Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.

giovedì 13 ottobre 2016

Una donna in bianco e nero (cap 2)




(Pubblicato nell'antologia "Il tango di Cloe" da "Writer Monkey" Maggio 2018)


Quel pomeriggio di diluvio universale, un acquazzone apocalittico aveva sommerso l'intera città cogliendo tutti impreparati, automobilisti e pedoni e quell'unico ciclista che, per schivare lei, era finito a terra, agganciandola, però, nella caduta.
Sotto quel diluvio biblico s'erano ritrovati soli, che nessuno s'era fermato a prestar loro soccorso, fradici d'acqua e con qualche escoriazione.

- Niente di rotto, signora? -
Aveva chiesto, con apprensione.

Tutto quello che c'era da rompere è già stato rotto tanto tempo fa.
Aveva pensato, Irene, con una sorta di crudele ironia.

- Credo di no. -
Aveva risposto mentre maldestramente cercava di riconquistare la posizione eretta.

- L'aiuto ad alzarsi. -
Ma lei, bruscamente, aveva respinto le sue mani, rischiando di cadere di nuovo.

- Volevo solo aiutarla, mi spiace, con tutta quest'acqua non sono riuscito ad evitare di venirle addosso. Sicura di non essersi fatta troppo male? -

- Sicura. E' tutto ok -

 - Chiamerei un taxi, se ce ne fosse uno nei paraggi, per riaccompagnarla a casa -
- Non occorre. Incidente chiuso. Fai attenzione, però, a non investire nessun'altro -

- Io sono Alejandro -
Aveva detto porgendole la mano.

- Io sono...terribilmente in ritardo. Scusami -
Quasi una fuga, quella sua, sotto la pioggia.


...ma al destino non si sfugge, aveva raccontato alle amiche di come Alejandro il giorno dopo se lo fosse trovato alla porta, con un sorriso largo e nelle mani il suo portadocumenti.

- Fuoriuscito dalla sua borsetta durante la caduta, non l'ho mica rubato -
Aveva precisato lui.

- Grazie per questa gentilezza. Scusami se non ti faccio entrare ma sono...-

- terribilmente in ritardo -
Aveva concluso, Alejandro, ridendo.

- Un giorno che non è troppo in ritardo, Irene, vorrei offrirle un caffè per farmi perdonare l'incidente di ieri. Mi sento in colpa, sono appena arrivato in città e ho già causato un guaio. Vorrei espiare -
Aveva detto ridendo.
Una risata spontanea. Contagiosa.

...al destino non si sfugge, soprattutto se ha un buon aroma di caffè, quello stesso che Alejandro personalmente le aveva recapitato, il mattino dopo, nella tazzina del bar.

- Se Maometto non va alla montagna, la montagna va da Maometto...non deve farmi entrare, possiamo benissimo berlo anche qui sulle scale -
Detto fatto s'era seduto sul primo scalino dopo, però, aver aver cavato dalle tasche due brioche alquanto malconce.

Fu Irene, a quel punto, davanti all'espressione sinceramente mortificata di lui, a scoppiare a ridere.

Quel caffè fu il primo di tanti altri religiosamente consumati sulle scale, che era diventato per entrambi un rito, una scaramanzia per un buon inizio giornata.
E col caffè il racconto ad episodi delle proprie vite.
Principalmente era Alejandro che raccontava di sé: il suo amore per il cinema lo aveva condotto in Italia dove sperava d'intraprendere la carriera di regista, anche se al momento i suoi sogni di gloria erano tutti in stand by, subordinati ad esigenze più immediate.

- Amo l'Italia, - le aveva detto una volta - una terra bellissima e dolorante, proprio come te, Irene. Non racconti nulla della tua vita, ma non hai bisogno di parole, sono i tuoi occhi a parlare. Quei tuoi fantastici occhi dove la luce si riflette ma non splende. E poi i tuoi silenzi...nessuna voce racconta più di un silenzio: le parole possono depistare, i silenzi no -

Lei non aveva risposto, ma si capiva che stava lottando contro le lacrime.

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