Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.

giovedì 28 febbraio 2013

Un naufragio felice (cap 2)


 UN NAUFRAGIO FELICE
Nel ventre asciutto della Cattedrale
...e ciò che vidi all'interno del portale non ha eguale in nessun'altra regione del mondo, che pure io, viaggiatrice di comprovata esperienza ed avvezza a non stupirmi di nulla, rimasi esterrefatta, per un lungo momento smarrita della mia consapevolezza di naufraga alla mercé di miraggi fraudolenti e terribilmente pericolosi quanto più appaiono veri ed affascinanti.
La stanchezza, la debilitazione e la solitudine, in sinergia hanno il potere di portare alla superficie le follie latenti, materializzare desideri occulti, partorire spettri e resuscitare fantasmi..perché lì, nel ventre asciutto della Cattedrale andava in scena il più strabiliante dei deliri: o il più grandioso dei miracoli: la materializzazione di una realtà parallela.

Una  strabiliante realtà parallela
...e cosi benissimo può accadere, senza grande meraviglia, che soffiando troppo forte un vento d'aliseo possa temporaneamente deviare l'aerea nube dorata su cui Dante Alighieri è assiso a prendere appunti su quella commedia, umana e tragica prima ancora che divina, da cui trarrà immortalità e gloria, alle falde del Monte Cicala, dove un giovane frate domenicano, di nome Giordano Bruno, ancora lontano dallo scempio del rogo, è intento meditare "su, aldilà di ogni apparente limite, vi è sempre qualche cosa di altro".
E così alza gli occhi e vede Dante che a sua volta lo ha scorto, l'uno già assurto da secoli ai fasti del paradiso l'altro, invece, condannato nel suo futuro prossimo, all'inferno degli incompresi, ma che al presente è solo un giovane frate permeato dallo spirito inquieto del libero pensiero, ed ancora ignaro di quanto la filosofia possa rivelarsi per lui mortale.
Si sorridono, scambiandosi opinioni fugaci che da quella zattera celeste, su cui l'Alighieri è per l'eternità delegato a circumnavigare gli oceani delle umani passioni, si trova a maledire l'altezza irraggiungibile a cui la gloria lo ha collocato, impedendogli di fatto la possibilità di un ormeggio e di un dialogo.
Ma eccoli ora, da secoli di distanza, intenti a conversare, il giovane filosofo ed il sommo poeta, che se l'uno fosse nato nel secolo dell'altro forse la storia, chissà, sarebbe stata diversa, seppur ho il sentore che, in ogni caso, il fraticello aveva insito nel suo destino l'inappellabilità del rogo.

"su, al di là dell'apparente limite, vi è sempre qualcos'altro"
...così è che l'assioma aristotelico " su, al di là di ogni apparente limite, vi è sempre qualcos'altro" trova incontrovertibile conferma qui, all'interno di questo portale, dove le epoche s'intersecano attraverso convergenze illusorie, e cosi come è possibile che Dante possa conversare con Giordano Bruno, è altrettanto plausibile che Gustave Effeil abbia potuto chiedere a Leonardo da Vinci consigli d'architettura per la sua Torre di Parigi, e d'ingegneria per l'interno della Statua della Libertà a New York, così come reale è la corte, discreta ma assidua, di Shakespeare a Eleonora Duse, che la vorrebbe tra le sue muse ispiratrici, eleggerla "unica e divina", portandola via a quel D'annunzio che non l'ha saputa nel giusto modo amare.
Nell'interno di questa straordinaria Cattedrale, da oggi assurta a "tempio della memoria viva", l'assioma filosofico di Aristotele pienamente, e felicemente, si conferma come realtà oggettiva e non più solo come affascinante concetto metafisico che, declinando nel teorema matematico de "la meccanica del (corpo) continuo", è in ultimo traducibile nella tridimensionalità moderna dell'ologramma.

