Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.

mercoledì 27 dicembre 2017

Maria Verena Valduga. La storia. La leggenda (cap 5)


SILENZIOSE TESTIMONIANZE
Sul balcone della casa dei Valduga fiorivano il geranio e il basilico, mentre la gabbietta vuota con la porticina spalancata, reiterava agli invisibili viandanti dell'aria la sua ospitale offerta.
Questo era ciò che alzando lo sguardo si vedeva. Niente trapelava, invece, dall'interno buio della casa. Mentre era facile, però, di mattina presto, vedere Maria Verena, o chiunque altra fosse, al balconcino, intenta a spazzolarsi i capelli.

«E' una donna in carne e ossa.» 
«Se ha messo in fuga il prete con tutte le sue protezioni altolocate, non può essere che un fantasma.»
«Di quali protezioni parli? quelle di Dio o del prefetto?»
«Orso dice che la figlia dei Valduga è morta partigiana.»
«Quello sarebbe disposto ad inventare qualunque storia in cambio di una bevuta.»
«Per come la vedo io racconta più verità lui da ubriaco che il prete da sobrio.»
«Ma pure se lei fosse un fantasma  non mi suscita lo stesso terrore che m'incute mia moglie.»
E quest'affermazione scatena l'ilarità generale.
«Eppure un modo ci sarebbe per accertarsi della verità, una verifica sul posto quando lei non c'è.»

ALLA RICERCA DELLA VERITA'
Questa proposta, bocciata dalla maggioranza come atto lesivo della proprietà privata, era stata invece accolta con entusiasmo dalle solite teste calde, più per il gusto dell'avventura che per una ricerca della verità
...e già s'era delineato un piano molto semplice e all'apparenza privo di rischi, che per scassinare il portoncino d'entrata, corroso dal tempo e dalla ruggine, sarebbe stata sufficiente una piccola leva, e per tutto il resto, invece, buona vista e agilità di gambe se la situazione fosse precipitata.

Qualcuno dei presenti aveva tentato di dissuaderli da quell'impresa, ma a dir la verità con argomenti blandi e senza troppo fervore, subissati dagli incitamenti di quelli che invece li spronavano all'impresa, cosicché il gruppetto si sentì autorizzato a procedere nel suo piano.  

...così quando la donna era uscita col suo cane, il manipolo s'era subito messo all'opera per forzare il portoncino d'ingresso, che pure facilmente s'era aperto su un interno completamente buio, e dopo aver imprecato sulla dimenticanza di una torcia elettrica che avrebbe illuminato la scala sconnessa che recava alle stanze del primo piano, s'erano accinti a salire. Procedevano con cautela, celiando per farsi coraggio ma con i sensi tesi, pronti ad indietreggiare alla prima avvisaglia di pericolo quando, con scenografico tempismo, un rosso raggio di luce, filtrato da una crepa, si era posato sulla sagoma penzolante dal soffitto.
Il corpo di una donna, come testimoniava la lunga veste che dall'alto pendeva.

Ed eccoli gridare, a quello che faceva da palo, di chiamare soccorsi, che lì c'era il cadavere di un'impiccata.
...e già un ragazzetto correva a perdifiato lungo la strada del commissariato, e un drappello di volontari s'era posto sulle tracce di Maria Verena, mentre il dottore, che pure era nei paraggi, prese il controllo dell'operazione, impedendo l'accesso ai curiosi per non inquinare la scena del delitto.

Ma non è una donna, è don Rigamonti, l'impiccato.
Aveva tratto in inganno la  tonaca, nel buio scambiata per un abito da donna.

«Ecco dunque che fine ha fatto il prete!»
«Mai partito, è sempre stato qui.»
«Lo ha ucciso lei!»
«Ma con l'aiuto di un complice, che quello era un omone e da una donna avrebbe ben saputo difendersi.» 
«Gli avrà teso un tranello. Certe ne sanno una più del diavolo.»
«Ha fatto perdere le tracce. Volatilizzata. Aveva tutto programmato.»
«Eh si, non si sparisce così da un momento all'altro, qui c'è un piano ed un complice.»
«Ma il movente di questo delitto?»
«Una storia vecchia, di convento e di partigiani. Una vendetta.»

