Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.
domenica 29 luglio 2018
Fleur (cap 6)
STORIA DI UN NAUFRAGIO
Armand Petit progettava d'imbarcarsi su una nave qualsiasi diretta anche all'inferno purché lontano da quella sua vita. Proposito che gli sarebbe riuscito se non fosse stato per le tracce involontariamente disseminate di quel suo intento, e che non erano sfuggite a sua madre, la generalessa caffellatte: il cuscino del suo letto intriso dalle lacrime crude della solitudine; il riflesso malinconico del suo viso impresso nello specchio; l'assenza della sua ombra, già in attesa sul molo.
Ma era stato il fagottino dei ricordi, rinvenuto nel fondo di un armadio, a darle definitiva conferma sulle intenzioni del figlio. Così la notte stabilita per la fuga, Armand, aveva invano frugato nell'armadio alla ricerca di quel suo cartoccino, senza riuscire a trovarlo, e già s'era risolto, con una stretta al cuore, di partire senza quello, quando sua madre s'era materializzata sulla soglia con in mano l'oggetto dei suoi desideri
- Era questo che cercavi Armand? -
Aveva chiesto con tono neutro porgendogli il pacchetto
- Stai tranquillo non manderò all'aria il tuo progetto. Non farò nessuna reprimenda né ti sculaccerò, seppure ne avrei la voglia e il diritto, che questa tua ultima è davvero grossa. Ma ti lascerò andare e manterrò il segreto, solo spiegami a cosa ti serve trascinarti dietro questo ingombrante bagaglio pieno di tutto quello di cui vorresti, invece, disfarti. Non credi che possa esserti d'intralcio? Rallentarti. Indurti al ripensamento. Al rimorso. Alla nostalgia. Al pentimento. Se vuoi andartene fallo da uomo libero, senza legami. Semmai si può definire libero un uomo che fugge -
Armand, allora, non era riuscito a trattenere le lacrime
- Non ce la faccio più a vivere questo inferno, mamma. Coralie è ormai un'estranea e i miei figli pure. Io stesso mi sento un impostore simile ai tanti che bivaccano nella nostra casa, ma a differenza di quelli non ho nessuna formula miracolosa che possa guarire Philippe dal suo male e mia moglie dalla sua follia. Ho dato tutto quello che potevo dare, e così non è rimasto più niente. Nulla che possa giustificare la mia permanenza qui -
L'ultima frase, Armand, l'aveva pronunciata in un sussurro.
- Hai ancora il tuo cuore, lo testimonia questo fagottino che hai confezionato con così tanta cura per preservarne il contenuto: carne viva e non reliquie. Devi reagire, Armand, smetterla di compiangerti e prendere in mano le redini della tua famiglia. Te ne saranno tutti grati. Perfino Coralie. Lei si è imbarcata prima di te su quella nave a cui tu aspiri, ma ha fatto naufragio e ha ormai quasi perso la speranza che tu vada a salvarla. La fuga è una strada solitaria, lungo la quale ci si perde: la tua vita è qui e devi accettarla. Philippe è malato, ma vivo, inducilo a varcare la soglia di quella sua stanza sigillata e tagliare il cordone ombelicale con sua madre. E forse rinasceranno entrambi. Eppoi ci sono le tue figlie disconosciute, Celeste che la malattia del fratello ha reso orfana, e Fleur, abiurata perché non ha compiuto il miracolo per cui è stata concepita. Ma nonostante tutto lei ha un carattere felice e un'innata propensione alla vita. E' l'unica sana in questa famiglia di pazzi. E va preservata. Se cercavi un motivo vincolante per poter rimanere, ecco, te l'ho appena fornito. Ora vado a dormire, spero di vederti domattina a colazione. Se così non fosse ti auguro buon viaggio -
E senza dargli il tempo di replicare era uscita dalla stanza.
La mattina dopo, Armand, sedeva al suo solito posto al tavolo della colazione.
Non fuggire, però, non sempre significa rimanere, e dopo i primi maldestri tentativi di una riconciliazione con quella che era la sua vita, Armand aveva definitivamente abdicato al suo ruolo di capitano di quella nave dove la ciurma, pur senza entrare in stato di ammutinamento, non gli riconosceva nessun grado e nessun ruolo, e così la sua unica occupazione, espletata per lo più nel chiuso della sua cabina, consisteva nel redigere il diario di bordo, ma dal momento che la realtà non lo soddisfaceva, vi andava annotando fatti di pura immaginazione, ascrivibili ad un mondo parallelo dove Philippe non era affatto malato ma sanamente scapestrato quanto lo sono i ragazzi della sua età; Celeste e Fleur , erano le giovani più invidiate ed ambite di Santo Domingo, in virtù della loro posizione sociale ma, soprattutto, della loro abbagliante bellezza; Coralie, nonostante gli oneri della vita famigliare e quelli della rappresentanza, pure trovava il tempo per rinnovare gli incanti della luna di miele.
Ma non sempre questa trasposizione gli riusciva, che con la realtà, nonostante i suoi tentativi di fuggirla svicolando per corridoi secondari e stanza segrete, suo malgrado ci s'imbatteva: lo sguardo accusatore di Coralie; la camera sigillata di Philippe; la folla invadente dei pellegrini; la solitudine in tutto quel rumore.
E nessuno che venisse a salvarlo.
L'ASSENZA DI FLEUR
- Ma io non voglio affatto guarire, Arturo, soprattutto se guarire significa non provare più sulla mia pelle viva la struggente percezione della sua assenza. L'assenza di Fleur. Solo a pronunciare il suo nome mi emoziono. Non puoi chiedermi di rinunciare anche alla sua assenza. E sono trascorse già tre settimane dall'ultima volta che l'ho vista. Devo escogitare qualcosa affinché possa incontrarla. -
Francisco Ferrer, esausto dopo la notte insonne, s'era lasciato cadere su una poltrona
- Maledizione, Francisco, ma l'hai vista? E' ancora una bambina! -
Aveva esclamato Arturo Serrano, esasperato dall'ostinazione dell'amico
- Se ha le mestruazioni è una donna! -
E con quell'affermazione categorica Ferrer aveva troncato il discorso.
INCONFESSABILI DESIDERI SEGRETI
Troncato il discorso ma non le speranze, che già s'apprestava alla consueta ronda di perlustrazione nei luoghi dove immaginava potesse "casualmente" incontrarla, che la fortuna, quel giorno, gli aveva teso la mano facendolo imbattere in Ermelina Hortega, reduce da un faticoso giro di acquisti (una voluminosa sporta) e alla disperata ricerca di un taxi, quel giorno introvabile. Premurosamente, Ferrer, le aveva offerto il suo aiuto.
- Ermelina, permettete che questa la porti io -
Le aveva detto togliendole di mano il bagaglio degli acquisti, sperando in cuor suo di non incrociare nessun taxi per avere modo di estorcerle, in un tet a tet, informazioni su Fleur.
