Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.

sabato 31 dicembre 2011

Auguri!

Images by Brian Viveros

Ci sono momenti in cui tutto va per il verso giusto. Non occorre spaventarsi. Sono momenti che passano
Jules  Renard

giovedì 29 dicembre 2011

Dove? Perché?

Andar via di qui, è questo il mio ultimo assillo
Andare dove? Mi chiede Amaranta
Andare dove? Fanno coro tutte le altre  presenze del mio antro.
Perché? Domanda, invece, l'Imperatrice Camilla, ampliando, con questo interrogativo, i termini della questione.

Dove?
Perche'?
Sarebbe molto più facile non dare spiegazioni ed obbligare la mia piccola ciurma ad assecondare questa mia determinazione, ben sapendo che sarebbe costrettta a seguirmi perchè non avrebbe nessun'altra alternativa se non il suo dissolvimento esistenziale.

In questi ultimi quattro anni siamo tutti invecchiati un pò di più, ed io più degli altri, perchè ho dovuto spendermi affinchè tutto sembrasse reale, caldo e confortevole, nonostante le mie catastrofi esistenziali e la mia feroce volontà di resistenza.
Alla fine mi sono resa conto che è tutto davvero fittizio, anche quelle ipotesi di verità per cui un tempo ho dato battaglia, che tutto poggia su niente, e che si può voler bene e detestare nello stesso momento e con la stessa suprema intensità, che le parole sono difficili e, quelle della scrittura, ancor di più, che non hanno voce e, seppur  ne avessero una, sarebbe quella di chi legge.
Ed ecco che anche un diario può essere un luogo d'inganni, d'inesattezze, di espropriazione intellettuale.

Mi tenta l'idea di trasferirmi in una nuova regione di Blogosphere, ma dovrei farlo senza l'ingombro di questa valigia colma di tutti i miei scritti e senza il seguito della mia piccola ciurma, silenziosa ed emotiva, sapendo fin d'ora di condannarla al tragico destino dell'abbandono e di una morte certa.
Ma sta di fatto che questo luogo è pervaso da un eccesso di ombre e di presenze, contaminato da troppi ricordi, amarezze, inettitudini, collere, desideri, incoscienza, baldanza e passione, perchè io possa liberamente continuare a gestirlo senza inciampare nella desolazione o nel vuoto.
Marilena

mercoledì 28 dicembre 2011

Martina

Sono molto irrequieta quando mi legano allo spazio
(Alda Merini)


Martina, oggi, s'è vestita a festa ed agghindata i capelli con nastri e stramberie di fiori, cosicché un  passero ha  nidificato nell'abbondanza dei suoi riccioli, mentre una farfalla si è smarrita nel loro arruffato intrico.
Così si ammira nel riflesso della finestra, e si trova bella.
Belli i suoi occhi eternamente assonnati, con le palpebre pesanti come ombrelli sporgenti a schermare la luce; belle le sue labbra color di geranio, sgargianti come balconi fioriti in un autunno tardivo; belle le sue dita nude, e le sue mani, sempre un po' tremanti, che paiono dirigere una invisibile orchestra; bella la sua voce che si dispiega limpida, seppur incerta sulle parole, come quella di una bambina.
Canta, Martina, guardandosi nel suo pezzo di vetro, riquadro di una finestra sbarrata dalla quale scruta la linea diurna dell'orizzonte, quel tratto netto che separa il cielo dalla terra e dal mare, i vivi dai  morti, le ossessioni dalle certezze.
Ride, Martina, con la sua bocca avara di denti, mentre guarda quell'orizzonte metafisico così reale nella sua memoria e così lontano da quella sua finestra.

sabato 24 dicembre 2011

Hotel Zeta (cap. 8)


PERCORSO A RITROSO
Una volta salite sul vecchio Wolkswagen, Edmundo Reyes percorse, tutto in retromarcia, il tragitto verso l'aeroporto. Esattamente come era stato per l'arrivo, solo che ora nessuna delle sue ospiti aveva troppa voglia di parlare. Gli innumerevoli ohhhhh di meraviglia che avevano costellato la conversazione all'arrivo ora erano tramutati in silenzio.
Ognuna, a modo suo, stava dicendo addio a quel posto meraviglioso dove mai più sarebbe stato possibile ritornare.
Amaranta Dell'Antro, trincerata dietro grandi occhiali neri, man mano che il paesaggio scorreva, andava tramutando le lacrime del distacco in scintille di ricordi, facendo bene attenzione che neppure un piccolo particolare scivolasse via dalle maglie di quella sua memoria bucherellata.
Eli Joe, forse era quella meno triste, consapevole che al suo ritorno c'era un uomo innamorato ad attenderla sulla soglia di casa econ una rosa rossa tra le mani. E sulle labbra frasi d'amore. Le stesse di quella lettera non spedita, poiché lei era già sulla via del ritorno, ma che pure le aveva scritto.
Lucy Hollywood, accarezzava un lembo del suo vestito e un rosso papavero, stampato sulla stoffa, aveva aperto all'unisono tutti i suoi petali per meglio accogliere quella coccola, mentre un ramo di glicine, in piena fioritura, s'andava allungando sull'ampia gonna per giungere alla portata delle sue dita ed omaggiarla della delicatezza dei suoi fiori viola.
Clara, da sotto la frangia piratesca, continuava a scrutare il mondo dalle sue due visuali, opposte ma non contrastanti, perché la consapevolezza non esclude la fantasia, e benissimo possono convivere, che in caso di necessità l'una potrà essere di supporto all'altra. Due visuali opposte che pure costituivano un'unica. Base da cui sarebbe partita per ricostituire l'interezza di sé stessa.
Xira, cullata dal ritmo strambo del Wolkswagen, sonnecchiava tranquilla sulle ginocchia di Clara, beandosi del contatto delle sue dita, innocentemente senza nutrire rimpianti o tristezze per le meraviglie che lasciava, che per lei il paradiso era ovunque fosse Clara, e nessuno avrebbe potuto convincerla del contrario. Nessuno.

