Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.

giovedì 28 maggio 2009

Un buon risveglio

Uno stuzzicante gusto di liquirizia e cannella, che permea il palato e dilaga nelle narici. E rende leggera la testa. Schiarisce la vista. E modifica, in positivo, il ricordo dei sogni.
Gli effetti compensativi della liquirizia sugli ormoni sessuali, estrogeni ed androgeni, sono da secoli ben definiti. Dalla scienza erboristica. Ed omeopatica. Senza disdegnarne l'impiego in composti farmaceutici referenti alla medicina convenzionale.
Allevia lo sconforto del mestruo. Predisponendo ad una nuova fase ormonale.
Restituendo, intatta e rinnovata, la dimensione sessuale.
Agendo sulle strutture diencefaliche del cervello.
Livellando le intemperanze degli umori.
In sinergia con l'irrequietezza della cannella. Dall'aroma pungente e persuasivo.
Che stimola i nervi e deliziosamente accelera i battiti cardiaci. Rinvigorisce il sangue.
E rende intensa la respirazione.
Predispone, un risveglio così, a ben tollerare le inevitabili incongruenze della giornata.
Appresta, inoltre, ad una ipotesi ottimistica sulle ore future.
Marilena

lunedì 25 maggio 2009

La dimensione favolistica

La "dimensione favolistica" è il rimedio primario alla intransigenza ineluttabile della realtà.
Che non significa il rifiuto del concreto ma la contrapposizione, chiarissima e consapevole, di un parallelo possibile ed inedito.
Altrimenti parleremmo di inganno cognitivo premeditato. Una trappola psicologica.
Dunque la "dimensione favolistica" non cancella la realtà.
Che pur sempre rimane palese allo sguardo del mondo. Nè la sostituisce con altro.
Semplicemente la rielabora su parametri più accettabili e, spesso, meno dolorosi.
Potremmo definirla anche come un "costruttivismo riferito al mondo interiore".
Un dettame cognitivo, mediante il quale siamo in grado di rielaborare, senza però strutturalmente alterare, la nostra immagine.

Ho raccontato, nella pagina precedente del mio diario, di un principio, benché minimo, di artrosi deformante, per altro ancora molto blanda, a cui le mie mani potrebbero essere soggette.
Ora sono perfettamente consapevole che non è un problema fisico grave.
Ma a livello psicologico...bè lo è.
Il lavoro ha indurito le mie mani.
Ed incallito i palmi.
Reso ancor più fragili le unghie.
Il lavoro delle pulizie inevitabilmente sciupa le mani.
In costante contatto con l'acqua ed i detersivi.
Inmpastoiate nel trasudo della gomma dei guanti.
Una trappola acquitrinosa.
Una sofferenza da mondina.
Ed ora anche questa bruttura deformante.
Che sicuramente col tempo forse svilupperà ancora più evidente.
Ho tentato con tecniche empiriche, puerili e disperate, una correzione delle falangi ingobbite.
Tenendole in tiro. Premendo sull'osso. Traumatizzandole con esercizi di ginnastica da circo.
Ostinati, i miei mignoli, rifiutano l'allineamento.
Ho esplorato allora rimedi alternativi. Consolatori. Eccentrici.
Guanti di pizzo e di raso.
Evidentissimi.
Non per nascondere ma per risaltare.
Trasfomare il difetto in un vezzo.
Creare uno stile.
Ancor di più: rendere glamour l'artrite deformante.
Ma le mie dita sono crudamente evidenti a me stessa, e l'inganno strategico dei guanti cessa subitaneo al denudamento delle mani.
Ho tentato, quindi, l'accettazione coercitiva.
Col risultato di un rigetto ancora più estremo.
Troppo forte il mio rancore femminile.
Per queste mani plebee.
Mani di strega. Artigli d'aquila.
Ed ecco, provvidenzialmente, materializzati i codici d'accesso alla "dimensione favolistica".
Le mie mani sono quelle di una strega.
E sono gli artigli dell'aquila.
Tenaci. Incorruttibili.
Ricurve. Per scalfire la terra.
E graffiare il cielo.
O incidere la schiena di un amante.
E lasciare strie indelebili del mio passaggio.
Monogramma del mio potere esclusivo sugli elementi del mondo geografico.
E su quello umano.
Marilena

mercoledì 20 maggio 2009

Lastra radiologica

Niente è più esaustivo di una lastra radiologica.
Qui viene rivelato l'inganno delle ossa e le bizzarre astruserie delle articolazioni.
Gli snodi esasperati delle giunture e l'inasprimento incoerente delle curvature della colonna.
Delle vertebre che, arroganti, gravano su un tronco sbilenco.
La possente schiena di Atlante si piega, infine, sotto il peso eccessivo del mondo.
E, per non rimanerne schiacciato, il poderoso Titano partorisce una gibbosità dorsale.
Una cifosi acuta. Per gestire la forza gravitazionale. E mantenere l'equilibrio.
Una gobba leopardiana.
Poetica. Esistenzialista.
L'ermeneutica del corpo interno.
Tradotta in lastra radiologica.
Per sondare gli enigmi della cervicale.
Scandagliare l'amnesia perniciosa delle ossa.
Esplorare l'afasia squilibrata delle articolazioni.

