Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.

lunedì 23 luglio 2018

Fleur (cap 5)



RITRATTO DI FAMIGLIA IN UN INTERNO

PETIT FLEUR
Dal canto suo, Fleur, era totalmente inconsapevole di essere la causa dello smarrimento dei sensi di Francisco Ferrer, per il quale, a dire il vero, non provava sentimenti particolari se non quelli camerateschi dell'amicizia. Indubbiamente gli piaceva, era diversa da tutti gli altri frequentatori della sua casa (amici...no, non ve n'erano, o almeno non si sentiva di definire tali i pellegrini di ogni risma, nazionalità e cultura, che affollavano stanze e corridoi: imbonitori, fattucchiere, ipnotizzatori e praticanti delle medicine alternative e, in ultimo, perfino una medichessa bretone specialista nel vivificare i  moribondi attraverso la terapia soft delle pratiche sessuali.

Franciso era divertente, stravagante, paziente. Soprattutto attento ai suoi desideri. Ecco, questa sua attenzione era la cosa che più la gratificava, ponendola al centro del mondo. Una sensazione per lei nuova, inebriante. Era sicura che se gli avesse chiesto la luna lui gliel' avrebbe data, ed innocentemente, senza indagare i  motivi per cui Ferrer, un perfetto sconosciuto, avesse così tanto a cuore la sua felicità, si sentiva paga di quell'affetto che percepiva dirompente e straordinario, trattenuto solo dalle formalità societarie. Su questo specifico aspetto, però, non s'era mai soffermata a riflettere, ritenendo quelle formalità noiose ma inevitabili, senza avvertirne troppo il peso o il desiderio di rivoluzionarle, che la sua vita scorreva su un nastro di raso senza scossoni di una qualche entità, o traballamenti che ne potessero mettere a repentaglio l'equilibrio. Una vita, a dire la verità, molto circoscritta all'ambito domestico, che nonostante la loro posizione sociale, le figlie del console Petit erano praticamente estranee alla vita pubblica. Pochissimi gli amici e ancor meno le occasioni di divertimento, che non costituivano però motivo d'insofferenza, perché mentre Celeste, la regina delle nevi, viveva per sua volontà, reclusa nel suo cristallino palazzo di ghiaccio all'interno di una snowglobe, Fleur, di quel mondo esterno, caotico ed incoerente, non ne aveva invece alcuna consapevolezza, perdurando ancora nella stagione di un'infanzia illecitamente protratta dall'affetto squilibrato della sorella maggiore e dall'ansia ossessiva delle due nonne. 

Così, al tempo in cui Ferrer l'aveva conosciuta, Fleur era ancora ferma al tempo dell'infanzia: Petit Fleur, come veniva affettuosamente chiamata nel suo entourage.

NEL NOME DEL FIGLIO
Fleur era sta concepita in una notte d'insensato ottimismo, quando Coralie, assecondando le direttive di un guru itinerante, mozzo su una nave ed esperto in astronomia previsionale, che aveva individuato la causa della malattia del suo secondogenito in uno scompenso planetario verificatosi al momento del concepimento (un'eclissi remota, una tempesta magnetica, o la caduta di un frammento di meteorite in qualche zona depressa del pianeta), un cataclisma che aveva generato caos nel karma del nascituro, nato singolo ma con le stigmate del gemello, e così per rimediare a quell'inganno occorreva che lei partorisse un nuovo figlio, quel gemello mancato, del quale Philippe Marie Hippolyte portava la tara.
Coralie, la notte del concepimento di Fleur, s'era data senza pregiudizi, e senza morale, ad Armand, con l'entusiasmo caotico  ed impacciato di una vedova che accoglie  di nuovo, dopo un tempo immemorabile, un uomo nel suo letto. Dal canto suo, Armand, aveva creduto di aver ritrovato quella notte la donna che un tempo lei era stata, moltiplicata però per mille dal fervore sessuale con cui gli si era concessa, decretando così la fine di quel purgatorio a cui lo aveva condannato esiliandolo dal suo letto.

