Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.

giovedì 26 febbraio 2015

Spazio Concavo

...perché sei diventata più fragile, mentre correvi di qua e di là a caccia d’amore. Sei diventata più fragile e nemmeno te ne sei accorta. Così fragile da pensare che è meglio una vita così, grigia e triste e con la luce accesa la sera, quando rientri a casa, piuttosto che il solito volo in mezzo alle emozioni che ti lascia stremata e bisognosa di cure, senza nessuno che te le dia, le cure di cui hai bisogno. Con tutti che ne approfittano perché di solito ti presenti come una che sa cavarsela da sé; e nessuno che si accorge che anche basta, non hai più voglia di cavartela da te.
La solitudine sono i mille compromessi a cui cedi tra te e te quando giustifichi le mancanze altrui, e ti trovi a battere i piedi come una bambina perché vuoi amore, cazzo, amore e attenzioni e nessuno che capisca quanto, porca puttana quanto, e già mentre fai capricci ti sgridi per niente bonariamente in nome della donna che vuoi essere e non sei.
La solitudine è non esistere, come oggi, e sapere con certezza che non se ne accorge nessuno.
(Paolo Giordano - La solitudine dei numeri primi)


Effetto del sonno a pillole, del tempo grigio, della pioggia, del mio imposto autocontrollo, di questa scenografia, vuota ed opaca, in cui m'inserisco col diritto dell'esiliata e dove io stessa  invento, per avere un pò di luce, un sole dai raggi multipli, potente come un riflettore da palcoscenico.
Luce che illumina ma non riscalda.
Ci sono mattine, come questa, in cui non bastano le finestre spalancate sulla strada affancedata che mostra il via vai di gente frettolosa, intenta a correre dietro a esistenze reali, impegni reali, condivisi con persone reali, compagni sullo stesso sentiero, in nome dell'amore o dell'odio, della sopportazione o dell'indifferenza.
Un'umanità talvolta generosamente pronta a concedere un metro di spazio in più, oppure, sempre per quello stesso metro predisposta a scannare e tradire, tender trappole.
Ma preferibile a tutto questo spazio, vuoto e silenzioso, che mi circonda.
Per confortarmi penso: io non ho i loro problemi, non sono costretta ad amare oppure odiare per conquistarmi un metro di spazio, non ho confini da difendere perché tutto lo spazio è mio.
Ma è uno spazio concavo, simile ad un imbuto, dove perfino l'eco scivola muto, strozzato, all'interno di una gola a cui hanno reciso le corde vocali.
Eppoi la sera, quelle stesse finestre diventano cancelli invalicabili, dietro cui si estende un paesaggio buio e minaccioso, e allora corro a barricare le porte per impedire l'accesso ai serial killer e ai fantasmi, seppur non posso impedire alla notte d'inghiottire la mia porzione di area, prima d'esser ingurgitata nel vuoto imbuto del mio spazio concavo.
Potrei inventare una luna tonda e gigante, un fosforescente astro notturno, ma quando giunge l'ora sono troppo stanca per dar vita all'illusione perché ho già esaurito tutte le mie energie, e dato fondo alla mia immaginazione, dopo aver riempito lo spazio concavo diurno di ombre così perfette da sembrar vere.
Marilena

domenica 22 febbraio 2015

Nelle spire del viola


Ecco, ci sono di nuovo dentro, il suo splendore mi ha catturata e i miei occhi non vedono altro che quella sua intensa luminosità: la sciarpa di seta cruda, di sfarzoso viola, si srotola dal lungo collo di Modigliani del manichino per risalire di nuovo lungo la sua spalla e attorcigliarsi, infine, sul suo braccio teso, come un fiabesco serpente la cui testa riposa quieta nella mano a coppa dalle cui dita spiovono, con solo apparente negligenza, lunghe e fitte frange intessute d'ipnotico bagliore.