«O magari una giustizia.» Interloquisce Orso
«Tu ne sai qualcosa? Magari c'è anche il tuo zampino!»
«A  questo zampino ti riferisci?» E, con una risata roca, mostra il moncherino. «Sono un invalido ed un ubriacone, non riesco nemmeno ad allacciarmi le scarpe... figurati uccidere un uomo.»
«Ma tu la conosci quella donna.»
«Quella che conoscevo è morta, sepolta in montagna con tutti gli altri partigiani.»
«E allora basta scavare dov'è sepolta per confermare la tua verità.»
«Ho la memoria labile, conseguenza delle sbronze, perfino quando sono sobrio vedo insetti sulle pareti. Non saprei dove condurvi.»

  «Io invece scommetto che lo sai. Certe cose non si dimenticano. Lo hai detto tu.» La voce del dottore sovrasta le altre.
«Ah, dottore, giungi sempre alle spalle!» E di nuovo quella risata cupa, senza allegria
«La verità, Orso, porterebbe giustizia anche nei confronti di quella donna, se un torto ha subito.»
«La verità non ha mai portato giustizia, dottore, almeno per quello che mi riguarda e per quello che ho visto. Limitati a curare i corpi, che è il tuo mestiere, perché a curare le anime ci pensano i preti.» Conclude, scolando il bicchiere.

lunedì 18 dicembre 2017

Maria Verena Valduga. La storia. La leggenda (cap 4)


VERITA' E REALTA' NON SEMPRE SONO PRESENTI ALLO STESSO MOMENTO
Ma non è detto quello che a noi pare reale sia poi vero, perché non sempre realtà e verità sono presenti allo stesso momento.

La donna al balcone aveva una frezza bianca sul lato destro della fronte: un particolare che tutti avevano notato, ma quanto bastante a confermare la sua identità?
...perché nessuno l'aveva mai vista a viso scoperto, ma sempre schermata da una veletta.

Quell'apparizione un fatto, però, l'aveva prodotto: la fuga del prete.
Cosa l'aveva fatto scappare: il ritorno di un fantasma o un ritrovato senso di colpa?

Di certo questi interrogativi eccitavano la curiosità popolare verso una storia che, all'epoca dei fatti, non ne avevano scatenata alcuna.
Una vicenda circoscritta in un ambito famigliare davvero impenetrabile, che i Valduga, arroccati in quel loro palazzo, con le loro pretese di nobiltà, mai avevano tentato un'integrazione nel tessuto sociale, neppure di facciata.

Ma pure in quel palazzo così appartato s'erano tessute trame, e stretto relazioni, che avrebbero poi influito, allo scoppio della guerra, sul destino di molti
...allo stesso modo che la morte prematura del giovane principe Giovanni Cuza Sigmaringen, era andata tragicamente ad impattare quello di Maria Verena

LA VERSIONE DI ORSO
«Maria Verena Valduga, "la monaca" è morta sulle montagne dove s'era unita al nostro gruppo di partigiani.?
«E allora chi è la donna che abita il palazzo padronale?»
«Cosa volete ne sappia? forse il suo fantasma.» Risponde Orso, beffardo.

«Ne hai di fantasia, Orso.» Gli fa eco una voce alle sue spalle
«Si chiama memoria, dottore, e se mi paghi da bere, ti racconto come sono andati i fatti, ma versa tu, per favore, che la mia mano trema così forte che pare abbia il parkinson.»

