Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.

giovedì 8 agosto 2019

Rebecca (cap. 7)



INTENTI
- Il mio futuro non contempla il matrimonio, per quanto bella e ricca possa essere la ragazza, non ho propensione  per l'intesa coniugale, e di certo la renderei infelice. La mia arte, d'altronde, non abbisogna di molto: uno spazio, gli arnesi per il lavoro, e le mie mani. E di tutto questo già dispongo. Riferite pure all'ottimo Scalavino che sono lusingato dalla sua proposta che però mi sento di rifiutare. E pregatelo che non l'intenda come uno spregio, che per altro sarebbe immeritato, sia nei suoi confronti che in quelli di sua figlia, ma di una mia congenita propensione alla solitudine. -

La risposta di Giandomenico aveva gelato l'allegria della tavolata e ricondotto tutti al silenzio.

- Rifiuti una così generosa proposta senza neppure aver visto la ragazza?-

- Il matrimonio non è mai stato nei miei progetti. Voglio prendere i voti, papà, e continuare i miei studi nella tranquillità di un monastero perché non sono tagliato per la vita sociale, né per il ruolo di capofamiglia -

- Sinceramente, vuoi farti prete per convinzione o per vigliaccheria?-

 Questa domanda era rotolata fuori dalla bocca di Mimì Messinese prima ancora che riuscisse a riagguantarla e formularla in maniera diversa, consapevole, dopo anni trascorsi nel commercio, dell'importanza della forma, e del tono, per portare a buon fine una trattativa.
Pratico nel linguaggio degli affari, di cui conosceva codici e codicilli, si muoveva agile su un terreno sperimentato dove pur sapeva, nonostante la sua timidezza endemica, destreggiarsi e farsi valere.
Ma ora quella domanda dal tono perentorio, inusuale per lui, ben volentieri avrebbe ritrattato per non mettere in difficoltà quel figlio che così tanto gli somigliava, nelle luci e nelle ombre, ma che a differenza di lui, però, possedeva il genio: fattore che annullava quelle loro supposte somiglianze.
Così avrebbe dovuto ricordarsi di non stare a trattare con una persona comune (che davvero Giandomenico non lo era) ma con qualcuno di rango diverso e superiore e le cui necessità differivano da quelle prevedibili dei comuni mortali, e armarsi di pazienza per convincerlo a valutare gli indubbi vantaggi della sua proposta, consapevole che quanto più facilmente quei benefici sarebbero risultati al primo sguardo evidenti alle intelligenze più spicce tanto più paradossalmente sfuggivano, proprio a causa della loro apparente banalità, alle menti più complesse.

Questa psicologia esercitata da Mimì Messinese nella sua professione non era piaggeria e neppure una raffinata tecnica coercitiva, ma aveva compreso che mai sarebbe stato uomo d'assalto e quindi, qual'ora avesse voluto conseguire risultati di un qualche successo nell'impervio campo degli affari, avrebbe dovuto avvalersi di altri metodi, più  morbidi e sofisticati, a lui più congeniali, cosciente che talvolta, per poter avanzare, strategicamente occorre rimanere qualche passo indietro.

 Mimì Messinese si presentava senza infingimenti: la voce pacata e quell'arrossire spontaneo che lo rivelava come uomo timidissimo e schivo, al limite del farfugliamento emotivo, una summa di complessi dietro cui si nascondeva, invece, un uomo perspicace e colto, ma che agli occhi impietosi dei compaesani s'evidenziava solo come una folcloristica macchietta.

Così s'era subito pentito di quella sua domanda irrispettosa, scaturita di getto proprio da lui che mai aveva tentato di metter qualcuno con le spalle al muro, ed ora, invece, facendosi latore di quella allettante proposta aveva, al primo diniego, sovvertito le sue stesse regole a danno proprio di quel figlio del quale conosceva i travagli psicologici da lui ereditati.