 L'umana commedia
...e già fuori la notte schiariva nella luce ialina di un'alba di sale mentre invece all'interno andava esaurendosi quel giorno fatato, calando il buio, come un morbido sipario di velluto a celare la magnificenza del palco, ma solo per il tempo di una breve pausa tra un atto e l'altro, che poi l'umana commedia sarebbe ripresa esattamente dal punto dove s'era interrotta, logica e scorrevole, seppur la trama, a tratti spregiudicata, concedeva un po' troppo alla fantasia, ma pure  il pubblico sarebbe stato disposto a perdonare gli eccessi e le eccentricità dell'autore se ad interpretar la storia c'erano, in qualità d'attori, Dante Alighieri e Giordano Bruno,  Gustave Effeil e Leonardo da Vinci,  William Shakespeare con Eleonora Duse e Gabriele D'annunzio. E la partecipazione straordinaria del grande Aristotele.

Omaggio, infine, ai sognatori felici, che con gusci di noce improvvisano vascelli

Applausi a scena aperta, non per me che ho scritto la trama ma per gli attori chiamati alla recita e che, magistralmente interpretando se stessi, hanno rivestito di lustro questa piccola storia, il cui unico scopo è quello di render omaggio a tutti coloro che hanno brama di libertà e di conoscenza, e rifuggono qualsiasi tipo di catena, che possa essere una fede nuziale o l'imposizione di una dottrina. A coloro che con l'ombrello del proprio ingegno puntano direttamente al cielo, e a quelli che lo sovrastano con la magnificenza della loro arte. Omaggio, infine, ai sognatori felici che con gusci di noce improvvisano vascelli e con quelli si spingono oltre le Colonne d'Ercole, travalicando i confini del mondo conosciuto alla ricerca di nuovi.

domenica 24 febbraio 2013

Un naufragio felice (cap 1)


UN NAUFRAGIO FELICE
 L'approdo
...per un breve istante, una luce turchina illuminò l'oscurità ermetica in cui il cielo, completamente offuscato da nubi, impenetrabili e nere, era piombato. Quel bagliore aleatorio fu però  sufficiente a svelarmi la rassicurante consistenza della terraferma, tanto da indurmi a passar la notte, che pur l'avevo immaginata insonne, a pochi passi da quel relitto che una volta era stato un solido vascello, e dove speravo poter recuperare l'avanzo di qualche mio bene scampato alla voracità dei marosi.
Sfinita, al riparo di una roccia, m'avvoltolai nei miei umidi panni, predisponendomi ad una notte di veglia

Il sogno
...invece, ad onta delle mie pessimistiche previsioni, accadde che m'addormentai e sognai della mia casa di Roma, dell'aereo terrazzo spalancato sul verde luminoso del Gianicolo, con le lenzuola stese, che la dolce brezza di ponente andava gonfiando come vele auriche, pronte a dispiegar la rotta al segnale convenuto dallo sparo del cannone di Castel Sant'Angelo, mentre la mia Capitolina, una lupa irascibile a stento trattenuta da un robusto guinzaglio che lei aveva già in parte dilaniato, abbaiava furiosa, apertamente ostile a quella mia partenza.
Avessi dato retta alla sua furia me ne sarei rimasta tranquilla, al mio lussuoso affaccio, a raccogliere il malizioso omaggio dello stornellatore che m'avrebbe, fra quelle stesse lenzuola, di li a qualche ora, incoronata sua sposa.
Ma aborrivo assoggettarmi al guinzaglio, sia pur d'oro, di una fede nuziale, e al pari della mia lupa Capitolina avrei dilaniato l'amorevole mano che me l'offriva.
Per sfuggire al mio destino di sposa non ebbi altra scelta se non quella del mare aperto.

Il risveglio
...ed ecco, al risveglio, accogliermi un'alba di porcellana sotto l'egida di un sole benevolo, cosicché seppur ancora frastornata dalle vicissitudini del recentissimo naufragio, avrei potuto godere di quell'ottima meteorologia, col favore della quale avrei più serenamente espletato il miserevole, ma necessario, compito di recupero delle reliquie scampate alla tempesta.
 Solo dopo avrei potuto dedicarmi all'esplorazione del mio fortunoso approdo.

La Cattedrale
 ...ma, se malamente  inciampando non fossi ruzzolata lungo il pendio, non avrei notato l'imponente struttura scavata nella roccia viva che, magistralmente mimetizzata nelle trasparenze saline di quel paesaggio di vetro, imbaldanziva vero l'alto, nascosta dalle nebbie ardenti del mezzogiorno.
No, mai avrei scorto, in quel rosso baluginio, la fantasmagorica Cattedrale con l'ultima ogiva che terminava in gloria al centro della vetta, e al cui interno un'aquila dalla testa bianca aveva nidificato.
 Così passai il resto della giornata, incurante della fame e del caldo straziante, ad ispezionare il terreno alla ricerca di quel passaggio, che avrei scommesso sulla mia vita, dovesse esserci.
Una così mirabile opera non poteva esser stata creata col solo intento di una scenografia compensativa per i giri di ronda delle aquile calve.

