Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.

mercoledì 31 ottobre 2012

La fredda pioggia di Novembre (La festa. L'addio)

 La festa
E sulla festa irrompe questo cielo tempestoso di pioggia
ma è Novembre, amore mio
e non importa se la sua acqua bagnerà la tua veste d'angelo
perché dietro il velo intravedo l'arcobaleno nei tuoi occhi
E gli amici indossano gli abiti giusti
e ci sorridono
sanno che il nostro amore sarà per sempre
E tutto è così perfetto
Come questa fredda pioggia di Novembre.


 L'addio
E sulla tristezza irrompe questo cielo tempestoso di pioggia
ma è Novembre, amore mio
abbiamo vissuto il nostro tempo
e non è stato facile
 imparare ad accettarne la fine
Si rimane soli quando il cuore cambia
e sulla festa cala il silenzio
Perché niente dura per sempre
Nemmeno questa fredda pioggia di Novembre.

lunedì 29 ottobre 2012

Amiche/Nemiche

Nell'antro va di scena un menage a trois: è storia ufficiale questa liaison sbocciata tra me, Amaranta e Cristiano Diogo De Santos, El Portugués.
Dal momento che nessuna di noi due ha voluto rinunciare allo splendido uomo, ce lo dividiamo.
Da parte sua, Cristiano Diogo, non sembra alcunchè imbarazzato.
Vi amo entrambe sia pure in maniera diversa e sono contento di non dover scegliere (che non avrei saputo) nè di rinunciare a una di voi, volentieri, quindi, mi rassegnerò alla benigna persecuzione del numero due che si è rivelato essere il numero del mio destino.
Non ha però voluto spiegare cosa intendesse con quella frase "vi amo entrambe sia pure in maniera diversa", anche se una logica scontata ci fa supporre un riferimento alle nostre diversità fisiche e caratteriali.
Ovviamente, nè io e nè lei, intendiamo approfondire, dal momento che non riusciremmo di buon animo a sopportare se quella diversità si rivelasse più struggente nei confronti dell'altra.
Stà di fatto che il viaggio che Amaranta aveva già da tempo programmato è stato rimandato a data da destinarsi, con buona pace di Iggy che già si vedeva trascinato via dalla sicurezza ermetica del suo buio rifugio per venir forzatamente scaraventato, dalla sua adorata, in quel mondo esterno che egli con tutte le sue forze appassionatamente odia.
Così il piccolo killer psicotico potrà unicamente, e con più agio, concentrarsi a render ancora più folle, distorta e plateale, la collera impotente della sua gelosia.
Iggy, che nei filamenti denaturati dei polimeri del suo dna nasconde il segreto dei Natural Born Killers, è paradossalmente condannato ad una miserevole esistenza di  recluso, prigioniero delle ossessioni intrusive del d.o.c. (disturbo ossessivo compulsivo) e del suo delirante amore borderline per Amaranta.
Queste due robuste e provvidenziali catene, alle quali egli è provvidenzialmente aggiogato, sono servite a mettere in sicurezza il mondo di superficie ma non questo ecosistema sotterraneo.

Amaranta, in virtù di tutto questo e per amore del suo protetto, dovrebbe preoccuparsi di contenere, anzichè esasperare, lo squilibrio psicotico della tormentata personalità di Iggy, evitando ogni possibile, pericolosa, istigazione alla follia.
Ma ecco, invece, la mia alter ego vestire i panni della giocatrice d'azzardo arrivando perfno a mettere in scena l'estrema provocazione del baro che con consapevole, criminale sfrontatezza, di proposito lascia supporre all'avversario l'alterazione del gioco quando, con straordinaria arroganza, fidando unicamente  sull'abilità fantastica delle sue dita di prestigiatrice, ostenta sotto il suo naso, nel brevissimo attimo di un batter di ciglia, un asso clandestino, fugacemente emerso dal nulla e repentinamente dal nulla inghiottito.
Cinicamente cosciente che quel dubbio fomentato ad arte non potrà mai aspirare a dignità di testimonianza oculare se, all'interno del mazzo di carte, non rimane traccia alcuna dell'asso infiltrato.
Tanto più entusiasmante sarà la vittoria per il baro quanto più amara, invece, la sconfitta per l'avversario.

Quell'asso di troppo di cui io ho la certezza assoluta, che Iggy provvidenzialmente ignora, che El Portugués sventatamente auspica, che Amaranta...Amaranta indossa un seducente abito che le lascia nude le  braccia: niente maniche ove celare gli assi.
Mi sorride e mi bacia sulla bocca, ostentando sfrontatamente sotto il mio naso, nel brevissimo attimo di un batter di ciglia, la minuta, ma vivida fiammella di follia che la pervade, e la sua determinazione nel mantenerla viva.


Images by Natalie Shau

venerdì 26 ottobre 2012

Dalle paludi dello Stige alle sponde del Mississippi

 Non c’è in natura una passione più diabolicamente impaziente di quella di colui che, tremando sull’orlo di un precipizio, medita di gettarvisi.
 (Edgar Allan Poe)

 a Poe
 mio mentore e mio salvatore


Dalle paludi dello Stige alle sponde del Mississippi,  un viaggio senza mappe, iniziato con delirante incoscienza, assecondando le necessità di una emotività esaltata che abbisognava di uno sfogo per non implodere, e proseguito poi con giocosa consapevolezza, via via che acquisivo maggior dimestichezza  nel mio guscio galleggiante, imparando a padroneggiare gli elementi, temporali e marini, all'inizio adottando ingenue, ma poi sempre più elaborate astuzie, giungendo perfino a farmi gioco della mia tremebonda ombra in balia delle burrasche, esortandola ed irridendola, quasi non fossi io a dondolare follemente sulla schiuma nera di quelle onde trasbordanti ira violenta.

Se guarderai a lungo nell'abisso anche l'abisso vorrà guardare in te.
Questa l'esortazione che Allan Poe, psicopompo incaricato di traghettarmi oltre la palude Stigia, mi andava instancabile ripetendo, quando, lungo la costa atlantica norvegese avemmo la sventura d'imbatterci nei gorghi apocalittici del maelstrom.
E, seguendo il consiglio del mio mentore, guardai dentro l'abisso, penetrandolo e facendomi penetrare.
 Ho guardato così a lungo nei vortici del suo buio tempestoso cuore, fino a condividere tutti i suoi mortali segreti, e non averne più paura.
E' così che sopravvissi al Maelstrom, non come sua schiava ma come partner, consenziente ed appassionata.
Sua pari.