MEMORIE DI CLARA
Il mio viaggio a Nuevo Eldorado è nato da una mia esigenza di fuga, un tentativo di rompere le catene da quell'esasperante costrizione, psicologica e sentimentale, che sta alla radice del difficile rapporto con mia madre, ma in realtà, come oggi sto scoprendo, solo l'alibi dietro il quale mi sono da sempre trincerata a giustificare quella mia volontaria mancanza di azione e reazione che mi ha trasformato in carceriera di me stessa. Il mio ritorno a casa, invece, è determinato dall'esigenza, ora preponderante, di un chiarimento con me stessa, prima ancora che con mia madre: se voglio scoprire chi è lei devo prima sapere chi sono io. Solo così potremmo trovare le motivazioni per un dialogo finalmente costruttivo. Una scelta sofferta, perché Edmundo Reyes, non so in ragione di quali particolari miei meriti, mi ha generosamente offerto la cittadinanza di questo luogo unico ed incantevole, che è Nuevo Eldorado. Un privilegio raramente concesso, perché scaduto il tempo del soggiorno si è obbligati a partire, e senza la possibilità di ritornarvi. Se mi fosse stato proposto ieri avrei, senza alcun tentennamento, accettato, perché non si rinuncia così facilmente all'offerta di cittadinanza del Paradiso. Solo qualche ora fa sarei rimasta, ma poi ho seguito Xira nella foresta, l'ho vista battersi contro un nemico grande e crudele, che aveva artigli affilati, fauci assassine e sete di vendetta, mentre lei, armata solo della sua determinazione, non ha mai indietreggiato né mostrato paura, che pur doveva averne. E tanta, Ma alla fine ha vinto. La mia piccola, grande guerriera, che mi ha indicato la strada del mio riscatto. Seppure è qui che lascio il mio cuore.

 UNA RIVELAZIONE PRIMA DELLA PARTENZA
Edmundo Reyes, consapevole che sarebbe stato fuori luogo salutare le sue ospiti con un arrivederci, perché quello era a tutti gli effetti un addio, aveva optato per la formula del baciamano. Ma quando era stata la volta di salutare Clara, quel bacio glielo aveva dato sulla guancia, e poi le aveva detto all'orecchio:-  a due sole persone è stata data l'opportunità di rimanere, una sei tu e l'altro è Vincent Van Gogh. Siamo estremamente selettivi a Nuevo Eldorado. Sii fiera di te, Clara. Sempre. -

Solo quando il piccolo aereo era decollato, Clara si era resa conto che Edmundo Reyes non le aveva però detto se Van Gogh era alla fine rimasto. Ma poi aveva guardato fuori dal finestrino: sotto il soffitto di nuvole bianche andavano fiorendo, in tempo reale, distese sconfinate di campi di girasole.
Vincent era rimasto.

venerdì 23 dicembre 2011

Hotel Zeta (cap. 7)