Quella seta viola che ora completamente mi avvolge e dai seni scivola tra le cosce, languida come una lingua umida che s'insinua in fessure da lambire e penetrare poi, stuzzicante carezza fra le mie gambe. Nelle sue spire sento i battiti accelerati del cuore, quelli violenti del ventre e quelli puntuti del clitoride, e le frange, intrise del mio umido, premere pesanti e bagnate all'interno delle cosce, mentre ancora sussulto di piacere e mi avvolgo sempre più strettamente nell'ipnotico viola, affinché la pelle e la seta diventino un tutt'uno: un pesante ramo di glicine su cui si attorciglia un serpente dalla pelle di donna.

domenica 15 febbraio 2015

Elogio al vento che scompiglia i capelli, solleva le gonne e sensualmente intriga

...e così par di sentire mille sospiri sospesi nell'aria, mille bocche rosse che si schiudono, mille mani che invano cercano di afferrarlo nel suo turbinare, e tutto diventa stupefacente e giocoso, un rutilare evanescente di gonne e di sciarpe leggere, di capelli...soprattutto di capelli che come stelle filanti si dipanano ribelli dal nodo delle trecce e degli chignon, in una pioggia festosa di forcine e fermagli e nastri colorati.
Un carnevale tardivo in questo ardente luglio, col trucco che dolcemente si disfa in strie nere di liquirizia sotto cui si rivela il nudo degli occhi, eppoi il nudo della pelle, nelle spalline scese e nelle gonne sollevate, offerta pagana di seni e di gambe per lenire l'arsura di questo sole corsaro.
Offerta spudorata, esibita con l'innocente impertinenza delle bambine, nessuna provocazione ma  solo istinto del gioco, quel lasciarsi rincorrere il cui scopo finale è lasciarsi prendere, allargare le braccia ed offrire la bocca ed il petto ansante, in un gesto di resa incondizionata.

Il vento sensualmente intriga, il soffio e la carezza, una lingua furtiva che netta e lubrifica, con la sua bava fresca, le arsure della pelle e dei sensi, in un amplesso impudico e stordente, sensualissimo.
Il suo abbraccio da tergo, inaspettato e voluttuoso, la gonna che si solleva e che la mano di malavoglia trattiene per un solo istante, perché troppo eccitante è il gioco esibito sul grande palcoscenico della strada, sotto gli occhi dei passanti, spettatori inconsapevoli del muto tripudio di quell'amplesso intimo che culmina in umido languore nella garza sottile delle mutandine.

sabato 14 febbraio 2015

giovedì 12 febbraio 2015

Robinson

Come ogni mattina, io e il topolino abusivo, che d'ora in poi chiamerò Robinson, (in onore del più famoso Crusoe), ci siamo affacciati nello stesso momento, sulle rispettive soglie, ad ammirare il silenzioso Eden che si espande tenace, a dispetto del gelo di questi ultimi giorni, con nuove, imprevedibili fioriture fuori stagione, a colmare ogni centimetro di pietrisco.
Cespugli, piante, alberi e fiori, saturi di vapore acqueo inglobato durante le piogge alluvionali, si concupiscono in una sfrenata, lussuriosa orgia, promiscua ed impudica, da cui nascono ibridi, fantastici germogli, dai colori che nessuna tavolozza di pittore ha mai visto.
Io e Robinson ci guardiamo un pò smarriti: perfino il Paradiso può lasciare allibiti.
Nessuno dei due, fino ad ora, ha trovato il coraggio d'inoltrarsi in questa fitta selva, frenati dalla paura di non riuscire a ritrovare la strada, io col mio scarso d'orientamento e lui con la sua incosistenza corporea, che rischierebbe di rimanere schiacciato sotto il peso di un petalo opulento, all'ombra delle enormi foglie che si stagliano nell'aria come fantastici inganni, ad intrappolare le nubi e i raggi del sole.