Questo mi ha permesso di proseguire il mio viaggio, nonostante la stanchezza e la solitudine e la tentazione di approdare da qualche parte, gettarvi le ancore, scavarmi un rifugio ed attendere
Come tante donne ho consumato gran parte della mia vita nell'attesa di un uomo, di un evento, di una possibilità o di un colpo di fortuna.
Perchè attendere ancora?
Sarei stata Ulisse e non Penelope.

 Sono approdata sulle sponde del Mississippi, in piena epopea western tra pendagli da forca, prodi sceriffi e maitress mercenarie, sullo sfondo di un paesaggio ancora rurale dove però i saloon, i bordelli e le banche, già  ne preannunciavano la gloria di grande metropoli.
 Ma presto sarò ancora in viaggio, nonostante la mia lunga sosta in Blogosphere, in questa landa desertica ubicata in un punto cardinale ignoto ai moderni planisferi, disconosciuto tra quegli ortagonali e quegli intermedi già da secoli noti ai geografi.

 Da qui a qualche tempo, avvolta nei miei crespi neri, trascinandomi dietro il voluminoso baule, pesante del carico di tutti i miei racconti, riprenderò di nuovo il mare.

Atlantide, sarà la mia prossima meta.


mercoledì 24 ottobre 2012

L'ultima tournée

L'ho visto venir giù dal sesto piano, col suo strumento stretto al petto.
Armonioso, nonostante la stazza.
Sembrava si godesse il paesaggio mentre precipitava, no... non è esatto dire che stesse precipitando perché veniva giù tranquillo, un po' in frenata, cercando di acquistare tempo sulla discesa per poter con più agio guardarsi attorno: contemplare e nel contempo schivare l'inciampo delle corde da bucato, per non rimanerne impigliato.
Per non esser trattenuto.
A livello della mia finestra i nostri sguardi si sono incrociati.
Ha strizzato un'occhio e mi ha sorriso.
Qualcuno da basso ha cominciato a gridare.
Una stonatura, quell'acuto.
Non s'era accorto della presenza di un pubblico.
E non lo voleva.
L'isteria dei fans, non era mai riuscito a comprenderla.















domenica 21 ottobre 2012

Ecosistema

 La madre di tutte le domande me l'ha posta la mia biografa, l'Imperatrice Camilla:
Perchè nel tuo antro le donne sono tutte bellissime e gli uomini, invece, somigliano a mostriciattoli?

 BLOG, Iggy, Kilroy e il sempre più sparuto drappello dei Freaks, non sono uomini ma entità di genere maschile. L'unico maschio meritevole di un posto nel mio antro è il fascinoso matematico dagli occhi verdi, Cristiano Diogo De Santos, El Portugués.
Ed è questo uno dei pochi punti su cui io ed Amaranta concordiamo appieno, perchè entrambe siamo  follemente, e perdutamente, innamorate di lui.

Amaranta
Mi è capitato di parlare in passato, quando la mia vita si svolgeva essenzialmente nell'antro, delle diversità e delle divergenze, etiche e strutturali, esistenti tra me ed Amaranta, la mia bellissima alter ego.
Premettendo che l'altra me stessa gode di una vita assolutamente slegata dalla mia e, a dirla tutta, è questo  un vantaggio che mi fornisce di validi spunti per il mio blog, che altrimenti dovrei limitarmi a raccontare di giornate monotone e nottate solitarie, di contro la sua esuberanza mi vivifica e, seppur talvolta mi fa  enormemente incazzare, devo ammettere che senza di lei sarei una scrittrice penosamente a corto di argomenti.
Amaranta è una seduttrice esperta e consapevole e forse, a causa di questo, non si è mai davvero innamorata: un gioco troppo facile non alimenta le emozioni.

 Un gioco  troppo facile non alimenta le emozioni
Le emozioni, quelle non soggette all'usura subitanea e alla noia preconcetta, sono queste le mete esplorative di Amaranta. E convengo con lei che sono le uniche per cui valga davvero la pena d'intraprendere il viaggio.


Perchè nel tuo antro le donne sono tutte bellissime e gli uomini, invece, somigliano a mostriciattoli?

Perchè le lettere d'amore più belle me le ha scritte una donna.
Perchè le donne da sempre possiedono i segreti delle parole e del loro significato, ed è per questo che sono creature così complesse.
Sono più avanti degli uomini. Lo sono sempre state, e la storia ampiamente lo testimonierebbe se non fosse che a narrarla sono quasi sempre gli uomini, con il loro linguaggio approssimativo.

 Perchè ad un uomo ho scritto le mie lettere d'amore più belle, inventando per lui parole attraverso le quali potessi, nel turbinio delle emozioni, sfrontatamente e liberamente, raccontarmi.
Perchè l'ho amato davvero quell'uomo, con struggimento e passione, senza mai lesinare sulle lacrime e sul riso.
Perchè è così che si deve amare: senza riserve e senza avarizia.
Perchè un gioco troppo facile non alimenta le emozioni.

Perchè come donna credo enormemente nel valore dei sentimenti e nell'arte di coltivarli, e dell'importanza di riservare loro sempre un posto nella memoria, anche quando la storia è finita.
Perchè noi donne abbiamo la propensione a trasformare i paragrafi quotidiani della vita in capitoli determinanti, non importa se per ricordare o per non dimenticare.
Ed è questa la ragione per cui saremo sempre noi a scrivere le lettere d'amore più belle.

mercoledì 17 ottobre 2012

Dietro le quinte di un racconto

L'ispirazione
Mi chiamo Baltimora.
L'ispirazione è sopraggiunta inaspettata mentre ero in cucina intenta a prepararmi una omelette.

Lei - Mi chiamo Baltimora e sono qui per raccontarti la mia storia.
Io - Baltimora...è un nome molto particolare.
Lei - Ne convengo con te.
Io - Lo vuoi un caffè? Oddio, è tardissimo, mi spiace, devo scappare
Lei - Vai pure, ti aspetterò, non ho altre visite in programma. Guarderò la tv e poi farò un sonnellino.
Io - Nel freezer c'è la vaschetta del gelato, puoi servirtene.
Lei - Spero che non sia alla vaniglia. Detesto la vaniglia.
Io - No, è alla fragola.
Lei - Ottimo.
Io - Ok, allora a dopo. E non sparire.