Ma Ermelina era ben disposta a parlare, e così lo aveva messo a parte del suo progetto di organizzare una festa a sorpresa per il sedicesimo compleanno di sua nipote Delicia, cugina carnale di Celeste e di Fleur, in quanto una delle sue figlie aveva sposato il fratello maggiore del console Petit.
A stento dominando i battiti furiosi del suo cuore, Ferrer s'era offerto d'aiutarla nei preparativi.
Ermelina, a questa sua proposta, era quasi caduta in deliquio.
La prospettiva di rivedere da lì a breve Fleur era stato per Ferrer un fenomenale antidoto contro l'insonnia, un miracoloso ricostituente che lo aveva ritemprato non solo nello spirito, ma anche nel fisico, che ora rifulgeva di una bellezza inedita, più languida e remissiva, così come trapelava dalla gestualità divenuta più morbida, quasi quieta, e dallo sguardo che da rapace s'era fatto di colomba.
Cambiamenti che non erano sfuggiti a Blanca Gil che gli aveva chiesto, tra il serio e il faceto, chi fosse la maliarda che aveva trasformato la tigre in un gattino.
- Nessuna. E per un periodo non ve ne saranno. Ho deciso di prendermi un anno sabbatico -
Le aveva risposto ridendo Ferrer
- E Josette lo sa? -
Aveva domandato, in tono mellifluo, Blanca
- A Josette non devo alcuna spiegazione. Tra noi è finita -
Il tono tagliente della sua stessa voce aveva sorpreso lui per primo, che subito s'era affrettato ad aggiungere con studiato cinismo: se ci stai facendo un pensiero lascia stare, a Josette piacciono gli uomini.
- Quanta sicumera in questa tua affermazione con cui dai per scontato che tutti noi sappiamo con certezza cosa davvero ci piace o non ci piace. Un'asserzione netta, che non tiene però conto di quei nostri inconfessabili desideri segreti. Un'affermazione volutamente fuorviante -
Quest'ultima frase, Blanca, l'aveva pronunciata guardandolo dritto negli occhi
- Cosa intendi dire? -
Le aveva chiesto lui di rimando, trattenendola per un braccio
- Quello che hai inteso -
Aveva risposto beffarda, liberandosi dalla sua stretta.
CONTRASTI. E SENTIMENTI
Di veri contrasti con Blanca non ne aveva mai avuti, la loro intesa basava sulla complicità anziché sull'amicizia, sulla spartizione piuttosto che sulla condivisione: l'equivalente di un bottino equamente ripartito.
E questo implicava che fra loro non vi fossero zone d'ombra.
Eppoi Blanca inspiegabilmente piaceva a Sebastian, il figlio undicenne di Ferrer, un ragazzino scontroso, difficile da trattare, nei riguardi del quale, per questo motivo, lui stesso, in continuo affanno psicologico, nutriva sentimenti contrastanti.
Ma con Blanca, invece, Sebastian spontaneamente si lasciava andare, smetteva la mimica dell'accigliato, perfino rideva con la risata cristallina dei bambini.
E così, Ferrer, s'era convinto dell'idea che tutte le donne, anche quelle che hanno rinnegato la loro prima natura, sono soggette all'istinto materno.
Vederli assieme, la donna mancata e il bambino smarrito, sempre gli struggeva l'anima di tenerezza e di un vago senso d'impotenza.
lunedì 23 luglio 2018
Fleur (cap 5)
RITRATTO DI FAMIGLIA IN UN INTERNO
PETIT FLEUR
Dal canto suo, Fleur, era totalmente inconsapevole di essere la causa dello smarrimento dei sensi di Francisco Ferrer, per il quale, a dire il vero, non provava sentimenti particolari se non quelli camerateschi dell'amicizia. Indubbiamente gli piaceva, era diversa da tutti gli altri frequentatori della sua casa (amici...no, non ve n'erano, o almeno non si sentiva di definire tali i pellegrini di ogni risma, nazionalità e cultura, che affollavano stanze e corridoi: imbonitori, fattucchiere, ipnotizzatori e praticanti delle medicine alternative e, in ultimo, perfino una medichessa bretone specialista nel vivificare i moribondi attraverso la terapia soft delle pratiche sessuali.
Franciso era divertente, stravagante, paziente. Soprattutto attento ai suoi desideri. Ecco, questa sua attenzione era la cosa che più la gratificava, ponendola al centro del mondo. Una sensazione per lei nuova, inebriante. Era sicura che se gli avesse chiesto la luna lui gliel' avrebbe data, ed innocentemente, senza indagare i motivi per cui Ferrer, un perfetto sconosciuto, avesse così tanto a cuore la sua felicità, si sentiva paga di quell'affetto che percepiva dirompente e straordinario, trattenuto solo dalle formalità societarie. Su questo specifico aspetto, però, non s'era mai soffermata a riflettere, ritenendo quelle formalità noiose ma inevitabili, senza avvertirne troppo il peso o il desiderio di rivoluzionarle, che la sua vita scorreva su un nastro di raso senza scossoni di una qualche entità, o traballamenti che ne potessero mettere a repentaglio l'equilibrio. Una vita, a dire la verità, molto circoscritta all'ambito domestico, che nonostante la loro posizione sociale, le figlie del console Petit erano praticamente estranee alla vita pubblica. Pochissimi gli amici e ancor meno le occasioni di divertimento, che non costituivano però motivo d'insofferenza, perché mentre Celeste, la regina delle nevi, viveva per sua volontà, reclusa nel suo cristallino palazzo di ghiaccio all'interno di una snowglobe, Fleur, di quel mondo esterno, caotico ed incoerente, non ne aveva invece alcuna consapevolezza, perdurando ancora nella stagione di un'infanzia illecitamente protratta dall'affetto squilibrato della sorella maggiore e dall'ansia ossessiva delle due nonne.
Così, al tempo in cui Ferrer l'aveva conosciuta, Fleur era ancora ferma al tempo dell'infanzia: Petit Fleur, come veniva affettuosamente chiamata nel suo entourage.
NEL NOME DEL FIGLIO
Fleur era sta concepita in una notte d'insensato ottimismo, quando Coralie, assecondando le direttive di un guru itinerante, mozzo su una nave ed esperto in astronomia previsionale, che aveva individuato la causa della malattia del suo secondogenito in uno scompenso planetario verificatosi al momento del concepimento (un'eclissi remota, una tempesta magnetica, o la caduta di un frammento di meteorite in qualche zona depressa del pianeta), un cataclisma che aveva generato caos nel karma del nascituro, nato singolo ma con le stigmate del gemello, e così per rimediare a quell'inganno occorreva che lei partorisse un nuovo figlio, quel gemello mancato, del quale Philippe Marie Hippolyte portava la tara.