«Eravamo in perlustrazione all'alba, io e Lupo, quando ci siamo imbattuti in due fuggiaschi, un uomo e una donna, lei zoppicava e lui la sosteneva, erano esausti e infreddoliti, non avevano cognizione del luogo e ancor meno della situazione in cui s'erano venuti a trovare, con me e Lupo che li fronteggiavamo armati. Li abbiamo portati al campo, non c'è stato neppure bisogno di legarli, erano talmente stremati che ci hanno seguito quasi con riconoscenza. Lei, la ragazza, è stata subito identificata, per via  di quella ciocca bianca, essere la figlia dei Valduga. Lui, invece, uno degli zingari sinti che s'erano accampati con le loro giostre all'entrata del paese. Non era una fuga d'amore, quella loro, ma più semplicemente lei non voleva entrare in convento e lui non voleva finire in un campo di concentramento. Avevano così concertato, per sfuggire ai rispettivi destini, di unirsi a noi partigiani. All'inizio non volevamo saperne di una donna nelle nostre fila, soprattutto di una come lei abituata agli agi e di famiglia fascista, ma poi si è rivelata essere all'altezza, così tanto che alla fine è stata arruolata nel gruppo di azione, avendo dimostrato di possedere un carattere determinato ed una mira infallibile. Doti che però non le hanno impedito di essere ironicamente ribattezzata con il nome di battaglia "la monaca", per via di quella balla, messa in giro dalla sua famiglia, di essere entrata in convento. In realtà era Django ad entrare tutte le notti nella sua tenda. Se quei due se la intendessero anche prima non saprei dirtelo, per noi non ha mai avuto importanza. Il loro stare in coppia  ha evitato che la presenza di Maria Verena creasse scompiglio nel nostro gruppo di soli maschi. Django era un carattere solitario, un tipo irrequieto, portato all'azione, sempre in prima linea, di coraggio ne aveva da vendere, non ha parlato sotto tortura, e con lui si sono divertiti, non gli hanno risparmiato nulla, mai visto così tanto accanimento contro un essere umano.»
Orso interrompe il suo racconto per attingere una lunga sorsata dal suo bicchiere e porgerlo poi, con un gesto significativo, all'altro perché lo riempia di nuovo: «Versa ancora, dottore, che tutto questo parlare mi ha asciugato la gola.»
Solo dopo che la richiesta è esaudita, riprende la sua narrazione: «Maria Verena è morta sul campo in un tranello. E' stato un massacro. Un tradimento da confessionale. Chiedetelo al prete quando torna...se torna.» Dice guardando il dottore con un sorriso enigmatico, e dopo un breve silenzio aggiunge: « Morire non è stata la cosa peggiore, perché la sorte più atroce è toccata a chi, come Django, è stato catturato. Da quella retata siamo scampati solo io e Lupo, in missione di approvvigionamento. Abbiamo seppellito i morti e poi le nostre strade si sono divise.»

«Questa è la tua versione, ma non c'è nessun altro, oltre te, a confermarla.» Il dottore ribadisce perplesso.
 «Ed io sono un alcolizzato: dilla tutta dottore.» Orso lo guarda e scoppia in una risata: «Mi hanno mutilato di una mano ma non della memoria.» Obietta sarcastico, mostrandogli il moncherino: «La mano me l'hanno strappata via un pezzo per volta... una cosa difficile da dimenticare.»
«Se Maria Verena è morta, allora chi è la donna che abita il palazzo dei Valduga?»
« A me non importa sapere chi sia. La mia storia te l'ho raccontata, ora versa da bere!»

mercoledì 13 dicembre 2017

Maria Verena Valduga. La storia. La leggenda (cap 3)


AMNESIE. E MANIPOLAZIONI.
Dunque, Maria Verena era tornata e il prete, invece, se ne era partito, adducendo la motivazione puerile di un grave problema di famiglia, come asseriva il foglio sul tavolo della canonica.
Ovviamente la sua partenza frettolosa aveva suscitato un vespaio d'illazioni, perché era evidente che la motivazione di quella sua fuga era da collegarsi con la scena avvenuta la domenica in chiesa.
...e così gli occhi dei passanti andavano al balconcino, a quella presenza misteriosa che pure vi si affacciava a rendersi visibile, a sollecitare quegli sguardi e quei pensieri che da basso salivano fino a lei, che intenzionalmente si concedeva alla loro curiosità seppur attraverso una distanza siderale, un confine che nessuno avrebbe varcato per paura dell'ignoto.