- Prendo i voti perché è l'unico modo per me di continuare ad esistere senza dover rinunciare a quello che sono e a quello che al mondo posso dare. Tenermi fuori dai vostri schemi mediante una mia scelta consapevole, e dichiarata, non mi sarebbe possibile, per cui l'unico modo che ho di vivere con coerenza la mia vita, e la mia arte, è quello di ritirarmi da quel palcoscenico dove, mio malgrado, sono stato trascinato, poiché non sarei capace di recitare in nessun altro ruolo se non in quello di me stesso. -
Giandomenico, con dolcezza, aveva ribattuto alla domanda provocatoria del padre.

- Pecchi di superbia, figlio mio -

- Al contrario, papà, è modestia, questa mia. E della più umile -

- E questa modestia t'impedisce di conoscer la ragazza in questione? -

- Il fine delle vostre aspettative non è solo quello di una conoscenza -

- Nonostante i diritti derivanti dalla mia autorità di padre non ti ho mai imposto nulla, Giandomenico, ma questa volta devo farvi ricorso per non far torto a Concetto Scalavino che s'è mostrato, nel corso degli anni, degno della mia stima e del mio rispetto. Oltretutto egli è il nostro principale fornitore del legno, e sempre ci ha favorito riservandoci un trattamento privilegiato. Lascerò a te decidere, ma solo dopo che avrai conosciuto la ragazza, altrimenti recheremmo un offesa troppo grande all'uomo che così tanto ci stima. -

- Non mancherò di rispetto al nostro fornitore rifiutando il suo invito a cena, ma non cambierò idea. -
Aveva ribattuto, in tono tranquillo, il giovane ebanista.



ALLEANZE
Concetto Scalavino e Mimi Messinese avevano instaurato, per via delle proprie attività, cordialissimi rapporti, circoscritti, però, all'interno dei rispettivi uffici, così quello sarebbe stato il loro primo incontro informale. Incontro a cui si sarebbero recati Mimì e Giandomenico Messinese, senza la scorta del resto della famiglia, con la motivazione ufficiale di una cena di lavoro.
Una discrezione, questa, che si sarebbe rivelata utile se per qualche malaugurato motivo la faccenda non fosse andata in porto.

Il mercante aveva organizzato una tavola sobria, di soli quattro coperti, che a quella cena non avrebbero presenziato né la moglie demente e neppure Gemma, addetta alla sua custodia. 
Sorvegliata e sorvegliante sarebbero state relegate nella stanza più lontana da quella dove si sarebbe
svolto l'evento.


Concetto Scalavino avrebbe però dovuto dubitare della docile adempienza di entrambe le figlie ai ruoli da lui imposti per quella cena, piuttosto che intenderlo come un  ritrovato buon senso, seppur sotto minaccia.
 Un grave errore di valutazione questo suo cantar vittoria, che in realtà nessuna delle due aveva intenzione di assecondare quel suo disegno   

 Gemma, defraudata ed usata, s'era chiusa in una sorta di silenziosa impenetrabilità che
aveva reso lieve, come aria, il suo passo e il suo respiro. E la connaturata assenza di odore aveva contribuito a renderla eterea come una presenza ultraterrena, che se non fosse stato per la scia luminosa dei suoi capelli di lei non ci sarebbe stata alcuna visibile traccia.
Quanto più Gemma andava rendendosi invisibile tanto più Rebecca acquistava materialità non
cedendo e né indietreggiando davanti al cipiglio severo del padre, anzi, dominandolo con la  naturalezza del suo essere.
 Sotto quel suo sguardo, chiarissimo e diretto, Concetto Scalavino si sentiva a disagio, cosicché il più
delle volte era lui a battere in ritirata, con la sensazione che lei potesse leggergli  nel pensiero.
Questa suggestione lo faceva sentire vulnerabile e in un costante stato di all'erta.
Si viveva ormai in stato di guerra dichiarata, ognuno trincerato nella propria postazione e senza ipotesi d'armistizio.

Con la sua sensibilità istintiva, Rebecca, aveva però intuito che perseguire quell'atteggiamento apertamente ostile avrebbe avuto come conseguenza una repressione sempre più dura e più difficile da osteggiare.
Non si poteva espugnare una polveriera muniti solo di un coltellino.
Occorreva una strategia di alleanze.
E l'apparente remissività di Gemma e di Rebecca, quella sera era il risultato dell'alleanza clandestina, tacitamene concordata tra loro, anziché la vittoria dei metodi repressivi di Concetto Scalavino.