La lastra radiologica delle mie mani.
Entrambi i mignoli (quello destro in modo più evidente), all'altezza della terza falange, sono incurvati da un principio di artrite deformante.
Imperfezione appena visibile, ma che pur c'è.
Sono le dita di una Morgana amnesica che ha perso il dono della preveggenza.
E della memoria mitologica.
E di quella progressiva.
Costretta a vagare cerebralmente cieca nei meandri del suo io scheletrico.
Alla ricerca d'improbabili polle divinatorie.
Guidata solo dai random nodosi di quelle sue dita artritiche.
Marilena

martedì 12 maggio 2009

Una favola per BLOG

BLOG inizia finalmente a star meglio.
E, stamani, è riuscito ad inghiottire anche un pò di brodo.
Queste notti ha dormito con me, nel letto grande.
L'ho vegliato, terrorizzata dall'eventualità di un rigurgito silenzioso. E mortale.
Abbiamo dormito abbracciati, su un unico cuscino. Speravo di assorbire la sua febbre.
Di guarirlo.
Nella penombra quieta della stanza si è insinuata una striscia di luce furtiva.
Baluginante ed obliqua.
D'istinto BLOG ha teso una mano a volerla toccare. Ma ha stretto il nulla.
Deluso, ha fatto scivolare su quell'inganno la mascherina nera dei suoi occhiali.
E' il suo modo di dissentire.
Dovrei spiegargli che quello che ha invano cercato di afferrare era solo pulviscolo atmosferico. Polvere illusoria che si spaccia per luce. Ma non glielo dirò. Accrescerei di più la sua frustrazione. Inducendolo, forse da subito, ad una visione prematuramente pessimistica della realtà.
Quello che serve è, invece, un'alternativa positiva.
La lusinga di una spiegazione seduttiva, seppur non vera.
Ma che rasserenando lo spirito benevolmente agisca anche sulle prostrazioni del corpo.
Una favola per BLOG

LA STORIA DELLE ANIME DEGLI INSETTI CHE SI SONO RIBELLATI ALLA MORTE
La luce trasporta le anime dei piccoli insetti.
Sono particelle minime.
Impercettibili ad occhio nudo.
Impossibili da individuare anche con un potentissimo microscopio.
O con qualsiasi altro più sofisticato strumento d'indagine.
Quindi, anche se non le vediamo, queste anime fluttuano continuamente intorno a noi.
A sciami, a ranghi serrati o in ordine sparso, proprio come se fossero ancora vive.
Ma sono inequivocabilmente anime defunte.
Se guardi nel chiarore dell'aria non le vedi.
Si manifestano solo quando un fascio di luce irrompe nel buio.
Sono quei puntini che si affollano irrequieti nel tuo campo visivo.
Qualcuno più audace cerca di penetrare la pupilla. Ti sembra così vicino al tuo occhio che devi sbattere la palpebra per scuoterlo via. E non basta, che già un altro si è prontamente abbarbicato sul bordo inferiore. Nascosto tra le ciglia, non riesci a localizzarlo nemmeno con l'ausilio di uno specchio.
Cerchi allora, maldestramente, di liberartene strofinando con così tanto vigore da indurre l'occhio a lacrimare.
Ma queste sono soltanto constatazioni accessorie che ci allontanano dalla storia.
Il punto principale è che, quando arriva l'ora del trapasso, non tutti gli insetti si rassegnano passivamente a tale evento. Così, prima di morire, gli irriducibili si strappano via le ali.
E' l'ultima sfida alla morte.
Ed un atto di fede.
Perchè, secondo la religione degli insetti, l'anima dimora nelle ali.
Quindi questa amputazione ha lo scopo di sottrarre l'anima alla morte.
Un gesto eccessivo che non lascia indifferente la pallida signora.
Che apprezza immensamente il coraggio del dissenso. Ed ammira gli eroismi.
Così lascia che il vento trasporti con i pollini e le spore, i petali prematuri e i granuli di terra, anche quelle povere ali mutilate.
Che, librate nell'aria, tornano a flettersi e a distendersi, nelle acrobazie del volo.
Viaggiano sospinte dagli umori cangianti del vento. Ed in balia di tutti gli altri agenti atmosferici.
Erose. Scosse. Flagellate. Consumate.
Nella loro fragile struttura materiale.
Alla fine, solo polvere.
Puntini baluginanti nei raggi obliqui della luce.
Particelle evanescenti.
Elusive.
Sono le anime degli insetti che si sono ribellati alla morte.

