Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.

mercoledì 7 marzo 2012

Le interazioni dell'amore (cap.3)


ASCESE
Nel giorno del suo sedicesimo compleanno, la duchessina Angelica de Moura y Melo, varcò, per mai più uscirne, il convento delle clarisse di Nuestra Señora del Consuelo.
L'evento era stato festeggiato il giorno prima, e con grande sfarzo, alla presenza del legato pontificio, il Cardinale vicario Egidio Albornoz, e in rappresentanza dei sovrani, Ferdinando d'Aragona ed Isabella di Castiglia, il potentissimo Giovanni  Maria Gonzalo, principe de Valladolid, la cui presenza stava ad attestare l'apprezzamento concreto delle Maestà Cattoliche e sottintendere l'ascesa del duca, Felipe de Moura y Melo, a più prestigiosi incarichi a corte.
E per Angelica il futuro titolo di badessa.

Troppo timida per partecipare attivamente a quella festa che pur la riguardava, a disagio per quel clamore sia pur discreto, vi assisteva relegata in un angolo come una testimone casuale, una estranea, la cui presenza, però, rendeva tutto più reale: gli specchi e gli smalti, i gioielli e le spade, le voci cordiali e tutti quegli occhi che la guardavano senza davvero vederla.
Quella festa era per lei ma avrebbe benissimo potuto essere, ugualmente, senza di lei.
Nulla sarebbe mutato.
Se non che quella sua presenza faceva sembrare tutto più vero.
Ma non era stato il senso di estraneità, di esclusione, a renderla inquieta, febbricitante nel pensiero che, seppur la duchessina era avvezza all'isolamento per motivi di salute e per criteri educativi, per la prima volta nella sua giovane vita aveva percepito, sia pur in modo confuso, il vuoto esistenziale.
Neppure questa festa organizzata per lei era davvero sua.
Nulla le apparteneva.
Nemmeno l'abito che la ricopriva.
Quel sontuoso vestito di broccato ed ermellino, col suo lungo strascico da sposa, indossato quell'unica volta, sarebbe stato l'indomani donato alle clarisse, insieme alla sua vergine vita.
Perchè la duchessina Angelica, che mai aveva conosciuto il peccato, si apprestava nella clausura ad espiare tutti quelli del mondo.

OMBRE
Come tutti i poveri, Cristobal odiava la povertà e non gli riusciva di comprendere chi scientemente rinunciava al cibo, al calore di un riparo, alla dolcezza di una donna, sia pure in nome di Dio. Non capiva gli asceti e quel loro violento bisogno di espiazione che portava a rinnegare, insieme ai peccati, anche i piccoli ed innocenti piaceri, a cui tutti gli uomini, invece, avrebbero diritto, ma piuttosto arrogantemente ascrivendoli al lungo elenco degli spregevoli vizi che conducevano alla perdizione.
Chi era povero conosceva fin troppo bene l'inedia che prostra il corpo e la mente, che rende lo spirito debole e pauroso, facile preda delle angherie e dei soprusi. E delle ombre.
E l'ombra di Dio era, su tutte, quella che incombeva più minacciosa.

Così, Cristobal, risolutamente rifiutava l'aureola di santo, che il potere di quelle sue mani miracolose come tale lo identificava e lo precedeva, attirando sul suo cammino folle sempre più numerose e adoranti.
Perchè la Spagna, scalza ed affamata, appassionatamente s'identificava nel suo curandero.
 
PREMESSE
 Angelica si spoglia del suo meraviglioso abito e lo depone ai piedi dell'altare de la Virgen del Consuelo, adempiendo alle premesse dell'invisibilità e della rinuncia, che il voto d'espiazione esige.

No siempre me logra.
Non sempre mi riesce.
E', invece, la leale premessa con cui Cristobal ribadisce la differenza tra l'uomo e Dio.
Tra lui e Dio.

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