Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.

venerdì 25 gennaio 2019

Fleur (cap 15)


L'AMICO MALVAGIO
Dopo esser uscito dalla gioielleria, Ferrer s'era diretto con passo spedito verso casa di Josette, allo scopo di farle confessare, con le buone o le cattive, il ruolo da lei espletato all'interno di quella congiura ordita a disonorarlo agli occhi del mondo e a quelli di Fleur. Iniziava da lei non perché la ritenesse la mente strategica diquel diabolico piano volto alla sua distruzione, (la sua intelligenza, modesta quanto la sua fantasia, la  relegava, nella vita come sul set, a ruoli secondari, e semplici comparsate) ma solo perché era quella al momento reperibile, immaginando che Serrano, in quanto fidanzato di Celeste, sarebbe stato trattenuto a casa Petit.
Serrano il traditore, aveva tramato alle sue spalle imbastendo, con pazienza e astuzia, quella sottilissima ragnatela  dove lui, come una mosca cieca, s'era lasciato intrappolare. Approfittando del suo momento di smarrimento, e attraverso un perfetto gioco d'incastro di menzogne, pianificate a tavolino, e verità all'occorrenza distorte, l'amico malvagio, l'aveva messo in cattiva luce agli occhi della famiglia Petit, e per un momento perfino ai suoi stessi, inducendolo, con astuzie psicologiche e raffinati sofismi, a dubitare della purezza del suo amore per Fleur. Con estrema abilità narrativa Serrano aveva mistificato il suo sentimento, traducendolo in qualcosa di orribile e peccaminoso.
Con quell'ingannevole racconto aveva però conquistato la fiducia e il cuore di Celeste.
Così ora immaginarlo seduto al suo posto al tavolo dei Petit lo colmava di una rabbia feroce che gli faceva ribollire il sangue e annebbiare la vista. Lui, da sempre immune dal morbo della gelosia, d'improvviso si scopriva invaso dalle sue metastasi cancerogene.
Infettato, e senza possibilità di cura.

Ferrer aveva bussato alla porta di Josette e, con sorpresa, era venuto invece ad aprirgli un uomo anziano, in veste da camera e  in pantofole, e quando quello gli aveva detto che lì non vi abitava nessuna Josette ma piuttosto che quella era casa sua, lui con spinta lo aveva fatto da parte e facendo irruzione nelle stanze chiamando a gran voce, e con gli epiteti peggiori, la sua ex amante. La vista della finestra della cucina, priva della gabbia dei colibrì da cui mai si sarebbe separata, lo aveva infine convinto che lei non abitava più li.

- 'fanculo Josette, stupida puttana, hai perso la tua unica occasione di salire alla ribalta da protagonista. -
Aveva inveito Ferrer all'indirizzo del fantasma di lei. E poi era scoppiato in una gran risata.


In quello stato di esaltazione emotiva aveva camminato a lungo, e senza meta, preferendo la solitudine della strada a quella della propria casa. In modo confuso rivendicava il suo diritto ad un asilo, a parole di conforto, e perfino aalla solidarietà di un abbraccio. Scoprendosi d'improvviso orfano, il suo pensiero, con una fitta al cuore, era andato a suo figlio Sebastian, l'orfano da lui concepito e la cui salvaguardia, al momento della nascita, aveva affidato a Santa Martha Dominadora, abiurando così, da subito, al suo ruolo di padre, e a quanto poco posto Sebastian occupasse nel suo cuore se di lui s'era ricordato solo nel momento della disperazione. Non aveva così nessuna ragione di chiedere, proprio a lui, quell'abbraccio, quell'intima condivisione che lui stesso, per primo, gli aveva negato.
Troppo tardi per i sensi di colpa e per i rimorsi, così lo avrebbe tenuto fuori, anche stavolta, dalla sua vita, come atto d'amore, però. Il suo unico nei suoi confronti, e di cui mai, forse, avrebbe saputo.

S'era in ultimo risolto ad andare da Blanca, l'avrebbe costretta a confessare la verità sui fatti e sul ruolo da lei rivestito in quella congiura, e poi...poi cosa avrebbe fatto? L'avrebbe uccisa. Non avrebbe avuto altra scelta perché lei non gliel' avrebbe lasciata.