Armand non poteva immaginare che quel Kamasutra appassionato era unicamente finalizzato al concepimento, neppure quando lei nello sconvolgimento della febbre dell'orgasmo aveva invocato il nome del figlio anziché il suo.
No, mai avrebbe potuto immaginare che in quell'amplesso coniugale  si era consumato, invece, un incesto.

CELESTE, FLEUR E "IL VAMPIRO"
Poco dopo la sua nascita sua madre aveva smesso d'interessarsi a lei tornando esclusivamente ad occuparsi di Philippe e lasciandola interamente alle cure precarie di Celeste, di pochi anni più grande di lei. Armand, prendendo atto con notevole ritardo del disinteresse della moglie alle sorti delle figlie,  aveva delegato la madre e la suocera a farne le veci. Compito che le due donne svolgevano con inflessibilità e ruvida tenerezza, esplicandolo con stili diversi, che la nonna paterna dimostrava apertamente la sua riprovazione verso la nuora che aveva abiurato al suo compito di madre, e al nonna materna, invece una difesa, sia pure poco convincente, non approvando lei stessa il comportamento della figlia. E così, in questo stato di guerra fredda, avvenivano continue scaramucce fra le due generalesse, che quasi sempre terminavano con la resa momentanea della nonna color panna che stremata lasciava all'altra l'ultima aspra parola che andava però ad infrangersi contro il muro di silenzio di Coralie.
Quello stesso muro che invece si sbriciolava come mollica di pane all'arrembaggio dei ciarlatani e dei mediconzoli a cui lei docilmente s'arrendeva, senza apporre alcuna remora né resistenza, perché tutte le sue energie e i suoi desideri erano unicamente convogliati al capezzale di Pilippe "il vampiro", il soprannome col quale Celeste, senza alcun affetto, lo aveva ribattezzato.
"Il vampiro"per quel suo pallore cadaverico e il gelo perenne nelle sue vene, che giaceva inerme in quel suo letto come in una bara, sotto strati di coltri da cui non traeva alcun calore, in attesa del tocco della mezzanotte per consumare il suo pasto di sangue e sbirciare poi, per un breve momento il mondo dei vivi, e ricavarne l'illusione di farne anche egli parte.

"e mamma, presagendo il suo bisogno di cibo, gli offriva il suo bellissimo collo bianco affinché lui potesse nutrirsi del suo sangue"

Terminava così la favola nera che Celeste raccontava a Fleur.
Quello era il suo sfogo quando il rancore per quel fratello irreversibilmente malato, ma privilegiato  dall'esclusiva dell'amore materno, diventava insostenibile. Perché lei, a differenza di Fleur, quando non s'era compiuto il miracolo per cui era stata concepita, aveva invece goduto, anche se per un tempo brevissimo, del calore della sue braccia. E della dolcezza materna di quel periodo remoto prima della venuta al mondo del vampiro, ne conservava con feroce, inconfessabile gelosia, il ricordo. E la nostalgia.
Seppur mai lo avrebbe ammesso.
Come mai avrebbe confessato il desiderio insensato di voler essere lei la figlia malata, e così avrebbe goduto per sempre di quel suo amore esclusivo, senza provare  alcun senso di colpa per quello che sarebbe stato un suo incontestabile diritto. Stringeva i pugni e ricacciando indietro le lacrime abbracciava Fleur: tu non dovrai mai temere nulla perché con te ci sarò sempre io.
Questa rassicurazione, ce pure s'era dimostrata vera, aveva permesso a Fleur di sviluppare un carattere felice, predisposto all'ottimismo e al buon umore, e alla fiducia nel prossimo. Tutto questo nonostante il ripudio materno, la convivenza con "il vampiro", la ferrea vigilanza delle due nonne, e gli strani, inquietanti visitatori che, in attesa di far visita al fratello, invadevano le stanze di quella loro casa  da cui il padre, invece, s'andava allontanando. E non solo in senso metaforico. 

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