La si vedeva incamminarsi su sentieri secondari, con lo splendido alano al guinzaglio e il viso schermato da una veletta. E sempre sola.
...anche se il circondario del suo palazzo era diventato luogo di pellegrinaggio, inesauribile fonte di curiosità e fantasiose ipotesi, come ad esempio quella gabbietta esposta al balcone, vuota ma fornita di cibo, che nell'immaginario popolare era stato stabilito fosse un approdo per le anime dannate.
...e quel geranio, coi petali color di fiamma, che in così poco tempo s'era sviluppato come un'edera, tendendo verso il basso come la corda di un fuggitivo; e il basilico, un cespuglio che pervadeva l'aria col suo profumo stordente, per ingarbugliare sensi e pensieri.

Nessuno ricordava più quella storia, che in quel tempo di guerra gli uomini adulti erano soldati al fronte o partigiani sulle montagne, e le donne intente alla propria sopravvivenza e a quella dei figli, avevano altro a cui pensare che non all'improvvisa scomparsa di Maria Verena, la cui vicenda non venne vissuta con l'attenzione morbosa che sempre caratterizza fatti del genere.
...e così la famiglia ebbe gioco facile per accreditare nell'opinione pubblica la sua entrata in convento, supportata dalla complicità dei notabili, in primis da don Rigamonti, che inscenò una messa, in pompa magna, in onore di Maria Verena sposa di Dio.
E a render tutto più vero la famiglia, per solennizzare l'evento, fece dono alla comunità di pacchi di pasta, conserve e coperte.
Ad archiviare definitivamente il tutto ci aveva pensato il capo della polizia con una retata avente la duplice funzione di ottemperare agli ordini del nuovo codice fascista sulle leggi razziali, che ascriveva tra gli impuri anche gli zingari, e cancellare in questo modo ogni possibile testimonianza riguardo la fuga di Maria Verena e Django. E soffocare lo scandalo.

ORSO
Ma pure ancora c'è qualcuno che ricorda, e ride dello scompiglio che la comparsa della donna ha generato nella fantasia dei paesani
... che neppure la cruda lezione della guerra è valsa a portare un barlume di ragionevolezza nel buio superstizioso delle loro menti, riflette Orso l'anarchico, il partigiano, il sopravvissuto. L'alcolizzato. Ingollando sorsate dalla fiasca che sorregge con la mano sinistra, che della destra è mutilato.

domenica 10 dicembre 2017

Maria Verena Valduga. La storia. La leggenda (cap 2)


LA SFIDA
A quel balconcino dove s'era mostrata Maria Verena Valduga (che i più s'erano ormai convinti che fosse lei, rediviva) ora vi facevano bella mostra un vaso di gerani e uno di basilico, e una gabbietta per uccelli, vuota e con la porticina spalancata.
Elementi questi sufficienti a convalidare la tesi del ritorno della fuggitiva alla casa paterna.
...che di altro oramai non si parlava in paese, se non di questo straordinario evento.
 La domenica s'era poi mostrata alla funzione della messa, con un'entrata scenografica scioccante: il volto coperto da un velo di pizzo nero, una mano vestita da un guanto, e al guinzaglio un superbo alano bianco.
Nel silenzio più grande aveva percorso il tragitto fino all'altare maggiore, col cane che da lei non si discostava di un passo. Poi s'era sfilata quell'unico guanto e lo aveva gettato, con disprezzo, in faccia al prete.
Senza una parola s'era avviata verso l'uscita, e quando uno dei fedeli s'era interposto a sbarrarle la strada, il ringhio minaccioso del grosso cane lo aveva convinto a farsi da parte

«Sarà un fantasma.»
«Forse lei...ma il cane no di certo.» Aveva obiettato, con un qualche nervosismo, il coraggioso che aveva tentato di sbarrarle il passo.
«Allora è davvero tornata!»
«Tornata, e da dove?»
«Dovremmo chiederlo al prete: i preti sanno sempre tutto.»
«Oh si, loro sanno sempre tutto, ma raccontano solo quello che gli pare.»
« E quel guanto in faccia...una sfida o un avvertimento?»
«Un gesto così sprezzante può essere solo di sfida.»
«Eh già, uno schiaffo pubblico a cui don Rigamonti non ha reagito.»
«Reagire...reagire...si fa presto a dire, lo ha colto di sorpresa, cosa avrebbe dovuto fare?»