Era ben conscia, Rebecca, che a quella cena nessuno avrebbe recitato, neppure quel Giandomenico Messinese, l'introverso artista dalla buia aura, a lei destinato come futuro marito.
Di lui che si sapeva poco ma si mormorava molto.
Persino suo padre, che ora ambiva a diventarne il suocero, s'era lasciato sfuggire un qualche commento, talvolta impertinente e talvolta compassionevole, con mezze parole e con termini oscuri, cosicché lei pur nutriva una qualche curiosità nei riguardi di quell'ospite illustre e renitente, di cui era nota era la scarsa predisposizione all'intrattenimento e ai rapporti sociali.
Così immaginava che anche lui doveva aver subito pressioni tali da non potersi rifiutare di partecipare a quella cena che volentieri avrebbe disertato.

E questa congettura alquanto la rincuorava, intravedendovi possibilità di strategie alternative.
E forse perfino l'ipotesi di una loro futura alleanza.
Quella sera le veniva offerta la possibilità di stabilire un contatto diretto con lui e l'opportunità di agire in maniera più adeguata, dopo aver valutato quanto fosse consapevole del ruolo che in quella farsa gli era stato assegnato, per opporsi al disegno del padre.
Non aveva voluto porsi pregiudiziali nei confronti del giovane, cosciente che un giudizio affrettato, e privo di qualsiasi riscontro diretto, avrebbe potuto negativamente condizionarla da subito.
Aveva bisogno di tutta la sua obiettività per capire se il copione che ci si apprestava a recitare intorno a quella tavola sobriamente imbandita fosse opera di uno o più sceneggiatori.

 Così s'era predisposta a partecipare a quella cena svestita di ogni malanimo nei confronti di colui che le era stato designato come marito, indossando il suo abito più semplice e il suo sorriso più onesto.

Encomiabile questa strategia riduttiva di bellezza, messa in opera da una ragazza giovanissima, consapevole di voler lealmente condurre il confronto nel campo della ragione e non in quello della seduzione, che pur consente alle più dotate, e alle più scaltre, di ottenere facili vittorie.
Ma Rebecca, per sua natura, avrebbe rifiutato a priori una siffatta astuzia, l'equivalente della trappola di una buca profonda ricoperta di foglie, dove condurre, attraverso un ingannevole sentiero di petali di rosa, l'incauta preda, con lo scopo ultimo di farla cadere nel precipizio.

Troppo leale, Rebecca, per aspirare ad una vittoria ottenuta con l'imbroglio, non avrebbe però avuto alcuna misericordia se davanti alla sua offerta di uno scontro ad armi pari l'altro avesse ceduto alla tentazione dei colpi bassi.

 Rischio che istintivamente aveva presagito non avrebbe corso quando Giandomenico Messinese aveva fatto il suo ingresso nella sua sala da pranzo. E nella sua vita.

lunedì 5 agosto 2019

Rebecca (cap. 6)



REBECCA, LA MUSA
Quella sera stessa, convocate entrambe le figlie nel suo studio, senza avvalersi di nessuna metafora e con tono inappellabile, le aveva edotte sul suo disegno: a Rebecca l'onore del matrimonio, a Gemma l'onere della madre. Scelta basata sulle qualità individuali e non su una preferenza affettiva, aveva precisato, che Rebecca, più disinvolta e intraprendente, s'era rivelata la più adatta a ricoprire il ruolo di moglie di un artista geniale ma introverso, e di cui lei sarebbe divenuta l'alter ego in quanto dotata di un carattere volitivo e molto risoluto, speculare a quello del futuro marito, meno brillante e più vulnerabile.
Poiché tale era Giandomenico Messinese, il giovane in questione, artista geniale ma dalla personalità opaca e inibito da una timidezza endemica, fattori per i quali, se lasciato solo a stesso, sarebbe stato destinato a rimanere incompreso. Ed incompiuto.
Stava offrendo, alla figlia minore, un matrimonio di prestigio e la certezza di entrare nell'olimpo delle muse.
Gemma, invece, durante il periodo del fidanzamento della sorella avrebbe dovuto continuare ad occuparsi della madre, controllarla e prevenirne le bizzarrie, soprattutto quando fosse stata ritenuta necessaria la sua presenza in pubblico. Presenza che sarebbe stata limitata solo alle occasioni ineludibili.
Aveva perfino considerato l'ipotesi di un loro soggiorno all'estero, ma che non era possibile, al momento, mettere in pratica senza destare domande lecite ma inopportune.
Un compito a termine, questo di Gemma, ma di vitale importanza, che s'aspettava venisse compiuto con intelligenza e diligenza, cosicché lo scandalo di quel giorno non si sarebbe mai più dovuto ripetere.
Avrebbe, da quel momento in poi, ritenuto Gemma responsabile di qualsiasi spiacevole accadimento riguardante la madre.

