Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.

mercoledì 28 febbraio 2018

mercoledì 21 febbraio 2018

lunedì 19 febbraio 2018

Tra Centocelle e Disneyland (passando per Hollywood)



Esattamente in quel tratto di mondo dove le albe sono più chiare e le notti più scure e le stagioni sfumano, impercettibili, l'una nell'altra, e il vento che soffia da nord odora di oceano mentre quello che spira da sud sa di deserto, esiste un'area del pianeta non configurata su nessuna mappa perché sconosciuta al Meridiano di Greenwich, esente dalla burocrazia dei calendari e da quella delle ore legali e solari, perché non regolamentata, come tutto il resto del mondo, dalla suddivisione in decimali del tempo e dello spazio

Chiariamo subito che invisibile non è sinonimo di inesistente, e d'altronde basta porre la dovuta attenzione agli indizi, che pure ci sono a comprovarne l'esistenza, per giungervi senza neppure troppo sforzo.
In poche parole, se non trovate la strada è perché non sapete vedere.

La mia casa è ubicata nel centro esatto in cui questi due mondi convergono o confinano (a seconda di come la si vuol vedere), con una vista mozzafiato su un panorama diurno di nubi e notturno di stelle, se non fosse che talvolta, l'intenso traffico aereo di mongolfiere, aquiloni e tappeti volanti, reca qualche disturbo alla visuale, ma poi capita d'intravedere il Barone di Munchausen, viaggiare spedito a cavalcioni di una palla di cannone, e con lui amabilmente conversare
- Ehilà, Barone, le posso offrire una tazza di the? -
- La prossima volta, mia cara, che oggi vado di fretta. -

Nel respiro della terra puoi sentire il defluire dell'humus nelle sue grosse vene nere, e il pulsare del suo grande cuore, il cui ritmo regola i tempi del letargo e quelli della rinascita, e poi quelli variabili della stagione degli amori
Dietro le fitte colonne degli ebani e dei banani schierate a ranghi serrati si spalanca, abbagliante alla vista, la macchia verde smeraldo della foresta Writer Monkey, sul cui confine s'erige, opaco e minaccioso come un bastione militare, DarkRock Castle, impenetrabile dimora del leggendario mago alchimista Angel Devil, l'unico della stirpe degli stregoni ad avere acquisito il dono dell'immortalità, in virtù della sua breve, e tumultuosa liaison, con la bellissima e ambigua vampira, Carmilla.

Ai piedi di DarkRock Castle, nella zona paludosa, si ammassano, le une sulle altre, le casupole color malva e ginestra delle matriarche del posto, le fondatrici della confraternita delle Writer Witchs.
All'apparenza è l'irascibile stregone a detenere le redini del potere, ma in realtà sono loro, le matriarche, a gestire questo lembo di terra, non solo in virtù delle arti magiche della seduzione ma, soprattutto, per via di una schiacciante maggioranza numerica.
Unico posto al mondo dove vige una democrazia perfetta mascherata da dittatura,
Le abitazioni delle Witch Writers sono così strettamente connesse tra loro da un coacervo di passaggi  e sottopassaggi, di ponti e di scale, intersecanti in un inestricabile labirinto a più piani, progettato dal genio architettonico di Maurits Cornelis Escher che nacque proprio qui, in questo lembo di terra tra Centocelle e Disneyland,  e non in Frisia, come erroneamente riportano tutte le enciclopedie e le biografie, mai smentite, però, su richiesta dello stesso, un tipo riservato, refrattario al successo, che qui, nella sua casa natale, veniva a ritemprarsi dalle fatiche del suo genio e trovare nuove ispirazioni.

La casa di Escher è una semplice palafitta che poggia su pali altissimi, così come ce ne sono centinaia d'altre nell'entroterra della foresta Writer Monkey, dove le mamme vengono a dare alla luce i propri figli, nel convincimento che i primi mesi di vita trascorsi in quella realtà sospesa stimoli nei neonati l'intelletto, la spiritualità e la fantasia.
La casa è assegnata di diritto al  nuovo nato così da garantirgli un luogo dove far ritorno in qualsiasi momento della sua vita.