E' tipico delle ispirazioni giungere quando meno te lo aspetti.
E nel mio caso specifico quasi sempre quando devo andare a lavorare.

Una storia parallela
Ricerche su Baltimora, la più grande città del Maryland (il Maryland non è anche lo stato dell'amore? non ne sono sicura però mi piacerebbe lo fosse, lo introdurrei nella storia, me lo appunto e magari approfondisco)
Escludo da subito un'ambientazione country (Baltimora sarebbe stato un nome azzeccato anche per un cow boy ma devo tener conto che la Baltimora che sta guardando la mia tv, e sonnecchiando sul mio divano, è indiscutibilmente di genere femminile) Continuando nella mia ricerca scopro che Baltimora è anche il porto più importante degli Stati Uniti.
Ecco, potrei far nascere la mia eroina su una nave che si chiama  Baltimora, dove sua madre la partorisce dopo un estenuante travaglio di 36 ore  (una bella prova di resistenza fisica) col mare grosso e la nave in balia dei marosi: le onde violente della tempesta e quelle violente delle doglie.
Poi la neo madre si eclissa al primo scalo, abbandonando la neonata che si è rifiutata fin dall'inizio di accudire e darle un nome.
A questo rimedia il capitano battezzandola col nome della sua nave.

Nell'universo della casistica
Che finale di storia ci sarebbe stato per Baltimora se avessi optato per questa trama?
Non necessariamente catastrofico, si può partir male ed arrivare bene, nella vita come nei racconti.
Avrebbe potuto anche lei essere figlia di Rodolfo Valentino?
 Decisamente si, ma forse non con lo stesso numero di possibilità.

Nel racconto che invece ho sviluppato, Baltimora viene partorita, prematura e senza troppa sofferenza, sul palcoscenico di un teatro dell'omonima città, dove sua mamma, la bellissima Eloisa, sta recitando.
Una nascita da protagonista.

Il numero delle possibilità di una liaison tra Eloisa e Rudy viene aumentato dal fatto che entrambi sono artisti e, un ambiente circoscritto paradossalmente offre, talvolta, maggiori occasioni di uno spazio allargato.
E questo lo rende oltreché più probabile anche più credibile.
Lei è bellissima e persuasiva, lui è un attore di successo, ed il primo sex simbol nella storia della cinematografia e... scientemente, però, non specifico il periodo né le modalità che li hanno fatti incontrare, assicurando così uno spazio più vasto, perché meno bisognoso di dettagli verificabili, all'espansione della trama.
Più margini per me mi hanno concesso la possibilità di non dover essere troppo precisa, nei tempi come nelle date o nei riscontri degli eventi storici.
E questo mi ha permesso il lusso di qualche piccola incongruenza, prestando attenzione, però, a non andare troppo ad intaccare la verità storica o modificare le peculiarità dei protagonisti.
Perchè la parte fantastica, e quella reale, devono armoniosamente amalgamarsi per contribuire alla veridicità della trama.

 Tra fantasia e realtà
Camille Negri, la donna velata di nero del mio racconto, è originata dagli innesti di Camille, film muto di Valentino del 1921, (qui il nome, però, non ha alcuna attinenza col soggetto del film,) e Negri, in riferimento a Pola Negri, l'attrice con la quale Rudy ebbe un'appassionata storia d'amore.
La donna velata di nero è la leggenda nella storia di Valentino che racconta, appunto, di una misteriosa dama, della quale mai si è scoperta l'identità, che ad ogni anniversario della morte dell'attore recava fiori sulla sua tomba. 
Le 75 rose del bouquet, di colore rosso vivo in una tonalità compatta e priva di sfumature, sono una mia invenzione.
Ma quelle rose avrebbero forse potuto essere di altro colore?

lunedì 15 ottobre 2012

Eloisa e Baltimora

Mi racconterai una storia?
Ti racconterò tutte le storie del mondo, quelle già scritte e quelle ancora da scrivere
                                                                                                                                     
A Claudia

 PREMESSA
La vita, infondo, è un racconto e la sua interpretazione.

BALTIMORA
Mi chiamo Baltimora e sono capitata per caso in questa storia ancora da scrivere e, dal momento che l'autrice non riesce a  trovare un  soggetto che la soddisfi, mi offro come spunto.
La stragrande maggioranza dei lettori ingenuamente coltiva la romantica convinzione che le storie nascano direttamente dalla testa dello scrittore, allo stesso modo di come Zeus partorì Athena, ma non c'è nulla di più falso perchè la letteratura, così come la storia, la filosofia e tutte le altre materie umanistiche, molto spesso trova l'estro nella rivisitazione, in chiave personale, di ciò che altri hanno prima di lui scritto.
E sono i soggetti, cioè  i protagonisti delle storie, a presentarsi agli scrittori, esattamente come ho fatto io.
Ma quasi sempre accade che gli autori, con grande faccia tosta, e senza mostrare alcuna gratitudine, spaccino il soggetto come farina del proprio sacco: l'illuminazione, il colpo di genio, l'idea originale.
Una vecchia storia che si ripete fin dai tempi in cui l'uomo incideva graffiti sulla roccia.
Mi chiamo Baltimora, ed è bastato questo perchè l'autrice, priva d'ispirazione, e alla disperata ricerca di un'idea, immediatamente balzasse come un pupazzo a molla dalla sedia sulla quale giaceva inerte.

ELOISA E BALTIMORA
Mi chiamo Baltimora, perchè così ha voluto mia mamma che mi ha partorita in diretta sul palcoscenico di un piccolo teatro d'essai nella città di Baltimora.
Ovviamente quel parto non rientrava nella sceneggiatura se non fosse che il destino aveva deciso d' anticipare di un paio di mesi, ed in maniera così  plateale, il mio debutto sulla scena  della vita.
Grazie a questa mia precoce performance, la compagnia aveva goduto per la prima, ed unica volta, dell'ebbrezza della notorietà, e così furono tutti d'accordo che mi venisse da subito assegnata una parte.
Perchè io ed Eloisa saremmo state, da subito, inseparabili.
Eloisa e Baltimora.
Eloisa è stata prima di tutto mia madre e solo in seconda istanza la prima donna della compagnia.
E dal momento che era lei, straordinariamente bella e straordinariamente persuasiva, a procacciare gli ingaggi, nessuno della compagnia cercò  mai di sovvertire quest'ordine.