Coralie, la notte del concepimento di Fleur, s'era data senza pregiudizi, e senza morale, ad Armand, con l'entusiasmo caotico ed impacciato di una vedova che accoglie di nuovo, dopo un tempo immemorabile, un uomo nel suo letto. Dal canto suo, Armand, aveva creduto di aver ritrovato quella notte la donna che un tempo lei era stata, moltiplicata però per mille dal fervore sessuale con cui gli si era concessa, decretando così la fine di quel purgatorio a cui lo aveva condannato esiliandolo dal suo letto.
Armand non poteva immaginare che quel Kamasutra appassionato era unicamente finalizzato al concepimento, neppure quando lei nello sconvolgimento della febbre dell'orgasmo aveva invocato il nome del figlio anziché il suo.
No, mai avrebbe potuto immaginare che in quell'amplesso coniugale si era consumato, invece, un incesto.
CELESTE, FLEUR E "IL VAMPIRO"
Poco dopo la sua nascita sua madre aveva smesso d'interessarsi a lei tornando esclusivamente ad occuparsi di Philippe e lasciandola interamente alle cure precarie di Celeste, di pochi anni più grande di lei. Armand, prendendo atto con notevole ritardo del disinteresse della moglie alle sorti delle figlie, aveva delegato la madre e la suocera a farne le veci. Compito che le due donne svolgevano con inflessibilità e ruvida tenerezza, esplicandolo con stili diversi, che la nonna paterna dimostrava apertamente la sua riprovazione verso la nuora che aveva abiurato al suo compito di madre, e al nonna materna, invece una difesa, sia pure poco convincente, non approvando lei stessa il comportamento della figlia. E così, in questo stato di guerra fredda, avvenivano continue scaramucce fra le due generalesse, che quasi sempre terminavano con la resa momentanea della nonna color panna che stremata lasciava all'altra l'ultima aspra parola che andava però ad infrangersi contro il muro di silenzio di Coralie.
Quello stesso muro che invece si sbriciolava come mollica di pane all'arrembaggio dei ciarlatani e dei mediconzoli a cui lei docilmente s'arrendeva, senza apporre alcuna remora né resistenza, perché tutte le sue energie e i suoi desideri erano unicamente convogliati al capezzale di Pilippe "il vampiro", il soprannome col quale Celeste, senza alcun affetto, lo aveva ribattezzato.
"Il vampiro"per quel suo pallore cadaverico e il gelo perenne nelle sue vene, che giaceva inerme in quel suo letto come in una bara, sotto strati di coltri da cui non traeva alcun calore, in attesa del tocco della mezzanotte per consumare il suo pasto di sangue e sbirciare poi, per un breve momento il mondo dei vivi, e ricavarne l'illusione di farne anche egli parte.
"e mamma, presagendo il suo bisogno di cibo, gli offriva il suo bellissimo collo bianco affinché lui potesse nutrirsi del suo sangue"
Terminava così la favola nera che Celeste raccontava a Fleur.
Quello era il suo sfogo quando il rancore per quel fratello irreversibilmente malato, ma privilegiato dall'esclusiva dell'amore materno, diventava insostenibile. Perché lei, a differenza di Fleur, quando non s'era compiuto il miracolo per cui era stata concepita, aveva invece goduto, anche se per un tempo brevissimo, del calore della sue braccia. E della dolcezza materna di quel periodo remoto prima della venuta al mondo del vampiro, ne conservava con feroce, inconfessabile gelosia, il ricordo. E la nostalgia.
Seppur mai lo avrebbe ammesso.
Come mai avrebbe confessato il desiderio insensato di voler essere lei la figlia malata, e così avrebbe goduto per sempre di quel suo amore esclusivo, senza provare alcun senso di colpa per quello che sarebbe stato un suo incontestabile diritto. Stringeva i pugni e ricacciando indietro le lacrime abbracciava Fleur: tu non dovrai mai temere nulla perché con te ci sarò sempre io.
Questa rassicurazione, ce pure s'era dimostrata vera, aveva permesso a Fleur di sviluppare un carattere felice, predisposto all'ottimismo e al buon umore, e alla fiducia nel prossimo. Tutto questo nonostante il ripudio materno, la convivenza con "il vampiro", la ferrea vigilanza delle due nonne, e gli strani, inquietanti visitatori che, in attesa di far visita al fratello, invadevano le stanze di quella loro casa da cui il padre, invece, s'andava allontanando. E non solo in senso metaforico.
mercoledì 18 luglio 2018
Fleur (cap 4)
JOSETTE
- Te la fai con le bambine ora? -
Josette, palesemente ubriaca, si era materializzata da un qualche sfondo (che ora che Fleur se ne era andata quella festa per lui aveva perso ogni significato) con quell'obiezione irriverente ma che comunque avrebbe posto anche se fosse stata sobria. Negli ultimi tempi tra loro c'erano stato scintille e la gelosia di lei aveva preso il sopravvento, così Ferrer, venutagli a noia, aveva deciso di rompere, ed attendeva solo l'occasione giusta perché a differenza di tutte le altre sue amanti, la bionda Josette (bionda come tutte le altre ma molto meno bionda di Fleur) aveva cominciato ad accampare stupide pretese di possesso su di lui.
Ferrer aveva sempre ritenuto la gelosia un sentimento meschino, ignobile, ma sopratutto inutile. Aveva disgusto delle persone gelose così come di quelle afflitte dal morbo della vecchiaia. Per la prima categoria trovava intollerabili le ossessioni sentimentali e le inevitabili persecuzioni generate delle ubbie e dei sospetti, sia pure fondati, all'interno di una relazione. La gelosia era per lui unicamente circoscritta ad un ruolo cinematografico, che pure, essendone immune, aveva sempre avuto difficoltà ad interpretare, risultando in quella parte freddo ed impersonale, estraneo al personaggio, come aveva rivelato più di un critico. Per la seconda categoria, invece, si trattava di una vera e propria repulsione fisica. Nutriva genuino disgusto per le carni appassite dei vecchi; per le pupille nebbiose; per il tremito delle mani ma soprattutto per quelle loro bocche impudiche, intente a succhiar l'aria, in un disgustoso coito orale con la morte.
L'aveva allora presa per un braccio e trascinata dietro un separé dove, senza mettermi termini, le aveva intimato di togliersi dai piedi e senza dare altro spettacolo, che pure s'era dimostrata pessima attrice nella vita così come davanti la macchina da presa, e se ancora qualche piccola parte le veniva proposta era solo dietro sua intercessione. Josette, furiosa, gli si era letteralmente avventata contro graffiandolo in volto e sfregiandolo con la mezzaluna delle sue unghie laccate di rosso. Un'unghia le si era spezzata e un frammento, affilato come una punta di vetro, s'era conficcato nella ferita prodotta.