"Writer Monkey"(lo scrittore scimmia) è l'eroe simbolo rappresentativo di questo posto così come Guglielmo Tell lo è per la Svizzera. La leggenda racconta che durante le riprese del film "La corazzata Potemkin", mentre Eisenstein s'apprestava a girare la famosa scena della carrozzina che precipita lungo le scale, quella gli sfuggì di mano e continuò la sua rovinosa discesa anche dopo l'ultimo gradino. Inghiottita da un gorgo temporale, la carrozzina col suo piccolo passeggero era poi emersa nella foresta Writer Monkey (ma che allora non si chiamava ancora così) dove le scimmie si presero cura del bambino scampato alle scene più cruente del film allevandolo sulle palafitte come avrebbe fatto una mamma umana, ed iniziandolo alle arti acrobatiche e ai segreti dello scautismo, discipline in cui eccellevano. Fu però un grillo parlante (quello stesso al quale Pinocchio non volle dare ascolto) a svelargli i segreti della grammatica e della comunicazione, tanto da indurlo, ormai giovane adulto, ad intraprendere la strada della narrativa. E così, in mancanza di carta, i suoi racconti li scriveva sulle foglie delle ninfee, usando come inchiostro un distillato di fiori. Poi affidava quei suoi manoscritti ai corsi d'acqua affinché qualcuno, trovandoli, li leggesse (prototipo del più moderno bookcrossing) Racconti magnifici, seppure un po strampalati, di certo originali. Talmente affascinanti, che quando una foglia di ninfea giunse nelle mani di Shahrazad, la più seducente affabulatrice di tutti i tempi, questa se ne innamorò perdutamente e dalla lontana Persia giunse fino a lui, seguendo la traccia di quegli indizi minuti che un cuore innamorato, però, riesce a vedere.
E dall'amore dei due nacque la stirpe degli scrittori scimmia, che popolano tutt'oggi la foresta "Writer Monkey", chiamata così in onore del leggendario capostipite.

Ora, alla fine di questa mia storia (un po' stravagante, ne convengo, ma è la bizzarria creativa il  marchio d'autore che autentifica un vero Writer Monkey), qualcuno di certo si sarà incuriosito a voler tentare un'incursione in questa regione estranea al Meridiano di Greenwich, e visitare i favolosi luoghi che io ho qui descritto. Ma se a me è vietato dalla Costituzione vigente rilasciare le coordinate geografiche per non svelarne l'ubicazione, a nessuno però è proibito di tentare l'impresa  di giungere fin qui seguendo le minuscole tracce, disseminate come briciole di pollicino dagli scrittori scimmia, per indicarne la strada.
Quella stessa che un tempo percorse Shahrazad.

sabato 17 febbraio 2018

Un inverno senza fine


Che cosa sto facendo, qui, in questo inverno senza fine?
(Franz Kafka)

Dopo tutti questi anni di freddo interiore non sono riuscita ancora a svilupparne la tolleranza.
Forse è nella natura umana la propensione al calore, così nonostante le filosofie e le dottrine che pure trattano con un qualche fervore questo freddo interiore, l'aspirazione massima rimane il contatto: abbracci, carezze, baci. Anche solo sfiorati. Ma che ci siano, e con una qualche frequenza.
Che ci siano, perdio, e in grandi dosi, che il peccato più grande è proprio quella mancanza di calore e il gelo conseguente che ti fa avvoltolare su te stessa, coesa nella tua stessa carne, un informe tutt'uno.

E allora ho riversato la mia intelligenza, e le mie energie, nella costruzione di un mondo parallelo che ottemperasse a questa mia primaria esigenza di calore e condivisione.
In questo mio mondo metafisico gli oggetti hanno così acquisito un'anima, e una ragione d'essere, che trascende la loro reale funzione.
Non più oggetti, ma feticci.

In questa impalcatura cerebrale (una diversa versione, di più ampio respiro, di quel mio informe tutt'uno corporeo) gli oggetti, così come le cose astratte, interagiscono fra di loro e con me, animando una realtà altrimenti priva di attrattiva, se non quella della scrittura.
Piuttosto, sono proprio questi feticci casalinghi a rendere, con la loro surreale esistenza, più sopportabile la mia solitudine, fornendomi strampalati motivi psicologici per andare avanti.