Queste, ed altre, le congetture che andavano maturando sul sagrato della chiesa alla fine della funzione terminata con anticipo, che l'officiante aveva saltato l'omelia domenicale e congedandosi con evidente premura, ad evitare qualsiasi spiegazione, s'era eclissato da una porta secondaria.


UN RACCONTO DESTINATO ALL'OBLIO
Spiegazioni che neppure gli anziani avrebbero saputo dare, perché della sorte di Maria Verena sapevano solo ciò che alla famiglia era convenuto dire, senza altri riscontri se non le testimonianze mercenarie dei notabili dell'epoca, tra cui lo stesso prete.
Non c'era poi molto da ricordare se non che la famiglia poco dopo s'era trasferita in un imprecisato nord, e di loro non s'era saputo più nulla.
Una storia senza un vero inizio e una vera fine, e neppure una vera trama, che se la verità ufficiale era quella dell'entrata in convento di Maria Verena, altre verità ufficiose, relegate nell'ambito del sospetto, parevano essere più plausibili di quell'unica conclamata.
...e mentre i Valduga emigravano verso i loro possedimenti al nord, la polizia irrompeva tra le tende degli zingari giostrai per caricarli su camionette, anche queste dirette a nord, ma verso i campi di concentramento.
Neppure di loro si seppe più nulla.

Un racconto senza interpreti e né testimonianze è destinato all'oblio
...e ancora più facilmente se nessuno, per le verifiche postume, si è assunto l'onere degli appunti: nomi, date, orari e luoghi.
Ci sarebbero allora state, all'occorrenza, conferme e non supposizioni, anziché il silenzio dei vuoti di memoria, reali oppure omertosi, che a piacimento si possono gestire in mancanza di riscontri.

venerdì 8 dicembre 2017

Maria Verena Valduga. La storia. La leggenda (cap 1)


IN UN GIORNO MENZIONATO SU NESSUN CALENDARIO
A quel balcone da cui nessuno s'era più affacciato, essendo l'antico palazzo padronale ormai disabitato e mezzo caduto in rovina, era d'improvviso apparsa, in un giorno menzionato su nessun calendario, una donna intenta a spazzolarsi i capelli.
Capelli neri con una frezza bianca che originava nitida sul lato destro della fronte, come la traccia di una cometa in un cielo notturno.
La donna al balcone l'avevano vista i pescatori al rientro dalla loro battuta di pesca notturna, e quelli che s'apprestavano a quella diurna; i contadini che s'avviavano ai campi; il dottore e il prete che insieme tornavano dopo aver trascorso parte della notte al capezzale di un moribondo.
L'avevano vista a quell'affaccio, che credevano disabitato, spazzolarsi i capelli, che nella luce ancora incerta dell'alba altri particolari non erano riusciti ad intravedere.
Vestita di scuro, qualcuno asseriva.
Vestita di rosso, qualcun altro ribatteva.
Chi poteva essere quella donna al balcone di una dimora disabitata se non un fantasma inquieto, insofferente alle pene del limbo?
 ...così, più d'uno s'era fatto il segno della croce, e affrettato il passo.

In quel giorno menzionato su nessun calendario, Maria Verena Valduga, aveva fatto la sua comparsa (apparizione, qualcuno avrebbe detto), a quel balconcino dismesso, scatenando da subito la fantasia dormiente degli abitanti, che di novità non ne capitava quasi nessuna in quel borgo profondamente incassato tra le montagne e il mare, difficilmente intercettabile dagli sguardi umani e da quelli divini, da poterlo considerare un piccolo pianeta all'interno di un pianeta più grande.
...eppure quella comparsa inaspettata aveva sortito la capacità di mettere in moto meccanismi caduti in disuso come, ad esempio, quello della memoria, esercizio che i vecchi avevano da lungo tempo dimenticato e i giovani assolutamente non conoscevano, essendo abituati da sempre a vivere in un'immobilità temporale dettata dai ritmi delle stagioni e scandita dalle regole comunitarie.
Nascevano e morivano così come fanno le piante e gli animali, senz'altro scopo che quello di trascorrere in un qualche modo gli anni intermedi tra i due eventi.