UNA CANZONE PER FLEUR
Le finestre della villetta di Blanca erano tutte illuminate, sagome scure si delineavano al suo interno, coppe di champagne e ventagli, gli invitati ad una festa da cui lui era escluso, e dai vetri aperte trapelavano le note, dolci e struggenti di una canzone che lui non conosceva " Dream a Little Dream Of  Me"

"Dì buona notte e baciami. Solo stringimi forte e dì che ti mancherò. Mentre sarò solo e triste più che mai. Sogna un piccolo sogno di me"

Cantava, nella notte stellata, Ozzie Nelson, consegnandogli le parole giuste da dire a Fleur nel momento dell'addio.

"Dì buona notte e baciami. Solo stringimi forte e dì che ti mancherò. Mentre sarò solo e triste più che mai. Sogna un piccolo sogno di me"

Erano queste le frasi con cui avrebbe confessato il suo amore a Fleur.

S'era seduto su una panchina del giardinetto adiacente la villa di Blanca, la musica giungeva fin lì.
Un buon posto dove attendere il giorno.

SOGNA UN PICCOLO SOGNO DI ME
L'orafo aveva mostrato orgoglioso a Ferrer l'anello commissionatogli  per Fleur: una splendida acquamarina intagliata a forma di cuore al cui centro riluceva la mezzaluna del suo orecchino piratesco, come un cuore spezzato o due cuori ricongiunti. Ma questo lo avrebbe deciso Fleur.
L'avrebbe attesa all'uscita della scuola per darle il suo anello e confessarle il suo amore.
Sogna un piccolo sogno di me, (il resto della strofa lo aveva dimenticato) le avrebbe sussurrato tra i capelli e qualunque fosse stata la sua risposta, Ferrer sapeva che quella sua dichiarazione era la cosa più giusta da fare. La confessione di un uomo l'amava più della sua stessa vita. E del suo onore.
Non un uomo disperato di non poterla forse avere, ma un uomo felice, nonostante tutto, di amarla.
L'aveva, però, attesa invano, che quel giorno Fleur a scuola non era andata perché in lutto per la morte della madre e del fratello.
Stupido a non averci pensato. Ferrer malediceva la sua dabbenaggine, ma non riusciva a ragionare lucidamente, stravolto dagli avvenimenti del giorno prima e dalla veglia notturna sulla panchina.
Era come se tutto gli sfuggisse di mano. Doveva parlare con Fleur prima di chiudere la partita con Serrano. E così s'era appostato nei pressi di casa Petit, intenzionato ad attenderla, se fosse stato necessario, fino alla fine dei suoi giorni. Aveva smesso di sperare negli aiuti divini da quando Santa Martha Dominadora si era fatta così crudelmente beffa di lui, e anche di credere al destino...non esiste nessun destino se non siamo noi a programmarlo. E lui, il suo, lo aveva programmato. Così poteva contare solo sulla sua volontà affinché quello si attuasse. S'era predisposto ad una lunga attesa quando, invece, Fleur s'era materializzata sulla porta e, inaspettatamente da sola. Il cuore di Ferrer aveva iniziato a martellargli forte nel petto e le tempie gli dolevano. E una lacrima di gioia e di orgoglio era sgorgata alla vista di Fleur, vestita nel severo abito del lutto e i capelli raccolti sul sommo del capo. Mai le era parsa così bella e sensuale. Una donna. Il nero le si addiceva molto più delle tinte pastello, aveva pensato guardandola ammirato, meravigliosamente ne sublima la sua bionda bellezza. Quella di una donna e non di una bambina. L'aveva  seguita intenzionato a palesarsi al momento opportuno e, se possibile, l'avrebbe convinta a seguirlo in un luogo tranquillo dove poter parlare. E così quando lei s'era fermata in attesa del verde del semaforo per attraversare la strada, lui le si era affiancato e le aveva detto: devo parlarti Fleur. A quella richiesta lei era sussultata, e lo aveva guardato stupita, quasi non lo riconoscesse

- Francisco, per l'amor di Dio, andate via che mi è proibito parlare con voi. -
Istintivamente s'era scansata da lui.

- Per favore, Fleur, è terribilmente importante. Prometto che sarà una faccenda breve, ma per me è questione di vita o di morte. -
La disperazione trapelava dalla sua voce.

