PICCOLA CLA
Pubblicato da Writer Monkey
Recitata da Andrea Improta
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Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.
giovedì 30 aprile 2020
domenica 26 aprile 2020
Certezze. E Catastrofi
Non c'è nulla di più rassicurante delle certezze della routine, anche se a lungo andare possono generare noia o fastidio, infinitamente si rimpiangono nel momento degli sbandamenti e delle catastrofi, quando la terra frana sotto i piedi e tu non sai se stai cadendo in una buca o in un precipizio. O in una realtà parallela.
giovedì 23 aprile 2020
Rebecca (cap 17)
EN PLEIN AIR
Nel giardino inondato di sole, sedute sotto un patio, c'erano tre donne, che ad un primo sguardo potevano essere la replica di una stessa: capelli ramati, occhi scuri e pelle di porcellana.
Tranne per gli abiti, di colori diversi, verde, lilla e blu, si somigliavano nel tono della voce e nella grazia dei movimenti. Giovanni Basile, ammaliato, s'era fermato ad ammirarle: come in un quadro di Degas, il colore vivido degli abiti e il rosso luminoso dei capelli si fondevano con l'azzurro traslucido del cielo quasi estivo, sullo sfondo di un paesaggio senza tempo.
Alla sua vista, una di loro, quella vestita di blu, s'era staccata dalle altre e gli era andata incontro.
«Signor Basile, vi ricordate di me? Ci siamo incrociati nell'atrio, voi stavate uscendo ed io ero appena arrivata. Sono Rebecca Scalavino, la figlia di Concetto.» Disse, porgendogli la mano.
«Certo che mi ricordo di voi.» Rispose l'uomo, togliendosi il cappello e stringendole la mano.
Aveva una voce profonda, capelli lucidi e neri legati in una treccia, e sotto la fronte bassa, nel volto brunito dai lineamenti marcati, risaltavano gli occhi scuri dal taglio a mandorla, che gli conferivano una fisionomia straordinariamente esotica. Come la volta precedente indossava stivali da cacciatore e una camicia quadrettata da montanaro, con le maniche rimboccate sulle braccia.
«Avrei bisogno di parlarvi, ovviamente dopo che avrete fatto visita a mio padre. Non vi porterò via troppo tempo...è una faccenda breve.»
Lui aveva sorriso di nuovo: «Non è il tempo che mi manca, e sono lieto se potrò esservi di aiuto.»
«Grazie per la vostra gentilezza. Vi attenderò sotto il patio.» Rebecca gli indicò la struttura coperta dove era prima seduta con la sorella e la madre.
Giovanni Basile assentì, toccandosi la falda del cappello.
«Allora a dopo.» Si congedò, incamminandosi lungo il vialetto.
CONFESSIONI
«Chi è l'uomo col quale stavi parlando?» Gemma chiese incuriosita.
«Giovanni Basile, lavora per papà.»
«E tu cosa hai a che fare con lui?»
«Vorrei capirne di più sull'ebanisteria.» Aveva risposto Rebecca, suscitando la risata divertita della sorella, a cui aveva replicato seria: «Non c'è nulla da beffeggiare, Gemma. Voglio una vita fuori dalle mura di questa casa e da quella futura, dove immagino sarò la moglie di qualcuno, intenta ad allevare figli, curare il giardino e ricamare centrini. E' questo a cui siamo destinate. Ed io non lo accetto. Voglio essere padrona della mia vita e delle mie scelte. Ti pare un desiderio così orrendo? » La domanda era stata accolta dal silenzio. Con dolcezza, Rebecca, aveva allora chiesto: «E tu cosa desideri, Gemma?»
«Essere amata.» Aveva risposto in un sussurro. Ma subito dopo, pentita di quella confessione, s'era allontanata correndo.
Rebecca non aveva tentato di trattenerla e neppure di rincorrerla. Non era stata freddezza la sua, ma rispetto, intuendo, da quell'amara, schietta dichiarazione, la tempesta di sentimenti, emozioni e dubbi che albergavano nell'animo della sorella. Una confessione, quella sua, alla cui luce andavano analizzati i suoi recenti comportamenti. Il loro padre l'aveva illusa sulla sincerità del suo affetto, e poi umiliata per consentire a lei di trionfare. L'abietta scala dei valori su cui lui s'era mosso pienamente giustificava quel suo rancore che ora s'era esteso anche lei che s'affannava a prenderne le difese, facendosi paladina di quella supposta innocenza paterna, tutt'altro che limpida, sulle cause della morte di Mimì Messinese.
