Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.

sabato 12 settembre 2015

Penelope

Sempre più scopro che il diario è uno sforzo contro la perdita, la transitorietà, la morte, lo sradicamento, l’appassimento, l’irrealtà. Sento che quando rinchiudo qualcosa, lo salvo. Qui è vivo. Quando qualcuno se ne andava, sentivo di trattenerne la presenza in queste pagine.
(Anaïs Nin, Diario IV)


In altri tempi le ore insonni le trascorrevo seduta al computer, imbastendo la traccia di un racconto o riesumando un sogno o, ancor più di frequente, cercando le tracce del mio stesso passaggio nelle righe dei miei scritti, quasi avessi paura di non riuscire a ritrovarmi.
I dodici anni trascorsi accanto a mia madre malata di alzheimer mi hanno profondamente segnata, resa consapevole della labilità della nostra esistenza, non solo agli occhi del mondo, ma ai nostri stessi.
Così faccio mie le parole di Anaïs, ritrovandovi appieno la mia esperienza e la fatica di perseguirla, dal momento che ogni giorno che passa diventa sempre più difficile proseguire il racconto poiché tanti interpreti di questa mia sceneggiatura hanno abbandonato la scena, e non fa differenza se vivi o morti, dal momento che non ci sono più.
A onor del vero non sì è trattato neppure di abbandoni improvvisi che alcuni erano preannunciati, altri, invece, da me stessa favoriti.

Eppure le presenze dei fuggitivi continuano ad aleggiare all'interno delle pagine di questo diario on line, e quando le scorro è come assistere alla replica di un film in onda sul monitor del mio pc.
Film muto, sottotitolato.

Nelle febbrili esaltazioni di certe notti insonni, quelle più difficili da trascorrere fino al mattino, m'immagino che dagli schermi dei due televisori e del computer, eternamente accesi, vengano proiettati alla rinfusa fotogrammi casuali della mia vita, in un carosello caotico dove si sovrappongono scene di disperazione e di allegria,
Mi rendo conto, però, che le scene di disperazione sono quelle meglio riuscite perché più intense delle altre: il pathos mi appartiene.
Esattamente come apparteneva a mia madre.
Più trascorre il tempo e più trovo similitudini con lei, non solo nei gesti fisici,  ma nelle scelte e forse nel destino finale, che intravedo essere quello della solitudine esistenziale, della stanchezza dei sentimenti, dell'invecchiamento precoce dei desideri.

L'ultimo fotogramma di questo ipotetico film, che sta andando in onda ora sullo schermo del mio computer, mostra una grande finestra spalancata su un mondo azzurro, fatto di mare e di cielo, l'uno privo di onde e l'altro privo di nubi: due tavole identiche, piatte e monocromatiche.
Al di là del vetro c'è Penelope seduta davanti ad un grande telaio, vestita di nero, all'interno di una stanza vuota e bianca, intenta a filare un complicato ordito con le dita che scorrono agili con sicurezza mnemonica, che la tela non la guarda neppure, perché il suo sguardo è fisso nell' azzurro, immoto ed irreale, che si espande oltre la finestra.
Avverte la mia presenza estranea e brevemente si volta verso di me: ha gli occhi dello stesso azzurro di quel mare e di quel cielo che baluginano dalla sua finestra, invariati, senza albe né tramonti.
Poi, come se non mi avesse neppure vista, torna a guardare il paesaggio immoto.

Ha fissato così a lungo quel fondale di aria e di acqua da esserne diventata parte.
 Dopodiché il tempo ha smesso per lei di esistere.
Marilena

8 commenti:

  1. Alla fine penso che consci o meno se uno riflette è veramente rivedere un film, la replica o la replica della replica. E per quanto possa essere bello o fantasioso ci copre col suo pesante coperchio.
    Alice, Dorothy, Gatsby, Mark Renton...quanti rimangono intrappolati nelle loro vite.

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    1. Tu elenchi personaggi, ma in realtà sono i loro autori a rimanere intrappolati con l'ausilio del diavolo, inarrivabile nell'arte di costruir coperchi.

      Grazie, endi.
      A risentirci presto :)

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  2. “Se una cosa potessi esprimerla a parole, non avrei bisogno di dipingerla” diceva E.Hopper ma tu riesci con le parole ad esprimere la stessa tensione dell' Attesa. E, leggendoti, ci sentiamo su quella soglia tra smarrimento e speranza, ontologicamente attendendo ...

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    1. Benvenuto nel mio blog!
      Grazie per questa sosta e per il dono di questo bellissimo commento, che davvero tanto mi lusinga.

      Grazie infinite :)

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  3. Penelope è l'archetipo di un pensiero potente, quello che spinge oltre "l'attesa", ma è anche apologia stessa dell'attesa, quella per cui il tempo non esiste, è solo una variabile fittizia un contenitore che ci è consentito sia vuoto perché si possa riempire di ciò che ci pare! E' sempre bello leggere ciò che riesci ad esprimere con tanta facilità poetica. Buon tutto (ed anche di più)!

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  4. Assolutamente concordo con te. Giò, sull'immagine del contenitore vuoto da riempire con ciò che ci pare.
    E' per ingannare il tempo e poi anche noi stessi, perchè la vita, in definitiva, è un susseguirsi di attese.
    Grazie infinite, Giò, per il tuo commento.
    A ritrovarci presto :)

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  5. No mia cara, tu non sei come Penelope, che si faceva scivolare il tempo addosso, tu sei una fornace di idee che sai esprimere nel migliore dei modi, tu sei una donna che sa reagire e riappropriarsi sempre della propria vita.
    Forse grazie ad una sorta di diario, come quello di Anais, che conserva la tua memoria e tutte le emozioni.
    Cristiana

    PS. Mi piace l'ultima puntata di Rebecca che da spazio a molte possibilità.

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  6. Non sai quanto di sono grata, Cristiana, dei tuoi apprezzamenti (che per me sono anche incoraggiamenti), di queste tue parole gentili che non sono, per me, egocentrica gratificazione, ma una buona medicina, uno sprone a non impigrire nella facile "autocommiserazione" e far leva sulla leva sulla forza dei risultati acquisiti nel tempo.

    Grazie infinite, Cristiana :)

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