasi del geranio e del basilico, e la gabbietta vuota.

«Non può essere andata poi così lontano a piedi.» 
«Di certo avrà avuto un complice.»
«Che tempismo però, fuggita il giorno stesso del ritrovamento del cadavere dl prete.»
«Dici che qualcuno l'ha avvertita?»
«Che altra spiegazione può esserci?»
«Già...e neppure troppo difficile sospettare chi.»
«Orso?»
«Sicuramente.»

Dopo un estenuante interrogatorio, l'ex partigiano, però, venne rilasciato, che nessun reato si poteva ascrivere a suo carico, seppure s'era maturata la convinzione che fosse lui quel potenziale complice, non lo si poteva accusare di nulla, neppure di non ricordare l'ubicazione della fossa comune dove aveva raccontato di aver sepolto, con l'ausilio di Lupo, Maria Verena e gli altri partigiani.
Lupo era morto ormai da anni, portandosi nella tomba le sue verità, e scavare l'intera montagna per dare conferma alla storia di Orso, era quanto meno impossibile.
...e quanto attendibili avrebbero potuto essere considerate le dichiarazioni di un testimone come lui, alcolista all'ultimo stadio che nel corso dell'interrogatorio era caduto più volte in contraddizione smentendo ciò che l'attimo prima aveva dichiarato?
Quanto intenzionalmente?
Incriminarlo per reticenza e depistaggio quando, invece, si puntava al favoreggiamento?
Ma era un osso duro, Orso, e il suo gioco aveva saputo condurlo
... e così, alla fine, era stato rilasciato.

«E' un uomo intelligentissimo, commissario, quello sa come sono andate le cose, ma gioca la carta dell'ubriaco.» Aveva asserito con convinzione il dottore.
«Ne sono certo anch'io, ma non possiamo muovergli nessuna accusa, almeno per ora, in attesa dei riscontri con la testimonianza di Bartolomeo Valduga, zio paterno di Maria Verena e unico parente ancora in vita.»

DESTINI IN AGGUATO
Appena arrivato, e contro ogni aspettativa, Bartolomeo Valduga, s'è da subito concesso alla curiosità pubblica scendendo dalla lussuosa berlina con l'ausilio del bastone e dello chaffeur, per una sosta ristoratrice nella bettola di quel piccolo avamposto dove un tempo ci aveva vissuto da padrone e dove ora vi aveva fatto ritorno da forestiero.
Poi, è risalito in macchina diretto alla volta del commissariato.

Un uomo dall'ossatura fragile e dal cuore impenetrabile: questa l'impressione che ne ricava il commissario, già dal primo scambio di battute, nonostante Bartolomeo Valduga si fosse mostrato affabilmente collaborativo.

«C'era stato quel progetto di matrimonio tra Maria Verena e il principe Giovanni Cuza Sigmaringen. Matrimonio combinato tra le due famiglie e conveniente per entrambe, perché quell'unione avrebbe portato nuova ricchezza nelle casse esangui del casato principesco in cambio di quel tanto agognato titolo nobiliare, ambiziosamente perseguito da mio fratello. In prospettiva di quelle nozze s'erano strette relazioni d'affari e consolidate intese politiche, soprattutto in seno al nascente partito nazista tedesco di cui il casato Sigmaringen era fervido sostenitore. Poi, a ribaltare i destini, c'era stata la morte prematura del principe Giovanni, promesso sposo di Maria Verena, che aveva prodotto nefaste conseguenze all'interno della sua stessa  famiglia, col suicidio della principessa madre, e poi con la rottura dei rapporti coi parenti di lei, di tutt'altre vedute politiche. Ma l'intesa dei Sigmaringen con la famiglia Valduga continuava ad essere stabile, addirittura il principe s'era proposto, con trattative ufficiose, di sposare lui stesso, ormai vedovo, Maria Verena.»
 
Bartolomeo Valduga s'è interrotto, fissando con lo sguardo acquoso dei vecchi un punto remoto, circoscritto nella memoria. Poi come riemergendo da quel lontano passato, riprende il suo racconto: «In realtà quella mia nipote è sempre stata una testa calda, ostinata e irragionevole, come possono esserlo le cosi dette ragazze moderne, che invece ai miei tempi, commissario, quando ero giovane io, sottostavano senza discutere, alla volontà di Dio e a quella dei genitori. E proprio per far capire a Maria Verena questo principio che venne chiesto l'ausilio di padre Rigamonti che molto si prodigò per il bene di tutti noi, ricevendo in cambio, da mia nipote, solo dileggio e  accuse infamanti, tra i quali quella di un tentativo di violenza carnale. Come si poteva credere a lei che scappava di notte, nonostante i chiavistelli e i cani alle porte, per raggiungere il campo degli zingari e comportarsi come una donnaccia? Uno scandalo che a mala pena riuscimmo a contenere, seppur qualcosa alle orecchie del principe era pervenuto, e così di matrimonio non se ne parlò più, perché si sa che il dubbio scava fossati e distrugge reputazioni, e questo determinò una rottura fra le nostre famiglie, perché il principe era un fervente hitleriano e lei s'era contaminata con gli impuri. Un piano ben orchestrato, da quella scapestrata, per far sfumare il matrimonio. Lei fuggì con uno di loro, ma a casa non viveva già più, che mio fratello l'aveva cacciata via, e neppure ha voluto si cercasse. La storia di Maria Verena in convento è stata un'idea di padre Rigamonti per far zittire le malelingue. Di mia nipote non abbiamo voluto sapere più niente, e a maggior ragione, quindi, non saprei dirvi se la donna vista nel nostro antico palazzo sia davvero lei o un'impostora.» Guarda il commissario negli occhi, e in tono severo chiede: «Perché nessuno è andato a farle visita, almeno per sincerarsi che non fosse un'abusiva nella nostra dimora?» 

Il commissario assente, imbarazzato: «Si è dato per scontato che fosse lei... ma ha ragione, avremmo dovuto almeno verificare la sua identità dal momento che c'è qualcuno pronto a giurare che Maria Verena, che s'era fatta partigiana fu poi uccisa in un agguato e sepolta in montagna, in una fossa comune.» Spiega il commissario, offrendo al vecchio una delle sue sigarette, che lui cortesemente respinge: «Grazie, ma resto fedele alla presa di tabacco.» Dice, cavando di tasca un'elegante scatola d'argento, da cui pizzica una piccola presa da fiutare. Poi, in tono sottilmente caustico  suggerisce: «Per accertarsene basterà scavare nel luogo della sepoltura.»
«Sono passati tanti anni e il testimone non ricorda dove, e non è possibile sterrare un'intera montagna.»
«Per noi Maria Verena è morta da quando è fuggita con quello zingaro: una storia chiusa. Non l'abbiamo cercata allora, non intendiamo farlo adesso. Lei non fa più parte della nostra famiglia. Vi ho raccontato tutto, non c'è altro. Spero solo che troviate l'assassino di padre Rigamonti, un uomo di Dio che ha sempre perseguito il bene.»
E già gli porge la mano per accomiatarsi, quando il commissario lo ferma con un'ultima domanda: « Vi ricordate di Dante Cipriani, detto Orso?»
Bartolomeo Valduga scuote la testa in segno di diniego: «Non conosco nessuno con questo nome.»
«Non ricorda o non conosce?» Lo sollecita il commissario.
«Non conosco.» Risponde deciso il vecchio, stringendogli la mano prima di uscire.
Nel cortile la macchina lo attende col motore acceso.