Ferrer, accecato dal dolore, l'aveva spinta via mandandola a sbattere contro la parete. Josette s'era accasciata a terra, pallida e con gli occhi sbarrati. Impaurito s'era chinato su di lei per prestarle soccorso ma ecco che la sua amante, d'improvviso rediviva, lo aveva attirato a sé sussurrandogli nell'orecchio: non sono poi una così cattiva attrice. S'era poi sfacciatamente aperta in croce offrendoglisi impudica per sancire la resa, ma lui s'era tirato via e scostandola con la punta del piede aveva detto disgustato: sei solo una puttana. Lei, allora gli si era avvinghiata ad una gamba ma lui l'aveva scalciata con disgusto. Josette, per nascondere l'umiliazione, aveva preso scompostamente a ridere, una risata isterica, ma poi quando Ferrer era uscito quel parossismo era tramutato in pianto.
Qualcosa di drammaticamente irreversibile s'era delineato quella sera ma che nessuno dei protagonisti, in preda alle passioni o alle disillusioni, aveva percepito.
Arturo Serrano, su richiesta di Ferrer, aveva riaccompagnato a casa Josette, scarmigliata e febbricitante, in balia del delirio etilico e di quello sentimentale, e nei cui biascicamenti da ubriaca trapelavano lucidissime minacce di vendetta nei confronti dell'ormai ex amante.
Ferrer li aveva visti lasciare la sala provando un sollievo, sia pur momentaneo, per quella faccenda di cui ora paventava la pubblicità che di certo avrebbe compromesso i suoi ipotetici, futuri rapporti con Fleur.
In altri tempi, lo scandalo minacciato da Josette, l'avrebbe trasposto in capitoli di sciropposa letteratura erotico/sentimentale che tanto piaceva al suo pubblico, soprattutto femminile, che pure, nonostante lo stile mediocre e la ripetitività delle trame, decretava il tutto esaurito al cinema come in libreria.
Francisco Ferrer, incarnazione caraibica di un dio azteco, le fans lo assolvevano di tutti quei peccati che al proprio uomo mai avrebbero perdonato: l'incoerenza, l'incostanza, la spregiudicatezza e l'immoralità. Privilegi in un sex simbol ma abiezioni in un comune mortale. Tanto era grande la popolarità che la sua icona era entrata di diritto in una sorta di santeria parallela, dove la sua divinità pagana godeva del patrocinio di Santa Maria Maddalena Penitente, la peccatrice che aveva irretito decine di uomini e in ultimo perfino Gesù, che pure l'aveva perdonata, e stando a taluni scritti apocrifi, fatta sua sposa. Nell'immaginario femminile i colori di questo misterio, protettore della bellezza e della sensualità, erano il rosso vivo (colore della passione), il blu cobalto (quello della virilità), e il bianco, a testimoniare la purezza dell'anima nonostante le intemperanze dei sensi.
Quando Arturo Serrano era tornato alla villa la festa era già terminata, in anticipo e senza lo spettacolo dei fuochi d'artificio.
Ferrer era seduto a terra dove aveva predisposto un gran numero di calici colmi dai quali beveva a turno, e in ordine casuale.
Serrano s'era seduto anche lui sul pavimento e aveva preso un calice che però l'altro, prontamente, gli aveva tolto di mano
- Uno di noi due, compadre, deve rimanere sobrio. E quello sei tu! -
Aveva affermato perentorio puntandogli l'indice contro
- Cosa è accaduto con Josette? Era fuori di sé, non mi riusciva di calmarla, farneticava frasi senza senso e minacce nei tuoi confronti, così in ultimo le ho somministrato un paio di sonniferi, messa a letto e lasciato la cameriera a vegliarla -
- Ah, Josette... Josette... un'attrice mediocre, l'unica parte in cui mostra un qualche talento è quella della puttana: un ruolo di poche battute -
E su questa sua considerazione, Ferrer, era scoppiato a ridere.
- Se non la vuoi più lasciala! -
Aveva esclamato in tono esasperato Serrano
- Davvero... non ti capisco -
Aveva poi aggiunto, dubbioso, scuotendo la testa
- Josette non vuole abdicare, amico mio, e mi sta dichiarando guerra. Ed io non sono pronto. Non ho nessuna strategia. Sono indifeso come un neonato. Guarda cosa mi ha fatto! -
S'era girato verso la luce per mostrare all'amico la guancia deturpata dallo sfregio che lei gli aveva inferto.
- E sai cosa pretendeva, la troia, dopo avermi fatto questo? Che la scopassi! -
Di nuovo quella sua risata remota, senza allegria.
- Questa scioccante rivelazione, compadre, merita che mi scoli anch'io un paio dei tuoi calici -
Aveva concluso con solennità Serrano, servendosi da uno dei tanti disseminati sul pavimento.
BLANCA E FRANCISCO
E come un mastino, Ferrer, aveva iniziato a pattugliare i luoghi presupposti dove si sarebbe potuta materializzare Fleur: la scuola, il palazzetto del ghiaccio dove andava a pattinare, perfino il luna park, periferico e malavitoso, che di certo a lei non era permesso frequentare. E ancora, in ultimo, e con una certa assiduità, la pasticceria Bocados dove l'aveva casualmente incontrata. Quella in particolare, senza però trascurare tutte le altre della città. Ma inutilmente, che dalla sera della festa di lei aveva perso le tracce. Le tracce... ma non l'odore, che pure insidiosamente gli aveva invaso le narici e la gola sostituendosi all'ossigeno.
E così, Ferrer, necessitava del ricordo di lei anche solo per respirare, soprattutto ora che le sue notti erano diventate solitarie seppur non caste, che per sfuggire al gorgo delle apnee, sintomi di quella nostalgia olfattiva, trovava momentaneo sollievo negli orgasmi autoindotti.
Solo allora, nel parossismo dell'acme, invocando il suo nome, ritrovava il respiro e i battiti del suo cuore esausto.
Consumato da quel desiderio che sempre più lo possedeva, dimagriva a vista d'occhio, e questo suo languore non era passato inosservato allo sguardo invasivo di Blanca Gil, giornalista e sua amica di vecchia data, che senza troppi preamboli gli aveva chiesto quale fosse la causa di quel suo visibile deperimento.
- Sono le donne che mi consumano, amica mia -
Aveva risposto Ferrer in tono confidenziale, schermandosi col suo ventaglio.
- Non m'inganni, Francisco, conosco la tua resistenza fisica e la tua tenacia psicologica, quindi deve trattarsi di una sola e di genere alfa, per cui sinceramente ti suggerirei di starne alla larga. -
Aveva detto Blanca ridendo. E poi lo aveva baciato sulla bocca.
Blanca e Francisco non erano mai stati amanti né mai lo sarebbero diventati, non solo per il fatto che lei era bruna di pelle e di capelli e lui, invece, prediligeva le bionde dalla carnagione chiara, ma anche perché a Blanca piacevano le donne. Quest'affinità li aveva resi complici prima ancora che amici, al punto da condividere, per un certo periodo, la stessa ragazza.