IL DIVINO RUDY
Mio padre non l'ho mai conosciuto ma neppure ne ho sentito troppo acutamente la mancanza
Una volta chiesi a mia madre di rivelarmi almeno il nome e lei rispose, Rodolfo Valentino, ma non chiedermi altro, aggiunse, che non saprei cosa dirti dal momento che tutto si è concluso nell'arco di una notte. Tu non gli somigli affatto, Baltimora, ma nessuno credo possa davvero somigliargli. E questo non è un male perchè i paragoni, il più delle volte, sono impietosi oltrechè ingiustamente crudeli. Accanto a lui avresti brillato di luce riflessa e continuamente ti saresti chiesta se ciò che andavi conquistando era davvero frutto del tuo talento o solo merito del suo cognome, probabilmente avresti trascorso metà della tua vita ad interrogarti e l'altra metà a cercare d'eguagliarlo.
Baltimora, tu sei unica come il tuo nome.

LA DONNA VELATA DI NERO
Ad ogni buon conto, all'epoca in cui si svolse questo dialogo, il divino Rudy era già morto da un po di anni ma non la sua leggenda che continuava  a vivere e ad espandersi.
Mi riusciva difficile pensarlo come mio padre, per lui provavo solo una distaccata curiosità scevra dal rancore ma lontana dall'affetto: un immagine dinamica su un telo cinematografico.
A mia madre, invece, fui sempre grata di non avermi imposto nessun'altro surrogato.

Fu poco dopo la sua morte che ricevetti la visita di una giovane italiana, Irene Negri, che mi mostrò una lettera, una scrittura privata dove, al primo sguardo, e senza ombra di dubbio, riconobbi la grafia ordinata e la firma svolazzante di mia madre che s'impegnava a versare, alla signora Camille Negri, una certa somma di denaro come compenso all'impegno di depositare sulla tomba di Rodolfo Valentino, ogni 23 di Agosto, in  ricorrenza dell'anniversario della sua morte, un sontuoso bouquet di 75 rose di colore rosso vivo, in una tonalità compatta e priva di sfumature.
Camille Negri, mi spiegò la giovane donna, era sua mamma, che non avendo quell'anno ricevuto il consueto, puntualissimo mandato per la commissione, aveva comunque provveduto di sua iniziativa ad ottemperare all'incarico, immaginando che questa defezione non fosse stata causata una semplice dimenticanza ma, più verosimilmente, da una sopravvenuta impossibilità della signora Eloisa.
Irene precisò che non era lì per esiger denaro ma, piuttosto, per rassicurarla che anche quel 23 di Agosto tutto era stato puntualmente eseguito  nelle modalità stabilite.
Quali erano queste modalità?
Ad ogni anniversario della morte di Rodolfo Valentino, Camille, velata di nero doveva recarsi a depositare un sontuoso fascio di rose rosse sulla sua tomba.
Era Camille Negri, dunque, la misteriosa donna velata di cui si era tentato invano di svelare l'identità.
E quella leggenda era nata da una notte d'amore.
Ora che mia madre era morta spettava a me continuare a perpetrala.
Ogni 23 di Agosto, sempre, ci sarebbe stata una donna velata di nero a deporre sulla tomba di mio padre, Rodolfo Valentino, un fastoso bouquet di rose di colore rosso vivo, in una tonalità compatta e priva di sfumature.

sabato 13 ottobre 2012

Io sono un istrione


 Io sono un istrione
ma la genialità è nata insieme a me
Nel teatro che vuoi
dove un altro cadrà io mi surclasserò.
Io sono un istrione
ma la teatralità scorre dentro di me
Quattro tavole in croce
e qualche spettatore
chi sono lo vedrai



IO SONO UN ISTRIONE
Raccontare della mia vita in Blogosphere è essenzialmente parlare dell'Antro e delle stravaganti peculiarità, peraltro assolutamente innocue, del suo ecosistema.
Raccontare della mia vita in Blogosphere è anche raccontare la storia della mia emancipazione.
Quando sono giunta in questi luoghi stavo fuggendo da un nemico insidioso qual' è la depressione, cercavo  un rifugio dove rintanarmi per curarmi le ferite e poter coltivare la mia disperazione.
Gli scarni promontori di Blogosphere si sono rivelati la location ideale per la rappresentazione del mio malessere esistenziale perchè, esattamente come allora, permango dell'idea che il dramma, per esser vero agli occhi del mondo, ha bisogno della testimonianza di un pubblico.
Va in scena il dolore: questo era il titolo di quella mia opera prima, dove è già insita  l'esplicita, accorata richiesta di una partecipazione non soltanto emotiva, ma attiva e solidale degli spettatori.
Ma in realtà nulla di tutto questo è avvenuto, e l'empatia si è esaurita nell'attimo stesso in cui si scopriva la storia narrare una trama piuttosto comune, e per di più scevra di morbosità quanto di fasullo sentimentalismo, ingredienti questi che hanno da sempre il potere di calamitare critica e pubblico.

 CRITICA:
"Sul palcoscenico, dunque, si rappresenta una storia come tante e nemmeno troppo ben narrata dal momento che la protagonista spesso si astrae,  risulta fuori sincrono col personaggio, non appare credibile nella sua interpretazione quando troppo scarmigliata invade la scena oppure si defila come ombra sullo sfondo, tant'è che le sue battute, avare di voce, giungono inudibili agli spettatori della prima fila. Così questa pièce, che non avrà mai un remake, è solo una parodia dilettantesca, una mal riuscita imitazione di quel Living Theatre che quando non è un inganno è sempre un azzardo"

Dissolvenza.
Cambio di scena.
Un testo nuovo.

Ma l'attrice sono sempre io.
Nel corso degli anni ho imparato a recitare, ho acquisito padronanza della scena, disinibita e disinvolta, attenta a cogliere gli umori del pubblico ma, a differenza dagli esordi, oggi liberamente decido se infischiarmene o benevolmente assecondarli.
Regina dell'improvvisazione, non ho intere pagine da mandare a memoria, nessun copione a cui mantenermi fedele, se non questo che io stessa scrivo sul momento, in piena libertà ed in tempo reale.
Marilena


giovedì 11 ottobre 2012

Ora che appartengo finalmente a me stessa

Ora che appartengo finalmente a me stessa...