LA SFIDA
L'imperatore Giaguaro e Xira erano rimasti, per un lungo momento, immobili a fronteggiarsi soppesando le rispettive potenzialità, cosicché Clara, in seguito, avrebbe giurato di aver captato l'ombra di un sorriso sul muso del grosso felide, a pregustare l'imminenza di una vittoria già scritta.
Il piccolo cuore di Xira batteva all'impazzata, ma lei non dava mostra di paura, non fuggiva dall'ombra gigante che la soverchiava con le nere fauci spalancate, e il collerico ruggito così potente da frantumare la roccia. Yaguar fletteva il suo corpo, flessibile e sinuoso, come quello di un grosso rettile che s'appresta, fulmineo, allo scatto mortale, ma che consapevolmente lo ritarda per godersi fino in fondo la paura dell'avversario. Il piacere sadico di concedere ancora un ultimo minuto di vita, sapendo che sarà consumato nel terrore della morte imminente. Xira, perfettamente immobile, sembrava rassegnata alla zampata mortale, quella che le avrebbe dilaniato la schiena, lasciandola paralizzata alla mercé di Yaguar. In più s'era sventatamente posizionata all'ingresso di una strettoia, un imbuto senza uscita, che le avrebbe irrimediabilmente precluso ogni via di fuga. Una trappola.
Ai miagolii sommessi dei gatti, più simili ad una mesta preghiera che ad un incitamento, si contrapponevano i ruggiti di scherno dei grandi felidi, sicuri della vittoria del loro campione.
 E, subito dopo, ecco Yaguar prodursi in quel fantastico, inimitabile balzo, che lo aveva innalzato ai fasti della leggenda, proprio mentre Xira, indietreggiando, andava sempre più incuneandosi nell'angolo cieco, in quell'utero provvidenziale che l'avrebbe messa al sicuro, resa inviolabile alla brama mortale di Yaguar che, puntando sullo scatto e sulla potenza, non aveva però calcolato le incongruenze di quell'area ristretta in cui il suo corpo massiccio si sarebbe andato ad  incastrare.
Un cozzo tremendo e il grande, invincibile giaguaro giaceva ai piedi di Xira con le zampe spezzate e i denti frantumati. Davide aveva di nuovo sconfitto Golia.
Per un lungo momento sulla foresta stordita era calato il minaccioso silenzio d'ombra che precede le eclissi, squarciato dal ruggito rabbioso di un vento che andava oscurando il cielo di foglie e di piume, ma a cui s'oppose, con un miagolio da latte, un temerario cucciolino di gatto, bianco e rosa, ancora traballante sulle zampe che ripeteva, spavaldo, la mimica di Xira nella sfida al giaguaro. Artigli sguainati e orecchie tirate indietro, il minuscolo felino era ben deciso a non cedere di un passo alla prepotenza del vento, sebbene ad ogni folata ruzzolasse a terra, ma sempre però si rialzava indomito, soffiando e mostrando gli unghioli sguainati a quel nemico inafferrabile, temibile forse più di Yaguar.
Ma ecco avventarsi sul cucciolo una tigre enorme, la bocca spalancata e gli occhi di fiamma, planare implacabile su di lui, afferrarlo per la collottola e...deporlo, incolume, sul trono dell'Imperatore.
E' quello l'atto della pacificazione che decreta la fine di quella secolare guerra fratricida, ristabilendo così gli equilibri della ragione e della meteorologia, cosicché il vento smette di soffiare e diradando le nubi in uno squarcio di turchino appaiono i due soli gemelli color melograno, quelli dipinti da Clara.
 E nell'unità finalmente ritrovata del popolo dei grandi e dei piccoli felidi esplode la festa in un'inestricabile sarabanda di code e di vibrisse, ruggiti e miagolii, le armoniose voci di un'intesa finalmente ritrovata, mentre Xira, osannata dai decani delle due tribù, pudicamente schernendosi rifiuta il tripudio e in disparte si ritempra dalle fatiche del combattimento.

L'istinto di Clara sarebbe quello di correre da Xira, accertarsi che non sia ferita, stringerla tra le braccia e condividere con lei quel momento di gloria, così come è loro abitudine dividersi felicità e tristezza, ma pure teme che la sua presenza possa risultare inopportuna, perfino imbarazzante in quello specifico momento, come la disdicevole presenza dell'estraneo in una festa di famiglia.
Su questa riflessione, a malincuore Clara s'allontana, dopo aver gettato un ultimo sguardo a Xira per avere un'ulteriore conferma della sua incolumità.
" E forse non vorrà più ripartire, rimarrà qui, regina amata dal suo popolo, quando a casa, invece, è considerata solo un'intrusa. La mia piccola Xira, grande, orgogliosa guerriera." Questo immagina Clara, intraprendo mesta la strada solitaria del ritorno.
... e come rispondendo a quell'accorato richiamo, Xira, emergendo da un punto dell'orizzonte si è silenziosamente materializzata al suo fianco.
Ha annusato nel vento l'odore di Clara, e così l'ha rincorsa e ritrovata.
Xira ha fatto la sua scelta.

MEMORIE DI EDMUNDO REYES
Ricordo perfettamente il periodo della permanenza a Nuevo Eldorado delle quattro signore di cui qui si narra. Periodo movimentato, ma piacevole. Tutti i nostri ospiti sono persone speciali ma alcuni lo sono un po' di più. Sono quelli che lasciano significative tracce del loro passaggio. Le quattro signore erano assolutamente diverse tra loro eppure, in strano modo, assolutamente compatibili. Nel gruppo regnava un bell'accordo tranne per qualche scintilla caratteriale tra Amaranta ed Eli Joe. Mai visto due temperamenti consanguinei così opposti, una fiammella rossa ed una nuvola scura in perenne contrasto, seppur molte baruffe venivano stemperate, sul nascere, dall'ironia di Lucy Hollywood e dalla dolcezza di Clara. Ed ecco ancora altri due esempi di caratteri agli estremi, lo zenit e il  nadir, la testa e i piedi dell'universo. Clara, evanescente e dolce quanto Lucy è, invece, carnale ed abbagliante
Las damas...le signore, dunque, erano adorabili ognuna alla propria maniera. Adorabili,  ma  non sempre facili da trattare. Amaranta intavolava estenuanti discussioni con le ombre dei vivi e quelle dei morti, dibattiti che la sfinivano e, alla fine, la rendevano democraticamente intrattabile con tutti. Eli Joe passava moltissimo tempo a  scrivere lettere a suo marito, confesso di non aver mai visto nessun'altro scrivere con così tanta foga, ed  era evidente che soffriva della sua assenza. Lucy Hollywood...ammetto il mio debole per lei, per i suoi abiti floreali, i capelli selvaggi e per quella sua falcata da pioniera quando, impavida s'avventurava nei recessi di Nuevo Eldorado tornandone con trofei fotografici assolutamente di gran pregio. Per questo mi è mancato il cuore di avvertirla che, una volta varcati i confini di Durango, nulla di ciò che lei avrebbe fotografato sarebbe rimasto impresso sulla pellicola. Clara, invece, la definirei un'ospite speciale, di quelli che in virtù di una loro profondissima capacità empatia con quello che viene definito "L'Universo Sensibile", lasciano tracce indelebili del loro passaggio. La sua pittura ha sostanzialmente modificato la natura astrologica e paesaggistica di questi posti, per cui qui ora l'alba sorge con due soli gemelli e le notti, dense di stelle, sono rischiarate da una fantastica luna cammellare,  ed inoltre, sempre al suo talento, dobbiamo l'immaginifico panorama dei deserti cobalto dove nascono gli alberi del sale, e i giardini di mare dove fioriscono atolli con una strana vegetazione azzurra, ocra e arancio: le meravigliose tracce del soggiorno di Clara a Nuevo Eldorado.