La porta
...così trascorsi la mia prima giornata di naufraga alla ricerca fallita di un varco d'accesso a quella fiabesca dimora, fino all'ora in cui dovetti cedere agli imperativi del buio e della stanchezza, determinata, però, a replicare per tutto il tempo della durata di quel mio soggiorno forzato.
Decisi di trascorrere la notte nel posto stesso in cui ero, e da dove avrei ripreso, col chiarore del giorno, i miei giri ispettivi.
Esausta, mi raggomitolai in un incavo di roccia, già predisposta alle persuasioni del sonno, quando un bagliore turchino, divampando dalla cima della cattedrale, eruppe in verticale coi filamenti stellari di un fuoco d'artificio, ad illuminare con l'intensità di dieci lune, la porta mimetica della Cattedrale.

sabato 16 febbraio 2013

La Confraternita delle Silvie (cap 2)


Non t'accorgi, Diavolo che sei, che tu sei bella come un Angelo?
(Giacomo Leopardi - Pensieri)

UNA STORIA NELLA STORIA
La baronessa Cherubina Spadaro della Salina di Fragiovanni di Mazzara del Vallo, era nata provvista di una fisicità superba, un carattere indomabile ed un istinto prodigioso per gli affari, tant'è che aveva reso oltremodo prospera quella salina ereditata alla morte del padre, languente ed abusivamente saccheggiata, ripristinando il rigore legale degli affitti e degli interessi alla baronia spettanti, ed incrementando, con mirabile preveggenza, le esportazioni estere, soprattutto verso il Giappone, dove aveva aperto una sede, commerciale e di rappresentanza, che personalmente dirigeva.
Alta, dotata di un'ossatura solida ma armoniosa, un'epidermide compatta nella tonalità rara dell'ambra  brunita, in spettacolare contrasto con la chioma tizianesca e le iridi color dell'acqua.
La testa di Medusa sul corpo di Giunone, come felicemente, e a ragione, ebbe a sintetizzare lo scultore Adamo Tadolini, allievo prediletto di Canova,  per il quale la baronessa aveva posato per diverse sue opere.
Orgogliosa, intraprendente ed indipendente, la baronessa non s'era mai voluta sposare, declinando le innumerevoli offerte di matrimonio, tra le quali anche quella del conte Alessandro Floriano Giuseppe Colonna-Walewsky, figlio naturale di Napoleone Bonaparte.
Figlia unica, alla morte del padre definitivamente affrancata da ogni vincolo parentale, la splendida Cherubina aveva scelto liberamente di spendere la sua vita in quel che più le si confaceva: gli affari ed il piacere.
Una donna spettacolare che, inevitabilmente, s'era attirata la malevolenza e le invidie degli intolleranti che non le perdonavano la sfrontatezza di questa sua scelta spregiudicata, oltretutto premiata da una ricchezza favolosa, frutto dell'acume e non del talamo, e di cui la baronessa ne andava giustamente fiera.
E, nella veste di capitano d'industria, s'era perfino concessa il diritto di fumare pubblicamente i suoi sigari.
Privilegio che le veniva accordato anche nei salotti più formali, in virtù di quel potere accreditato dall'importanza delle sue solide relazioni commerciali, politiche e di letto, cosicché la sua biografia s'andava con gli anni arricchendo di capitoli nuovi, sempre più fantasiosi e piccanti, secondo che a scriver la storia fosse la penna d'un ammiratore o d'un detrattore.
Così, in base agli umori e alla fantasia di quella colta e blasonata platea di
scrittori/lettori/critici/censori, (all'interno della quale si poteva benissimo essere, al contempo, l'uno o l'altro o tutt'uno) la leggenda della baronessa s'era nel tempo ammantata, e poi sempre più consolidata, nell'aura dell'ambiguità, malignamente presupponendo dietro i suoi strabilianti successi commerciali, la benevolenza di un deus ex machina (un potentissimo amante) e, per i suoi sollazzi più privati, la compartecipazione di una qualche oscura fantesca.
Cherubina, al corrente di queste immaginifiche leggende, mai s'era presa il disturbo di smentirle e schiettamente ne rideva, riducendo a commedia quello che le male lingue avrebbero desiderato veder tramutare in dramma.
Solo una volta s'adirò, giungendo beffardamente a sfidare a duello, dopo averlo pubblicamente schiaffeggiato col suo lungo guanto di raso viola, l'artefice di un articolo infamante, schernendolo con "esigo le vostre scuse pubbliche o altrimenti mi vedrò costretta a sfidarvi a duello all'ultimo sangue, e dovrete battervi con me, una donna, e state pur certo, che non sarò io a soccombere se davvero sono quella che descrivete nel vostro abominevole pamphlet: una diavolessa dispotica, tentatrice e turlupinatrice. Vi avverto che userò la spada allo stesso modo in cui voi usate la penna: senza regole. Non vi sfido per salvaguardare il mio onore di donna, che è una mia privatissima questione, e se ho scelto di non doverne dar conto ad un marito non vedo perché dovrei discuterne con voi, che per me siete meno di uno zero, ma  trovo odioso il dubbio insinuato sull'onestà dei miei commerci, e quella si è una mia reputazione pubblica da voi impudentemente infangata, che solo la ritrattazione del vostro articolo, e le pubbliche scuse, potranno lavarne l'onta e limitare i danni. Esigo quindi le vostre scuse ufficiali, e che siano convincenti o pretenderò la soddisfazione delle lame, E se ipotizzate che io abbia paura, o questa sia solo una farsa, ricredetevi, perché io non sono di quelle che si spaventano alla vista di un  topo e ancor meno di uno scarafaggio!"
Questa sfida, che destò grande scalpore, enormemente accrebbe la leggenda della baronessa e commosse, risvegliando l'impeto cavalleresco che ancora albergava negli animi più nobili, così Cherubina trovò schierato ai suoi piedi un drappello di ammiratori  pronti a battersi per il suo onore.
Tra questi c'era anche il barone Giacomo Niccolò Denti Drago.