Nessuno dei due era geloso dell'altro, e questo aveva generato una stima asettica, immune dai contorsionismi di quel sentimentalismo passionale che, al minimo subbuglio, esaspera e si distorce. Seppur non è esatto dire che tra loro non ci fosse alcuna attrazione, perché pure c'era e della più oscura, quella incestuosa dei gemelli monovulari, esercitata dal richiamo attrattivo di quel doppio che, pure se fisicamente scisso, è percepito come unico.
Incesto a freddo, il desiderio mirato a un ricongiungimento spirituale piuttosto che all'esplicazione di quell'atto sessuale che, se compiuto, si sarebbe rivelato distruttivo per entrambi.
Non era quindi una questione morale, ma mero istinto di preservazione.
In una muta intesa avevano evitato di esplorare quel gorgo, limitandosi a passeggiare sottobraccio sulla sponda più asciutta: lui con il ventaglio tra le mani, lei con una sigaretta tra le labbra, e amabilmente conversando andavano facendo a pezzi l'onorabilità delle rispettive amanti.
Di Fleur, però, con Blanca non ne aveva parlato. Né mai lo avrebbe fatto, consapevole di come lei, di quelle confidenze, se ne sarebbe poi servita. Così, se fino a quel momento la discrezione era stata bandita da quel loro gioco, Ferrer era intenzionato, all'insaputa della sua complice, a ripristinarla, perché gli riusciva insopportabile perfino l'idea che quella potesse, con un qualche diritto, pronunciare il nome di Fleur. Sarebbe stata una profanazione, una violenza. Uno stupro da cui lui l'avrebbe, perfino a costo della sua vita, protetta. Avvolta nello spesso strato di coperte del suo amore, l'avrebbe tenuta segreta, al riparo dalla morbosità di Blanca e da quel loro patto scellerato.
E così avrebbe dovuto trovare un diversivo con cui stornare l'attenzione della giornalista, se non fosse che quel diversivo era stata proprio Blanca a fornirglielo quando gli aveva chiesto se puntava ad avere come amante la bellissima bionda intravista alla sua festa, scortata da un'attempata matrona e dalla deliziosa sorella minore.
Il riferimento era a Celeste e non a Fleur.
Ferrer respirò sollevato.
- Ti riferisci alla figlia maggiore del console Petit? -
La domanda di Ferrer era per avere conferma che era proprio di Celeste che Blanca stesse parlando
- Una bellezza mozzafiato. Perfino il freddo, impenetrabile Arturo Serrano, ne è rimasto affascinato. Non riusciva a toglierle gli occhi di dosso. E neppure io! -
Blanca aveva sottolineato l'ultima frase con un sorriso esplicito, e subito dopo aveva precisato
- Ovviamente hai tu la precedenza. Saprò aspettare. -
mercoledì 11 luglio 2018
Fleur (cap 3)
A RITMO DI JAZZ
In genere, il jazz è sempre stato simile al tipo d'uomo con cui non vorreste far uscire vostra figlia
(Duke Ellington)
Varcata la soglia della splendida villa di Francisco Ferrer, vennero condotte in una grande sala priva di mobilio, costeggiata da una sequenza di divani blu china ordinatamente addossati alle pareti, e al cui centro, sotto la luce di cristallo di enormi lampadari liberty, una piccola folla di ballerini si esibiva al ritmo di una musica scatenante, cosicché nessuno era seduto ma tutti parevano in preda ad una incontrollabile euforia, dimenandosi in frenetici sgambettamenti che ne mettevano a rischio l'equilibrio.
In un angolo concavo era stato ricavato lo spazio per l'orchestra, al sicuro dalle acrobatiche rotazioni dei piedi dei ballerini.
Fleur, Celeste ed Ermelina, visibilmente impacciate, travolte dal frastuono, arretrarono verso la fila dei divani dove vennero intercettate, nel loro visibile spaesamento, da Ferrer, che subito le raggiunse per rassicurarle con la sua presenza.
Un terzetto, quello delle tre donne, variegato e male assortito, al centro del quale campeggiava Ermelina Hortega, straripante di curve e di sorrisi, vestita di lamè, il cui scintillio induceva l'idea di una corazza piuttosto che di un'argentea seduzione; Celeste sfoggiava una castigatissima tunica cangiante nei toni del turchese, che la sua innata grazia, però, rendeva estremamente sensuale, suscitando, già dal suo ingresso, l'ammirazione di molti sguardi maschili; Fleur, invece, emergeva come un sorridente fiore di campanella dalle balze pervinca di un innocente abito da battesimo (Celeste era riuscita alla fine a spuntarla sulla nonna caffelatte e sulla sua pretesa che la sorella andasse al ballo con la divisa della scuola, ma il consenso per un abito diverso da quello non era riuscita ad ottenerlo).
Ermelina Hortega, alla presenza di Ferrer era ritornata ella stessa una ragazzetta, una coetanea delle due fanciulle sulle quali era preposta a vegliare, ma che completamente dimentica di loro aveva solo occhi per l'attore che l'andava ammaliando con galanterie costanti ma contenute, così come si conviene nei riguardi di una signora non più giovane.
Ma quando l'orchestra aveva attaccato "Yes sir!That my baby" e Fleur aveva iniziato l'incantevole mimica di battere il ritmo con le dita sulle ginocchia, con un piccolo inchino aveva porto la mano alla ragazzina invitandola a ballare.
- Non conosco i passi - Si era schernita lei
- E' jazz. S'improvvisa! - Aveva esclamato Ferrer guidandola verso il gruppo dei ballerini che si dimenavano in un parossismo collettivo.
S'improvvisa!
Non sapeva Ferrer che l'improvvisazione, da quel momento in poi, avrebbe costituito la costante della sua vita, ma seppure lui che poteva imporre e disporre a suo piacimento, perfino condizionare e modificare storie e destini, che la fama pure dà questo potere, ne avesse avuto la percezione, mai se ne sarebbe rammaricato se quella subordinazione fosse stato il prezzo da pagare per avere Fleur.
Fleur, le gote rosa, deliziosamente accaldata, gli occhi splendenti e le labbra leggermente dischiuse, dapprima incerta, e poi sempre più disinvolta, adeguandosi con naturalezza al ritmo della musica e ai passi di Francisco con così tanta grazia che tutti gli altri ballerini s'erano fatti da parte per poterli ammirare, e alla fine applaudirli.
Ferrer l'aveva allora presa per mano per condividere con lei quell'entusiasmo, e aveva sentito, in risposta a quella sua stretta, la fiduciosa corrispondenza di lei, che lo aveva profondamente commosso. Una sensazione pura, indescrivibile, la stessa di quando aveva stretto tra le braccia suo figlio Sebastian, col suo peso da uccellino, la testa implume e lo sguardo opaco della prima nascita.
E il cuore, a quel contatto, aveva preso a battergli forte, quasi a dolergli, per quella fragilità così innocentemente esposta, ma che lui, adempiendo ai compiti di padre, avrebbe reso inviolabile.