domenica 18 dicembre 2011

Hotel Zeta (cap. 6)


L'IMPERATORE GIAGUARO VS XIRA
Clara, in ansia per il comportamento di Xira, l'aveva seguita in una delle sue solitarie escursioni fin dentro il cuore della foresta di Nuevo Eldorado, e ciò che vide la lasciò sbalordita.
All'interno di uno slargo bivaccava una grande ed eterogenea colonia di felini, razze a lei note ed altre esotiche, raggruppati intorno ad un tronco mozzo su cuiera assiso, in posa imperiale, uno splendido giaguaro nero, ai piedi del quale i felini di tutte le specie rendevano omaggio con una sorta d'inchino, flettendo le zampe anteriori e tenendo la coda bassa, in segno di sottomissione.
L'Imperatore Giaguaro chinava leggermente, e con regale condiscendenza, la testa, o scudisciava con violenza la coda, secondo se a riverirlo era un grande felide o uno di piccola taglia.
Yaguar, questo il nome dell'Imperatore, accolse Xira con un ruggito imperiosamente aggressivo e un rabbioso staffilare di coda, perché lei non solo non s'era inchinata ma la sua coda svettava fieramente dritta su quel panorama di code basse
Per nulla intimidita da questa scortese accoglienza, Xira s'era aggregata al gruppo dei gatti che, attratti dal suo carisma e dal suo coraggio l'avevano accolta con caotico entusiasmo: i più spericolati piroettando in stravaganti salti mortali; i più temerari sguainando gli unghioli, pronti a ritrarli, però, al suo minimo movimento; i più timidi si limitavano a starle accanto, rassicurati dalla sua presenza
...mentre dall'alto del suo scranno di legno l'Imperatore Giaguaro non la perdeva di vista.
L'immensa coda del felide frustava l'aria sommovendo un vento accecante di polvere scura, quando, ergendosi in tutta la sua imponenza, d'improvviso balzò al centro dello slargo per sfidare Xira.
La sua ombra enorme incombeva sul piccolo felino con l'inesorabilità di un destino tracciato.
Perfino gli uccelli s'erano fermati in volo, sospesi in aria, timorosi che un frusciar di fronda potesse scatenare la sua collera mortale.
Ma la gattina impavida, però, con un'agile balzo era scartata di lato dove, con grande sangue freddo, s'apprestava a soppesare il giaguaro nella sua interezza: la grossa testa, le zampe possenti, i denti aguzzi, le fauci crudeli.
Sarebbe stata una lotta impari, come quella tra una farfalla ed un'aquila.
E allora, Xira, per avere una qualche chance di vittoria, decise di puntare tutto sull'agilità dei suoi muscoli e sull'istantaneità dei suoi riflessi, sperimentati nella sua dura vita di randagia, valutando che il massiccio corpo di Yaguar, scattante nei lunghi percorsi, si sarebbe rivelato, all'interno di un perimetro circoscritto, pesante e voluminoso.
Dal canto suo si sarebbe imposta d'ignorare le fauci mastodontiche ed i ruggiti intimidatori di cui l'Imperatore Giaguaro stava dando spavalda esibizione.

IPOTESI E SPERANZE
Clara, dalla sua postazione, aveva seguito col batticuore il succedersi degli eventi, temendo per la vita della sua adorata Xira, ma altresì conscia della sua impossibilità ad intervenire.
Nulla avrebbe potuto, a mani nude, contro il colossale giaguaro supportato da centinaia di altri della sua specie.
Tornare indietro e chiedere aiuto... ma quanto tempo avrebbe impiegato a ripercorrere la strada a ritroso fino all'Hotel Zeta, sperando di non perdersi?
Non c'era tempo per progettare nulla, le restava solo di confidare nell'intelligenza intuitiva di Xira, grazie alla quale, più volte, era uscita illesa da situazioni estremamente pericolose.