UN GIORNO SENZA SEGRETI

Il piacere, che sappia di nettare o di veleno, per essere fino in fondo gustato, non va diluito né mai con altro mescolato.
(Giacomo Niccolò Denti Drago - Pensieri)

Non t'accorgi Diavolo, che tu sei bella come un Angelo?
Con questa frase, plagiata al Leopardi, il giovane barone Giacomo aveva approcciato la baronessa Cherubina, di diciotto anni più vecchia di lui, ma ancora raggiante nella gloria piena dello splendore fisico della maturità.
Il barone s'era innamorato, seduta stante, della donna e della sua leggenda.
Ma non era stato così per lei che in quel giovane scapigliato, e di aspetto piacevole, non aveva ravvisato nessuna particolare prerogativa che lo distinguesse da tutti gli altri suoi ammiratori.
Amaro destino quello di questa donna capace di sconvolgere il cuore e la mente degli uomini, infettandoli col morbo insidioso della passione irreversibile, ma risultandone lei, invece, assolutamente immune.
Così aveva trascorso tutta la vita nell'attesa di un uomo in grado di contagiarla, ingannando il tempo con amanti temporanei, nessuno dei quali destinato ad esser l'eletto.
Nobili, artisti, commercianti, togati, perfino un alto prelato che per lei volentieri sarebbe precipitato nelle fiamme dell'inferno, s'erano succeduti nel suo letto, sostandovi solo il tempo bastante alla baronessa di capire che lo sbadiglio del risveglio s'era tramutato in quello della noia.
Senza tentennamenti, allora, rompeva la relazione.
 Con Giacomo, invece, non si compì mai la rottura, perché la baronessa, imbarcata sulla nave "Esperia" per uno dei suoi consueti viaggi commerciali in Giappone, perì insieme ad altre centinaia di passeggeri in un apocalittico naufragio nei pressi dell'Isola di Honshū.

Se per la baronessa era stato solo uno fra i suoi tanti amanti, per lui, invece, lei sarebbe rimasta l'unica che avrebbe invocato col suo nome di battesimo, quando tutte le altre, invece, s'erano dovute piegare alla ragione poetica del nome condiviso.