No, averla lasciata andar via senza tentare di fermarla con un gesto o una parola, non era stata una buona cosa: quello che nelle sue intenzioni voleva essere un segno di rispetto doveva esserle sembrare, al contrario, d'indifferenza o di superiorità.
Doveva immediatamente chiarire l'equivoco con Gemma.
UNA CONVERSAZIONE RIMANDATA
«Giovanni Basile, lavora per papà.»
«E tu cosa hai a che fare con lui?»
«Vorrei capirne di più sull'ebanisteria.» Aveva risposto Rebecca, suscitando la risata divertita della sorella, a cui aveva replicato seria: «Non c'è nulla da beffeggiare, Gemma. Voglio una vita fuori dalle mura di questa casa e da quella futura, dove immagino sarò la moglie di qualcuno, intenta ad allevare figli, curare il giardino e ricamare centrini. E' questo a cui siamo destinate. Ed io non lo accetto. Voglio essere padrona della mia vita e delle mie scelte. Ti pare un desiderio così orrendo? » La domanda era stata accolta dal silenzio. Con dolcezza, Rebecca, aveva allora chiesto: «E tu cosa desideri, Gemma?»
«Essere amata.» Aveva risposto in un sussurro. Ma subito dopo, pentita di quella confessione, s'era allontanata correndo.
Rebecca non aveva tentato di trattenerla e neppure di rincorrerla. Non era stata freddezza la sua, ma rispetto, intuendo, da quell'amara, schietta dichiarazione, la tempesta di sentimenti, emozioni e dubbi che albergavano nell'animo della sorella. Una confessione, quella sua, alla cui luce andavano analizzati i suoi recenti comportamenti. Il loro padre l'aveva illusa sulla sincerità del suo affetto, e poi umiliata per consentire a lei di trionfare. L'abietta scala dei valori su cui lui s'era mosso pienamente giustificava quel suo rancore che ora s'era esteso anche lei che s'affannava a prenderne le difese, facendosi paladina di quella supposta innocenza paterna, tutt'altro che limpida, sulle cause della morte di Mimì Messinese.
No, averla lasciata andar via senza tentare di fermarla con un gesto o una parola, non era stata una buona cosa: quello che nelle sue intenzioni voleva essere un segno di rispetto doveva esserle sembrare, al contrario, d'indifferenza o di superiorità.
Doveva immediatamente chiarire l'equivoco con Gemma.
UNA CONVERSAZIONE RIMANDATA
Entrata nell'atrio, Rebecca, s'era incrociata con Giovanni Basile che s'apprestava ad uscire.
«A quanto pare è nostro destino incontrarci nel corridoio.» Aveva detto divertito lui, ma s'era subito fatto serio davanti all'espressione smarrita della giovane. «Tutto bene, Rebecca?» Aveva chiesto.
Lei lo aveva rassicurato: «Sì, tutto a posto, ma dobbiamo rimandare la nostra conversazione in un altro momento, se siete d'accordo.»
«Certo. Quando volete.» C'era un'impercettibile nota di delusione nella sua voce, che Rebecca, però, non aveva rilevato.
«La prossima volta che verrete in visita a mio padre, se per voi va bene.»
Giovanni Basile annuì in segno di assenso.
Sulla porta s' erano salutati con una stretta di mano.
LA SCOPERTA DELL'INTIMITA'
Quando Rebecca era entrata nella stanza, Gemma, d'impulso, s'era alzata per uscire, ma stavolta, però, lei l'aveva trattenuta.
«Dobbiamo parlare, chiarire questo mostruoso equivoco che si è creato tra noi.» Aveva detto Rebecca tenendola per i polsi, ma Gemma, furiosa, l'aveva respinta facendola cadere a terra da dove, però, s'era subito rialzata e, per impedire che l'altra guadagnasse l'uscita, l'aveva trattenuta bloccandola sul pavimento. Gemma, con un colpo di ginocchio all'inguine, l'aveva costretta ad allentare la presa, facendola ripiegare su stessa. Di nuovo a terra, dolorante, ma decisa a non mollare, Rebecca l'aveva afferrata per una caviglia. Perdendo l'equilibrio, Gemma le era ruzzolata addosso.
S'erano così ritrovate entrambe a terra, ansanti, esauste e scarmigliate, i cuori in tumulto, blocco unico in un angolo del pavimento: il loro primo vero, materiale contatto fisico.