Entrambe lo avevano ascoltato in silenzio fino a quel punto finale che non ammetteva replica né dissenso, e col quale Concetto Scalavino riteneva conclusa quella sua informativa e s'apprestava a congedar le figlie con l'augurio della buonanotte, ritenendo le carte scoperte e i giochi conclusi, certo d'aver vinto, anche troppo facilmente, quella partita di cui ora doveva solo riscuotere la posta, quando Rebecca, con voce ferma, aveva detto: ma io non intendo sposarmi.
Il giocatore Scalavino aveva avuto dapprima un sussulto e poi aveva battuto un pugno sul tavolo facendo crollare quel suo castello di carte che s'era ingegnato ad innalzare e che, per un momento, aveva ritenuto inespugnabile.

- Non mi sposo, e non capisco su che basi abbiate potuto fare questi vostri calcoli senza chiedere la mia opinione. Il matrimonio non rientra nelle mie ipotesi di futuro, piuttosto scalerei il monte Olimpo per mio piacere personale, in abiti comodi e a me più congeniali, anziché in quelli teatrali di una musa. Il mio compito, dunque, secondo voi, sarebbe quello di spianare la strada ad un marito geniale ma incapace di riscuoter simpatie, mettermi al servizio delle sue necessità e di quelle della sua arte. E a quelle del vostro smisurato ego. Non mi sposo, prendetene atto e mettetevi il cuore in pace. Che padre siete a pretendere d'imporre ad una figlia il ruolo di moglie e all'altra quello d'infermiera, senza tener conto dei nostri sentimenti? così come di quelli della mamma che voi avete contribuito, col vostro cinismo esistenziale, a ridurre alla follia.-

- Non ti permetto di parlarmi in questi termini! La mia autorità...-

- La vostra autorità non vi dà il diritto di decidere della nostra vita.-

- Sei mia figlia e dipendi da me, in tutto e per tutto. Non dimenticarlo!-

- Dipendo da me stessa e da voi meno che da chiunque altro. Non farò la fine delle mie sorelle o, peggio ancora, di mia madre. Cosa potete farmi? Diseredarmi? Accomodatevi! Picchiarmi? Vi consiglio di non farlo. E non perdete neppure tempo a convincermi perché la mia decisione l'ho presa nel momento stesso in cui sono stata partorita. No, non c'è nulla che potete fare per piegarmi al vostro volere. Fatevene una ragione, papà!-

- Fatevene una ragione, papà. -
Glielo aveva di nuovo sussurrato all'orecchio dandogli il bacio della buonanotte.
Un bacio che bruciava come uno schiaffo.


GEMMA, LA GUARDIANA
Gemma, invece, non aveva proferito parola, né mosso un passo né fatto un gesto: impietrita, aveva seguito con lo sguardo Rebecca lasciare la stanza e ora che lei se ne era andata quel suo sguardo cercava, inquieto e smarrito, un punto su cui soffermarsi, consapevolmente evitando di guardare verso il padre che, con le labbra serrate e i pugni stretti, tremava di rabbia a stento repressa.
Di quell'ira non esplosa la stanza era satura e lei l'aveva respirata tutta in attesa della deflagrazione che però non era avvenuta nemmeno quando, d'istinto, s'era sottratta al tentativo di una carezza.
Un insulto quella carezza: un subdolo abboccamento a stabilire un'accordo, un'alleanza segreta e, forse, una redistribuzione dei ruoli.
Raggelata e stordita Gemma s'era rintanata nel profondo recondito di se stessa, lontana dalla realtà devastante di quel momento, preda di un'indicibile stupore per quell'umiliazione appena subita, lottando contro le lacrime che orgogliosamente ricacciava indietro.