mercoledì 14 dicembre 2011

Bambini

Sono arrivati che era ancora buio e hanno piantato i loro tendoni e, prima che sorgesse il sole, l'accampamento era già recintato. Dietro le pareti di stoffa barriscono gli elefanti e ruggiscono i leoni. Bambini scalzi si aggirano tra i carri, in perlustrazione, poiché lo straniero, per sorveglianza, non si serve di cani da guardia né di sentinelle nelle garitte, ma ha addestrato i suoi figli a questo compito, mascherato da gioco, cosicché l'innocenza è l'ingannevole cortina dietro cui s'innesca l'esplosivo. Siamo in stato d'assedio, ma nessun'altro, oltre me, se ne è reso conto. Io ho visto i segni premonitori come quel cielo notturno così stellato, e chiarissimo, da poter sembrare un albeggiare prematuro, e poi  la repentina caduta del vento che per tutto il giorno aveva soffiato con intensità di bufera costringendoci al riparo nelle nostre case, ed ho capito che ciò che paventavo stava accadendo, e che anche Dio è dalla parte dello straniero. Non avremo quindi scampo. Dio è dalla parte del più scaltro, è una storia antica questa, che sempre si ripete. Dovrà pur vendicarsi della morte del suo unico figlio, così prolifica cattivo sperma che si diffonde nel mondo con l'invadenza di un virus sottile che genera bambini dagli occhi grandi,, svezzati come cuccioli di cane, o in base agli istinti delle altre fiere allevate all'interno dei tendoni. Pachidermi, tigri, leoni, orsi, tenuti doverosamente al guinzaglio, che questo è il loro malevolo inganno, ma già pronti ad un cenno del domatore ad azzannare. Nessuno degli ignari spettatori si salverà quando, interdette le uscite ed aperte le gabbie, sotto il tendone si darà  avvio al massacro, mentre all'esterno i bambini s'aggireranno scalzi tra i carri malandati, rincorrendosi ridendo, come stessero davvero giocando.


(ph - Steve Mc Curry)

martedì 13 dicembre 2011

Hotel Zeta (cap. 5)


SINGOLE ESPERIENZE
Nell'Hotel Zeta non c'erano computer e questo, all'inizio, aveva causato una specie di scompenso esistenziale in Amaranta, che non essendo una esteta della natura si era sentita confinata in uno spazio alieno, catapultata su un altro pianeta. Prigioniera dell'intrico amazzonico di quell'Eden primordiale, avrebbe trasformato, secondo la sua indole, in racconto drammatico questa sua sconcertante esperienza.
Eli Joe, anche lei di primo impatto aveva preso male la mancanza dei cavetti e delle connessioni, ma dopo una minuziosa esplorazione che l'aveva confermata nella certezza che la Rete in Nuevo Eldorado era ancora secoli a divenire, aveva in virtù della sua positività trasformato la tragedia in poesia. Fu durante la sua permanenza a Durango che compose i suoi versi più belli, quelli che le avrebbero dato la celebrità, e diede vita ad un appassionato carteggio privato con suo marito.
Lucy, invece, s'accingeva ad esplorare i misteri di Nuevo Eldorado con lo stesso entusiasmo con cui Leonìe D'Aunet aveva perlustrato le terre di Lapponia e il remoto Polo Nord. Dal materiale fotografico ne avrebbe ricavato un reportage i cui diritti erano già stati preventivamente acquisiti dal National Geographic, ignorando, però, che tutto quel materiale così puntigliosamente accumulato sarebbe tramutato in pellicola vuota una volta varcati i confini messicani.
Clara aveva ritrovato l'estro della pittura, ed ecco che dava vita, sulla sua tela, ad inedite e fantastiche costellazioni, come quella dei soli gemelli color melograno, che sorgevano dalla sabbia di un deserto metafisico; la luna cammellare, gibbosa e chiarissima, portatrice di piogge stellari; i paesaggi fiabeschi come i deserti cobalto, infinite distese di pietre azzurre dove crescevano gli alberi del sale, e i giardini di mare dove gli atolli solitari fiorivano di vegetazione promiscua ed inedita. Queste, ed altre meraviglie, scaturivano dal pennello di Clara, e tutto quello che dipingeva acquistava vita e tramutava i paesaggi di Nuevo Eldorado.

MEMORIE DI ELI JOE
Quello trascorso a Nuevo Eldorado è stato un periodo fantastico, se ci fosse stato anche mio marito sarebbe stato perfetto, poiché la sua assenza per me era tangibile, anche se ho avuto modo di sperimentare il romanticismo di un carteggio intimo. Imbucavo le lettere nella cassettina postale dell'Hotel Zeta e, l'attimo dopo, la missiva era già partita superando in velocità qualsiasi sistema di posta elettronica. Trovavo le sue lettere di risposta sul cuscino del mio letto, insieme ad una rosa rossa. La lontananza è una misura con cui si riesce a valutare la forza di un sentimento nella sua pienezza e nel suo ardore. Ho scritto molto in quel periodo attingendo non solo dallo sfolgorante panorama ma dalle sensazioni evocate dalla lontananza da quel mio mondo solido e conosciuto, e che mi hanno condotto ad una esplorazione e ad una conoscenza più profonda di me stessa. Di sicuro questo ha contribuito ad affinare la mia sensibilità intellettuale.