E così ecco tutte le Silvie adunate sotto il portico baronale, nel giorno della celebrazione funebre, con gli occhi lucidi e i fazzolettini per asciugar le lacrime, che si studiano con curiosità e malizia, ma senza nessuna ostilità.
La più anziana delle presenti è una Silvia che ha già da un po' oltrepassato i sessant'anni, la più giovane è una francesina venticinquenne che il barone aveva ribattezzato Petite Sylvie, e di cui la madre, decenni prima, s'era rivelata una delle Silvie più appassionate ed intraprendenti, così che anche la sua figlia più giovane è stata sedotta da quell'uomo da romanzo che l'ha conquistata con le premure di un nonno e il fascino dell'affabulatore.
Petite Sylvie piange lacrime doppie, anche per sua madre impossibilitata ad affrontare il viaggio in Italia.
Prima di quel giorno le Silvie non si sono mai incontrate, paghe di far parte della leggenda hanno saputo evitare, con provvidenziale buon senso, di usare le armi femminili dell'intrigo per violare l'identità delle altre.
Protagoniste consapevoli di storie parallele, che il segreto del barone era da anni stato svelato, anche se loro hanno finto d'ignorarlo e pazienti hanno atteso che le scegliesse per battezzarle col nome di Silvia, ed entrare nella leggenda prima ancora che nel suo letto.
Hanno dormito avvinghiate allo stesso uomo e nelle stesse lenzuola, e questo le rende complici, depositarie di un segreto comune che ora possono finalmente condividere.
Si scrutano, si sorridono, si riconoscono sorelle, e le voci, all'inizio timide, s'alzano di tono, si accavallano e si rincorrono, in un chiacchiericcio, animato ed amichevole, che si espande e tintinna come il ghiaccio nei bicchieri.
Ghiaccio che s'è rotto in una risata scaturita da una confidenza sussurrata dietro un ventaglio, ma che immanente si propaga e coinvolge tutte, perché tutte fanno parte, quel giorno, della stessa storia.
Come i fiori di un variegato bouquet, così dissimili nei colori e nei profumi, ma tutti germogliati dalle amorevoli e pazienti mai dello stesso giardiniere che, intimamente apprezzando ogni singolo fiore nell'unicità irripetibile della propria bellezza, ha saputo rifuggire dalla tentazione sperimentale dell'ibrido.

Perché il piacere, come soleva ripetere il barone, che sappia di nettare o di veleno, per essere fino in fondo gustato, non va diluito né mai con altro mescolato.

mercoledì 13 febbraio 2013

Ditelo con un bacio!



Il sesso senza amore è un'esperienza vuota, ma tra le esperienze vuote è una delle migliori. 
(Woody Allen)

 BUON SAN VALENTINO!

lunedì 11 febbraio 2013

La Confraternita delle Silvie (cap 1)


UNA SCELTA FILOSOFICA
 Finita la cerimonia funebre, tutte  le Silvie s'erano adunate sotto l'ombra misericordiosa del portico a sorseggiar limonata ed acqua all'anice per smorzare la sete e rinfrescare il ricordo dell'uomo appena sepolto, prima che il sole impietoso di quel torrido pomeriggio di Luglio potesse da subito, ed irrimediabilmente, sbiadirne i contorni.

Le donne adunate all'ombra del patio in realtà non si chiamavano tutte Silvia, fra loro c'era perfino una Efigenia ed una Stuarda, anche se di  battezzate con quel nome se ne sarebbero potute contare, in altri tempi all'interno di quella cerchia, almeno una decina, ma all'epoca in cui si svolge la storia ne erano rimaste soltanto quattro. Erano le altre, quelle che non si chiamavano Silvia, ad esser state ribattezzate dal barone Giacomo Niccolò Denti Drago, l'uomo che ora stavano commemorando, e con ognuna delle quali aveva avuto nel corso della sua lunga,  ed intensa vita, una storia d'amore.

C'è da raccontare che il barone Giacomo Niccolò Denti Drago era stato fin dalla culla indirizzato dalla madre, la baronessa Eugenia, al culto della poesia romantica, poiché ella era infervorata dei versi di Byron, Shelley, Chateaubriand ma, su tutti, dell'italiano Giacomo Leopardi, e tanta era la sua predisposizione, il suo fanatismo intellettuale verso il poeta/filosofo che, contravvenendo all'usanza universale dell'aristocrazia che imponeva al primogenito la continuità del nome paterno, ottenne il consenso di poterlo battezzare col primo nome di Giacomo.