Robinson, col passar del tempo è diventato meno timido, ogni giorno compie un piccolo, seppur prudene passo, verso di me.
E' un minuscolo topolino di campagna, non riesco ad immaginare come sia potuto capitare in un territorio a lui così, fino a ieri, ostile, se non trasportato da un potente vento d'uragano, o forse unico superstite clandestino dell'ennesimo naufragio negli oceani burrascosi di Blogosphere.
 Un sopravvissuto come me


 Aspetto paziente, gettando sguardi dalla finestra fiorita, attendendo l'arrivo della mia piccola ciurma dispersa ai quattro angoli del mondo, o forse sono già qui, dall'altra parte del labirinto vegetativo, anche loro incerti sul sentiero da imboccare che li porti al loro luogo abitativo, così trasformato da sembrare altro, e che solo l'istinto dell'amore rende inequivocabile.
Torneranno tutti.
E' solo questione di tempo.

venerdì 6 febbraio 2015

Quando sono sola sono forte

«Così resto nuovamente sola e, come puoi leggere nel diario, quando sono sola sono forte»
Anaïs Nin

 C'è un pò di sole, anche se fuori si gela, ma è venerdì, giorno che precede il week end e tutto questo è sufficiente a rallegrarmi.
Eppoi ho ritrovato il senso delle parole che trasbordano inesauribili dalle mie dita: una piccola folla di verbi, aggettivi, pronomi ed avverbi, che si spintonano, agguerriti, per trovare un loro posto sul foglio bianco, mentre  punti,  virgole ed esclamativi, s'abbattono come coriandoli e stelle filanti, col frastuono festante di una pioggia carnevalesca.
Avrò il mio bel da fare nel mettere ordine in questo allegro parapiglia, per troppo tempo rimasto compresso e prigioniero nel buio  catatonico della mia ultima parentesi esistenziale.

Mi sento viva, colma di energie, e forte.
Non devo attribuirlo a nessun'altro che a me stessa questo mio ritrovato positivismo, alla tenacia con la quale mi sono cercata e ritrovata, segregata nella minuscola cella, silenziosa e buia, del pensiero.
Lentamente sto ritrovando la concentrazione e il senso della scrittura.
Mi sono imposta di non farmi fretta.
E' una questione che riguarda solo me stessa dal momento che nessuno delle persone che ho amato, e di quelle che sono transitate nella mia vita, ha condiviso questa mia necessità.
 Ma d'altronde non puoi imporre il tuo stesso amore per qualcosa a cui non si è interessati.
Così, da sempre sono stata sola in questa mia avventura letteraria, a volte addirittura avversata, altre criticata (ma ci sta tutto quando scrivi pubblicamente in un blog), altre lodata, secondo quello cui andavo scrivendo incontrasse il parere favorevole, o contrario, del mio entourage.
Fare attenzione alle parole è stato il mio assillo per tanto tempo, per non sfiorare suscettibilità o creare fraintendimenti, perché l'interesse del mondo esterno, a tal proposito, era concentrato unicamente su questo.

La lunga astinenza delle parole mi ha aiutata a capire quanto, invece, sia forte, libera, irruenta ed appassionata quando sono davvero me stessa, senza censure né inibizioni, né timore di ferire sensibilità che in realtà si sono rivelate nella loro piena grettezza ed egocentrismo, culminati nella rottura di rapporti pur faticosamente ricuciti nel tempo e che forse non meritavano neppure tutta questa mia prudenza, questo mio rispetto che, alla luce dei fatti, s'è rivelato univoco.