XIRA
Xira, quando non era al seguito di Edmundo Reyes, spariva per lunghe ore inoltrandosi, solitaria e circospetta, nel verde intrico amazzonico di Nuevo Eldorado. Ne emergeva al tramonto recando, sulla pelliccia arruffata, minuscole tracce di terra ed evidenti segni di lotta.

venerdì 9 dicembre 2011

Hotel Zeta (cap. 4)


MEMORIE DI LUCY
Passavamo le giornate in esplorazione di Nuevo Eldorado, scoprendo ad ogni passo strabilianti meraviglie.
La natura, fecondissima, si era evoluta in specie vegetali a noi sconosciute. E tutto era commestibile. Parlare della varietà dei fiori, dei frutti, delle erbe, sarebbe stato stilare un elenco interminabile e, oltretutto incompleto, di sensazioni e dettagli, che durante la nostra permanenza non abbiamo avuto modo di assaporare tutto. Inoltre avevamo sottoscritto il nostro impegno al silenzio. E chi crederebbe agli ALBERIFONTE, tronchi secolari dai cui rami zampilla un acqua termale, tiepida, altamente curativa, o alle CORACOLLINE, collinette bonsai che si formano in polle d'acqua salina e fioriscono di una fitta vegetazione marina, a ciuffi, molto simile a quella dei coralli, o alle MONCAVERNE, piccole alture di forma piramidale, rovesciate, con la vetta piombata nel sottosuolo e la base, invece, una pianura rigogliosa che si erge come un altare sopraelevato ed impossibile da scalare a causa della estrema ripidezza delle sue pareti e della quasi mancanza di appigli naturali. Ci si arriva solo dall'alto, paracadutandosi a bassa quota perché il rischio di precipitare lungo quelle loro fiancate è davvero grande. Molto più semplice è, invece, arrivare alla vetta attraverso un camminamento sotterraneo che s'incunea, attraverso cunicoli e gomiti, fin nei recessi dell'imbuto del suo apice. Noi lo abbiamo percorso, ed è stato assolutamente meraviglioso. Avevo tutto documentato nell'obiettivo della mia macchina fotografica ma, delle centinaia di foto che ho scattato, la pellicola non ne ha impressa nessuna.

UNA STORIA D'AMORE A NUEVO ELDORADO
Edmundo Reyes era pressoché in ogni luogo e pronto ad ogni nostra esigenza. Cuoco provetto, raffinato conoscitore di vini, suonava il piano ed il sax in maniera divina, autista magistrale, soprattutto nelle guide in retromarcia, poliglotta, filosofo e naturista, quando non era indaffarato con noi si dedicava alle sue due grandi passioni: i lavori di restauro, e di mantenimento, della struttura dell'Hotel Zeta, e nel tempo libero, novello Darwin si applicava allo studio e alla suddivisione delle innumerevoli specie e sottospecie vegetali, di cui Nuevo Eldorado abbondava.
Edmundo Reyes somigliava in maniera impressionante a Jack Nicholson, solo più giovane.
Ma le somiglianze non andavano oltre l'aspetto fisico, perché lui era assolutamente diverso anche dal suo stesso personaggio, più simile a un blasonato che a un fazendero.
Xira fu la prima del piccolo drappello femminile a lasciarsi spudoratamente irretire da Edmundo.
Lei, indomita guerriera della strada, beveva  il latte dalle sue mani a coppa, s'addormentava avvoltolata nei suoi foulard jacquard, accettava, di buon grado, che lui le irrorasse il capo con una goccia del suo profumo.
Lo attendeva paziente, tutte le mattine, sull'uscio della camera per dargli il buongiorno con la dolce sinfonia delle sue fusa, pronta ad accompagnarlo nelle sue ricognizioni mattutine, camminandogli accanto, fiera, con la coda dritta come lo scettro di una regina.

mercoledì 7 dicembre 2011

Claustrofobia Esistenziale

Sto precipitando di nuovo nel buco nero della depressione, nonostante i farmaci che regolarmente assumo, non riesco a venire a capo di me stessa, della claustrofobia esistenziale in cui sto nuovamente piombando.
La nausea della vita mi assale continuamente.

Alzarsi, vestirsi, nutrirsi, comunicare, è tutto così faticoso e fine a se stesso.
La lucidità con cui vedo me stessa, proiettata in questa dimensione, così perversa ed autodistruttiva, è assoluta ed inequivocabile.
Tra me e la vita c'è un muro.
Posso continuare a darci spallate, come fin'ora ho fatto, ma non riuscirò mai ad abbatterlo.
Nemmeno le parole assolvono più ad alcun'altra funzione se non a quella di suoni emessi dalla gola.
La nausea le va, irrimediabilmente, contagiando.

Ho escluso  i commenti da questo post perchè nessuno, alla fine, che non abbia fatto l'esperienza può davvero capire e, poi, è subentrata anche la noia di dovermi continuamente giustificare, o peggio ancora difendere, da quel "comune buonsenso" che ancor più profondamente scava un solco tra chi, come me, annaspa nelle sabbie mobili e chi, dall'altra parte, tende la mano, ma già con un giudizio sancito.

Non ci sono cicatrici nè mutilazioni: è tutto silenzioso ed intimo.
E' un malessere subdolo, incoerente, che ho cercato, in tutti questi anni, di fronteggiare.
L'ho studiato in me stessa, con la pazienza certosina di un entomologo che s'appresta a vivisezionare l'insetto alieno per scoprire la deformazione da cui scaturisce la sua diversità.
E, una volta sezionato l'insetto, dentro ci ho trovato il mio cuore, i miei nervi, le mie cicatrici esistenziali.
Ma, ancora, sono andata avanti.
Ho cercato di tramutare in racconto questa esperienza perchè sapevo che, finchè fossi riuscita a servirmi delle parole, avrei avuto ancora un minimo vantaggio, una piccola possibilità, per sopravvivere al veleno dell'insetto.
Esorcismo ed incantesimo: la voce della strega lo ha solo sedato, ma non sconfitto.

