Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.

domenica 31 gennaio 2016

E' una tristezza che sa di nostalgia, da consumarsi dietro i vetri di una finestra bagnata di pioggia.

Le ore rotolano dalle mie dita come perle sfilate di una collana.
Cadono a terra tintinnando in un suono allegro di sfida, e mentre io mi affanno a rincorrerle, quelle, impertinenti, si vanno ad annidare negli angoli più angusti, impenetrabili alle mie mani.
Alacri i miei polpastrelli scavano nella polvere stagnante sotto gli arredi, cercando inutilmente di afferrare le minuscole sfere che agili sfuggono alla presa, lasciandomi a mani vuote.

Il tempo non lo afferri, non lo trattieni e neppure lo possiedi.
Ti è solo concesso di vederlo scivolar via dalle dita, una perla dietro l'altra, a tracciare il tuo cammino a passo di danza verso il buio, e tu, qual'ora decidessi di deviare il tragitto su un percorso alternativo, faresti bene a non illuderti che tanto la meta è già decisa.

Malinconia di stampo retrò, semmai alla mestizia fosse possibile dare una connotazione, la mia attuale sarebbe di questo genere.
Uno spleen all'assenzio da consumarsi, sulla scia dei ricordi, dietro i vetri di un bistrot parigino, memoria di un'estate ormai lontana, luccicante del riflesso grigio/azzurro di neonate nubi implumi, e poi, ancora, le stesse a rincorrermi dietro il finestrino di un treno, nel viaggio di ritorno a  Roma, alla mia casa, alle mie certezze, alla mia collezione di collane ancora intatte.
La luce tenue di un abat jour e sul comodino i libri di Sartre e Simone de Beauvoir, e l'inganno scintillante dei miei lunghi fili di perle appesi allo specchio.
Tutto odorava di Francia in quel periodo della mia vita, soprattutto la primavera, una stagione da  me a torto sottovalutata, (troppo azzurra e botticelliana, in quel periodo la mia preferenza già andava all'autunno, esistenzialista e filosofo, che quando si è  molto giovani si ha la pretesa a voler essere già adulti e vissuti) ma che a distanza di tempo scopro, invece, esser quella che ha conservato inalterata tutta la sua gioiosa fragranza.

Devo averla vissuta, la mia primavera, in modo subliminale ma profondo, e averne inconsciamente fatto incetta, se oggi piacevolmente la riassaporo, complice questo strano Gennaio, tiepido e volitivo come fosse Marzo, che le idee confuse (non parlerei d'inganni) le ha anche il tempo, o chi per noi lassù programma il calendario delle stagioni, che una svista simile ce lo rende più simpatico e  alla nostra portata, e ridiamo di questa sua bizzarria, dimenticando che di astruserie simili ne abbiamo già vissute, salvo poi dimenticarcene ,perché  è facile cancellare pezzi della propria vita  (io ho interi capitoli di cui non conservo memoria, e mi ci danno dietro a quei vuoti quando ne vengo edotta attraverso il racconto degli altri.)

Dov'ero io?
Se c'è chi ricorda la mia presenza l'unica assente era la mia mente consapevolmente intenta a non prestar attenzione, a non voler vedere, a non voler sentire per non dover poi ricordare, perché viene più facile stare dietro ai propri sogni che a quella realtà dalla quale si vuole prendere le distanze. E allora ecco si sale con la memoria retroattiva sul primo treno verso la Francia, seminando metaforici chilometri di distanza tra noi e quella realtà che non vogliamo, sbirciando dal finestrino come dalla vetrata di un bistrot, il lucore del riflesso grigio/azzurro di nubi neonate, destinate a  non sfociare in pioggerella o in burrasca, ma a rimanere in eterno appese, come miti lampioncini, ad un cielo di cartapesta, capolavoro d'ingegneria neo realista, che tanto pare esser vero, ma che a prevenir smentite, l'acume dell'inventore lo ha posto così in alto da impedire a chiunque volesse sincerarsi della sua autenticità di poterlo anche solo sfiorare, nella consapevolezza di venir poi sbugiardato
E' una tristezza che sa di nostalgia, da consumarsi dietro i vetri di una finestra bagnata di pioggia.
Marilena

venerdì 8 gennaio 2016

Eppur si va avanti

INCONTRO
Fu quando smisi di cercare l'uomo della mia vita che incontrai me stessa.
E incredibilmente mi piacqui.
E mi bastai.
(Amaranta)


In questo breve scritto è contenuto tutto il bilancio dell'anno appena trascorso.
Un bilancio incredibilmente positivo che racconta di un equilibrio personale ormai consolidato nella consapevolezza nelle mie capacità, e dall'impegno profuso a non ricadere nel gorgo della depressione.

In quest'inizio d'anno in cui anche la morte ha fatto la sua macabra apparizione, portandosi via, il 2 di Gennaio, un amico fraterno, meraviglioso ed insostituibile, che ha lasciato un vuoto davvero enorme nella mia vita quotidiana.
....e l'irrealtà che ne consegue, che è quella di muoversi in un universo noto ma, al contempo, diverso.

Eppur si va avanti, nonostante il dolore e l'incredulità per una vita falciata via nel giro di 5 mesi, dove tutto è stato tentato, tra speranza e disperazione, e la sentenza definitiva a cui ancor oggi, nonostante la sua morte, faccio fatica a dar credito.

Sarà un lungo inverno nell'attesa della sempre troppo breve estate, e  necessiterà dunque addolcire questo intervallo con quello che si ha e come meglio si può, nella consapevolezza che tutto inizia per poi finire, e che l'unico lasso di tempo che si propone davvero eterno è proprio quello dell'attesa.

L'anno è appena iniziato mentre una vita si è da poco conclusa.
Capitoli che si aprono e capitoli che si chiudono, che vanno ad intersecarsi con questo paragrafo della mia vita così esaltante, nonostante il lutto, da indurmi a soffermarmi, senza averne troppa paura, sul pensiero della morte, che un giorno anche per me arriverà.
E vorrei trovasse una donna soddisfatta, felice di aver vissuto ad onta di tutte le contraddizioni (di quelle di cui ho avuto consapevolezza e di tutte le altre di cui non mi sono resa conto) e soddisfatta di esser riuscita a plasmarmi così come sono.
Marilena