D'istinto, Rebecca, tramutò la presa in un abbraccio e baciò la sorella su una guancia.
Sorpresa da quel gesto, inusuale ed inaspettato, Gemma, confusa, si arrese a quell'intimità nuova, lasciandosi andare alle lacrime.
Unite in quell'abbraccio, il cucciolo di lupo e il cucciolo di cane, sperimentavano entrambe, per la prima volta, il calore del contatto fisico. Quell'intimità silenziosa, profonda, che non scaturisce dalle parole o dal legame del sangue, ma dal sentimento, e fino a quel momento a loro preclusa perché sconosciuta.
Rebecca, con quell'abbraccio spontaneo, aveva compiuto l'atto materiale del ricongiungimento con la sorella, abbattuto gli steccati dietro cui erano confinate, e legittimato l'accesso illimitato nel proprio territorio: non una resa, quella sua, ma un'offerta, che forse Gemma avrebbe accettato oppure respinto. Ma non era quello il momento delle verifiche. In quell'angolo di pavimento, trasformato in una culla, Rebecca e Gemma s'erano addormentate abbracciate.
«A quanto pare è nostro destino incontrarci nel corridoio.» Aveva detto divertito lui, ma s'era subito fatto serio davanti all'espressione smarrita della giovane. «Tutto bene, Rebecca?» Aveva chiesto.
Lei lo aveva rassicurato: «Sì, tutto a posto, ma dobbiamo rimandare la nostra conversazione in un altro momento, se siete d'accordo.»
«Certo. Quando volete.» C'era un'impercettibile nota di delusione nella sua voce, che Rebecca, però, non aveva rilevato.
«La prossima volta che verrete in visita a mio padre, se per voi va bene.»
Giovanni Basile annuì in segno di assenso.
Sulla porta s' erano salutati con una stretta di mano.
LA SCOPERTA DELL'INTIMITA'
Quando Rebecca era entrata nella stanza, Gemma, d'impulso, s'era alzata per uscire, ma stavolta, però, lei l'aveva trattenuta.
«Dobbiamo parlare, chiarire questo mostruoso equivoco che si è creato tra noi.» Aveva detto Rebecca tenendola per i polsi, ma Gemma, furiosa, l'aveva respinta facendola cadere a terra da dove, però, s'era subito rialzata e, per impedire che l'altra guadagnasse l'uscita, l'aveva trattenuta bloccandola sul pavimento. Gemma, con un colpo di ginocchio all'inguine, l'aveva costretta ad allentare la presa, facendola ripiegare su stessa. Di nuovo a terra, dolorante, ma decisa a non mollare, Rebecca l'aveva afferrata per una caviglia. Perdendo l'equilibrio, Gemma le era ruzzolata addosso.
S'erano così ritrovate entrambe a terra, ansanti, esauste e scarmigliate, i cuori in tumulto, blocco unico in un angolo del pavimento: il loro primo vero, materiale contatto fisico.
D'istinto, Rebecca, tramutò la presa in un abbraccio e baciò la sorella su una guancia.
Sorpresa da quel gesto, inusuale ed inaspettato, Gemma, confusa, si arrese a quell'intimità nuova, lasciandosi andare alle lacrime.
Unite in quell'abbraccio, il cucciolo di lupo e il cucciolo di cane, sperimentavano entrambe, per la prima volta, il calore del contatto fisico. Quell'intimità silenziosa, profonda, che non scaturisce dalle parole o dal legame del sangue, ma dal sentimento, e fino a quel momento a loro preclusa perché sconosciuta.
Rebecca, con quell'abbraccio spontaneo, aveva compiuto l'atto materiale del ricongiungimento con la sorella, abbattuto gli steccati dietro cui erano confinate, e legittimato l'accesso illimitato nel proprio territorio: non una resa, quella sua, ma un'offerta, che forse Gemma avrebbe accettato oppure respinto. Ma non era quello il momento delle verifiche. In quell'angolo di pavimento, trasformato in una culla, Rebecca e Gemma s'erano addormentate abbracciate.