Una cosa che so di certo è che non voglio vivere nell'ottundimento mentale, respirare attraverso una cortina, ipotesi di vita, o le vite degli altri, spesso, sbrigativamente, ed inopportunamente, adotte come esempio.
Nella mia consapevolezza, contrapporre al nulla esistenziale questo star male, alla fine, significa ancora esser vivi.
 Marilena

martedì 6 dicembre 2011

Hotel Zeta (cap. 3)


CLARA
Clara, da sotto la frangia piratesca, guardava il mondo con due visuali diverse e a volte contrastanti, secondo se a scrutare fosse il suo occhio visibile o l'altro, quello nascosto dalla cortina dei capelli.
Raramente le due visuali combaciavano e non c'era di che stupirsi perché l'occhio sotto la frangia, enigmatico, provocatorio e sensibilissimo, era stato, fin dall'infanzia, in grado di esplorare quei mondi paralleli, fantastici, poetici, spesso incoerenti, che non a tutti è consentito visitare.
Così Clara aveva iniziato il suo viaggio nel mondo gattonando, con l'incoscienza dei bambini, sui lucidi specchi di Wonderland; i primi passi, quelli sperimentali, li aveva invece intrapresi sull'Isola del Tesoro; adolescente, aveva scalato in solitaria, le Cime Tempestose e da lì aveva proseguito, diretta verso la Luna, sulla palla di cannone del Barone di Munchausen. Giovane donna, aveva poi circumnavigato il mondo sulla mongolfiera di Phileas Fogg, per atterrare nei tormentati universi ciberpunk della Los Angeles di Blade Runner.

Ed ora è giunta qui, a Nuevo Eldorado, dove i fiori degli abiti sbocciano come fossero vivi, il taxi funziona in retromarcia e l'Hotel che la ospiterà è situato all'interno di un tronco ciclopico, ed intorno, all'apparenza, non c'è null'altro che natura.
Su questa sintesi concordano entrambi gli sguardi di Clara seppur, da sotto la frangia, l'occhio piratesco è entrato in allerta.

L'INTERNO DELL'HOTEL ZETA
 Avevano preso alloggio, ognuna in una stanza singola di quello strano albergo ricavato all'interno del tronco più grande del pianeta terra.
Nicchie essenziali dove non c'erano finestre ma la luce vi penetrava attraverso rami/tubi, le cui estremità, interne ed esterne, erano naturalmente cave.
I rami erano ancorati al tronco da radici laterali delineate in geometrie stravaganti, ma corpose e solide, che ben ottemperavano alla funzione di arredo e mobilio.
Sullo scrittoio, fornito di carta da lettere e quaderni, campeggiava un pennino obsoleto immerso nel liquido violetto di un calamaio.
Niente televisore, né cellulare e né computer.
Ma fu la mancanza di quest'ultimo a suscitare reazioni diverse secondo l'indole, la propensione e le aspettative individuali delle ospiti dell'Hotel Zeta.

Niente computer, e adesso come faccio?
Il disappunto di Amaranta.

Niente computer, meglio, approfitterò per scrivere lettere d'amore a Tony.
L'ottimismo di Eli Joe.

Niente il computer, ma non importa, ho la macchina fotografica.
Il pragmatismo di Lucy.

Niente computer.
Clara non ci aveva neppure fatto caso.

sabato 3 dicembre 2011

Hotel Zeta (cap. 2)


I viaggi, anche i più banali, dovrebbero sempre essere intrapresi come avventure favolose.
Per questo dovremmo imparare a viaggiare con un bagaglio leggero.
Per essere liberi da ogni tipo di catena, come può essere anche quella del manico di una valigia.

IL VIAGGIO
Il biglietto era valido a tutti gli effetti ed anche Xira poté viaggiare, all'interno della sua gabbietta, nella cabina insieme a Clara. Il minuscolo aereo era pressoché vuoto ad eccezione della presenza di tre viaggiatrici che occupavano i sedili di fondo, intente a conversare fra di loro.
Volo diretto per Durango, aveva annunciato il comandante, mentre decollavano verso le nubi, con l'abitacolo pervaso dalle note sublimi della Nona Sinfonia di Beethoven.

LO SCALO
Il piccolo aereo era atterrato in una radura dai colori aranciati dove, sullo sfondo, si delineava il bruno paesaggio di un sentiero d'alberi. Il comandante, dopo aver cavallerescamente aiutato le viaggiatrici a scendere dalla scaletta dell'aereo, vi era rientrato per apparire di nuovo con indosso la livrea d'autista.
Aveva emesso un breve fischio modulato e da dietro un cespuglio era emerso un Maggiolino Wolkswagen verde e bianco, che metteva allegria solo a vederlo.