"La caffettiera rosa, già pronta sulla macchina a gas, è la prima a darmi il buongiorno, con la dolcezza del suo aroma: è un'elegante, profumatissima ballerina, in tulle rosa, ritta sulle punte, che piroetta, in perfetta sincronia, con la fiamma del fornello. Ma perché questa pantomima avvenga devo trovarla già posizionata al suo posto, altrimenti le manovre atte alla sua preparazione inesorabilmente la relegherebbero allo status di semplice oggetto. E così, per realizzare quella magia, tra i riti serali, prima di andare a letto, ho inserito anche quello della preparazione della moka"

Condivide, però, questo mio mondo, astratto e bizzarro, Cagliostro, il mio gattone nero che, a differenza di me, meravigliosamente vive nella realtà oggettiva, senza troppi sofismi né vaneggiamenti di sorta, così per lui una caffettiera è una caffettiera, e il freddo è solo quello climatico, a cui facilmente pone rimedio al caldo della sua cuccia o sotto il mio stesso plaid.
Cagliostro non è bastante a sé stesso, è bastante al mondo.
Di sicuro, indispensabile al mio.
Marilena


giovedì 15 febbraio 2018

Interrogativi


Tutti i dolori sono sopportabili in una storia, o se si può raccontare una storia su di essi.
(Karen Blixen)

Tante volte, Stefano, mi sono chiesta se dopo aver fatto quelle scelte che ti hanno allontanato da me, hai avuto la forza di guardare a quel nostro passato, con nostalgia, tenerezza, rimpianto, anche rabbia.
Ma non indifferenza.
Per orgoglio non te l'ho mai chiesto, ed ora non posso più chiedertelo.
Non lo saprò mai.
Quello che so è che ti ho voluto bene.
E continuo a volertene.


Non ho voluto narrarla questa mia storia, per pudore, per amore, per rispetto di nostro figlio.
Solo qualche breve accenno, per di più più romanzato, in questo mio diario, e raccontato  con rabbia, ironia, sensi di colpa, rinfacci, e solo alla fine, consapevolezza.
Ma su tutti sempre emerge il sentimento schiacciante dell'impotenza.
E dell'orgoglio.
Non averla messa su carta, però, mi ha rallentato nel processo di elaborazione, e tutte le parole attinenti ad essa sono rimaste ingarbugliate nella mia testa: un groviglio serrato, ancora più difficile e penoso da districare, ora che lui non c'è più.
Così questa storia, che è poi quella della mia vita reale, rimarrà chiusa per sempre nel cassetto della mia memoria, con inevasi tutti i capitoli iniziali dell'amore e quelli ultimi della sua disfatta.
Una storia come tante...no, ogni storia è diversa anche se i finali paiono somigliarsi, perché ognuna è unica e irripetibile nei suoi drammi e nei suoi splendori, nei suoi eccessi e nelle sue miserie.

Quei capitoli che mai scriverò, puerilmente riassunti in un unico interrogativo: ti sei mai girato indietro a guardare a quel nostro passato?
E come l'avrei posta questa domanda: con rabbia? con ironia? con dolcezza?
La sua risposta sarebbe stata comunque sincera
...ma io gli avrei creduto?
Marilena

sabato 10 febbraio 2018

Un gatto miracoloso


Il primo incontro era stato una mattina che Sara, dinamica signora di una certa età...

(ehy tu, ti ho autorizzata a raccontare questa storia non a spifferare in giro gli affari miei)

Questa tra parentesi è la voce di Sara, che pure ha un certo caratterino e non le manda mica a dire, è molto permalosa, quindi mi toccherà fare attenzione a quello che scrivo

Sara, quella mattina, era alla guida della sua vecchia utilitaria color ciliegia (unica macchina al mondo di quel colore), quando all'improvviso era balzato fuori dalle grate di un cancello un gatto nero con in bocca un pezzo di pane, di certo rubato alla credenza di qualche casa.