Riappacificate, come accade sovente alle sorelle dopo un litigio.
martedì 21 aprile 2020
In un angolo di giardino
IN UN ANGOLO DI GIARDINO
Pubblicata da Writer Monkey
Recitata da Valeria Chiani
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Pubblicata da Writer Monkey
Recitata da Valeria Chiani
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domenica 19 aprile 2020
Il pasto nudo dell'orchessa
IL PASTO NUDO DELL'ORCHESSA
Pubblicato da Writer Monkey
Recitato da Andrea Di Vincenzo
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Pubblicato da Writer Monkey
Recitato da Andrea Di Vincenzo
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venerdì 17 aprile 2020
Una storia assurda
UNA STORIA ASSURDA
Pubblicata da Writer Monkey
Recitata da Andrea Di Vincenzo
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Pubblicata da Writer Monkey
Recitata da Andrea Di Vincenzo
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giovedì 16 aprile 2020
Una storia d'amore
UNA STORIA D'AMORE
Pubblicata da Writer Monkey
Recitata da Silvia Vergari
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martedì 14 aprile 2020
Rebecca (cap.16)
IN PUNTA DI PIEDI
Brigida era entrata in punta di piedi nella camera di Concetto Scalavino, per chiudere le tende perché il sole, nonostante volgesse all'imbrunire, ancora smerigliava di rosso le pareti, e prendere ordini per la cena e sincerarsi delle sue condizioni, che quel giorno, contrariamente al solito, la campanella di servizio aveva suonato solo una volta perché venisse fornito di pennino e carta da lettere. I fogli, malamente scarabocchiati, erano scivolati a terra quando lui s'era addormentato. Scrivere in quella posizione scomoda non era facile, così come il trascorrere intere giornate immobilizzato a letto.
Quanto doveva pesare ad un uomo d'azione come lui quella forzatura e la conseguente dipendenza da lei per le veci nella casa, e da Giovanni Basile per quelle negli affari!
Ma se poteva fidarsi di loro per le pratiche quotidiane così non era per quelle più personali, e a causa dell'incidente, sospese e d'improvviso incerte, e che pure dovevano tremendamente angosciarlo non potendo, per queste, affidarsi ad alcun vice.
Brigida aveva raccolto i fogli, tirato le tende, e senza far rumore era uscita dalla stanza.
Nell'ingresso aveva intercettato Rebecca e ponendole le lettere in mano, aveva detto: «Sono certa che avete una grafia migliore di quella di vostro padre. Ricopiatele e, se occorre, correggetele.»
«Cosa sono?» Aveva chiesto sorpresa la ragazza sbirciando i fogli fittamente coperti da una scrittura maschile puntuta e irregolare, a tratti illeggibile.
«Lettere d'affari: il vostro possibile passaporto per l'indipendenza.» Le aveva risposto Brigida seria.
«Davvero siete convinta che copiare in bella grafia queste lettere di mio padre, per di più trafugate dalla sua camera, mi varrà un suo encomio? »
« Avete ragione, sarà molto arrabbiato con voi, ma anche colpito, sbalordito dall'intraprendenza del gesto e dall'audacia di aver osato entrare in un contesto che sicuramente lui giudica non alla vostra portata. Sono altrettanto certa, però, che voi saprete tenergli testa.» Aveva ribadito sicura la governante.
Rebecca la guardò perplessa: «Non riesco a seguirvi: perché mio padre dovrebbe trovare significativo questo mio gesto? Si vede che non lo conoscete e avete avuto poco a che fare con lui. E' un despota che vorrebbe tutti piegati alla sua volontà, e dove non arriva col convincimento usa la coercizione, tanto che ...»
«Ma è anche un uomo terribilmente solo.» La interruppe Brigida. «Lo attestano quelle sue lettere faticosamente scritte a causa della posizione precaria a cui l'immobilità lo costringe. Poteva chiedere aiuto a me, a voi o a Gemma, ma non l'ha fatto. Per stupido orgoglio, direte voi, ma anche perché crede di non avere nessuno di cui potersi fidare. La morte di Mimì Messinese ha reso evidente questa mancanza, accentuando la sua solitudine.»
«C'è quel Giovanni Basile, il suo braccio destro. Di lui dovrebbe fidarsi.» Obiettò seccamente Rebecca
«Confondete la fiducia con l'intimità. Sono cose diverse. Rifletteteci.» Disse la governante, mettendole in mano il pacchetto delle lettere, per sparire poi nella cucina.
CONTRASTI
Assorta nei propri pensieri, Rebecca, non s'era accorta della presenza della sorella rimasta in silenzio ad osservarla disporre in ordine, i fogli sullo scrittoio.
Solo dopo, alzando gli occhi, l'aveva vista, e davanti al suo sguardo irridente per la prima volta in vita sua s'era sentita a disagio, come colta in fallo.