- Non abbiamo niente da dirci. Lasciatemi stare. -
Nella voce di lei, invece, c'era paura e fastidio.

- Ti prego, Fleur. Ti prego. Non t'importunerò più, ho solo bisogno di parlarti per un'ultima volta.-
La implorava e le parole sapevano di lacrime. Ma lei, impaurita, prendeva le distanze cercando rifugio nella folla. E allora lui, per paura di perderla, l'aveva trattenuta per un braccio, ma Fleur s'era liberata e con uno scarto s'era lanciata ad attraversare la strada prima ancora che il semaforo segnasse il via libera pedonale. E una macchina l'aveva travolta.

Ferrer era rimasto paralizzato al suo posto mentre qualcuno, tra i pedoni, s'apprestava a soccorrerla.  Ma non c'era stato nulla da far,e e una donna le aveva coperto il volto col suo foulard.

Ferrer era rimasto immobile nel suo lembo di marciapiede fissando incredulo Fleur distesa sull'asfalto, col suo abitino nero e il viso coperto da quel foulard anonimo, da un lembo del quale fuoriusciva la sua treccia bionda. Poi, a sirene spiegate, erano giunti l'ambulanza e una macchina della polizia. Il medico ne aveva accertato il decesso e un poliziotto aveva tratteggiato con un gesso la posizione terminale del cadavere. E dopo aver raccolto le dichiarazioni dei testimoni presenti all'accaduto, Fleur era stata chiusa in una "body bag" e l'ambulanza era ripartita a sirene spente.

UN MESE DOPO
UNA FESTA  SENZA INVITATI
Nella grande sala priva di mobilio, costeggiata da una sequenza di divani blu china ordinatamente addossati alle pareti, sotto la luce di cristallo degli enormi lampadari liberty, s'aggirava Ferrer, unico partecipante, con in una mano una coppa di champagne e nell'altra il suo ventaglio nero. Nell'angolo concavo, adibito per l'orchestra, Ozzie Nelson cantava, per l'ennesima volta consecutiva,"Dream a little dream for me". Non vi sarebbero state richieste di altre canzoni, e quella sarebbe stata l'esclusiva colonna sonora di quella privatissima festa.

"Dì buona notte e baciami. Solo stringimi forte e dì che ti mancherò. Mentre sarò solo e triste più che mai. Sogna un piccolo sogno di me"

Il colpo di pistola alla tempia, Ferrer, l'aveva magistralmente sincronizzato sull'ultima nota.

FRANCISCO E FLEUR
Il giorno dopo, Arturo Serrano, aveva trovato sulla sua scrivania una lettera sigillata, una voluminosa cartellina, e una scatolina con il logo di una prestigiosa gioielleria. Aveva subito riconosciuto, la grafia, slanciata ed elegante, di Francisco Ferrer. Non aveva più notizie di lui da un bel pò di tempo, ma a dir la verità neppure lo aveva più cercato, che quell'ultimo periodo, per lui e per Celeste, era stato un denso susseguirsi di avvenimenti infausti: la morte di Coralie e di Philippe e subito dopo quella di Fleur.
Conoscendo intimamente Ferrer, immaginava che lo ritenesse responsabile di chissà quali oscure trame per tenerlo lontano da Fleur, e magari di aver brigato alle sue spalle per conquistare Celeste. Ma le cose non erano andate così, lui non aveva approfittato delle debolezze dell'amico per mettersi in luce agli occhi di Celeste, e lei se n'era innamorata forse proprio per questo, intravedendo in lui quelle doti di schiettezza, onestà e lealtà, sintomi della natura superiore di chi non basa i propri successi sulle debolezze altrui, ma esclusivamente sulle proprie forze. Celeste, quando aveva capito che se ne stava innamorando, con naturalezza glielo aveva confessato. Solo allora, Serrano, le aveva detto che lui l'amava in silenzio dalla prima volta che l'aveva vista. Per questo, lui, baciato dall'amore, pure capiva la sofferenza di Ferrer e la sua disperazione, ma non ne approvava i metodi.
La sua ossessione per Fleur lo stava divorando. Deformando. Trasformando in qualcun altro.