Ho spalancato la finestra per aspirare il profumo dell'autunno che permea l'umidità lattiginosa dell'aria.
L'ho ingoiato affinchè tutto il mio interno, viscere, vene, muscoli e cartilagini, ne fossero pervasi.
L'autunno risplende ora, bruno ed arancio, dai miei occhi, come dall'affaccio di una finestra.
Mi sento bella.
E' l'effetto benefico di questa stagione.

Ho ripreso in mano la mia vita.
Davanti a me si spalanca un'intero universo di coloriodoriemozioni (lo scrivo tutto d'un fiato senza lasciare spazi) che assecondano le mie percezioni.
Un mondo, oggi, così pieno quanto ieri era vuoto.
E sento di amare tutto della mia vita, anche le cose che mi hanno fatto star male.


Ora che appartengo finalmente a me stessa...

L'amore arriverà come un treno in corsa, un cavallo al galoppo, un'aquila a ghermire, un colpo di vento a togliermi il respiro... con i sensi allertati lo fiuterò nell'aria, pronta per essere catturata.
Pronta a catturare.

L'amore è splendente di luci e rutilante come una giostra sulla quale si va a mille, con salite vertiginose e picchi incredibili e, nel mezzo, solo il tempo di riprender fiato.
 Turbine e sereno: pelle su pelle e niente altro.
E mai calma piatta.
Adoro la burrasca che scompiglia le emozioni e la voce, le vesti ed i capelli e, con la stessa intensità amo la bonaccia che precede la resa e trasforma nel complice gioco della lotta quello che un attimo prima era furore.
Marilena

martedì 9 ottobre 2012

Gli ingredienti dell'odio

Belladonna, accecante e letale
Mandragora, il cui pianto percuote la terra
Agnello vegetale di Tartaria, che sanguina quando viene reciso
Caffeina, che traduce l'energia fisica in energia nervosa.

Per quel che riguarda le dosi...

Cara Moira, ho letto più volte la tua mail che, nel rispetto della tua richiesta, non ho pubblicato, soffermandomi in particolare sulle frasi più amare, quelle che raccontano di una collera e di un dolore che nessun ritrovato farmacologico potrebbe lenire così come nessuna promessa, o buon consiglio, potrebbe indurti alla riflessione.
Ma non è la magia il modo più sensato per risolvere i problemi esistenziali perché le formule in questo campo sono drastiche, inappellabile il giudizio di chi le applica quanto irreversibile il destino di chi le subisce.
Le tue parole raccontano di una lunga storia burrascosa dove la devozione dell'amore si è dovuta raffrontare con l'inganno, e il perdono...il salvifico perdono, in ultimo è stato inteso come debolezza e sottomissione.
La tua collera ed il tuo rancore, e il dolore conseguente, e quello che tu descrivi come l'assenza di "quel sentimento dell'odio, l'unica emozione che vorrei percepire, prepotente e viva, per uccidere quell'amore che, nonostante tutto il male subito, ancora stoltamente resiste abbarbicato dentro di me come la radice di un fiore malefico del quale non posso impedirmi di farmi penetrare dal suo nero ed aspro profumo velenoso".
Moira, tu mi stai chiedendo una ricetta per imparare l'odio e placare l'amore, allo stesso modo con cui si somministra un antibiotico per sedare la febbre.
Quanto devi averlo amato, e quanto devi ancora amarlo, quel tuo uomo bugiardo, se vuoi infliggerti  una simile punizione!
Quella dell'odio non è una ricetta che uccide (di morte fisica, intendo) e gli ingredienti elencati all'inizio di questo post, nonostante i nomi che i non addetti al settore possono trovare astrusi, sono tutti facilmente reperibili, ma...cosa ne sarà di te quando smettendo di amare non potrai più nemmeno smettere di odiare?
Perché è questo il prezzo che dovrai pagare.


Dal "Custode del faro" di Janette Winterson:

Perchè Babel Dark non ha sposato Molly?
Perchè dubitava di lei. Non si deve mai dubitare della persona che si ama.
Ma potrebbe non dirti la verità.
Non importa. Basta che gliela dica tu.
Cosa intendi dire?
Tu non puoi giurare sulla sincerità di un altro, piccola, ma puoi giurare sulla tua.
Allora cosa dovrei dire?
Quando?
Quando sono innamorata?
Lo devi dire.

Tu non puoi giurare sulla sincerità del tuo uomo, Moira, ma puoi giurare sulla tua.
Così non sarà l'odio a guarirti, ma l'amore.

Images by Natalie Shau

domenica 7 ottobre 2012

La stanza del racconto

Mi sono occorsi tre giorni per scrivere l'ultimo capitolo de "L'addestratore di cavallucci marini" e devo dire che il finale mi soddisfa, soprattutto la parte conclusiva, una corta griglia di dialoghi ad incastro che contengono considerazioni, e dichiarazioni d'intenti, d'ognuno dei protagonisti.
Ho aperto, dopo diverse settimane, quella porta che dall'interno della storia, (la stanza del racconto) si spalanca verso l'esterno (lo spazio individualmente percepito), congedando tutti i protagonisti, con l'ordine di rompere le righe e la facoltà di poter restare o andar via.
Ovviamente nessuno è voluto rimanere.
Così la stanza ora è vuota.
Chiudere un racconto è come girare l'ultima scena di un film, quando si respira aria di smobilitazione e tutti, attori e tecnici hanno già abbandonato, seppur virtualmente, il set: la giovane esordiente, ma di grande talento, ha in tasca il contratto con un'altra produzione, e recita le battuti finali con la testa, però, già a quelle nuove; l'attore protagonista pensa ad una lunga e meritata vacanza, proiettato sullo sfondo turchino di una spiaggia esotica, lontano dalle cineprese e dalle ingannevoli atmosfere di scena;  il premio oscar, invece, è lì solo per onorare il contratto, pentito di aver accettato quel ruolo così poco rappresentativo del suo genio, recita di malavoglia, ed in maniera pessima, le sue battute.
No, nessuna nostalgia per il cast appena congedato.
E la stanza non è vuota, ma libera.
E' questa è la percezione dello scrittore del suo spazio individuale.
E' così grande il sollievo di aver terminato l'ultimo capitolo, e di averlo consegnato all'editore, predisponendosi a godere la piacevole sensazione che quella storia non lo riguardi più così da vicino.
 Affrancato dalla responsabilità del racconto può anche permettersi di minimizzare, o perfino negare, le difficoltà sopraggiunte in alcuni passaggi cruciali quando, dopo essersi invano dannato l'anima per realizzare la quadratura del cerchio, si è dovuto servire, in ultimo, di artifici al limite del legale.
Stratagemmi.
Trucchi del mestiere.
Perché un racconto ben riuscito è quello che svela i segreti della trama, ma non quelli dello scrittore.

sabato 6 ottobre 2012

L'adddestratore di cavallucci marini (cap 14)

E il poderoso uppercut del colonnello Dixon s'abbatte su Osmond Cox spedendolo al tappeto, impedendogli qualsiasi possibilità di replica.