Le ragazze Scalavino non erano avvezze alle lacrime che pur sono, secondo l'occasione, sintomo di gioia o di dolore, non avendo avuto nella loro ancor giovane, e troppo solitaria vita, vere occasioni per sperimentare la pienezza dei due opposti, ragion per cui se necessariamente s'erano fatte le ossa all'indifferenza affettiva di certo erano delle sprovvedute riguardo la valutazione soggettiva di queste due nuove materie, (nello specifico, il dolore) scoprendo, all'improvviso, la brutalità dei sentimenti e l'impatto emotivo. E le conseguenti reazioni.
Rebecca s'era opposta al progetto del padre con uno stupefacente, provocatorio, savoir fair: l'equivalente di uno sputo in faccia lanciato con eleganza ed ottima mira.
Gemma, invece, era rimasta stordita, in balia di sensazioni sconosciute e dolorose, dove su tutte, però, predominava quella dell'umiliazione infertale da quel padre che s'era dimostrato affettuoso solo per opportunismo.
Totalmente estranea all'ipotesi di un suo ruolo in quel progetto nefando, mai avrebbe accettato di esserne asservita soprattutto in qualità di vittima sacrificale. E consenziente.
Iniziava, però, a penetrare i sottili meccanismi di quella manipolazione basata sull'inganno, cinicamente messa in atto da quel padre che, se con una mano elargiva carezze, nell'altra aveva pronto il guinzaglio.


Concetto Scalavino, anche se sconcertato dall'atteggiamento delle figlie, era fermamente deciso a realizzare il suo progetto, riconducendo tutto ad una mera questione di metodo, sicuro che nelle sue figlie il buonsenso, adeguatamente sollecitato dal suo pugno di ferro, sarebbe alla fine prevalso
S'era imposto di mantenere la calma, che le redini a guidar la pariglia ribelle erano salde nelle sue mani, cosicché imporre loro la sella era solo questione di tempo, ma alla fine ci sarebbe riuscito, che mai nessun puledro, per quanto recalcitrante fosse, l'aveva mai avuta vinta su un fantino munito di briglie e di speroni.
E comunque informandole sulle sue intenzioni un primo passo lo aveva compiuto.

Quella sera, attraversando il corridoio che conduceva alle camere da letto aveva notato che l'uscio della stanza di Rebecca, dove la luce era già spenta, era ostruito dal cane di casa, apparentemente addormentato, ma che al suo passaggio aveva digrignato i denti ed emesso un ringhio sordo.
Anche dalla porta socchiusa della camera di Gemma non filtrava alcuna luce e, sbirciando all'interno, Concetto Scalavino aveva constatato esser vuota.
Illuminata, invece, era la stanza della moglie che farneticava a voce alta.
Ma non era sola: la voce di Gemma, paziente e decisa, si sovrapponeva alla sua a rassicurarla che mai avrebbe permesso all'uomo nero di salire in cielo e spegnere le stelle.
Scalavino a quella scena aveva sorriso, congratulandosi con se stesso per aver favorito quel legame in cui Gemma, comunque, si dimostrava coinvolta.



Anche Mimì Messinese, dal canto suo, s'era predisposto quella stessa sera a dar la notizia ai suoi dell'ipotesi di un matrimonio tra Giandomenico e Rebecca, presentandosi a casa con un enorme vassoio di dolci, nonostante fosse giovedì, in anticipo di ben due giorni su quello che costituiva da sempre il rito celebrativo della domenica.
Quell'innocente trasgressione aveva causato un allegro trambusto, scatenato interrogativi e supposizioni circa l'avvenimento da festeggiare, e ai quali lui, insolitamente loquace, si divertiva a fornire elementi fuorvianti, immaginifici, così da poter giungere al termine della cena con la sorpresa ancora intatta, che avrebbe rivelato al momento del dolce e prima del bicchiere di Marsala.