La baronessa venne assecondata in questa sua esaltazione intellettuale, e secondo verificate testimonianze dell'epoca, alla deriva del fanatismo mistico, tant'è che aveva definitivamente adottato per sé stessa  il nome di Silvia, e con quello era appellata.
Tutto questo le era valsa la fama d'eccentrica (che se si fosse trattato di una qualunque e non blasonata, sarebbe stata, con termine più schietto, definita matta), a discapito della sua vasta, raffinata cultura illuminista, da lei acquisita sulle orme del Leopardi.

Ma il giovane Giacomo era destinato a tradire le aspettative di sua madre che avrebbe invano agognato, per tutta la vita, di vedere il nome di suo figlio ascritto tra i grandi, nel firmamento stellato della poesia, ma che s'era rivelato invece possedere un carattere godereccio, brillante e malizioso, niente affatto tormentato.
La natura assolutamente pagana del barone Giacomo Niccolò Denti Drago mal si sposava con l'immagine confacente ad un poeta, in aperta, per di più in aperta e dichiarata contrapposizione con il pensiero del Leopardi secondo cui "il piacere non è assoluto né infinito, ma che anzi non esiste se non come mero concetto"
Così come la baronessa avrebbe trascorso gran parte della sua vita ad impegnarsi a dare lustro alle tematiche leopardiane, allo stesso modo, e con lo stessa energia, suo figlio Giacomo avrebbe operato nel senso opposto, adoperandosi a smentirle, dimostrando che il piacere, definito dal poeta "una pausa dall'affanno, breve momento di assenza del dolore, atto a ripristinare una momentanea vitalità", poteva invece, e con soddisfazione, essere assurto a modus vivendi.

 Il più solido piacere di questa vita, è il piacere vano delle illusioni.
(Giacomo Leopardi)

UN SOLO NOME
Smentire il pensiero filosofico del Leopardi, accumulare prove incontrovertibili per avvalorare, invece, le sue tesi esistenziali che procedevano in senso opposto, fu questa la missione a cui si dedicò con encomiabile  perseveranza il barone Giacomo Niccolò Denti Drago, con brillantissimi risultati e con la soddisfazione reale di  potersi definire "un uomo che non ha affatto sprecato la sua vita".

Il sorriso sul volto disteso, l'espressione ancora bella e così lontana dalla vecchiaia nonostante gli anni, e tanti, che lui vezzosamente si diminuiva in quel gioco societario dove rivestiva da decenni, e sempre con gran successo, il ruolo dell'abile cacciatore di farfalle, che tra i damaschi e i cristalli dei salotti più alla moda, s'avventurava a catturare le più splendenti dame dell'aristocrazia, quelle che con il nome del casato avrebbero riempito con la prosopopea della firma, interi righi e abbisognato persino di qualche a capo, se egli non avesse chiesto loro, come atto d'amore, di riassumere l'intera genealogia nel nome unico di Silvia.

Questa strategia, per nulla innocente, aveva lo scopo primario di evitare al barone d'appellare sbadatamente col nome di un'altra l'amante di turno, poiché non di rado accadeva che egli dovesse gestire più storie in contemporanea.

Ovviamente, all'inizio, nessuna delle Silvie sapeva dell'esistenza delle altre, ma poi, quando il segreto fu noto, si permise al barone di continuare in questo suo gioco alimentato dalla spavalda competizione tutta femminile, di entrare a far parte della Confraternita delle Silvie, perché tutte le signore coinvolte nella liaison col barone vivevano, con spregiudicatezza ed allegria, quella storia da romanzo, ognuna proponendosi di sbaragliare l'esercito delle rivali e piantare, in quel cuore peregrino, la bandiera della conquista definitiva.

Impresa che solo per un soffio non riuscì all'unica che mai s'era convertita al nome di Silva: l'ambigua, e non più giovanissima, nobildonna Cherubina Spadaro baronessa della Salina di Fragiovanni di Mazzara del Vallo.