venerdì 8 maggio 2009

In viaggio verso Blogosphere : geografia metafisica

Confina con i territori nebbiosi di Utopia, dalle cui recondite alture è possibile intravedere, in situazioni metereologiche favorevoli, e con l'ausilio di un potente cannocchiale puntato verso nord, i labili contorni dell'Isola Che Non C'è. Focalizzando le lenti verso sud, invece, nitidissimi emergono i bastioni decadenti del Deserto dei Tartari. Immemore avamposto di una frontiera morta. Che ad est fiancheggia la monotonia uniforme, ed ingannevolmente sconfinata, di un anonimo tavoliere, in origine pianura di sollevamento, trasversalmente percorso da una lunga dorsale montuosa, che rammenta il profilo radiologico di una colonna vertebrale scoliotica.
Modeste altitudini che però spiccano evidentissime nella desolante depressione paesaggistica, con una rilevanza abnorme e fittizia. Cime e pinnacoli puntano perentori contro un cielo ardente, circumnavigato dal volo ossessivo dei piccoli passeri dal petto nero.
Ed ancora s'intravede il tracciato indicativo di un fiume denutrito. Ormai quasi del tutto prosciugato. Nel cui letto hanno un tempo dimorato, in pacifica coesistenza, le specie endemiche con quelle aliene.
Sottili alberelli dal tronco refrattario, alla cui base parassitano cespugli anemici.
Ed una moltitudine, spontanea ed invasiva, di funghi ibridi e di radici filamentose.
Questi sommariamente i contorni morfologici, con dettagli di flora e di fauna, della regione metafisica che mi appresto a percorrere in sella ad un ronzino distrofico e sordo, ma devoto e paziente. Che, in virtù del suo lodevole carattere, ho battezzato Mahatma.
Convinta come sono che, per intraprendere questa audace esplorazione, avrò bisogno più di un compagno fidato che di un motore efficiente. Così per non gravargli come soma aggiuntiva diventerò incorporea, percorrendo a piedi i tratti più disagevoli.
Un tascapane ed un barilotto di acqua, un'essenziale cambio d'abiti ed una coperta notturna. Questo il volume totale del bagaglio stabilito per fronteggiare le necessità del viaggio.
Verso la leggendaria regione di Blogosphere.
Che all'inizio, anch'io come tutti, erroneamente avevo ipotizzato si dovesse trovare nell' insondabile intrico dei labirinti siderali.
E, per questo, irrangiungibile.
Ma, dopo attenta rilettura di pergamene indiziarie e di mappe geografiche approssimative, mi sono lasciata permeare dall'idea che l'ubicazione di Blogosphere sia contenuta, in realtà, in un enigma irrisolto di meridiani e paralleli terrestri.
E' quanto ci apprestiamo ad appurare, in questo viaggio ardimentoso, Mahatma ed io.

martedì 5 maggio 2009

Curare il mal d'amore

I disturbi sono quelli ineluttabili di una febbre desertica.
Una spossatezza languida. Che ottunde i sensi.
Ed un'arsura incontenibile. Che rende doloroso anche il respiro.
La pelle, poi, fa così male da implorare lo scorticamento.
Ed il progressivo tramortimento di tutti gli organi sensibili.
Fino al contagio delle regioni cerebrali.
Questi i principali presagi del mal d'amore.
Delirio. Follia. Morte. I sintomi finali.
Un'affezione perniciosa contro cui nulla possono i farmaci moderni.
Né gli antichi rimedi.
Questo mestamente recita, nella sua impotenza, la scienza medica.
Dopo il fallimento delle terapie devianti e di quelle ablative.
E l'audace sperimentazione dei sublimati corrosivi.
Non disdegnando neppure l'impiego reazionario delle sanguisughe.
E lo sverminamento cautelativo.
Vane anche le millenarie tecniche terapeutiche dell'agopuntura. L' inserimento di aghi nelle regioni periferiche del cuore. E nelle tempie. Laddove è ubicata la ragione.
Neppure l'amaro assenzio, doverosamente corroborato di laudano, riesce a placare con le sue misericordiose distrazioni allucinatorie, gli insopportabili tormenti del male.
Solo la buia potenza della morfina può imporre uno stato provvisorio di quiete.
Una narcosi esplicativa che ottunde le percezioni sensoriali, cancellando nell'oblio l'insostenibile memoria del dolore.
Ma la sua somministrazione non produce quegli effetti di euforia illusoria, come spesso accade nel trattamento di altre infermità.
E così, la febbre sulfurea del mal d'amore, ci consegna alla morte con l'ultima espressione della smorfia amara della malinconia.
Elementare norma di prevenzione sarebbe quella di non esporsi sventatamente, e troppo a lungo, al calore eccessivo della passione, senza essersi prima cautelati con provvidenziali impiastri lenitivi.
E, naturalmente, abbondanza di ghiaccio per raffreddare la febbre ardente.
E' indispensabile poter disporre celermente di questi rimedi, perché dopo il calore ustionante, sempre sopraggiunge un progressivo, inarrestabile raggelamento.
Brividi. Convulsioni. Depressione respiratoria. Confusione mentale.
Paralisi. Coma.
Questi gli sciagurati sintomi.
Ed in ultimo la morte.
Ma è una malattia, ai nostri giorni, per fortuna quasi del tutto estinta.
Avendo, noi moderni, progressivamente sviluppato poderosi anticorpi contro il mal d'amore.
Davvero assai efficaci.