- La novità riguarda te, Giandomenico, e la possibilità di matrimonio con la figlia minore del nostro fornitore per il legname, Concetto Scalavino. La ragazza è molto bella ed è un buon partito, e il tuo futuro suocero ha davvero grande stima di te. Hai davanti un destino luminoso, ma non sei ancora affermato, e le incognite nel campo dell'arte, soprattutto in quello dell'ebanisteria, sono troppe: lo sappiamo bene noi che abbiamo visto nella nostra famiglia così tante ascese e così tante cadute. L'ingente dote matrimoniale della tua futura moglie ti garantirebbe quella tranquillità esistenziale con cui tu potrai approfondire i tuoi studi e maturare il tuo talento, preservandoti da ogni compromesso e rendendoti libero nelle tue scelte. -

Detto questo, Mimì Messinese s'era sentito d'aver espletato, nel migliore dei modi, un compito alquanto difficile, perché con quel figlio, che pure tanto gli somigliava nel carattere, non vantava alcuna intimità. Ma si capivano allo sguardo e si muovevano all'unisono, e questo aveva cementato il loro rapporto anche senza il collante della confidenza.

Si sentiva soddisfatto di questo discorso a braccio, privo di preamboli e virgolettati, che dai suoi era stato accolto all'inizio con un  silenzioso stupore e poi con esplosioni di gioia nei riguardi di Giandomenico e della sconosciuta Rebecca.

venerdì 2 agosto 2019

Rebecca (cap 5)


CONFIDENZE PATERNE
Concetto Scalavino s'era reso conto d'aver ecceduto quando aveva visto Mimì Messinese terribilmente sbiancare e flettere le ginocchia e, se di riflesso non l'avesse prontamente sostenuto, di  certo sarebbe stramazzato a terra.
Mimì Messinese, la fisionomia stravolta, boccheggiava in carenza di aria e di parole, tant'è che il commerciante aveva temuto un attacco di cuore, e già manovrava a slacciargli il colletto quando l'altro, svincolandosi da quel contatto, lo aveva respinto con le sue deboli forze.
Il buon senso lo aveva indotto a rispettar la distanza imposta e nel frattempo elaborare una strategia per uscire dal cul de sac in cui s'era andato a cacciare.
Mimì Messinese s'era accasciato su una sedia, il volto coperto dalle mani e le spalle scosse da singhiozzi, rattrappito su se stesso, imbambolato, incapace di una parola o di un gesto di rabbia, tant'è che Concetto Scalavino s'era già avviato alla porta convinto d'aver compromesso non solo il suo piano ma pure i rapporti col suo più illustre cliente, quando questi, invece, inaspettatamente gli aveva chiesto di rimanere.

Che suo figlio non riscuotesse simpatia lo sapeva: troppo timido e troppo insicuro, non riusciva a mostrarsi nel verso giusto, tant'è che spesso aveva dovuto presenziare, in sua vece, anche ad eventi importanti, come ultimamente era accaduto con monsignor Galimberti, l'inviato di Sua Santità, perché Giandomenico era stato colto da una febbre improvvisa, causata dall'ansia e da quella sua sensibilità così esasperata.

- Sensibilità d'artista. -
Aveva sottolineato, con solennità, l'altro.

- D'artista, lo sappiamo io e voi, ma il popolo no. Per la gente Giandomenico è un arrogante, uno schizzinoso, ed ora, dalle vostre parole, anche un depravato. Ma, se  fosse stato vero, Sua Santità gli avrebbe forse commissionato un incarico così prestigioso?-
 A quest'accorato interrogativo, Concetto Scalavino, aveva scosso il capo in segno di diniego e ribattuto con convinzione: chiacchiere maldicenti a cui non dovete prestare orecchio. Il popolo si sa è per natura invidioso e se prende in antipatia diventa anche maligno. Don Mimì, Giandomenico è un grande artista, e dovete essere fiero di lui. E' questa l'unica verità in cui dovete credere.
.
- Fiero lo sono, ma so anche che un talento come il suo avrebbe abbisognato di spalle più forti e di un carattere più prepotente. -
L'altro aveva sospirato afflitto.