 E questa è una storia nella storia.

domenica 3 febbraio 2013

Escura

E' il caos dell'artista a modificare positivamente il mondo.
A Lucy,
 con affetto e gratitudine

ESCURA
In origine doveva essere una O, tonda, pienotta, soddisfatta di se stessa.
Una O assolutamente appagata.
Un cerchio perfetto, circoscritto e definito che, dal tuo computer, Lucy, sarebbe dovuto rotolare fino al mio, trascinandosi dietro tutto il resto della parola che così avrebbe dovuto essere compitata: O scura.
Ma le tue dita nella fretta di rincorrere quella O che rotolava così di fretta, dimenticandosi il resto delle lettere,(quella tua O, Lucy, una deliziosa testolina ordinata, ben pettinata e con un cappellino a modo, legato sotto il mento...e non importa se il resto di se stessa non ce la fa a seguirla perché lei, come capita alle avanguardie, è già un pezzo avanti, quasi arrivata al mio computer, trafelata ma in ordine).
Ma sul confine ecco che tu la riacchiappi con l'intento di assemblarla al resto della parola per darle un senso compiuto.
Cosa se ne fa Amaranta di una testolina di bambola a cui manca il corpo? avrai pensato avvedendoti dell'errore.
L'hai riacciuffata e nel timore che quella ti sfuggisse di nuovo ,(che è noto il rotolamento acrobatico della vocale O) hai accentuato la presa e forse stretto troppo, ma data l'ora già buia ed il nero delle pagine e l'urgenza del recapito, non ti sei accorta che, nel frattempo, la tua stretta aveva plasmato quella faccina paffuta nella elegante E di un profilo ESPAÑOL.
Così, quella sera, invece di Oscura le tue dita hanno digitato Escura che, di sicuro, quella simmetria della lettera E, spigolosa e puntuta, è molto più confacente al mio carattere di una rassicurante e paffuta O.
Così, da un errore di digitazione è nata Escura, come accade alle nascite vere che a volte sono casuali...eppure quanto amore riserviamo per questi nostri figli nati da un incidente amoroso.

Pictures by Glenn Barr

venerdì 1 febbraio 2013

L'ultimo punto archivia la storia

L'ultimo punto archivia la storia.
 Ma dopo l' ubriacatura data dalle parole arriva il mal di testa, sottile e puntuto, una nevralgia dell'intelletto che permarrà forse ancora un giorno, sostenuta ed amplificata da un insoddisfazione latente ed un senso pervasivo di malessere, esattamente come accade per una sbornia etilica quando al risveglio l'esaltazione si tramuta in tensione.
L'ultimo punto archivia la storia.
Ma non è così se sento il bisogno di parlarne ancora adesso che l'ho definita conclusa.
Corretti gli errori ortografici e di distrazione, rimangono le incongruenze ad attestare l' ingenuità tardiva della scrittrice e l'innocenza del racconto, un bric à brac fantasioso e con la pretesa dell'ironia.
Pretesa, appunto.
...e la consapevolezza di essermi, ad un certo punto, smarrita per strada.

Andres cavallerescamente si è precipitato in mio aiuto, perchè così è nella sua indole e ha sposato, senza discuterle, le mie tesi bislacche come fossero possibili, aderito alla trama senza troppe obiezioni, accettato la collocazione temporale in un medioevo ad personam e perfino concesso ai comprimari una permanenza sulla scena molto  più lunga di quella concordata.
Fin qui nulla di strano, che gli accomodamenti e i cambiamenti sono contemplati nella stesura di una fiaba.
E questi, in particolare, strettamente mi riguardano perchè i miei racconti li scrivo quasi sempre senza un canovaccio, improvvisando in tempo reale, cosicchè posso affermare che io stessa la storia la scopro nel momento in cui la sto scrivendo.
Quindi è quasi naturale, in un procedimento così anarchico e destrutturato, che le incongruenze prolifichino e si espandano a dismisura, confondendosi in un groviglio inestricabile di giungla.
Una foresta semovente di liane e di felci e di radici poderose, dove è facile inciampare.
...dove io sono inciampata.

Un confronto diretto coi personaggi de "La storia di Andres Rubio": incongruenze, obiezioni e lamentele e qualche modesta soddisfazione.