Così resto nuovamente sola, come scrive Anais nel suo diario e, al pari di lei, quando sono sola sono forte
Marilena



mercoledì 4 febbraio 2015

Un Paradiso sotterraneo

Stamane, alle tre, ero già sveglia.
 Per un po' sono rimasta quieta ad ascoltare il rumore della pioggia che continuava a cadere, incessante e copiosa, dal cielo ancora notturno, poi l'esigenza di un gesto attivo mi ha spinto fuori dalle coltri: il primo caffè e la prima sigaretta della giornata, consumati davanti ai vetri rigati di pioggia, dove le gocce più grandi, simili ad insetti di cristallo, andavano ad infrangersi,  liquefacendosi tra gli altri rigagnoli sottili, come lacrime di luna che lentamente scivolavano sul mio davanzale, per ricadere poi sull'anonimo grigio del selciato.
Le gocce più minuscole, invece, che rimanevano intrappolate nelle fessure granulose del davanzale mi comunicavano un devastante senso d'angoscia: inchiodate a quel loro ineluttabile destino di segregazione a cielo aperto, impossibilitate a tracimare dagli argini, seppur minimi, che le contenevano, si sarebbero dovute rassegnare al loro breve, quanto solitario limbo, sospese tra il cielo e la terra: anime destinate all'evaporazione.

Secondo caffè e seconda sigaretta: mi sento anch'io una goccia di pioggia intrappolata nella porosità di un davanzale.
E manca un'eternità prima che il buio furtivamente rischiari in alba.

Devo  fare qualcosa per sfuggire all'oppressione buia e calda del mio appartamento di superficie o inevitabilmente anche la mia anima evaporerà come una goccia di pioggia.
Solo il mio antro può rivelarsi il rifugio salvifico per la mia rigenerazione.
Come è buffo, mi viene da pensare mentre scendo l'esile scala a chiocciola che conduce nei visceri sottereanei dove è ubicato, che invece, per la stragrande maggioranza della gente, l'ipotetico Paradiso è sito talmente in alto, irraggiungibile senza l'ausilio di un paio d'ali di colomba e la fermezza nella propria fede.

Il mio Paradiso è invece sotterraneo, agevolmente accessibile, sia pure con qualche precauzione, tramite questa esile scala a chiocciola che direttamente mi conduce nel cuore del mio antro, senza che io debba fare affidamento sul mio inesistente equilibrio ascensionale ed un' ancora più inesistente fede dogmatica.
Qui non posso perdermi.
E' questa certezza il perno principale su cui m'avvito, ritrovo stabilità ed equilibrio e, spesso, positività.
Guardo fuori dalla finestra dove una giungla opulenta e schizzofrenica, ha invaso ogni arido anfratto di questo mondo parallelo.
L'effetto della pioggia qui ha prodotto una scenografia immaginifica, dando vita ad un natura incontrollata, la cui mescolanza ha generato una flora ibrida, fantastica, sgargiante di colori e di profumi, sotto il cielo plumbeo e grondante acqua.
Gli alberi dai tronchi immensi e il fogliame che da terra s'inerpica, in volute impossibili, svettanti verso l'alto, in contrasto alle leggi comprovate della forza di gravità, mi celano alla vista la bassa catena montagnosa al di là della quale torreggiano i resti della Fortezza del deserto dei Tartari, fino ad oggi unica sporgenza visibile in chilometri e chilometri di paesaggio piatto, pietroso ed arido.

E' cambiato il panorama che circonda il mio antro da quell'ormai  remoto 9 Gennaio 2008, quando vi approdai come naufraga, dopo aver oltrepassato, su una scheletrica zattera, le Colonne d'Ercole.
Nulla sarà più come prima o, forse, questo è soltanto un bel momento e, come tutti i bei momenti, destinato poi a finire, ma intanto mi riempio gli occhi dei colori fosforescenti, e dei profumi persuasivi, di questa opulenta giungla amazzonica.
E non sono sola ad ammirarne la bellezza che, immobile sulla soglia della sua tana, anche il piccolo timido topo abusivo, osserva, disorientato, l'inestricabile labirinto per cui l'istinto gli suggerisce che dovrà darsi da fare per studiarne i percorsi affinché non smarrisca la strada verso il rifugio sicuro che io gli ho concesso.
I nostri occhi s'incontrano: mi guarda intimorito, forse immaginando che sia io l'artefice di questo miracolo.