(ehy tu, brutto ladruncolo, per poco non mi mandi fuori strada)

Sara aveva l'abitudine di appellare tutti con un "ehy tu" perfino il marito, pluridecorato colonnello in pensione, non lo chiamava mai per nome ma "ehy tu, colonnello", e sempre in questo modo aveva gridato inviperita alla volta di quel gatto nero che le aveva tagliato la strada, costringendola ad una brusca frenata, ma che lesto, però, se l'era filata prima ancora che lei terminasse l'invettiva.

Il secondo incontro era stato quando Sara, aprendo la portiera della macchina per andare a fare la spesa, il diabolico felino ne era schizzato fuori, cogliendola di sorpresa e facendola quasi cadere.

(ehy tu, diavolaccio, chi ti ha dato il permesso di bivaccare nella mia macchina? Trovo la tua padrona e gliene dico quattro!)

Ma quello di nuovo, senza darle ascolto, s'era eclissato con la velocità di un fulmine.

Il terzo incontro fu il più sorprendente, quando Sara tornando dal consueto tè pomeridiano con le amiche, era rimasta sbalordita nel sentire il colonnello dialogare con qualcuno. Davvero strano, perché lui da quando s'era ammalato aveva interrotto i rapporti col mondo e viveva una vita  solitaria, da recluso.

(ehy tu, colonnello, con chi stai parlando?)

Gli aveva chiesto entrando in casa, curiosa di vedere l'ospite di suo marito ed offrirgli un caffè, perché il colonnello soffriva di un tremore alle mani che gli impediva di afferrare le cose e di tenerle senza farle cadere, e così non gli riusciva di fare quasi più niente.

- Sara, guarda chi è venuto a farci visita!- Le aveva risposto allegro.

 Un evento questo, perché lui se ne stava triste e silenzioso, sulla sua sedia a rotelle, perso dietro a qualche ricordo che però non condivideva con lei. Sara cercava di distrarlo, d'interessarlo alle vicende del mondo, d'incuriosirlo e farglielo riscoprire, ma lui non si mostrava interessato, e allora lei smetteva di parlare. In silenzio passavano le ore, lui a fissare una parete, lei a lavorare all'uncinetto o sfogliare una rivista. Per questo era rimasta sorpresa da quella sua allegria.

Ma ancora più sorpresa quando scoprì che il motivo di quella felicità era proprio quel gatto randagio che ultimamente pareva perseguitarla e che ora beatamente stava dormendo sulle gambe del marito.
Ma alla voce della donna, però, s'era svegliato e istintivamente era scattato verso la porta per darsi alla fuga, ma quella era chiusa e l'unica altra via era data dalla finestra da cui era entrato, e che lui con un salto acrobatico era riuscito a scavalcare, guadagnando l'uscita.

(ehy tu...)

Ma stavolta la minaccia all'indirizzo del felino, Sara non l'aveva neppure terminata perché aveva visto il colonnello ridiventare di nuovo triste e una lacrima brillare nei suoi occhi, e allora lo aveva abbracciato, gli aveva preso fra le sue quelle sue mani che tremavano forte, e dopo avergli dato un bacio sulla fronte lo aveva rassicurato: vedrai che torna o altrimenti te lo vado a cercare io.

Una promessa è sacra, e mai Sara in vita sua ne aveva disattesa una, figuriamoci questa fatta al colonnello che lei amava teneramente, perché nonostante quei suoi modi bruschi, Sara era una donna molto dolce e...

(ehy tu, smettila con queste sdolcinature, piuttosto bada a raccontare per benino questa storia senza perderti in chiacchiere)

Su questa sua sollecitazione riprendo il filo del racconto ripartendo da quella sua promessa fatta di ritrovare il gatto transfugo, che pure aveva riportato un momento di gioia nella vita del marito, e così aveva disseminato il cortile di ciotole colme di leccornie feline, e quando usciva lasciava sempre porta e finestre aperte, caso mai quello avesse voluto fare di nuovo visita al colonnello. Pure i finestrini della macchina lasciava abbassati, pure nei giorni di pioggia (anche se poi le toccava sempre asciugare sedili e tappezzeria, ma non se ne lamentava, perché era per una buona causa), semmai avesse avuto bisogno di un riparo come era già accaduto una volta. Aveva allertato anche le amiche a tenere gli occhi aperti ed avvisarla se nei loro paraggi circolava un gatto nero dall'aria malandrina. Una descrizione vaga, verrebbe di pensare, che i gatti neri si somigliano tutti, ma quello era un piccolo posto dove tutti si conoscevano e quel gatto, di certo, non apparteneva a nessuno: un clandestino all'interno di quella comunità.