- Una moglie, Don Mimì, è quello che ci vuole per Giandomenico. Una giovane accorta e di carattere,  capace di fare i suoi interessi e di sostenerlo. Ricca, perché un artista deve occuparsi solo della sua arte e non essere afflitto da quisquilie, e problemucci materiali, come qualsiasi altro mortale. E bella, perché la bellezza ispira poesia e un artista vive di poesia. Una moglie metterebbe a posto molte cose. La nascita di un figlio, poi, farebbe zittire le malelingue e donerebbe serenità al nostro artista. -
Aveva controbattuto, deciso, Concetto Scalavino.

- Una moglie...ma chi? Giandomenico non ha mai palesato l'intenzione di sposarsi né mostrato interesse per nessuna delle giovani di nostra conoscenza. E' così chiuso. Impenetrabile come un riccio.-
Aveva ribadito sconfortato il Messinese.

- Eppure ci sono donne capaci di trasformare gli aculei del riccio in dita gentili. La mia figlia più giovane, ad esempio, appartiene alla specie. Odora di femmina, Don Mimì, un profumo da risvegliare i sensi ad un morto, ed un caratterino da far rigar dritto i vivi. -
Gli aveva rivelato con un sorriso.
- E' una confidenza, questa mia, che solo a voi mi permetto di fare, da padre a padre, dettata dalla stima incondizionata che nutro per voi e per la vostra famiglia, e per Giandomenico in particolare, che merita il meglio del meglio. Ed è proprio quello che oggi, tramite voi, gli sto offrendo. -
Aveva concluso la sua arringa finale con una mano sul cuore, a testimoniare l'onestà delle sue affermazioni.

Mimì Messinese, ancora frastornato, aveva però trovato il coraggio di chiedere: ma voi cosa ci guadagnate in tutto questo?

- L'onore grande d'apparentarmi con voi! -
 Aveva risposto, con convinzione, Concetto Scalavino.


Per il commerciante le cose si stavano avviando nella giusta direzione dal momento che il Messinese non  solo non aveva rifiutato la sua proposta ma, anzi, se ne era dimostrato perfino grato.
Sapeva, Concetto Scalavino, di averlo ora in pugno e che neppure serviva stringere troppo la presa, e così, molto accortamente, aveva disserrato le dita e aperto il palmo affinché l'altro si sentisse fiducioso e a proprio agio. Confortato.

Mani capaci, con le quali aveva materialmente costruito il suo impero e sul quale, finalmente, avrebbe fondato la sua dinastia attraverso il matrimonio morganatico tra la sua piccola "regina in miniatura" e il giovane artista ieratico.
Unione, i cui discendenti, avrebbe avuto il suo stesso sangue e il suo cognome.
 Clausola, questa, che era stata accettata dal Messinese che nutriva altro genere di sensibilità, e quella d'insignire i futuri discendenti anche del cognome materno, gli era sembrato un innocente egocentrismo, che l'usanza del cognome doppio, triplo o a cascata, era un vezzo in uso in molte famiglie di rango a testimoniare il lustro delle parentele acquisite.

Se per Concetto Scalavino l'unione tra Rebecca e Giandomenico significava l'inizio della realizzazione del suo sogno di grandezza, per Mimì Messinese, invece, sarebbe stata la fine delle maldicenze su suo figlio. Non s'era pienamente reso conto, fino a quel momento, di quanta stanchezza ed amarezza aveva accumulato nel corso degli anni per via degli inganni consapevolmente subiti, delle ipocrisie accettate, dei bisbigli e dei silenzi repentini, delle strette di mano fuggevoli e delle occhiate irridenti.
Ora, finalmente, tutto questo sarebbe cessato.