Lo aveva giurato a se stesso. E a Sebastian. E non volendo confidare solo sulle sue uniche forze aveva posto al collo del neonato lo scapolare di Santa Martha Dominadora ,la potente Loa domatrice dei serpenti, in grado di piegare al suo volere uomini e situazioni.
L'umido di quel ricordo s'era visualizzato in una lacrima clandestina che l'attore prontamente aveva nascosto dietro l'ala nera del suo ventaglio, che il copione, quella sera, raccontava la storia del suo amore recente per Fleur e non quello doloroso per Sebastian.
Ah, se solo Ferrer avesse potuto scrutare anche per un solo momento nel suo futuro avrebbe ricondotto la piccina alla sorella che dal fondo della sala non aveva distolto, neppure per un attimo, loro gli occhi di dosso, e con umiltà avrebbe pregato Ermelina Hortega, il cui sguardo incoerente, ed instancabile, aveva esplorato tutto il tempo la sala ad intercettare personaggi famosi, di ricondurla a casa che s'era fatto tardi e che il giorno dopo sarebbe stata per lei giornata di scuola.
Ma invece aveva continuato a tenerla stretta per mano e a malincuore, nella pausa dell'orchestra, s'era risolto a ricondurla al divanetto dove erano rimaste in attesa Celeste ed Ermelina.
Questa restituzione la esigeva il galateo ma anche l'accortezza di evitare imbarazzanti pettegolezzi che avrebbero potuto mettere a rischio quella sua futura frequentazione che così ardentemente agognava, e così s'era predisposto ad un agire più controllato e meno istintivo.
Da parte sua, Fleur, non s'era negata ai preliminari di una possibile intesa, flirtando in maniera impacciata ed incantevole, e ridendo divertita alle facezie che lui le andava sussurrando al passaggio di questo o di quello.
ARTURO SERRANO
- Chi è la splendida bionda in turchese? -
Gli aveva chiesto, in tono confidenziale, Arturo Serrano, il magnate e produttore del suo ultimo film, entrato poi a far parte del ristretto, selezionatissimo olimpo degli amici più intimi di Ferrer.
- L'ho invitata a ballare ma ha rifiutato -
- Celeste Petit, la figlia maggiore del console Armand Petit.-
- Presentamela -
- Ti avverto che è inarrivabile -
- Particolare che alimenta maggiormente il mio desiderio di conoscenza -
E così erano avvenute le presentazioni, con la constatazione di Serrano che Celeste Petit pareva assolutamente immune dall'attrattiva delle lusinghe e delle seduzioni, a differenza di Ermelina Hortega in estasi, completamente stregata dal fascino del magnate e dal copione mercenario che andava recitando, che la strategia, facile e scontata, era quella di conquistare l'amazzone in lamè per arrivare all'algida, bellissima regina delle nevi, vestita di turchese, che pure ascoltava per mera cortesia gli intriganti pettegolezzi, e le confidenze truffaldine di quel dietro le quinte che neppure i giornalisti più scaltri erano mai riusciti ad indagare, e che suscitavano i prolungati ohhh di bambinesca meraviglia dell'amica Ermelina. Neppure Fleur s'era mostrata troppo interessata ai segreti delle star cinematografiche, fissava i ballerini al centro della sala e d'istinto aveva sfiorato la mano di Ferrer perché la invitasse di nuovo a ballare. Una richiesta di complicità che l'attore grato, e col cuore in subbuglio, si predisponeva ad esaudire ma che Celeste, cogliendo quel gesto, aveva impedito con un garbato, ma inappellabile: s'è fatto tardi, Fleur, dobbiamo tornare a casa.
Un invito a cui la sorella minore s'era dovuta piegare in silenzio, e raccolto di malavoglia da Ermelina, che visibilmente contrariata aveva obiettato stizzita : alle feste da ballo si va per ballare, ed io non ne ho avuto occasione. Nemmeno un ballo!
- Possiamo rimediare. Neppure voi, Celeste, avete ballato -
Serrano s'era galantemente di nuovo proposto come ballerino
- Davvero, è tardi -
La replica decisa di lei aveva tolto ogni ipotesi di un ripensamento,
- Possiamo almeno, io e Francisco, riaccompagnarvi a casa? -
- Grazie, ma non occorre, abbiamo la macchina del consolato -
venerdì 6 luglio 2018
Fleur (cap 2)
FLEUR: STORDENTE, DELIZIOSA PERDIZIONE
Tenere tra le braccia, sia pur solo nella coreografia del ballo, Petit Fleur, aveva suscitato in Francisco Ferrer desideri inediti, un misto di lussuria e fratellanza, il desiderio di essere per lei il fango e l'arcobaleno, la perdizione e la salvezza, l'oltraggio e il perdono, Satana e l'arcangelo Michele.
Nessun'altra donna, come questa piccina, era stata in grado di scaraventarlo nell'abisso primordiale dei sensi, dove sentimenti e pulsioni erano un tutt'uno, strettamente, convulsamente annodati. Inestricabili. Indivisibili.
La sottile, stordente, inconsapevole fragranza adolescenziale di Fleur gli aveva permeato i sensi, dannandolo e rinvigorendolo al contempo, facendolo impazzire di quel desiderio di cui neppure lui conosceva la vastità e solo vagamente ne poteva presagire il potere distruttivo, che già si manifestava coi sintomi dell'insonnia, dell'indolenza, della vacuità del pensiero e dello sguardo, e invano tentando di capire quello che gli stava accadendo, di trovare un nome, o un significato, a definire quelle sensazioni frastornanti ed equivoche di cui era in balia.
Ma un nome c'era, ed era quello di Fleur.
Era il nome di lei che invocava nelle sue notti insonni, evocandola, implorandola, maledicendola. Non si dava pace in quel suo letto, avrebbe voluto averla vicino solo per respirare il profumo di primavera che emanava dalla sua pelle e dai suoi capelli di pallido sole ed inebriarsi dell'odore giallo e dolce del miele di tarassaco, quello stesso che immaginava permeasse il suo sesso di vergine.
Era quel profumo, associato all'immagine di Fleur nuda, che maggiormente lo eccitava come il più potente degli afrodisiaci, nel piacere solitario della masturbazione.
Fleur. Fleur. Fleur
Fleur: stordente, deliziosa perdizione.
DESTINI
Ferrer aveva discretamente indagato per sapere qualcosa di più sulla piccola dea che gli aveva scippato il sentimento, poche informazioni, però, che la vita di Fleur era davvero all'inizio e su di lei non c'era molto da raccontare, se non che era la figlia minore del console francese Armand Petit, lui si, invece, con un corposo curriculum vitae da cui benissimo si sarebbe potuta trarre la sceneggiatura di un film d'avventura. Armand Petit che aveva dovuto rinunciare al più prestigioso incarico di ambasciatore a Mosca per via del clima non confacente alla salute precaria del suo unico figlio maschio, un diciottenne gracile dallo sguardo malinconico, prostrato da una rara malattia del sangue che lo andava consumando nella diarrea e nel vomito, relegandolo spossato in un fondo di letto, con le mani e i piedi colorati dal blu di un gelo endemico, impenetrabile ad ogni forma di calore.