Un'avventura a lieto fine, dunque, quella di Ketty che nella rovinosa caduta s'era procurata diverse fratture che l'avrebbero costretta, per un lungo periodo, a quella vita sedentaria a cui tanto aspirava, per di più accudita da Miss Rose che, da tutta questa storia ne era uscita alla grande, con un'aura di benemerenza di cui i cittadini più in vista di Culver City avrebbero dovuto, per il futuro, tener conto.
E finalmente accedere allo scranno più alto, a cui da sempre aveva mirato, nella scala sociale, graziosamente condotta per mano da Padre Evans, quando durante la messa domenicale l'avrebbe invitata a sedersi sul banco riservato alle autorità. Un pubblico riconoscimento ai suoi valori morali con cui la Chiesa le riconosceva il diritto di sedere sullo stesso scranno sul quale sedevano molti dei suoi più assidui clienti.
La vicenda per Miss Rose s'era  quindi rivelata un buon investimento che, con l'assoluzione di Padre Evans, ed il beneplacito delle eminenze cittadine, avrebbe ora potuto più agevolmente imbastire una rete di relazioni sociali a più ampio raggio e alla luce del sole. Incrementare i suoi già cospicui affari e forse realizzare il sogno di entrare in politica.


Tra  Mister Wolf ed il colonnello Dixon, invece, le cose si erano andate guastando, quell'armonia acquisita nei lunghi anni di collaborazione artistica durante i quali, abdicando ogni egoismo, avevano saggiamente imparato ad accettarsi e compenetrarsi nelle proprie peculiarità, godendo dei vantaggi che ne scaturivano.
Per tanti anni i due uomini, che pur non entrando mai in una vera intimità, nel perseguire quello scopo comune si erano resi indispensabili l'uno all'altro, consapevoli che il succeso del "Great Sea Circus" era il prodotto unico delle loro sinergie, un amalgama davvero ben riuscito.
Così, nell'accettazione di questa summa, spontanemante si erano divisi compiti e ruoli.
Mr Wolf, naturalmente dotato di una prorompente fisicità, dinamismo da prestigiatore, modi raffinati e magniloquenza affabulatoria, era l'animale da palcoscenico col quale veniva configurato il "Great Sea Circus".
Era lui il dio dei fondali salini che, senza bagnarsi di una stilla d'acqua, e con impeccabile stile, dirigeva tutte le sere la strabiliante danza dei cavallucci marini: l'attrattiva principale che aveva reso leggendario il "Great Sea Circus"
E mentre Mr Wolf dirigeva sul palco la fiabesca coreografia, il colonnello Dixon dietro le quinte coordinava, con l'autorità del militare e la competenza dell'artigiano, il complesso apparato delle scenografie, composto per lo più da un coacervo di cavi sotterranei, botole a scomparsa, leve, argani e pompe, e l'apparato mistico delle luci.
Era lui che con la rigorosa precisione di un metronomo scandiva i tempi e dettava i ritmi affinché tutto scorresse senza inciampi, per conferire all'illusione la dignità del vero.
L'uno aveva decretato il successo dell'altro.
Insieme avevano dato vita alla leggenda del "Great Sea Circus".

Mr Wolf - Io continuo ad essere del parere, Walter, (questo il nome del colonnello Dixon) che Miss Rose con il suo temperamento, e quella voce straordinaria, sarebbe stata un ottimo ingaggio per il "Great Sea Circus" e avrebbe reso divino il numero dei cavallucci marini -

Colonnello Dixon - Non ce la voglio quella donna tra i piedi, da quando è comparsa sulla scena sono stati solo guai. Quella femmina ha il potere d'una strega, non mi meraviglierei di sentir parlare ancora di lei, magari come il primo Presidente donna -

Osmond Cox - Potete scommetterci che se questo avverrà sarò io a farne il resoconto. Miss Rose è una donna moderna e come tale assolutamente consapevole del prezioso supporto che una stampa amica può dare a qualsiasi carriera, inducendo l'elettore a ricordare o, secondo il bisogno, a dimenticare. -

Miss Rose - Ma certo, caro Cox, vi terrò al mio seguito purché vi sia ben chiaro che il ruolo che ho in mente per voi è quello del  biografo, del tipo molto fedele e, soprattutto, sotto dettatura. Consideratela una mia personale protezione, una sorta di buona azione mirata a preservarvi dai possibili, sciagurati equivoci, in cui potreste incorrere, e le inevitabili, dolorose conseguenze. -

Padre Evans - ...perché ognuno di noi figlioli alla fine deve operare per perseguire al meglio il compito che Dio gli ha dato, rivelandosi attraverso le buone azioni. E dobbiamo svolgere questa mansione con la dovuta accortezza ed umiltà, rifuggendo dai nostri  egocentrismi che ne falserebbero il valore, riconoscendo la verità indiscutibile che Louise ha potuto salvare Ketty solo perché Dio lo aveva predisposto: pedina e non artefice. -

 Louise - Le buone azioni quasi mai premiano. Come ricompensa per aver salvato Ketty sono stata licenziata  perché di me si è parlato troppo e, come dice Miss Rose, per quel tipo di lavoro le ragazze devono possedere solo un corpo e non una storia -

Ketty Dixon - Per questo, Louise, appena potrò camminare fuggirò di nuovo, per avere diritto alla mia storia.  Una storia che io intendo raccontare con le mie parole -

martedì 2 ottobre 2012

Molteplici verità: in questa storia nessuno è davvero innocente

Considerazioni nell'ultimo capitolo

Ora, mettendo da parte le antipatie che, a ben ragione, un personaggio come Osmond Cox, direttore/giornalista/socio unico del "Newspaper of Culver City", suscita, dobbiamo comunque riconoscergli una dose di oratoria e d'inventiva non indifferente per cui le sue esternazioni, supportate da una logica abilmente  strutturata, benissimo possono offrirsi come verità alternative e niente affatto campate in aria.
Ovviamente noi che conosciamo, dallo scorrere dei capitoli, come si sono realmente svolti gli eventi, non abbiamo alcuna difficoltà ad etichettarlo, meschino e bugiardo, l'anima opaca del racconto, eppure......eppure le sue esternazioni trovano sostegno da una verità incontrovertibile, emersa nel corso della narrazione: ognuno dei protagonisti mira a raggiungere un suo obiettivo, con motivazioni e metodi al di là del lecito.