LE PRESENTAZIONI
- Permettete che mi presenti, signore: sono Edmundo Reyes, sindaco e, come avete potuto constatare, factotum di Nuevo Eldorado. Sono doverose le presentazioni dal momento che condivideremo questo breve, ma spero piacevole soggiorno, che mi auguro si riveli  all'altezza delle vostre aspettative -
Edmundo Reyes chinandosi leggermene, elargì equamente il suo largo sorriso al piccolo drappello femminile in attesa nello slargo.
- Le tre signore già si conoscono, estendiamo la conoscenza anche alle altre nostre due ospiti: la señorita Clara y la señorita Xira. -

- Piacere di conoscerti, Clara. Io sono Amaranta Dell'Antro - Si fa avanti la bruna con la frangia, tendendole la mano. - Loro sono, mia sorella Eli Joe e la nostra amica Lucy Hollywood - Dice, ultimando le presentazioni.

Clara, incuriosita, notava quanto diverse fossero tra loro le sue compagne d'avventura: l'ombrosa Amaranta, la rossa Eli e la radiosa Lucy, cercando d'immaginare come lei potesse apparire al loro sguardo con il ciuffo obliquo della frangia color porpora che le nascondeva un occhio, come la benda di un pirata.

MEMORIE DI AMARANTA
Una volta salite sul vecchio Wolkswagen, Edmundo Reyes percorse, tutto in retromarcia, il tragitto che ci avrebbe condotto all'Hotel Zeta. Fu fantastico. Un viaggio a ritroso verso il sentiero d'alberi. Man mano che ci avvicinavamo alla macchia della foresta il paesaggio circostante veniva cancellato da una nebbia morbida mentre, sull'abito floreale di Lucy, i boccioli iniziarono a dischiudersi come fossero petali vivi.
Era come entrare, ad occhi aperti, all'interno di un sogno.
Apparve così alla nostra vista un albero dalle dimensioni ciclopiche, col tronco del diametro di diversi km, fittamente intessuto di rami pullulanti di ali e di becchi e di serici fruscii.
Una piccola foresta sulla vetta di un tronco.
 - Bienvenidas señoras all' Hotel Zeta -
Ci annunciò, con allegria, Edmundo Reyes.

Sulla vita. Sulla scrittura. Ed altri demoni

Ho liberato la mia scrittura dalla presunzione del genio riconducendola a mera esigenza personale, ed ancora ci ho ritrovato intatta tutta la mia passione.
(Amaranta)

Blogosphere mi ha dato la grande possibilità, col rendere pubblici i miei scritti, di vagliare personalmente il mio valore di scrittrice e ne sono emersi, prima ancora che i meriti, i limiti.
La fatica di scrivere partendo dalle mie limitatissime esperienze personali e col supporto di una cultura, seppur molto entusiasta, essenzialmente autodidattica e nozionistica, mi ha edotta di non essere assolutamente in grado di aspirare ad alcun altro traguardo da quello offerto da un blog.
In realtà il gioco della scrittrice mi seduce ancora ma, cadendo le ambizioni di protagonismo letterario, quello che resta è solo "pelle viva" e, d'altronde, ho sempre ritenuto arido lo scrivere senza esser letti, motivo per cui non ho mai tenuto un diario ma piuttosto ho coltivato l'abitudine degli appunti e delle annotazioni.
La certezza, oggi, è che non sarei potuta diventare null'altro che quella che sono per via della mia indole e dei miei bisogni esistenziali, della paura di vivere, di affrontare il mondo come singola persona.
Non credo al destino ma ad una nostra connaturata propensione a renderlo reale.
La paura di vivere ha compromesso la mia capacità sperimentale e, quando il castello di certezze e di agi della mia vita matrimoniale si è sfaldato, sono rimasta allo scoperto, assolutamente sola, in balia del mondo e delle mie insicurezze.
Un mondo che conoscevo davvero poco essendomi io volontariamente reclusa in una esistenza quotidiana e selettiva, tenendo a freno le mie irruenze, mortificando i  miei desideri, decapitando le mie aspirazioni: il risultato è stato quello di essere una donna a metà, insoddisfatta ed incompleta.
Mi sono limitata a sopravvivere non riuscendo neppure a sfruttare quegli agi, quelle sicurezze, per cui avevo sacrificato buona parte di me, ma contribuendo, invece, in maniera efficace, a costruire l'infelicità a due.
Il mio estremo bisogno di rassicurazioni, quelle che nell'infanzia mi sono mancate, le ho cercate nella mia vita di adulta, all'interno della coppia e, col matrimonio, nell'ambito della famiglia che andavo costituendo.
L'opera, a cui mi sono accinta per lunga parte della mia esistenza, si è rivelata, alla fine, una mostruosità inconfessabile anche a me stessa.
A dire il vero, in tutti questi anni, non sono stata neppure troppo capita, forse mi sono anche espressa male, ma è questo che accade quando passivamente si accumula insoddisfazione, frustrazione e noia.
Negli anni del mio matrimonio mi sono letteralmente occultata al mondo.
I capelli eternamente spioventi sugli occhi, mi nascondevo dentro maglioni over size.
Avrei potuto permettermi un armadio di vestiti e ne avevo solo lo stretto indispensabile.
Mi rinnegavo.
Scientemente, non sono voluta esistere.
E' triste ammetterlo ma come donna sono venuta fuori dopo la separazione.
Per sopravvivere, prima ancora che per una scelta di emancipazione.
Marilena