Chiaramente, però, aveva intuito che l'intesa, su cui s'andava imbastendo il legame con Gemma, non era abbastanza consolidata per cui rischiava, alla luce dei recenti malintesi, di lacerarsi, perché sebbene entrambe perseguissero lo stesso progetto, i contrasti erano sul metodo per realizzarlo.
«Ora svolgi per lui mansioni di segretaria? » Domandò ironica, Gemma. Poi, senza darle il tempo di rispondere aveva aggiunto: «Tu e la signora Catalano parlavate nell'ingresso così, mio malgrado, ho ascoltato la vostra conversazione.» Quella puntualizzazione avrebbe potuto avere apparenza di scuse, ma il tono sarcastico, e il sorriso canzonatorio, chiaramente smentivano essere tale.
«Mi ha chiesto di riscrivere in grafia leggibile queste lettere di papà. Tutto qui.» Volutamente, Rebecca, non aveva raccolto la provocazione per non inasprire i toni ed acuire la tensione.
«Farai qualsiasi cosa lei ti chiederà?» La domanda suonava come uno sberleffo.
«No. Solo quello che riterrò opportuno.» Rebecca rispose, guardandola negli occhi.
«Come immaginavo: hai già dimenticato tutto, mentre io, invece, non dimentico niente.» C'era delusione nella voce di Gemma. Ma anche una sfida.
«Non ho dimenticato neppure io, ma ora la situazione è cambiata. Mimì Messinese è morto e con lui anche il progetto di nostro padre, ma nonostante il suo riprovevole agire, trovo ingiusto che Giandomenico e la sua famiglia lo reputino colpevole della sua morte: non lo ha ucciso lui, Mimì.» Aveva ribadito con forza Rebecca.
«Ne sei davvero convinta? Sbagli a difenderlo, perché lui ha ucciso anche la mamma.» In quella sentenza inappellabile, la voce di Gemma era risuonata gelida, in contrasto, però, con lo sguardo compassionevole rivolto alla sorella prima di uscire dalla stanza.
PUNTI DI VISTA ESTERNI E DISCORDANTI
Rebecca, rimasta sola, aveva gettato un'occhiata pensosa ai fogli sparsi sullo scrittoio chiedendosi se quella silenziosa collaborazione, per altro non richiesta da suo padre, ma caldeggiata dalla signora Catalano, non fosse una trappola.
Abituata a far riferimento solo a se stessa e al suo istinto, si trovava ora a doversi districare in un coacervo d'ipotesi, di verità vere o presunte, di punti di vista esterni e discordanti, eppure tutti allo stesso tempo plausibili.
Aveva ragione Gemma nell'affermare che il loro padre avesse ucciso la mamma, seppure lei era ancora viva e, al di là dello smarrimento mentale, godeva di una salute di ferro, ma continuava a credere, però, che non fosse responsabile della morte di Mimì Messinese, seppure lui fosse realmente morto, stroncato da un infarto provocato dall'ansia, dalle pressioni, e dalla sua incapacità a barcamenarsi in una situazione dove non aveva visto via d'uscita, ma che lui stesso aveva contribuito a creare.
In base a questo ragionamento, allora, erano colpevoli anche lei e Giandomenico, che pur non accettando quella situazione, per motivi diversi l'avevano comunque tollerata. E protratta.
E se così fosse, qual era il grado individuale di colpevolezza?
Perché un'intelligenza sensibile come quella di Giandomenico non aveva vagliato questo punto di vista?
O forse lo aveva fatto, e se ne era ritratto inorridito.
Aveva ragione Gemma nell'affermare che il loro padre avesse ucciso la mamma, seppure lei era ancora viva e, al di là dello smarrimento mentale, godeva di una salute di ferro, ma continuava a credere, però, che non fosse responsabile della morte di Mimì Messinese, seppure lui fosse realmente morto, stroncato da un infarto provocato dall'ansia, dalle pressioni, e dalla sua incapacità a barcamenarsi in una situazione dove non aveva visto via d'uscita, ma che lui stesso aveva contribuito a creare.
In base a questo ragionamento, allora, erano colpevoli anche lei e Giandomenico, che pur non accettando quella situazione, per motivi diversi l'avevano comunque tollerata. E protratta.
E se così fosse, qual era il grado individuale di colpevolezza?
Perché un'intelligenza sensibile come quella di Giandomenico non aveva vagliato questo punto di vista?
O forse lo aveva fatto, e se ne era ritratto inorridito.
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