Eppure non si decideva ad aprire quella lettera, che rigirava tra le mani. La grafia, non c'era alcun dubbio, era proprio quella di Ferrer, anche se lui non amava troppo scrivere, un esercizio noioso che di solito delegava alla sua segretaria. Ma  questa, invece, era vergata a mano da lui, così come pure manoscritto che recava, come titolo sul frontespizio, il nome di Fleur.
Con un senso d'angoscia s'era risolto, infine, ad aprire la busta

Arturo, un tempo siamo stati amici ed è in nome di quell'amicizia che io confesso a te il mio delitto, consapevole che la tua cruda, cristallina onestà morale, t'impedirà di farmi sconti di pena, a differenza della giustizia legale che non mi avrebbe mai condannato in quanto materialmente non mandante, e neppure esecutore, del delitto di cui, invece, me ne assumo la piena responsabilità: la morte di Fleur.
Fleur l'ho uccisa io. Fuggiva da me quando la macchina l'ha investita. Fuggiva da me e dal mio amore sbagliato. E' quello di cui l'avete persuasa, e di cui ora ne ho anch'io la convinzione. Quel  giorno ero andato da lei solo per dirle che l'amavo di amore puro ma avrei rinunciato a lei se non fossi stato contraccambiato. Ti confesso che in caso di diniego mi sarei ucciso, cosicché il mio destino, presumo fosse fin da subito tracciato. Inappellabile. Le avevo portato in dono un piccolo anello, un gioiello da collegiale: un cuore di acquamarina con incastonata la mezzaluna del mio orecchino. Un cuore spezzato o due cuori ricongiunti, secondo il verdetto di Fleur a cui io mi sarei attenuto. Non le avrei mai fatto del male. Non intenzionalmente, così come invece è accaduto. Questa mia lettera non vuole essere un j'accuse nei confronti di nessuno, e neppure una richiesta di attenuanti per me, ma solo il racconto della dinamica dei fatti. E la mia ammissione di colpevolezza.  Avrei voluto morire anch'io quel giorno stesso, che senza Fleur la vita per me non ha alcun senso, e invece, come un condannato in attesa del boia nel braccio della morte, mi sono costretto a vivere ancora il tempo necessario per raccontare, in questo manoscritto, la storia della breve vita di  Fleur, del mio amore troppo grande e disperato, che alla fine l'ha uccisa. Il mio tributo a Fleur, perché tutto il mondo la ami così come l'ho amata io. Lascio tutto nelle tue mani, Arturo, fà quello che ritieni giusto, che la mia anima dannata, qualunque cosa tu decida, te ne sarà in eterno riconoscente.


Serrano aveva allora aperto la scatolina dove, all'interno, il piccolo cuore di acquamarina riluceva del bagliore della mezzaluna di Ferrer.
Fleur, senza l'amore disperato di Ferrer, sarebbe passata inosservata al mondo.
Fleur era esistita perché era esistito Ferrer.
E alla luce di questa commovente, veritiera rivelazione, Serrano, s'apprestava a leggere il manoscritto di Ferrer.

"La prima volta che Francisco Ferrer l'aveva vista, Fleur Petit (ma dal suo entourage affettuosamente chiamata Petit Fleur ) indossava un vestito primaverile verde chiaro, dello stesso colore degli occhi, e aveva i capelli biondi, quasi albini, ordinati in un triplice gioco di trecce.
Seduta fra due matrone vestite di scuro (la nonna paterna e quella materna), spiccava non solo per la luminosità della sua aura ma anche per quella veste da bambina che la diversificava dal resto degli invitati, rigorosamente in abito da sera.
Troppo giovane per sfoggiarne uno e troppo giovane per poter ballare, Fleur, visibilmente annoiata, giocherellava con l'orlo della gonna, battendo le mani sulle ginocchia al ritmo della musica, motivo per cui le due nonne, a turno, la riportavano al decoro della postura con invisibili pizzicotti.
Un richiamo, quello delle due generalesse, a cui lei obbediva solo per un momento, per poi subito ricominciare quella sua mimica.
Chiaramente si vedeva che aveva voglia di ballare e che era una sofferenza per lei rimanere seduta, in castigo, a scontare il peccato di essere ancora così giovane.

Ma perché portarla al ballo se poi non le era concesso neppure di potersi muovere?"

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