(ehy tu, per caso ti è capitato di vedere gironzolare da queste parti un gatto nero vagabondo?)

Era questa la domanda che Sara poneva a tutti quelli che incontrava, ma nessuno lo aveva visto. Sparito nel nulla. Volatilizzato. Eppure un effetto positivo quel gatto lo aveva prodotto perché il colonnello ora non fissava più una parete ma guardava la finestra nella speranza di vederlo arrivare. Poi, un giorno, addirittura s'era spinto, con la sua sedia a rotelle, nel cortiletto: era passato così tanto tempo dall'ultima volta che lui era uscito che a Sara quello era parso un miracolo.

(ehy tu, colonnello, che ne dici se lo andiamo a cercare insieme?)

A questa sua proposta Sara s'era aspettata un rifiuto, e invece lui aveva detto si. E così s'erano incamminati insieme, lui sulla sua sedia a rotelle e lei a spingerlo, verso quell'avventura condivisa. Avevano camminato tanto e ancora avrebbero continuato a farlo, spinti dalla speranza di ritrovare quel gatto speciale che aveva operato il miracolo di restituire suo marito al mondo, se non che stava facendo buio ed iniziava a piovere.

(ehy tu, colonnello, non essere triste, domani riprendiamo la ricerca)

Sara aveva dato alla sua voce un tono incoraggiante per non cedere, lei stessa, al pessimismo, consapevole che le possibilità di ritrovarlo diminuivano col passare dei giorni. Così erano tornati a casa, zuppi di pioggia e di tristezza, e Sara prima ancora di togliersi gli abiti fradici era corsa a serrare porte e finestre per impedire un probabile allagamento, quando aveva intravisto il gatto al riparo sotto la pergola del cortile, e così la finestra del salotto l'aveva lasciata aperta, lasciandogli la possibilità d'accesso. Poi s'era infilata un trench ed era uscita, lasciando però aperta anche la porta d'ingresso.

(ehy tu, colonnello, vado a controllare se ho chiuso i finestrini della macchina. Torno subito)

Sara sapeva che quei due si stavano per ritrovare e chissà quante cose avevano da raccontarsi, e forse la sua presenza sarebbe stata di troppo. Era certa, anzi certissima, che il colonnello lo avrebbe convinto a rimanere perché era sempre stato un uomo molto persuasivo, soprattutto nel campo degli armistizi, e avrebbe fatto in modo di stabilire, fra lei e il gatto, una tregua, il tempo necessario per conoscersi ed apprezzarsi.
E non ce ne sarebbe voluto molto, che Sara a quel gatto miracoloso già voleva un bene immenso.




giovedì 8 febbraio 2018

Tutto scorre

Non è vero che viviamo una sola vita, ma nel corso, lungo o breve, dei nostri anni, viviamo più vite e abitiamo più mondi.
E non parlo di quelli fantastici o paralleli, ma di quelli reali.
Le morti, le partenze, gli abbandoni e le nascite, modificano e plasmano il vecchio in nuovo.
E il nuovo in qualcos'altro.
Assistiamo nel corso dei nostri anni, a nascite e declini di interi universi, trasformazioni minime, o plateali, di interi universi.
E' sempre tutto in movimento, come è giusto che sia.
La vita è fermento e non staticità.
I  ricordi sono importanti, sono la base del nostro essere, è essenziale, però, saperli rielaborare senza il succo amaro della nostalgia o quello tossico del rimpianto: si deve guardare avanti, sempre, alle scelte immediate e progettare le future.
Il passato deve rappresentare punto di partenza per una nostra ricerca personale, proiettando il nostro ieri nell'oggi e poi, ancora, nel domani.
Panta rei: tutto scorre anche quando vorremmo fermare il tempo, perché la nostalgia è così lancinante da far male.

(Amaranta - link fb)