NEI MEANDRI DELLA MEMORIA
Ambiziosa, quanto sfortunata, la famiglia dei Valduga, nobili senza blasone, a cui invano avevano da sempre aspirato, una contea o una baronia, più facili d'acquisire con l'arte dell'ossequio e dell'adulazione, che al principato, invece, solo con un matrimonio si sarebbe potuto accedere.
...seppure a quello c'erano andati davvero vicino, con la nascita di Maria Verena, promessa sposa al principe Giovanni Cuza Sigmaringen, il cui destino, però, fu quello di non arrivare all'età dell'adolescenza, prematuramente ucciso da una malattia di languore.
Dopo di che nessun'altra richiesta di matrimonio, di così alto lignaggio, era pervenuta a Maria Verena, che superati i vent'anni, ancora nubile, vedeva profilarsi l'ombra sinistra del convento, da preferirsi a quella di un apparentamento di basso profilo.
Meglio badessa che zitella.
Questo il sunto di un destino segnato, deciso dalla famiglia, che lei, dopo esser stata quasi principessa, non avrebbe potuto accontentarsi di qualcosa di meno.
Eh si che bella lo era.
Particolare, di certo, con quella ciocca bianca che ancora giovinetta le conferiva una parvenza già adulta, e forse, a vent'anni, già di donna matura.
Era anche per questo, nel suo destino, la sorte del convento.
Così cercavano di convincerla i famigliari, che per vincere il suo disappunto adducevano ragionamenti assurdi, tentando di persuaderla che quella ciocca bianca, nel folto velo corvino dei capelli, rappresentasse il soggolo con cui Dio la designava sua sposa.
...e la morte prematura del giovane principe Giovanni Cuza Sigmaringen, ne era la conferma.

Fu così che quando in paese arrivarono gli zingari giostrai lei scappò con uno di loro.
Di lui si conosceva solo il nome, Django, e l'ombra buia nei suoi occhi.
Di lei non si seppe più nulla.
Di lei non si volle sapere più nulla.
Nessuna ricerca venne messa in atto, e per soffocare lo scandalo si accreditò la notizia della sua entrata in convento.

lunedì 4 dicembre 2017

Regina delle nevi



E' dal risveglio che galleggio sospesa in una bolla di sapone: i sensi ottusi e gli occhi che non riescono a mettere a fuoco i contorni delle cose, cosicché appare tutto sfumato come in una foto ingiallita dal tempo.
Ma sono ben consapevole della realtà oggettiva di questo nuovo giorno, e del mio mandato di sopravvivenza a cui non posso sottrarmi, e forse neppure lo vorrei.
Abnegazione e dovere sono un tutt'uno per quelli come me che sempre troppo poco hanno amato se stessi, e ancora, nonostante le esperienze trascorse, trovano difficile ed estraneo questo esercizio.
Se non ti ami tu per prima neppure gli altri ti ameranno, seppur sono convinta che benissimo potrebbe valere l'inverso, se qualcuno ti ama ti rimane più facile il volerti bene.
Ma in definitiva cosa dovrebbero amare di me gli altri?
Cosa dovrei amare io di me stessa?
Le quattro parole che riesco qui a scrivere per colmare il vuoto dilagante che mi circonda, e che forse per incapacità congenita, invano mi sono spesa a colmare?
Oggi, nel presente, mi riesce difficile anche scrivere per via del continuo stato di precarietà emotiva con cui ho convissuto lunga parte della mia vita, e che alla fine mi ha consumata.
Scrivo per rassegnazione, per smaltire il carico delle troppe cose che ho dentro e che la scrittura rende più lieve, un sollievo seppur solo momentaneo, ma bastante a ridarmi fiato.
 E poi tutto quel freddo interno che mi gela l'anima ed enormemente acuisce la  distanza tra me e il mondo. Distanza che io sono così brava a mascherare, cosicché nessuno è mai stato nel mio deserto di neve, soprattutto perché le poche volte che ho voluto mostrarlo a chi pensavo di potermi fidare non è mai risultata essere una buona idea, che la reazione scontata è sempre stata quella di attribuire il tutto ad una mia eccessiva esagerazione.