Ketty Dixon,  vorrebbe cambiar vita e per far questo non esita ad abiurare il suo passato e, neppure troppo indirettamente, suo padre. Possiamo riconoscerle, come attenuanti, la stanchezza di quella sua esistenza nomade e la voglia di essere come la maggior parte delle sue coetanee "invitata al ballo in veste di ospite e non di attrazione". Inoltre, i più sensibili di noi, forse, si saranno posti l'interrogativo di un'assenza materna di cui mai si fa menzione nell'evolversi della storia, ma che un bravo avvocato sarebbe pronto a rilevare per addurre come attenuante, con cui alleggerire le responsabilità della sua assistita, ed ottenere il verdetto d'innocenza perchè il fatto non sussiste. Ma davvero il fatto non sussiste? Ketty è un adolescente e come tale vive le intemperanze, i desideri e la voglia di cambiamento, tipiche dell'età, senza il supporto reale di un adulto in grado di congetturare sulle sue ipotesi di scelta. Ed ecco così, che senza l'esperienza di una guida, quelle che dovrebbero essere solo ipotesi diventano possibilità fattibili e perseguibili, da realizzarsi sul momento che l'attimo è fuggente. Ketty s'adopera quindi, alla stregua degli adolescenti di tutte le epoche, a dar corpo ai suoi desideri buttandosi allo sbaraglio, ignorando le alternative ed eludendo i dissensi (seppur nel suo caso più che una discordanza c'è un padre autoritario e poco incline al dialogo). Ma Ketty, se la riteniamo in grado di discernimento (e lo è, dal momento che l'abbiamo vista lucidamente congetturare sulla sua vita esistente e su quella probabile e, perfino siamo in questo dalla sua parte, ritenendo valide le sue ragioni), non possiamo concordare sul modo in cui le esplicita. Il suo carattere più che più che determinato, si rivela egocentrico e volubile e, con una spiccata propensione all'opportunismo. Non dimentichiamoci che in uno dei primi capitoli, Ketty dichiara il suo odio per Shadow, che pur è stato un valido ed affidabile compagno di scena, eppure non esita a servirsene per la sua fuga, nonostante il mustang sia ancora claudicante. Nessun apprezzamento per un compagno così fedele che pur la difenderebbe, come abbiamo visto nel capitolo 13,  a costo della vita. Davvero, vostro onore, alla luce dei fatti l'imputata ha la responsabilità oggettiva di un consapevole dolo che non può trovare giustificazione neppure con la sua giovane età, per cui chiedo che, per questo motivo, non le venga riconosciuta  l'attenuante della preterintenzionalità.

Mr Wolf, affabulatore ed illusionista con la virtù della diplomazia, ci appare, dalla summa di questi elementi, un personaggio equilibrato e di buon senso. Ma quanto lo è davvero? Non cede egli stesso ad un impulso sessuale verso Miss Rose effettuando una sorta di tradimento nei confronti del colonnello Dixon, socio alla pari e, quindi, con diritto di assenso e dissenso, quando le propone, in virtù della sua voce strabiliante, di entrare a far parte del "Great Sea Circus", nonostante la loro manifesta incompatibilità? E non è pur vero che per sedurla le svela i segreti meccanici della vasca dei cavallucci marini? E senza mai chiedere l'assenso del colonnello Dixon che, non dimentichiamo, in un capitolo egli stesso riconoscere essere il vero deus ex machina del "Great Sea Circus". E' questo un tradimento a tutti gli effetti, signori della corte, sottolineerebbe, con veemenza, l'avvocato della controparte, puntando il dito accusatore contro Mr Wolf, la cui stazza gigantesca pare rimpicciolirsi, come esser schiacciata, sotto il peso enorme di questa verità conclamata. In  base a ciò, vostro onore, chiedo per l'imputato un verdetto di colpevolezza.

Miss Rose Pure, affascinante e controversa, forte di temperamento e dalla morale duttile, uno di quei caratteri che si amano o si odiano, ed è proprio questo che avviene nel racconto, amata da Mr Wolf ed odiata dal colonnello Dixon. E sono proprio l'amore e l'odio a tracciare il profilo di questo personaggio che pur attrae le mie simpatie perchè si rivela da subito nella sua vera essenza. Un carattere prepotente che non cerca attenuanti, che non si  rinnega ma, anzi, si esalta nelle sue scelte esistenziali senza mai soffermarsi sulla loro discutibile moralità ma, al contrario, magnificandole come successi inconfutabili e meritati. Del suo passato non c'è traccia, ma è pu vero che certe esistenze vivono solo di un eterno presente, che è quello che si prospetta al momento, e di cui si fa incetta senza andare troppo per il sottile. In realtà l'affetto di Miss Rose nei riguardi di Ketty poco trapela nelle righe del racconto piuttosto, è il contrario, è la giovane acrobata che s'invaghisce della maitres per i suoi successi e per le opportunità che questa potrebbe offrirle. Ma è sufficiente questo per assolvere Miss Rose? Non dimentichiamo che ogni azione di quest'ultima è sempre improntata ad un suo fine di tornaconto personale, e non importa se i mezzi per perseguirlo non siano leciti e così, se pur gli vogliamo concedere il pregio della schiettezza, non possiamo esimerla dalla colpa dell'intenzionalità.
Colpevole, signori della corte, di coercizione subliminale, perpetrata e reiterata ai danni di una minorenne, per fini non esplicitati ma sottointesi.

