Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.

giovedì 29 dicembre 2016

Appartengo alla terra.

Intermittenze esistenziali che assumono i contorni della metafora di una ballerina di tip tap, che volteggia, senza però mai distaccarsi dal suolo, su un ritmo cadenzato, a cappella, sottolineato dalla successione della marcatura prima del tacco e poi della punta.

Questa ballerina di tip tap piroetta instancabile senza mai staccarsi dal pavimento, anzi, il suo tip tap è il fraseggio col quale consapevolmente ribadisce la sua appartenenza al suolo piuttosto che al cielo, perché se fosse slegata dalla solida compattezza del pavimento sul quale far risuonare i suoi tacchi, sarebbe soltanto una figurina precaria, annaspante, in cerca di un appiglio inesistente.

Quella ballerina di tip tap sono io, doverosamente ancorata al suolo dopo aver tentato brevi, goffi salti, protesa verso quel cielo a cui però facilmente ho rinunciato in cambio di quella stabilità che la terra m'assicurava.

Così, nonostante la mia fervida fantasia, non mi sono mai avvicinata al sole, non mi è riuscito di scaldarmi ai suoi raggi, ed ecco spiegato il perché di quel freddo interno che da sempre mi porto dentro.

La mia mente s'è rivelata troppo complicata, indecifrabile anche per me stessa.
Una mente rococò tutta riccioli e volute, un coacervo di arabescate ondulazioni floreali strutturate per alleggerire quella mia estrema pesantezza esterna che però mai, mai, mai, mi è riuscito di abbattere realmente.
Così l'intera mia esistenza l'ho votata alla realizzazione di un compito impossibile, tremendo per una bambina eppoi per la donna che sono diventata: infrangere le mie barriere esistenziali, penetrare i muri e attraversare la materia, essere la proiezione reale in un mondo parallelo, più attraente, giusto, gioioso, soprattutto colmo di sentimenti e storie da condividere attraverso la scrittura, e in questa affermare una qualche ragione di vita.
Ma mi sono trovata sempre sola a vagare tra le ombre in compagnia di altre ombre, e alla fine realizzare che l'impalpabilità è la materia prima di cui sono fatti i mondi e le persone.
Eppure di un mondo solido ho accettato l'illusione e fomentato il miraggio, a volte perfino realmente credendoci con una disperazione tale da sembrare entusiasmo, riscatto, rivincita: inchiostro per i miei scritti.

Ma in definitiva sono stata la viaggiatrice solitaria in un parallelo che non esiste, un'esule estromessa alla ricerca di una fonte a cui dissetarmi e bevendo, alla bisogna, anche acqua avvelenata, eppur sopravvivendo nonostante le mie tentazioni suicide.

Tentazioni quanto vere?
Quanto impellenti?

Ho sempre immaginato per me una morte dark: rose rosse, veste bianca, sangue sulle braccia e buio.
Un'ossessione.
Un'eredità.

C'è chi eredita la bellezza, la lungimiranza, il talento: io, invece, ho ereditato il gusto del suicidio.
Ma non l'ho mai attuato.
L'ho sperimentato, ma non ho avuto il coraggio di portarlo a termine.
Ci vuole fegato a morire perché il richiamo della terra, delle misere cose di cui reclamiamo il possesso, di quegli affetti negati che pur ci ostiniamo a pretendere, ancorano carnalmente la nostra volontà al suolo.
La forza di gravità si triplica e si viene schiacciati tra il desiderio di onorare quell'eredità e il miraggio fantastico di una fonte pulita a cui dissetarsi.
...eppure, senza fino in fondo crederci, è questa vana ricerca che alla fine per me è prevalsa.
Che mi ha mantenuto in vita.
L'esile fronda a cui mi sono aggrappata per mantenere l'illusione di un ancoraggio tramite il quale  affermare la mia appartenenza alla terra.
Marilena

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