Philippe Marie Hippolyte, così si chiamava il giovane, un nome lungo per compensare la brevità plebea del cognome, ma che di certo non avrebbe pareggiato quella della sua vita.
Ed ecco che Armand Petit, politico brillante ed eminenza nel campo della diplomazia, s'era dovuto accontentare della mansione minore di console da espletare, grazie al posto vacante e su sua richiesta, a Santo Domingo, nei Caraibi, la città dove non fa mai freddo. Un ripiego per altro inutile, essendo consapevole che non era da ricercare nel clima la causa e il rimedio alla malattia che inesorabilmente andava sempre più debilitando Philippe.
Ma pure s'era piegato per amore alle istanze di Coralie, sua moglie, che incapace di abdicare alla speranza di una guarigione aveva trasformato la casa in una stazione di posta dove trovavano ospitalità professoroni e cialtroni di ogni specie, tra cui un ipnotista, che aveva tentato di far regredire Philippe allo stato di feto al fine di reimpostarlo verso una nuova nascita.
A questo continuo, caotico viavai di estranei su cui Coralie non esercitava alcun controllo, Armand Petit allora aveva chiamato sia la madre che la suocera a vigilare sulla sicurezza delle figlie, Celeste e Fleur. Compito che le due nonne espletavano con enfasi materna e incorruttibile severità.
E nel mentre Ferrer tentava d'imbastire un piano per poter rivedere Fleur, l'incontro avvenne del tutto casuale nella pasticceria Bocados, dove lei e Celeste avevano cercato in una caraffina di limonata ristoro dal caldo assassino che infiammava, senza tregua, quel pomeriggio.
Ferrer, frastornato e felice, prontamente scegliendo dal vasto repertorio dei suoi sorrisi quello suo più scanzonato, sorseggiando un "santo libre" abbordò le due ragazze chiedendo il permesso di sedersi con loro. Fleur che quel giorno indossava un etereo vestito a fiori sui toni dell'azzurro, e i biondissimi capelli serrati in una treccia, gli apparve ancora più incantevole di come la ricordava nel loro primo incontro, lo accolse entusiasta presentandolo alla sorella e aggiungendo poi: è di lui che ti raccontavo della sera del ballo. Questa piccola frase disvelava a Francisco due cose importanti: la complicità fra le due sorelle ma soprattutto che lei non lo aveva dimenticato. Questa constatazione lo aveva reso leggero e incautamente euforico, e già la sua mente andava febbrilmente elaborando un piano per poterla rivedere, non un appuntamento, no, certo, quello lo aveva scartato a priori, ma un invito esteso anche alla sorella o, se necessitava, a qualche altro adulto della famiglia, e l'occasione poteva essere quella informale di una festa.
E mentre nella sua testa prendeva sempre più consistenza la validità di questo escamotage, Ferrer andava attingendo dal vasto repertorio delle sue arti di seduttore facendo attenzione, però, a non palesare un interesse esclusivo per Fleur, ma equamente distribuendo le sue galanterie ad entrambe.
Un compito davvero difficile e per il quale abbisognava di tutto il suo autocontrollo, che la vicinanza di lei gli incendiava i sensi e gli ottundeva la mente, consapevole che non poteva permettersi errori né cadere in premature tentazioni, che Celeste, pur avendo pochi più anni della sorella, lo andava vagliando con un giudizio d'adulta. Bellissima ed algida, aveva gli stessi capelli pallidi e gli stessi occhi verde chiaro di Fleur, ma le similitudini si fermavano a quello. Ferrer chiaramente aveva avvertito nella distanza dietro la cortesia la barriera invalicabile di un carattere superiore.
In altri tempi si sarebbe invaghito di lei.
In altri tempi, e se non ci fosse stata Fleur.
Fleur, che aveva riso alle sue facezie, che aveva giocherellato col suo ventaglio nero da dandy (quel ventaglio, ora per lui oggetto magico e da cui mai più si sarebbe separato, che le dita di lei vi avevano impresso l'impronta di una promessa seppur inconsapevole) che aveva preteso, con capricci di bimba, l'assaggio di un "santo libre" che la sorella gli aveva concesso nella quantità minima per un uccellino.
Fleur, che gli aveva poi detto in tono confidenziale: - Francisco, voglio fare l'attrice, insegnatemi per favore. -
E Ferrer aveva risposto ridendo: - siete troppo giovane Fleur, dovete avere la pazienza di crescere, ma nel frattempo se vi contentate dell'insegnamento di qualche passo di danza, sarei felice d'invitare entrambe alla mia prossima festa. -
E poi colto da un'illuminazione aveva aggiunto: - invito esteso anche alla signora Ermelina Hortega, alla quale ebbi il piacere di autografare una pagina del vostro "program du bal" -
E il consenso a partecipare alla festa venne loro concesso da Armand Petit, ma solo dopo un duro scontro con la propria madre, la nonna caffelatte, decisamente contraria a questa possibilità nonostante fosse stata garantita la presenza di Ermelina Hortega, la consuocera della nonna materna, che pure s'era impegnata ad accompagnare le due ragazze al ballo e vegliare su di loro.
- E chi sorveglierà l'evanescente, leziosa, Ermelina? -
Aveva chiesto sarcastica l'irriducibile ottuagenaria al colmo della disapprovazione, spingendo in un angolo Armand, così come era solita fare quando era bambino e voleva cavargli di bocca la confessione di una marachella.
- Ermelina Hortega, per l'amor di Dio, a lei non affiderei neppure il gatto, figuriamoci le mie nipoti! -
Aveva concluso spossata da quell'accesso di collera, insensibile all'arringa difensiva del figlio che tentava, se non di convincerla, almeno di piegarla all'indulgenza.
- Celeste e Fleur hanno così poche occasioni di svago che non me la sento di privarle di questa opportunità. Confido nell'istinto materno di Ermelina e, soprattutto, nel buon senso di Celeste -
Aveva ribattuto con dolcezza e decisione Armand Petit, baciando la mano dell'anziana madre e ponendo in questo modo fine alla discussione.
Ma la nonna caffelatte aveva preteso che Fleur, come la volta precedente, non indossasse un abito da sera ma la sua divisa da studentessa, un escamotage per evidenziarla nella sua ancora giovanissima età e renderla manifestamente inaccessibile.
Non immaginando che sarebbe stata proprio quella diversificazione a tracciare il destino di Fleur.