Con questa certezza s'era avviato verso casa, a passo spedito e le spalle erette, di nuovo in sintonia col mondo, che gli pareva di esser rinato e avrebbe spontaneamente, lui così schivo, condiviso quella sua emozione con chiunque, che pur era così evidente quel suo inedito stato di grazia, leggibile sulla sua bocca che non smetteva il sorriso, e nel piglio deciso con cui affrontava la strada.
Mimì Messinese captava gli sguardi, frontali e trasversali, in modo nuovo, tant'è che nessuno, tra quelli incrociati, gli era parso canzonatorio o irrispettoso o, peggio ancora, di disprezzo.
Gli sembrava che la Sicilia intera fosse al corrente dell'imminente matrimonio, che è risaputo che le notizie corrono, anche quelle non ancora annunciate, figuriamoci questa sua già formalizzata nei dettagli.
Così non si sarebbe affatto meravigliato se qualcuno lo avesse fermato per congratularsi delle nozze future.

Mentre un rinato Mimì Messinese, soavemente imbaldanzito, s'avviava celere verso casa per compartecipare i suoi alla lieta novella, Concetto Scalavino, invece, volutamente ritardava  il rientro, inoltrandosi su stradine secondarie e poco frequentate, per avere il tempo d'imbastire argomentazioni convincenti da poter far digerire ad entrambe le figlie quella sua decisione, presagendo che non sarebbe bastato il pugno di ferro per imporsi ma che avrebbe piuttosto dovuto predisporsi alla pazienza, per far sembrare gustosa quella pietanza che solo il cuoco trovava appetibile.


UN SEGRETO DI FAMIGLIA
Rientrando aveva invece trovato lo scompiglio, con la moglie che, eludendo la sorveglianza di Gemma, aveva scalato un alberello tra i cui rami s'era appollaiata, con il retino in mano, per la consueta caccia alle stelle.
Legato alla catena, e rischiando a tratti lo strangolamento, il cane lascivo abbaiava impotente e rabbioso, con acuti lancinanti e prolungati, che avevano richiamato un manipolo di cani randagi che premevano alla cancellata con la forza disperata dei loro muscoli denutriti.
Quel trambusto aveva finanche attirato l'attenzione della serva sordomuta che sbirciava dall'uscio della cucina, mentre Rebecca, la gonna avvolta sui fianchi, s'apprestava con agilità d'acrobata a scalare l'alberello dove la pazza s'era rintanata con l'intento di assaltare entrambi i carri dell'Orsa.
Gemma, nel frattempo, s'era munita di uno specchio attraverso cui convogliava i fragili raggi del sole a tramonto fra le intercapedini dei rami più bassi con lo scopo di creare l'illusione di stelle cadenti, e indurre la madre a scendere dall'albero.
 E ben aveva assolto al compito quell'ingannevole luminescenza,  che già la pazza si predisponeva alla discesa, incurante dei graffi inflitti dalle fronde, impavida ed incosciente, non si curava a saggiare la consistenza dei rami a cui s'affidava nella discesa, cieca al pericolo e sorda alle voci che da basso l'incitavano di fare attenzione, indirizzandola, come se lei fosse dotata di una qualche ragionevolezza.
Nell'eccitazione del gioco, però, aveva mancato la presa di un ramo e di certo, sarebbe precipitata se Rebecca non l'avesse prontamente afferrata per un braccio.
...e ancora, sospesa nel vuoto, continuava a scalciare e a reclamare, con voce di bimba, il retino che aveva perduto.

La muta dei cani randagi, che mai aveva smesso di ringhiare, aveva impedito ai curiosi d'avvicinarsi al cancello.
Una fortuna questa, che lo scandalo della moglie vaneggiante, appesa nuda a un ramo, assolutamente doveva rimanere circoscritto al perimetro interno del giardino.
Tranne  le due figlie, e la serva sordomuta, non c'erano altri testimoni oculari.
Non era questo il momento che quel segreto famigliare divenisse pubblico.
Non ora, con un matrimonio imminente e la gloria a portata di mano.
Questo rifletteva assistendo alla scena all'esterno dello steccato, Concetto Scalavino, mentre Gemma, con una coperta in mano, correva a prestare soccorso alla madre e alla sorella.
Oltretutto questa vicenda gli forniva lo spunto per mettere al corrente le figlie del suo progetto, e senza far ricorso alla diplomazia, riguardo al ruolo che da quel momento avrebbero dovuto rivestire.