Regina delle nevi, cosa ti manca per essere felice?
Hai un lavoro (piccolo piccolo, ma comunque con uno stipendio, che di questi tempi lamentarsene è follia ed egoismo)
Hai una casa.
Hai una famiglia.
Hai un figlio.
Hai un gatto.

...se per questo ho anche un armadio e una dispensa, un certo numero di scarpe e un paio di ombrelli.

E' che la gente è propensa a vedere quello che hai, o quello che mostri di avere, ma è totalmente cieca su quello che realmente ti manca, e così anche quando tu gliene parli, quelli continuano a non vedere, neppure per cattiveria o menefreghismo, ma per difesa personale, per paura di essere fagocitati loro stessi da tutto quel tuo freddo e finire sepolti nel deserto di neve.

Ho un computer, e scrivo.
Potrei mostrare questo, ma non lo mostro.
D'altronde la mia è una produzione letteraria senza capo né coda.
Alla rinfusa.
Caotica, come sono io dentro.
Non ci si capisce gran che, seppure tutto appare ben disposto e in ordine.
Ogni scritto perfettamente incasellato sotto la propria etichetta.
Però se apri quei file ti può piovere addosso di tutto: contraddizioni, nevrosi, paure, e paranoie.
...ma anche tutto, tutto quell'eccesso di amore irrisolto.
Marilena

sabato 2 dicembre 2017

Nei meandri della memoria


"Amanda e Jeremy" un racconto scritto nel 2008, ma di cui non ero mai stata del tutto soddisfatta, e così da sempre l'ho considerato un racconto minore, una prova di scrittura, un confronto tra il mio stile di ieri e quello di oggi, una sorta di cartina di tornasole, destino riservato, soprattutto ai miei primi scritti su questo blog.
...ma a differenza di un paio che sono finiti in bozze, questo l'ho cancellato, e dimenticato perfino di averlo fatto.
Non bisognerebbe cancellare mai nulla, che dagli scampoli degli scritti ripudiati, si può sempre ricavare materiale per altre nuovi, oppure lasciarsi la possibilità di una rielaborazione futura.
Conservo traccia di una precedente esistenza di Amanda e Jeremy, in questo vecchio "Block Notes" del 2008, dove è titolato "Amanda & Jeremy" i due nomi uniti da una & commerciale.
La storia, così come l'avevo confezionata, non mi convinceva, ma la trama, però, quella non l'ho mai dimenticata, come per tanti altri scritti ignominiosamente da me abiurati, e che talvolta mi tornano alla mente facendomi dolere anche un po' il cuore.
La trama la ricordavo a grandi linee, ma non il finale (confesso che della maggior parte dei miei racconti non lo ricordo, e non che ne abbia scritti un numero infinito, anzi, la mia è una produzione  davvero scarna, e non riesco a spiegarmi la causa di queste amnesie)  rammentando benissimo, invece, l'incipit, dal quale sono partita per questa nuova stesura cercando, per non snaturarne il senso,  di mantenermi, per quanto possibile, fedele a quegli scarni dettagli che ancora ricordavo, pr confezionarne uno nuovo di zecca, e con un lieto fine: un piccolo regalo per me stessa, sempre in carenza di ottimismo.

In realtà non sono soddisfatta neppure di questa nuova versione, troppo sdolcinata nella seconda parte, ma che pur avevo fretta di riportare alla vita Amanda e Jeremy, dopo che in quel mio vecchio block notes ho ritrovato le loro tracce, quando non esistevano già più nella realtà del mio blog.
...ad ogni modo il lieto fine se lo sono meritato, dopo essere rimasti a vagare, così a lungo incorporei, nei meandri della mia memoria.

venerdì 1 dicembre 2017

Sentinella

Affacciata alla finestra in attesa che faccia giorno, ma fuori è buio e la strada deserta: son da sola a vegliare sui destini del mondo.