Colonello Dixon, presenta tutte le pesanti caratteristiche di chi è avvezzo a dare, e a pretendere, l'ordine e la disciplina secondo la gerarchia prestabilita dai gradi, dalla parentela o dall'età. Non s'avvede dell'infelicità di sua figlia, attento com'è a perseguire il suo progetto di far di lei una stella del circo, costringendola a quella vita che pur lei rifiuta e a cui cerca di ribellarsi. Il colonnello Dixon è un personaggio inflessibile, assolutamente puro, nel senso di non corruttibile e, per questo, estremamente rigido. Insensibile a tutte quelle istanze che egli non riconosce ascrivibili a codici a lui noti (valore, onestà, sacrificio); restio al dialogo, perchè sprovvisto di una logica adeguata al confronto, che la sua predisposizione si basa sull'impartire o ricevere ordini; ciecamente orgoglioso, tanto da configurarsi  nell'altezzosità di un destino solitario (quelli come lui sono deputati a rivestire, il più delle volte, il ruolo ingrato dell'eroe incompreso o del martire disconosciuto) L'affetto che nutre verso sua figlia è di natura egoistica, non per volontà dolosa, ma perchè rileva come unicamente valide, ed incontrovertibili, la sua etica e la sua morale, punti di riferimento da cui non è possibile deviare. Un affetto all'apparenza arido, di quelli che non trovando sbocchi all'esterno è destinato a rimanere dolorosamente murato all'interno. Un colpevole non del tutto colpevole! Non scherziamo, avvocato della difesa, diamo a Cesare quel che è di Cesare, per cui siete pregato di non far torto alle capacità intellettive del colonnello Dixon tacciandolo, sia pur in maniera sommessa, di elementarità. Egli non è, come lei vorrebbe strategicamente farci credere, un protozoo eterotrofo facoltativo per cui, la giuria, dovrebbe tener conto di tutte le attenuanti possibili fino ad arrivare, per quel che riguarda questo particolare frangente, all'incapacità d'intendere e di volere. Il colonnello Dixon era ben consapevole del conflitto che il suo atteggiamento, sordamente prevaricatore, stava innescando dal momento che Ketty gli aveva chiaramente palesato il suo dissenso eppure, nonostante tutto, non ha messo in atto alcuna modifica, nè chiarimento, per evitare l'incidente finale, per cui chiedo il massimo della pena.

 Osmond Cox, per lui non è stato possibile trovare neppure un difensore d'ufficio......

Images by August Bradley

lunedì 1 ottobre 2012

L'addestratore di cavallucci marini (cap 13)

No, Louise mai si sarebbe potuta perdonare di averle inflitto, sia pure per una lodevole ragione, la crudeltà di quell'angoscia che lei nella sua vita aveva dolorosamente sperimentato, così Ketty, al suo risveglio, l'avrebbe trovata al suo fianco.

Procedevano lentamente con Ketty che curva sulla sua cavalcatura alternava gemiti a parole senza senso: doveva essersi fracassata un bel pò di ossa.
...e Culver City sembrava così lontana!
Ad aumentare la tensione di Louise c'era era stata la minaccia di una nube di polvere che sporcava l'orizzonte, e un sordo rumore di zoccoli in avvicinamento, forse una mandria di bufali o di cavalli selvaggi.
Il cuore di Louise prese a martellare furiosamente.
Quel tratto di paesaggio, desolatamente piatto, non offriva la possibilità di nessun anfratto a garanzia di un rifugio entro cui rintanarsi per evitare di essere travolte dalla mandria in corsa, eppoi...eppoi le era parso di sentire l'eco di voci concitate e d'intravedere un paio di figure a cavallo distaccarsi dal resto del gruppo ed avanzare a galoppo sfrenato verso di loro.
La tensione si allentò nel suo petto e respirò sollevata quando riconobbe nei due cavalieri che velocemente avanzavano verso di loro le fisionomie note di Mr Wolf e dell'Ulisse pistolero.
 Miss Rose, che partecipava alle ricerche, immediatamente mise a disposizione la sua elegante carrozza per il trasporto di Ketty, ponendosi ella stessa a prestare i primi soccorsi e dispensare parole di conforto.

Ed ecco la carrozza di Miss Rose entrare trionfalmente a Culver City accolta da festosi hurrah, che la notizia del ritrovamento di Kettysi è sparsa veloce, e così anche il colonnello Dixon li ha raggiunti trascinandosi dietro un recalcitrante Osmond Cox che ha messo a dura prova i suoi nervi in quello che in ultimo s'è rivelato essere il depistaggio ben riuscito del giornalista.

- Mi avete volontariamente portato fuori strada, razza di fanfarone. Ora ve ne darò di abbondante materia per il vostro scoop -
- Non sono io ad avervi imbrogliato, non lo capite che la fuga di Ketty è stata magistralmente architettata per nascondere un complotto ai vostri danni, e probabilmente con il consenso di vostra figlia? Non vi pare strano che a ritrovarla sia stata proprio una delle ragazze di Miss Rose? Riflettete, dannazione, come ha fatto ad allontanarsi così tanto da Culver City in sella ad un cavallo zoppicante? Qualcosa, però deve essere andato storto, chissà se Ketty è accidentalmente caduta o se anche questo rientrava nei piani? Davvero è stato solo il destino a mettere sulla sua strada  prima Louise, l'eroina di questa avventura, e poi la stessa Miss Rose affiancata da Mr Wolf, provvidenziali soccorritori a cui dovrete, immagino, imperitura riconoscenza. Ammetto che per perseguire il mio scopo mi sono avvalso di metodi puerili, non certo all'altezza di quelli del vostro socio che nel campo è assolutamente inarrivabile. La sua fama è ben meritata. In definitiva io ho cercato, per il il mio scoop, di carpire i vostri segreti tanto quanto Miss Rose ha cercato di carpire la fiducia di Ketty, mentre il vostro stesso socio tentava di sedurre quest'ultima per scopi personali e d'ingaggio. Ognuno di noi mirava a qualcosa, perfino quella gatta morta di vostra figlia  ha cercato di piantarvi in asso per una sistemazione migliore. Da quella sequoia ho sentito e visto molto e, vi assicuro, che di materia ce ne è abbastanza per uno scandalo bello grosso dove voi, caro colonnello, sarete destinato a ricoprire il ruolo dello stupido. La mia proposta è ancora valida: rivelatemi i segreti meccanici del "Great Sea Circus", di cui m'impegno a scriverne solo dopo la vostra tournè a Los Angeles, ed io tacerò sullo squallore del dietro le quinte. Una delle due verità esige di essere raccontata, lascio a voi la scelta.-
- Sbagliate, ce ne è una terza che penso non abbiate preso in considerazione... -

E il poderoso uppercut del colonnello Dixon si abbatté su Osmond Cox spedendolo al tappeto, impedendogli qualsiasi possibilità di replica.