M'aspettavo che il primo a prender la parola, e protestare, fosse Andres, a cui questa storia fa riferimento, ma no, più arrabbiata di tutti s'è mostrata, invece, Catilina, che dal suo catafalco odoroso di santità appena acquisita, e dove io da subito l'ho collocata inerme, nel ruolo passivo di una reliquia, s'è levata scagliandomi contro tutta la sua rabbia per l'affronto di quella "santificazione pagana e da burla", e che l'immobilità a cui, per questo l'ho costretta nell'intero corso della storia, non valeva tutto il tempo da lei speso a studiare le biografie dei martiri per dare al suo ruolo una interpretazion più realistica.
Catilina Naveros: è stato come interpretare un'ostrica, isolata e desolatamente muta all'interno della  conchiglia. E nemmeno la misericordia dell'ultima frase, quella a cui ogni moribondo ha pur diritto! E alla fine, con quella storia assurda del miracolo ipnotico, hai fatto in modo che io fossi l'unica santa preferibilmente a non dover essere riesumata perchè alla luce del sole si sarebbe palesato l'imbroglio di quel prodigio fittizio. In questa storia, Mari, ci ho messo, se non la voce, la faccia, ed indietro non posso tornare, ma non contare su di me semmai avessi in mente lo sproposito di un prequel o di un sequel.

E subito dopo è stata la volta di Maria Engracia, gemella dizigote di Catilina, (nei miei racconti c'è sempre un tocco di verismo), anche lei infuriata contro di me, inviperita oltre ogni dire, tant'è che Andres, miracolosamente ispirato da San Nicholas Owen, meglio noto come Little Jhon, il santo patrono degli illusionisti, l'aveva provvidenzialmente disarmata del pugnalino che ancora dopo l'ultimo capitolo portava legato al collo.
Maria Engracia Naveros: ma come ho fatto a darti credito, ad immaginare che si potesse cavare qualcosa di buono da questa trama assurda? Le tue chiacchiere, Mari, mi sono fatta convincere dal tuo convincimento...ma come si fa ad immaginare un delirio simile a questo tuo ultimo e lasciarne anche testimonianza scritta? Analizziamo, ad esempio, anche solo grossolanamente l'incipit dell'ultimo capitolo, quello di cui vai tanto fiera:

" Maria Engracia Naveros: questo miracolo, Andres, a cui tutti hanno creduto, è opera vostra, ma sarà opportuno non farne parola.
Andres Rubio: non importa il nome dell'artefice, ciò che conta è che si sia realizzato"

Bella pensata questo miracolo da mago balsfemo e consumato in un covo ritenuto di streghe! Ti rendi conto che avresti fornito all'inquisitore materia e ragioni con cui avvalorare la veridicità della sua tesi, con centinaia di testimoni pronti a giurare che il corpo della martire non solo non recava ferite da tortura (per l'inquisitore, quindi, assoluzione garantita, che mancando il corpo del reato il fatto non sussiste) ma addirittura s'è organizzato un eccentrico festino con protagonisti un nano, in evidente stato di alterazione nervosa e in scandalosa combutta con un fagiano che scimmiotta un angelo. Di sicuro sarà meglio, per tutti noi, non farne parola, nè ora nè mai!

Andres: mi spiace, Mari, non poter prendere le tue difese ma hanno ragione le due medichesse, è questa una incongruenza enorme, un mostruoso blooper.
Scrittrice: mi duole confessarlo, Andres, ma questa insensatezza io l'avevo rilevata ma non ho avuto cuore di correggerla perchè quel brevissimo dialogo io l'adoro, eppoi...eppoi, se non si fosse fatto tutto questo baccano sono sicura che nessuno si sarebbe accorto di nulla.
Andres: te ne eri accorta! Avresti almeno dovuto dircelo! Bel modo di trattarci, Mari! Dimentichi che siamo noi i protagonisti di questa storia ed è sempre su di noi che ricadono, in bene o in male, tutte le conseguenze. A questo, però, tu non hai pensato!
Scrittrice: hai ragione, Andres, non ci ho pensato, e dire ora che immensamente mi spiace non cambia di certo la storia.
Andres: ma tu vorresti davvero cambiarla? Insieme potremmo farlo, io sono un ipnotista e tu il deux machina, sarebbe un gioco da bambini, solo devi esserne assolutamente convinta.
Scrittrice: è proprio questo il punto, Andres, quello che archivia questa storia che è destinata a rimanere così come l'ho scritta, perché solo così esattamente mi somiglia.