E di tutti loro.
martedì 3 luglio 2018
Fleur (cap 1)
A RITMO DI JAZZ
IL PRIMO BALLOLa prima volta che Francisco Ferrer l'aveva vista, Fleur Petit (ma dal suo entourage affettuosamente chiamata Petit Fleur ) indossava un vestito primaverile verde chiaro, dello stesso colore degli occhi, e aveva i capelli biondi, quasi albini, ordinati in un triplice gioco di trecce.
Seduta fra due matrone vestite di scuro (la nonna paterna e quella materna), spiccava non solo per la luminosità della sua aura ma anche per quella veste da bambina che la diversificava dal resto degli invitati, rigorosamente in abito da sera.
Troppo giovane per sfoggiarne uno e troppo giovane per poter ballare, Fleur, visibilmente annoiata, giocherellava con l'orlo della gonna, battendo le mani sulle ginocchia al ritmo della musica, motivo per cui le due nonne, a turno, la riportavano al decoro della postura con invisibili pizzicotti.
Un richiamo, quello delle due generalesse, a cui lei obbediva solo per un momento, per poi subito ricominciare quella sua mimica.
Chiaramente si vedeva che aveva voglia di ballare e che era una sofferenza per lei rimanere seduta, in castigo, a scontare il peccato di essere ancora così giovane.
Ma perché portarla al ballo se poi non le era concesso neppure di potersi muovere?
Si era chiesto Francisco Ferrer, divertito e intenerito da Fleur: una farfalla intrappolata in un retino a cui perfidamente veniva concessa l'aria per respirare, ma non per volare.
Occorreva liberarla dal peso della forza di gravità delle due matrone che la tenevano inchiodata a quella sedia, lasciarla libera di saggiare il suo angolo di cielo e tutti gli elementi lì tenuti a dimora. E un vento selvaggio che le sciogliesse i capelli e sollevasse, ben oltre le ginocchia, l'orlo di quella sua vesticciola puerile, con la complicità ruffiana di un sole caldo e suadente che pacificamente la penetrasse nei sensi ancora immaturi per completare la metamorfosi.
E la premonizione che sarebbe stato lui quel vento e quel sole.
Francisco Ferrer, dopo aver prelevato due rose color carminio da uno dei tanti bouquet sparsi a decorare la sala, con passo deciso, e col suo sorriso più seducente, s'era diretto verso di loro, conscio dell'impatto visivo, ed emozionale, che sempre esercitava sulle donne.
Pur non essendo molto alto sembrava occupare, con la sua sola presenza, l'intera sala.
Bello come un dio azteco, nel volto bruno dagli zigomi alti rilucevano gli occhi colore dell'ambra.
Al lobo sinistro sfoggiava un orecchino, una mezza luna d'oro bianco, un dettaglio da pirata che spiccava contraddittorio sull'elegantissimo smoking, corredato dall'accessorio, inusuale per un uomo, di un ventaglio di seta nera che sfoggiava con nonchalance e naturalezza innata.
In una mano le due rose e nell'altra il ventaglio con cui negligentemente andava facendosi vento, Ferrer aveva attraversato il salone, seppur con qualche difficoltà, che ad ogni passo veniva fermato da qualcuno degli invitati per un saluto o l'inizio di una conversazione a cui lui, però, in qualche modo abilmente si sottraeva per giungere finalmente all'angolo appartato dove erano confinate Fleur e le due nonne, fermamente intenzionato ad irretirle per strappar loro il consenso di ballare con la piccina
- Signore, permettete che mi presenti? Francisco Ferrer -
Lievemente chinandosi, s'era così presentato, porgendo ad ognuna una rosa.
- Quel Ferrer? L'attore? -
La domanda era stata formulata con voce severa, e niente affatto amichevole, da una delle due generalesse, che benissimo avrebbero potuto esser sorelle tanto si somigliavano, tranne per il particolare delle sfumature della pelle, che in quella che aveva parlato aveva i toni del caffelatte e nell'altra, invece, di candida panna.
- Ah signora, mi si ricorda sempre in quella veste e mai in quella che più mi è cara, dello scrittore -
Aveva risposto sorridendo e battendosi in gesto teatrale il petto, dalla parte del cuore, e suscitando il riso divertito di Fleur che all'occhiataccia della nonna color caffèlatte s'era subito ricomposta, attenta però a non perdersi neppure una parola di quella strana conversazione da cui era esclusa.
- Sapete chi sono, signora, e questo mi gratifica molto. Ulteriormente lo sarei se aveste visto un qualche mio film, avrei così al riguardo il piacere di un vostro giudizio più diretto -
Voce calda e sorriso fascinoso, gli strumenti infallibili di cui si sarebbe servito per scavare una breccia nel cuore della virago, che immaginava pure dovesse possedere, anche se pressato dal corsetto dell'abito e i troppi strati di carne.
- Da quando agli attori è stato concesso di parlare ho smesso di andare al cinematografo. Il sonoro non mi attrae... ancor meno fuori dalla sala -
Aveva tagliato corto lei considerando chiusa la conversazione, se non che a sorpresa, e con un certo entusiasmo, s'era intromessa l'altra nonna che aveva detto: - Ermelina Hortega, la mia più cara amica nonché suocera del maggiore dei miei figli, è una sua fervente ammiratrice, credo abbia visto tutti i suoi film...immagino il suo stupore quando le racconterò di aver fatto la sua conoscenza. -
- Se crede che sia cosa gradita alla sua consuocera, posso farle un autografo -
Suggerimento calorosamente accolto dalla nonna color panna che subito aveva preso a frugare nella sua minuscola borsetta da sera alla ricerca di una porziuncola di carta su cui fargli apporre l'autografo. Una ricerca febbrile quanto vana, e sotto lo sguardo di ostile riprovazione dell'altra, e così a prestarle soccorso era intervenuta Fleur nelle cui mani s'era materializzato un obsoleto, innocentissimo "program du bal", dalle pagine vergini, e la cui apparizione aveva commosso il cuore corsaro di Francisco Ferrer.
Lei glielo aveva spontaneamente porto dicendo: - ecco, può scrivere qui. -
Lui sorridendo lo aveva vergato con la sua elegante firma, e nel restituirlo aveva detto: - aggiungetemi alla lista. -
- Non c'è nessuna lista. Fleur è troppo giovane per ballare -
Aveva ribadito con gli artigli sguainati la nonna color caffelatte
- E' solo un ballo, non vedo il motivo di negarle questa esperienza -
La replica immediata della nonna color panna, decisa quanto l'altra a far valere il suo punto di vista
- Un solo ballo. Per sgranchirsi le gambe -
Fleur aveva solo quindici anni quando gli concesse quel primo ballo.
Il primo di una lunga serie.
Francisco di anni ne aveva il doppio, un matrimonio fallito, un figlio minorenne e ombroso, e una schiera infinita di amanti, tutte esclusivamente bionde.
Ma tutto questo era stato prima dell'arrivo di Fleur, la più bionda di tutte.
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